Dorian Gray
A Near le feste non
piacevano.
Anzi, a dirla tutta le
odiava.
Odiava avere tutti
festanti attorno, odiava avere il pubblico mentre scartava i regali, gli “ohhh”
“ahhh” “bello, vero?”. Piuttosto avrebbe rinunciato ai doni, pur di non essere
circondato da scimmie sorridenti, sentendosi a disagio poiché moralmente
costretto a sorridere per dimostrare gratitudine. Lui non sorrideva mai, ma ciò non significava che fosse
sempre triste o che, appunto, un eventuale regalo gli fosse sgradito.
Insomma, non sapeva mai
come comportarsi.
Il compleanno più bello era
stato quello dei suoi dieci anni: l’aveva passato a letto, fingendosi ammalato,
e tutti quelli che si interessavano a lui, ossia le maestre, Linda e Roger, gli
avevano portato un regalo, entrando in punta di piedi per non disturbarlo e
salutandolo con una carezza in fronte.
Geniale ma, purtroppo, non
attuabile una seconda volta.
Almeno, non di seguito,
ecco, dato che compiva gli anni a fine agosto e prendersi un raffreddore estivo
era piuttosto inusuale, nonostante le estati inglesi fossero un bel po’
piovose.
Era appunto la radiosa
mattina del 24, e Near stava seduto sul suo letto meditando un modo per evitare
di essere coinvolto in assurde festicciole con tanto di bambini urlanti e
maestre sdilinquite che tentano di tirargli le guance.
Erano quelli i momenti in
cui malediva il suo aspetto così tenero e infantile.
Diamine, c’era un modo per
sfuggire a tutto questo?
Beh, forse c’era: poteva
girare per l’orfanotrofio furtivamente e andare a celarsi in luoghi dove Linda
e i suoi scagnozzi non l’avrebbero mai trovato.
Bene.
Guardò l’orario: erano le
sei del mattino.
A quell’ora tutti i
bambini erano a letto, le maestre, ancora col pigiama, si lavavano e si
vestivano, mentre Roger, secondo i suoi calcoli, stava bevendo il caffè nel suo
ufficio.
Sarebbe bastato evitare i
corridoi degli insegnanti e avrebbe avuto in mano la chiave.
Velocemente si lavò e si
vestì, poi, furtivo, uscì dalla propria stanza, cercando di mimetizzarsi con l’ambiente
circostante.
In pochi secondi si trovò
in biblioteca. Aveva esattamente sette minuti per scegliere qualche libro con
cui passare il tempo, prima che la stanza fosse invasa dalle maestre.
Scelse Il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, una
lettura piuttosto impegnativa, per tenerlo con la mente occupata.
Uscì velocemente in
giardino, recandosi nell’appartato spazio fra la struttura del collegio e
quella della palestra. Nessuno andava mai lì, era un luogo che faceva paura,
anche se Near non capiva come potessero spaventare un paio di alberi e un sasso
piuttosto comodo.
“Near, tu forse non lo
sai, ma si dice che su quel salice si sia impiccato un orfano di questo
istituto, alcuni anni fa, perché non voleva vivere senza la mamma e il papà. E
il suo fantasma gira sempre da quelle parti, piangendo, cercando i suoi
genitori” gli aveva detto una volta Mello, con scherno.
Fantasmi!
Che sciocchezze, e si
aspettava anche che ci credesse! A suo parere, invece, tutti i bambini erano
atterriti dalla somiglianza del tronco di quell’albero con la faccia del
diavolo.
Near, alzando un
sopracciglio scettico, il libro sotto il braccio, sedeva sul sasso, e guardava
l’albero.
Solo qualche ruga di
corteccia! Come potevano avere sul serio paura?
Sbuffò e si mise a
leggere, dimenticando sé stesso, il suo compleanno, Linda e tutto il resto.
Fu catapultato nel mondo
del bellissimo Dorian Gray,
che posava per il suo amico Basil, intento a fargli
il famoso ritratto. Gli parve quasi di vederlo, coi suoi capelli biondi, la sua
bocca rossa, la sua pelle d’avorio, l’aria regale, fiera e stranamente
familiare.
