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Autore: mikchan    03/07/2014    1 recensioni
VINCITRICE DEL PREMIO PARTNER AL CONTEST "DOVE MI INNAMORAI"
Gianluca e Marta sono amici da una vita: conoscono pregi e difetti dell'altro, si sopportano e si vogliono un gran bene. Ma ovviamente le cose belle non durano mai in eterno: possono trasformarsi in qualcosa di terribile oppure in qualcosa di altrettanto meraviglioso. Sta a Gianluca decidere quale delle due strade prendere quando si rende conto che Marta, forse, da sempre occupa un posto speciale nel suo cuore.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Nome su EFP e forum: mikchan
Titolo: Cliché: are you really in love with me?
Raiting: giallo
Genere: Romantico; Slice of life
Note: Missing moments
Prompt: discoteca
Pacchetto: Chips

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"Ehi, Gian. Sta suonando il tuo cellulare".
"Rispondi tu".
"Ma è il tuo cellulare!".
Alzai gli occhi al cielo, sbuffando. "Non ti sei mai fatta problemi, mamma".
"Vieni a rispondere", urlò invece lei dall'altra stanza.
"Non posso, sono impegnato", ribattei, tornando a concentrarmi su quello che stavo facendo. Mi mancava poco per raggiungere il mio obiettivo e poi avrei potuto consegnare il rapporto del mio lavoro.
Proprio quando stavo per concludere, sentii dei passi avvicinarsi alla porta della mia camera, che si aprì poco dopo, seguita dalla figura snella di mia madre, che brandiva il mio cellulare con uno sguardo minaccioso.
"Vorrei farti notare che i videogiochi non sono esattamente qualcosa di importante", esclamò lanciando il telefono sulla scrivania e incrociando le braccia al petto.
"Mmh, mmh", mugugnai, troppo concentrato sullo schermo per ascoltarla veramente.
"Gianluca!", esclamò di nuovo. Di fronte al mio mutismo sbuffò e, con la coda dell'occhio, la vidi avvicinarsi alla presa della corrente. In pochi secondi successero un'infinità di cose: staccai gli occhi dal gioco e provai a gridarle di stare ferma, mentre lei si abbassava, staccava la spina e lo schermo si colorava di nero.
"Non avevo salvato!", urlai, mettendomi le mani tra i capelli.
"Non m'importa", disse lei, guardandomi vittoriosa. "Sono stufa di vederti sempre qui dentro davanti a quello stupido affare. Questa camera puzza di morto", aggiunse poi.
"Nessuno ti dice di entrare", ribattei, alzandomi dalla sedia solo per andarmi a sdraiare sul letto.
Mia madre si avvicinò alle finestre e le aprì, facendo entrare la luce. "Lavati e cambiati. Marta ha detto che passa per le otto".
"C'è tempo", borbottai, afferrando il telefono e controllando che la chiamata fosse veramente di Marta, la mia migliore amica.
"Sono le sette e venti", precisò mia madre, guardandomi con un sopracciglio alzato.
"E quindi?".
"E quindi alzati da quel letto, pigro di un figlio, se non vuoi che ti prenda a calci", esclamò.
Sbuffai, lanciando il cellulare sul cuscino e accontentandola.
"Non esco da qui fino a quando non vai a farti una doccia", mi avvisò, lanciandomi uno sguardo di sfida.
"Quanto rompi", sbottai, trascinandomi verso l'armadio e pescando a caso un paio di pantaloni e una maglietta di una band.
"Rimetti dentro quella roba. Stasera voglio vederti vestito come si deve!".
Alzai gli occhi al cielo. "Mà, non ho più dieci anni", mi lamentai, cercando però tra il mucchio una camicia pulita.
"Peccato che ti comporti ancora da bambino", ribatté lei. "Se non ti dicessi io cosa fare, probabilmente saresti già morto soffocato dalla tua stessa barba".
Le feci il verso, proprio come un bambino, e mi diressi verso il bagno, sempre con lei alle calcagne. "Hai intenzione di seguirmi pure dentro?", sbottai.
Lei sorrise. "No, ma se esci più conciato di prima stai certo che sarò io a trascinarti sotto la doccia. Proprio come quando avevi dieci anni", mi sfidò.
