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PROLOGO
‒ Hai fatto tardi stasera – esclamò Tochiro sentendo la porta aprirsi e richiudersi quando stava già per addormentarsi, ma quando si voltò a guardare Harlock che entrava nella camera saltò in piedi come una molla.
‒ Santo cielo! Cosa ti è successo? Il ragazzo si teneva sul volto un fazzoletto abbondantemente insanguinato. Anche la parte davanti della sua divisa era tutta macchiata.
‒ Non è niente – rispose ‒ sembra peggio di quello che è.
‒ Fa’ vedere… Tochiro trascinò l’amico nel minuscolo bagno e gli tolse il fazzoletto zuppo dalla faccia. Una lunga ferita gli solcava la guancia sinistra fino al naso. Era un taglio netto, ma continuava a sanguinare abbondantemente.
‒ Devi andare in infermeria! – esclamò.
‒ Neanche per idea! – rispose l’altro. ‒ Vuoi vedermi agli arresti per due mesi? Dammi una mano tu.
‒ Maledizione, non sono un dottore… ‒ Non importa. Basterà del disinfettante e qualche punto.
Tochiro sospirò e cominciò a darsi da fare come poteva. ‒ È stato il caro Heinz, vero? – chiese dopo un po’.
‒ È colpa mia – rispose Harlock cercando di stringere i denti mentre l’amico si dava da fare con l’ago e il filo. ‒ Non dovevo lasciarmi coinvolgere – mugugnò.
‒ Beh, almeno adesso ti lasceranno in pace – commentò l’amico guardando con occhio critico il proprio lavoro. ‒ Ti resterà la cicatrice – commentò.
Harlock alzò le spalle. ‒ Resterà anche a lui – rispose.
CAPITOLO I – L’Accademia
‒ Ehi, hai visto quelli?
Il ragazzo che si era appena messo a ridere, indicando al crocchio di amici che gli stavano attorno gli ultimi due arrivati all’Accademia Militare Marziana, aveva lo splendore della perfetta gioventù dorata di quegli anni: i capelli di un perfetto biondo tagliati con cura, gli occhi di un limpido azzurro d’acciaio e una mandibola convenientemente quadrata. La sua divisa, nuovissima e impeccabile, come se ci fosse nato dentro, non sembrava neanche imparentata con le giacche di seconda mano indossate dai due nuovi venuti.
Gli amici del giovane Heinrich Böll si voltarono a guardare l’oggetto di tanta ilarità. Effettivamente formavano una stranissima coppia. Uno molto alto, magro, dallo sguardo attento; l’altro basso, robusto, con un paio di occhiali spessi come fondi di bottiglia. Agli azzimati junker dotati di tutti i quarti di nobiltà parvero come una manna dal cielo. I soggetti ideali per sfogare la propria giovanile insicurezza.
Heinrich si era subito avvicinato, strizzando l’occhio ai propri amici e, fingendosi distratto, era andato a sbattere di proposito contro di loro mandando a gambe all’aria il piccoletto.
‒ Oh, chiedo scusa – aveva poi esordito in tono beffardo. – Non vi avevo proprio visti. Per un attimo gli occhi di quello alto lo fulminarono con uno sguardo duro, per nulla intimorito. Heinrich in un certo senso se ne compiacque. Forse, nella noia di quella scuola dove tutti sembravano docili burattini, aveva trovato qualcuno con cui divertirsi davvero.
***
Avevano cominciato con piccole provocazioni: spintoni dati apparentemente per caso, frecciatine dette a mezza voce, lamentele discrete per metterli in cattiva luce. Tochiro pareva bellamente ignorarli e Harlock, che pure a volte si sentiva prudere le mani a tanta impudenza, lasciava perdere anche lui per non turbare l’amico. La cosa che irritava di più i baldi giovani era che i due presi di mira erano indiscutibilmente bravi. I migliori del proprio corso per la precisione.
Heinrich non sopportava di essere superato in intelligenza da quel tappetto e in destrezza da quello spilungone, cosa che tuttavia avveniva regolarmente.
Il giorno in cui uno dei componenti della banda, tale Manfred, si presentò in aula con un vistoso cerotto sul sopracciglio spaccato, tutta l’aula cominciò a sussurrare eccitata.
Era quello un giochetto di gran moda fra i cadetti dell’Accademia, proibitissimo, e per questo ancora più popolare. I contendenti si sfidavano ad un duello la cui regola principale era quella di combattere senza muoversi di un passo, cosa che facilmente lasciava delle visibili conseguenze. Una bravata, un modo per dimostrare di non aver paura di nulla, e chi sfoggiava qualche cicatrice era trattato alla stregua di un eroe. Manfred infatti fu accolto con grandi pacche sulle spalle e manifestazioni di ammirazione.
Ad Heinrich parve il momento propizio per avvicinarsi ad Harlock con un largo sorriso. ‒ Che ne diresti se anche noi, stasera, ci facessimo insieme una passeggiatina qui fuori? Dovrebbero vedersi tutti e due i satelliti di Marte…
‒ Io non combatto per divertimento* – rispose Harlock lapidario voltandogli le spalle.
Il sorriso di Heirich si trasformò in una smorfia di disprezzo: ‒ Ma certo! Le passeggiate notturne non sono adatte per i codardi!
I suoi compagni risero, ma Harlock non si voltò nemmeno, continuando dritto per la sua strada.
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Note:
*battuta presa dalla serie SSX