“Il corpo pecca, ma una volta che ha peccato ha superato la sua colpa
perché l'azione è una forma di purificazione: nulla più rimane se non il
ricordo di un piacere o la voluttà di un rimpianto. L'unico modo per liberarsi
di una tentazione è di abbandonarvisi: resistete, e
la vostra anima si ammalerà di nostalgia per le cose che si è vietata, di
desiderio per ciò che le sue mostruose leggi hanno reso mostruoso e fuori legge”
I suoi occhi sostarono un
bel po’ su queste frasi, coltellate dritte al cuore, così semplici, così vere, così pregne di significato come
mai erano state le proprie.
Aveva ragione, per tutta
la mattina nessuno passò.
Fu risvegliato dai crampi
della fame.
Non sentiva voci da
nessuna parte, tutti dovevano essere a mensa, allora si arrischiò ad uscire dal
suo nascondiglio per recarsi dentro l’orfanotrofio.
Sempre con circospezione
arrivò alle macchinette del cibo, inserì le monete e cominciò a mangiare le
merendine. Non il massimo del sano, ma per una volta si poteva fare… dopotutto
era questione di vita o di morte.
- Ah-ha!
Proprio te cercavo!
Si voltò di scatto,
riconoscendo subito quella voce.
Mello lo guardava,
sorridendo maligno, già sul punto di fargliene una delle sue.
- Per favore, Mello- sussurrò Near, portandosi un dito alle labbra, il
gesto per avvertire di fare silenzio.
Il biondino parve stupito,
e per qualche millesimo di secondo nella mente del più giovane riapparve Dorian e la sua sconfinata bellezza. Si riscosse.
- Perché?- domandò Mello –
temi forse che qualcuno becchi il perfetto Near a rimpinzarsi di schifezze come
una stupida adolescente?
Evidentemente l’altro non
ricordava che era il suo compleanno. Meglio così.
Rimasero a fissarsi
qualche secondo, Near era immobile, non sapeva come giustificarsi e invogliare
l’altro a tenere nascosta la sua presenza, quando il biondo rinunciò a
provocarlo.
- Volevo solo tornare
nella mia stanza, mostriciattolo.
Era vero, le macchinette
erano in effetti proprio davanti alla stanza del ragazzo!
Near stava per girarsi,
sollevato per il pericolo scampato, quando:
- Hey, per caso hai visto
Near?
La voce di Linda. Quella
fastidiosa ragazza lo stava ancora cercando!
Prese Mello per il polso e
s’imbucò nella sua stanza assieme a lui, chiudendo poi la porta di scatto.
Aveva reagito d’impulso,
ma aveva fatto bene: Linda non apprezzava Mello, e di certo non sarebbe andata
a cercarlo proprio da lui.
Il biondo, ripresosi dalla
sorpresa, gli rivolse uno sguardo ironico.
- Ti cerca la tua ragazza,
Near.
- Non è la mia ragazza.
Near si sedette sulla
moquette, sentendo la mancanza dei suoi giocattoli. Il libro di Oscar Wilde
giaceva accanto a lui.
- Perché Near evita la sua
ragazza?- lo prese in giro l’altro.
- Linda è fastidiosa.-
rispose asciutto.
- Forse avresti fatto
meglio a seguirla, piuttosto che imbucarti nella tana del lupo.
Near guardò Mello
scettico.
- Non credo che tu sia
così pericoloso.
Questo bastò per far
uscire il biondo dai gangheri: Near venne preso per la camicia e alzato quasi
di peso.
- Questo lo credi tu,
mostriciattolo. Hai idea del casino in cui ti sei messo?
No, Near non lo sapeva.
E questo silenzio calmò
Mello, che lo lasciò andare sbuffando.
- Vedi cosa mi fai fare? Mi
fai arrabbiare, mi fai perdere la ragione. Vattene.
Near stette fermo dov’era.
- Vattene, ho detto.
- Posso rimanere qui?
Silenzio.
- Che cosa?!
Forse il biondo non aveva
sentito bene.
- Per favore, Mello. Posso
rimanere in camera tua?
Lo disse con quel tono,
supplicante, e quegli occhi luminosi. Un dito si era infantilmente posato sul
labbro inferiore. Cioè, non solo infantilmente.
- E io che cosa ci
guadagno?
- Se sono in camera tua
non studio, e domani c’è un compito importante.