La ignorai e mi chiusi la porta alle spalle, sbuffando. Detestavo mia madre quando si impicciava in quel modo della mia vita, soprattutto quando interrompeva le mie sessioni di gioco. Avevo iniziato quella mattina quella nuova partita e avrei dovuto iniziarla di nuovo solo perché lei aveva spento tutto senza prima farmi salvare. Certo, dovevo ammettere che a volte esageravo, ma non ero un bambino e sapevo sopravvivere senza il suo fiato sul collo. Odiavo, poi, quando entrava in combutta con quella traditrice di Marta. La conoscevo da quando eravamo bambini e, proprio la sera prima, le avevo detto che quel giorno sarei stato impegnato e di non chiamarmi. Ovviamente lei non mi aveva nemmeno ascoltato e aveva fatto comunella con mia madre, alla quale, nonostante tutto, non sapevo dire di no. Per quello mi ritrovavo a prepararmi per uscire invece che starmene in casa, chiuso nella mia camera, a finire il livello di quel maledetto gioco.
Mi lavai in fretta, temendo che mia madre potesse entrare da un momento all'altro e, per evitare di sentirla di nuovo starnazzare, mi feci anche la barba, cosa che accadeva decisamente raramente. Indossai poi i jeans e la camicia bianca, pensando che non mi sarei di certo cambiato di nuovo. Mi guardai allo specchio e sorrisi, soddisfatto. Erano giorni che non mi vedevo così in ordine, se si escludevano i capelli ormai decisamente lunghi, ma che non avevo mai voglia di andare a tagliare.
Uscii dal bagno e proprio in quel momento suonò il campanello.
"Vado io", urlò mia madre e io alzai gli occhi al cielo, andando di nuovo in camera per prendere il portafoglio, il cellulare e le chiavi della macchina. Dal soggiorno sentii la voce allegra di Marta e, dopo averci pensato un attimo, mi spruzzai un paio di gocce del profumo che mi aveva regalato proprio lei a Natale.
Quando le raggiunsi in cucina, le trovai come ogni volta a chiacchierare come vecchie amiche e sorrisi involontariamente. Amavo il modo in cui Marta trattava mia madre, quasi come se fosse parte della sua famiglia, e sapevo anche che, da qualche anno a quella parte, la mia pazza genitrice sperasse con tutta se stessa di vedermi innamorato di lei. Ogni volta che me lo diceva, storcevo il naso: Marta era la mia migliore amica e le volevo un bene talmente profondo che sporcarlo con l'amore sarebbe stato qualcosa di orribile. Stavo bene con lei, ma non mi era mai passato per la mente di potere essere qualcosa di più, soprattutto dopo che lei, alle medie, aveva rifiutato la mia dichiarazione. Da quel momento mi ero comportato come un fratello maggiore e forse mi ero anche convinto di esserlo, dimenticando che tra noi non c'era nessun legame di sangue.
"Che ci fai li imbambolato?".
La voce di mia madre mi risvegliò dai miei pensieri e scossi la testa, sorridendo. "Sei pronta?", chiesi a Marta, che si alzò dalla sedia, rivelando un vestito mozzafiato, lungo fino a metà coscia e senza spalline, color blu elettrico. "Dov... dove hai intenzione di andare conciata così?", balbettai, cercando di distogliere lo sguardo dal suo corpo e di guardarla negli occhi.
Lei sorrise, malefica. "Andiamo a ballare, stasera".
"Scordatelo, così tu non vai proprio da nessuna parte", ribattei.
Incrociò le braccia al petto. "Non iniziare, Gian. Ora muoviti, mi devi offrire la cena", disse sorridendo e indossando il cappotto che aveva appoggiato sullo schienale della sedia.
"Ehi, aspetta. Cosa... perché?".
Marta rise. "Hai bisogno di un motivo per offrire la cena alla tua migliore amica?".
Sbuffai. "Sei una traditrice", borbottai scuotendo la testa.
Salutai mia madre con un cenno e, indossata la giacca, seguii Marta fuori dalla porta del nostro appartamento e poi giù dalle scale. "Dove dobbiamo andare a cena?", le chiesi mentre raggiungevamo la mia auto, parcheggiata davanti al portone del palazzo.
"Hai presente la pizzeria in centro, quella nuova? Ho prenotato per le otto e mezza, Andrea e Sara ci aspettano lì".
"Andrea e Sara?", ripetei.
"Sì. È un problema?".
"Assolutamente no. È così divertente fare le candeline. Che ne dici di divertirti con me per non essere da meno?", chiesi strizzandole l'occhiolino.
Marta mi fulminò con lo sguardo prima di entrare in macchina. "Non ci provare, Gian. Tieni in tasca quelle tue manacce".
