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Autore: quindici    01/07/2014    3 recensioni
Un frammento della vita di un povero bambino argentino: Alejandro.
« Alejandro, anche se abituato a quelle maestose presenze, non poteva evitare, di tanto in tanto, di lanciare occhiate cariche di ammirazione e desiderio a quelle enormi creature che sembravano toccare il cielo. Non era un caso che nei suoi sogni più ricorrenti il bambino si trasformasse in un gigante talmente alto da poter accarezzare le nuvole come fossero docili pecorelle. »
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alejandro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Pez Globo

Alejandro camminava svelto per le vie senza nome della baraccopoli. La velocità e la furtività erano le basi del suo lavoro. Il fratello gli aveva detto che era per questo che assumevano bambini gracili come lui. Alejandro non sopportava le critiche e le derisioni di José. Era il piccolo Al a portare a casa il cibo, era merito di quel fragile corpicino se José era tanto grande e grosso. Lui non lavorava, si limitava a mangiare, dormire e occupare spazio con quel suo corpo enorme nella umile baracca che era la loro casa.
Uscì dallo squallido quartiere in tutta fretta, controllando che nessuno del cartello rivale fosse in giro. Non avrebbero esitato a sparare a un ragazzino che portava con sé un sacchetto sospetto. Un delitto del genere sarebbe passato inosservato come polvere sotto un tappeto, lì nelle zone più povere della capitale argentina. D’istinto Alejandro si passò la mano sul braccio, avvertendo un rilievo sulla pelle scura. La cicatrice percorreva l’intera lunghezza dell’arto: il fatto che potesse ancora muoverlo era da considerarsi un miracolo.
I grattacieli svettavano a pochi passi dalla baraccopoli, nell’ideale diversità che divideva lo stesso popolo. Alejandro, anche se abituato a quelle maestose presenze, non poteva evitare, di tanto in tanto, di lanciare occhiate cariche di ammirazione e desiderio a quelle enormi creature che sembravano toccare il cielo. Non era un caso che nei suoi sogni più ricorrenti il bambino si trasformasse in un gigante talmente alto da poter accarezzare le nuvole come fossero docili pecorelle. »
Attraversò la città vigile, non facendosi distrarre dal trambusto dei mezzi, dalla calca delle persone o dalla calura estiva. Sapeva come muoversi senza dare nell’occhio, lo aveva imparato a sue spese. Tagliò in un stradina putrida di rifiuti, assaporando una realtà molto simile al suo quotidiano.
La via era deserta, solo un cane spelacchiato intento a frugare nell’immondizia gli faceva compagnia. Nonostante ciò procedette cauto e silenzioso, timoroso che anche i muri avessero orecchie.
Non si agitò nemmeno quando un paio di braccia lo avvolsero, stringendolo in una morsa da cui non poteva scappare. La paura lo pervase, il cuore accelerò e strinse la manine ossute sulle sua merce. Ma non reagì, a giudicare dalla sua presa quell’uomo avrebbe potuto metterlo metterlo a terra con un pugno.
« Vamos a ver que tiene este chico » Un alito odorante di fogna e alcool investì Alejandro. L’uomo si trovava dietro di lui e quindi non riusciva ad vederne il volto. L’aggressore sfilò il sacchetto dalle mani del bambino con estrema facilità e con altrettanta destrezza ne prese il contenuto, mantenendo salda la stretta su Alejandro con l’altro braccio. Osservò il sacchettino di polvere bianca con attenzione. Alejandro rimase immobile. Non sapeva con chi avesse a che fare e questo lo bloccava: se l’uomo fosse stato un rappresentante del cartel avrebbe potuto dargli la caccia se avesse tentato la fuga. Attese quindi una reazione da parte dell’uomo, che sembrava valutare la qualità della polvere.
« Mierda. » decretò infine, rimettendo la scadente merce nel sacchetto. Poi con uno strattone voltò il bambino, in modo che si vedessero faccia a faccia. Era un viso brutto, sporco e deformato da una cicatrice che lo attraversava diagonalmente. Una faccia come tante altre agli occhi di Alejandro.
« Pero tú no lo eres. » gli disse l’uomo, aggravando la sua bruttezza con un sorriso sdentato.
Si alzò, lasciando la presa sul ragazzino e voltandogli le spalle. Alejandro attese qualche secondo prima di avviarsi velocemente nella direzione contraria all’uomo. Ormai erano lontani quando sentì le ultime parole che l’uomo gli avrebbe rivolto.
« * Y recuerda una cosa chico: un tiburón puede matar a todos los peces, pero grande como es va a terminar seguro en la red. Un pez globo, sin embargo, siempre gana.»
Era sempre stato convinto che la sua gracile corporatura lo avrebbe costretto a una vita di insuccessi. Ma ci volle un estraneo per fargli comprendere che lui era un pesce palla: docile e piccolo per passare inosservato e aggressivo e grosso per difendersi dai predatori.
Si rituffò nella via principale, nel mare di gente che comprendeva squali e sardine.
" Sarò io a vincere. "



* E ricorda una cosa ragazzo: uno squalo può ammazzare tutti i pesci, ma grande com'è finirà sicuramente in una rete. Un pesce palla, invece, vince sempre.
  
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