In effetti, sarebbe stato
un bel vantaggio.
- Okay, Near- acconsentì Mello.
Near, sdraiato a terra,
leggeva, mentre Mello era alla scrivania, chino sui libri.
La stanza era buia, con le
persiane chiuse. Near lo sapeva, il biondo amava gli ambienti bui e le
atmosfere dark, non a caso si vestiva sempre di nero.
E in effetti aleggiava
attorno a loro una certa elettricità. Unica fonte di luce, la lampada da
scrivania, puntata sui libri. Il più piccolo si arrangiava a raccattare i
rimanenti pallidi fasci di luce.
Era a pancia in giù,
rivolto anche lui verso la scrivania, il corpo seduto di Mello, o per meglio
dire le sue gambe, a pochi centimetri.
“La bellezza è superiore al genio in quanto non ha
bisogno di spiegazioni.”
Anche la bellezza di Mello
era superiore al suo genio.
Lo guardava da sotto in
su, con curiosità.
La pallida luce della
lampada gli donava un colorito più dorato, le labbra, da rosse, erano diventate
bronzee, i suoi capelli oro liquido.
Pensò che gli sarebbe
piaciuto dipingerlo. Il suo genio gli permetteva calcoli, conclusioni,
soluzioni a cui nessun altro aveva accesso. Ma la sua bellezza si poteva
immortalare forse nelle sue equazioni? Cosa poteva fare il suo genio per la sua
bellezza?
- Cazzo guardi?
Passarono tutto il
pomeriggio e tutta la sera così.
Uno a studiare, l’altro a
leggere e a riflettere.
Poi Mello, senza dire
nulla, si era alzato ed era andato a cena, lasciandolo lì.
Era inutile sperare che lui
gli portasse qualcosa da mangiare, così Near era uscito, tentando di nuovo la
sorte, ed aveva comprato un’altra merendina.
Si sarebbe rovinato lo
stomaco, di questo passo.
Rientrò in camera di Mello
e tornò a leggere, finché non si addormentò.
Il biondo non era ancora
tornato, ma non era una sorpresa: di sicuro stava giocando con i suoi amici,
oppure facendo scherzi a qualcuno.
Passò qualche ora, quando
fu svegliato dalla porta che si apriva e da una mano violenta che lo faceva
alzare.
- Stronzetto, sai che ore
sono?
- Uh?- fu l’assonnata
risposta.
- È l’una, e tu te ne devi
andare!
Ancora intontito si lasciò
trascinare da Mello fino alla propria stanza.
Fortunatamente non c’era
nessuno in giro.
Near stava aprendo la
porta, quando l’altro lo fermò, spingendolo contro il muro.
- Mello, ma cosa…?
La voce gli si spezzò di
colpo.
Il suo Dorian
personale lo fissava negli occhi.
Il corridoio era buio e
deserto, così silenzioso che si sentivano solo i loro respiri.
Era troppo vicino.
- Mello, smettila, non so
cosa tu voglia fare ma…
Guardò le sue labbra
rosse.
[“Il corpo pecca, ma una volta che ha peccato ha
superato la sua colpa”]
Un richiamo su di lui, il
suo respiro sul proprio viso, e quegli occhi azzurri così dannatamente vividi…
no, erano due maschi, non poteva
[“l'azione è una forma di purificazione”]
cedere, no. Chiuse gli
occhi e si
[“L'unico modo per liberarsi di una tentazione è di
abbandonarvisi”]
abbandonò a quello che
stava succedendo.
Le sue labbra umide e
delicate sulle proprie, la sua bocca che sapeva di cioccolato, il suo calore,
la sua pelle, il suo Dorian, il suo Mello, quei
capelli biondi fra le proprie dita…
E poi una voce al suo
orecchio:
- Tanti auguri, cretino.
No, forse non era stato il
decimo, il suo miglior compleanno.
Ma, a partire dal
dodicesimo, tutti quelli che seguirono.
I suoi regali di più
belli, i baci che riceveva da Mello.
Solo una volta all’anno.
Baci ogni anno più lunghi,
più sporchi.
Ogni 24 agosto.
Era forse quello, l’amore?
La passione di una vita?
Sperava proprio di no.
“La sola differenza fra un capriccio e la passione
di una vita è che il capriccio dura un po' più a lungo.”