"E come faccio a guidare?", scherzai.
"Prova con la lingua", ribatté scuotendo la testa. "Ora muoviti che siamo in ritardo".
Risi e accesi la macchina. Il viaggio verso la pizzeria fu stranamente lento, un po' perché incontrammo un brutto incidente che ci fece allungare la strada, un po' perché Marta non la smetteva di parlare e io non riuscivo a scollare lo sguardo dalle sue gambe, lasciate scoperte dal vestito. Non sapevo cosa mi stava succedendo: battute come quelle di poco prima erano sempre state all'ordine del giorno nel nostro rapporto, ma non mi ero mai sentito così agitato in sua compagnia. Potevo dare la colpa a qualunque cosa, ma niente sembrava dare una risposta seria. In ogni caso, decisi di accantonare quei problemi: continuare a pensarci avrebbe solo peggiorato la situazione e poi sarebbe stato un casino doverla spiegare proprio a lei.
Arrivammo alla pizzeria con qualche minuto di ritardo e trovammo Andrea e Sara ad aspettarci. Andrea lo conoscevo dal liceo, mentre Sara era una compagna di corsi all'università di Marta e tra i due era schioccata la scintilla la prima volta che si erano visti, qualche mese prima. Esattamente come avevo previsto, quei due non si scollarono nemmeno un attimo per tutta la sera e, alla fine, mi sembrò quasi di essere da solo con Marta, tanto si erano isolati. Non che la cosa mi dispiaceva: se consideravo Marta la mia migliore amica era perché adoravo stare in sua compagnia. Era schietta e sincera, ma ogni volta parlava con quel sorriso e quello sguardo che mi portavano a perdonarle qualunque cosa. Era, inoltre, un'ottima ascoltatrice e, anche se non si intrometteva mai troppo nelle mie questioni private, sapeva darmi i consigli di cui avevo bisogno al momento adatto. Insomma, era una persona davvero stupenda, con i suoi mille difetti, ovviamente, ma le volevo bene anche per quello.
Finita la cena, riuscimmo a riportare Andrea e Sara nel mondo reale e ci dirigemmo verso la discoteca. Non era molto tardi, erano da poco passate le dieci e mezza di sera, ma sperai con tutto me stesso che quella serata finisse in fretta. Non mi piaceva proprio andare a ballare, un po' perché ero una vera frana nel muovermi a tempo di musica, un po' perché non trovavo affatto divertente un posto dove non si riesce nemmeno a parlare con la persona al proprio fianco a causa della musica troppo alta. Peccato che invece Marta lo adorava e spesso mi aveva trascinato con lei, senza riuscire, nemmeno una volta, a farmi divertire.
Come da copione, appena entrammo nel locale, ci dirigemmo verso il bancone del bar e, mentre Sara e Marta scappavano in pista, io e Andrea restammo fermi, entrambi a disagio in quel posto. Parlammo un po', per quello che ci permetteva la musica, dei vecchi tempi, ma anche di quelli nuovi, questo fino a quando Sara non venne a reclamare il fidanzato e mi lasciarono da soli. Mentre bevevo la mia solita birra, lasciai vagare lo sguardo nella sala, alla ricerca di Marta, ma c'erano così tante persone e così poca luce che facevo fatica a riconoscere i colori.
Borbottando qualcosa contro me stesso e contro quelle persone, appoggiai la birra sul bancone e entrai nella mischia alla ricerca della mia amica. Non la vedevo da più di mezz'ora ed ero un po' preoccupato, perché anche Sara l'aveva abbandonata per tornare dal suo ragazzo.
Muovermi in mezzo a tutta quella gente fu più difficile di quanto mi sarei mai aspettato: tutti saltavano e spingevano come se volessero primeggiare e avere il loro posto e nessuno si curava molto di chi aveva intorno. Proprio quando finalmente vidi Marta, in mezzo alla pista, che ballava con alcuni ragazzi, qualcuno mi venne addosso e mi fece andare a sbattere contro una ragazza che cadde a terra. Mi scusai in fretta e l'aiutai ad alzarsi, timoroso di perdere di nuovo Marta, ma non feci in tempo a voltarmi che una mano mi afferrò la spalla e un pugno mi colpì dritto sul naso, facendomi sbilanciare all'indietro.
"Ma sei scemo?", urlai contro il ragazzo che si trovava davanti a me e che mi fissava infuriato. Non era molto alto, ma era decisamente più muscoloso di me, che passavo le mie giornate davanti al computer, e per un attimo mi chiesi cosa cavolo potesse volere da me un tipo simile.
"Cosa credevi di fare con la mia donna?", sbraitò lui, brandendo il pugno davanti al mio volto.
Alzai gli occhi al cielo. Che esagerato, l'avevo semplicemente aiutata ad alzarsi, non era il caso di fare simili scenate per una sciocchezza. Non riuscii a fare nemmeno un passo o a dire una parola che il tipo mi sferrò un altro pugno, colpendomi questa volta sullo zigomo destro. Masticai un insulto, portandomi la mano sul volto e massaggiandomi la parte lesa. Lo guardai di sbieco, sempre più incazzato, e gli tirai anch'io un pugno per rispondere. Da quel momento fu un'accozzaglia di pugni, ceffoni e calci: sentivo la gente intorno a me urlare, ma ero troppo concentrato per dare retta a qualcuno. Ero decisamente in svantaggio, fisicamente parlando, e quel tizio mi stava conciando per le feste, accompagnando ogni colpo con un insulto o una bestemmia. Non so bene come riuscirono a staccarci, ma ad un certo punto mi trovai seduto per terra con Marta al mio fianco, mentre due tizi della sicurezza cercavano di tranquillizzare il pompato, che sembrava in preda a una crisi isterica.
"Stai lontano dalla mia donna", urlò, prima che lo trascinassero via con la forza.
Lo ignorai, cercando di non pensare che la faccia mi faceva un male cane e che probabilmente sarei morto dissanguato. Uno della sicurezza mi raggiunse e, dopo essersi assicurato che, più o meno, ero tutto intero, mi consigliò di andarmene dal locale per evitare altri guai.
Borbottando insulti tra i denti, mi trascinai fuori, seguito da Marta che continuava a chiedermi come stessi. Ero un po' arrabbiato anche con lei, perché era stato a causa sua che mi ero infilato in mezzo a quella gente e avevo trovato quel deficiente pompato, ma mi bastò guardarla negli occhi, ancora pieni di lacrime, per dimenticarmi ogni cosa.
"Sei un cretino", borbottò lei, facendomi sedere per terra. "Aspettami qui", disse poi, tornando di corsa dentro il locale e uscendo qualche minuto dopo con una bottiglietta d'acqua. Senza dire niente, si accucciò al mio fianco e, imbevuto un fazzoletto, iniziò a passarmelo sul volto, cercando di fermare l'emorragia al naso.
La testa mi pulsava e il naso mi doleva, ma non riuscivo a togliermi dalla mente un pensiero fisso. Marta, la mia migliore amica, quella che in quel momento era inginocchiata davanti a me, stretta in un vestitino invisibile, e borbottava insulti mentre mi puliva il sangue dal volto, era sempre stata così bella?
Ero decisamente impazzito, forse avevo preso un colpo in testa, forse semplicemente avevo aperto gli occhi, fatto sta che, lentamente, si stava facendo largo in me la consapevolezza che io, di Marta, ero sempre stato innamorato. Alle medie era stata una cotta, poi si era trasformato in amore fraterno e, chissà quando, era diventato così forte da farmi sentire un ragazzino in piena crisi ormonale al solo tocco della sua mano delicata.
Sì, ero completamente andato.
Ma, in fondo, cosa avevo davvero da perdere? Da mesi non stavo con nessuna, preferendo concentrarmi sull'università e sui miei videogiochi e sapevo che anche lei era single. Per di più, ero appena uscito da una rissa con uno sconosciuto. Insomma, i miei pensieri erano parecchio confusionari, ma finivano tutti nello stesso punto: baciala.
E così mi sporsi in avanti, scostando la sua mano dal mio viso, e facendo incontrare le nostre labbra. Fu un contatto veloce, ad occhi aperti, ma la scarica che mi attraversò la spina dorsale mi fece capire che quella era la strada giusta. Incontrai il suo sguardo confuso, ma, non percependo nulla da parte sua che mi facesse intendere un possibile rifiuto, chiusi gli occhi, deciso ad approfondire quel bacio. Non sapevo cosa sarebbe successo, ma ero pronto a qualunque scenario. Qualunque scenario tranne che sentirla schiudere le labbra e mettermi la mano sul mio collo.
Quello era davvero assurdo. Marta stava ricambiando il mio bacio, quindi, se la logica non mi ingannava, doveva provare qualcosa in più dell'affetto fraterno. Ma non mi aveva mai fatto capire nulla, come d'altronde non avevo fatto io. Entrambi avevamo preferito vivere in una situazione di stallo, timorosi di rompere il meraviglioso rapporto che si era creato negli anni, consapevoli che l'amore, quello vero, avrebbe potuto farci allontanare. Ma non avevamo tenuto conto che, d'altro canto, l'amore avrebbe avuto il potere di unirci ancora di più e, forse, quello era ciò che ci aveva fermato.
Ci baciammo a lungo, seduti sull'asfalto, senza curarci di ciò che stava succedendo intorno a noi. La mia testa era piena di pensieri di ogni tipo, da quelli in cui mi insultavo, a quelli in cui mi chiedevo quando tutto fosse iniziato e perché non me ne fossi accorto. Forse, semplicemente, perché era cominciato davvero tutto quella sera, nell'esatto momento in cui ne avevo preso coscienza.
Quando Marta si staccò lentamente dalle mie labbra provai una strana sensazione, come se all'improvviso mi fosse stato tolto qualcosa di importantissimo, e mi costrinsi ad aprire gli occhi. Lei era ancora lì, con un timido sorriso sulle labbra, e le iridi scure che brillavano come mai le avevo viste.
Non sapevo cosa dire o cosa fare. Adesso cosa sarebbe successo? Questa era la domanda che mi tormentava, alla quale non sapevo dare risposta. Io mi ero reso conto dei miei sentimenti, ma lei?
"Ti... ehm, ti sanguina ancora il naso", mormorò Marta, avvicinando di nuovo il fazzoletto.
Non distolsi il contatto con il suo sguardo, forse alla ricerca di una risposta, forse troppo inebriato dal suo profumo e da quello che era appena successo. Sentivo il cricetino nel mio cervello lavorare come un matto per trovare la soluzione di quell'enigma. Le opzioni erano due: o mi rifiutava, e in tal caso avrei continuato come se poco prima non fosse successo nulla, oppure mi dava una possibilità, e in tal caso mi sarei fiondato senza esitazioni sulle sue labbra. Ma come potevo porle una domanda simile? Oltre che imbarazzante, sarebbe stato impossibile trovare le parole adatte, soprattutto in quel momento. Ma non potevo più aspettare, non con la consapevolezza che ormai avevo tolto la sicura di una granata che stava per scoppiare.
"Marta...", incominciai, cercando di formulare una frase sensata in poco tempo.
"Sì", disse lei, allargando il suo sorriso.
"Sì, cosa?".
"Sì", ripeté. "Dovevo scegliere, no?".
"Ma io...".
"Si sentivano i tuoi ragionamenti fino a qui, Gian", rise. "E la mia risposta è sì".
"È un 'sì, voglio provare ad uscire con te' o un...".
"È un 'sì, voglio provare ad uscire con te', Gian", disse sicura, interrompendomi.
"Ma, quindi, io ti piaccio?", sussurrai imbarazzato, passandomi una mano dietro la nuca, dove ancora sentivo il calore delle sue dita.
Lei mi regalò un sorriso da bambina. "Forse. Diciamo che voglio scoprirlo".
Presi un respiro profondo. "Quindi", ripetei, schiarendomi la voce. "Domani pomeriggio sei libera?".
"Ovviamente. Dove mi porti?", mi chiese curiosa, alzandosi in piedi e tendendomi una mano.
La imitai, incapace di cancellare dalle labbra quel sorriso che era spuntato spontaneo. "Non lo so, ci devo pensare", ammisi.
"Niente fiera dei videogiochi", disse lanciandomi un'occhiataccia.
Ridacchiai, annuendo. "Promesso".
"Ti va un gelato, adesso?", mi chiese, indicando la gelateria che, come ogni anno, stava aperta fino a tardi d'estate.
"Certo", risposi sicuro, seguendola mentre iniziava ad incamminarsi. Mi venne naturale, una volta al suo fianco, allungare la mano e intrecciarla con la sua. Non eravamo ancora niente di ufficiale, ma per me era abbastanza quello che ci eravamo detti poco prima.
Sentii le sue dita stringere la presa e sorrisi.
Mi ero innamorato della mia migliore amica, forse il più triste dei cliché, ma sempre il più sincero. O, almeno, quello era ciò che avevo imparato quella sera, grazie a una scazzottata e a un gelato alla fragola.
Che cosa strana, l'amore. 
  
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