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Autore: Fear    04/07/2014    2 recensioni
[Angst, H/C; death, spoiler! del dodicesimo episodio in poi – Mana!centric, hint!Mana/Shu, implicit!Mana/Inori]
Cit/: Lo spirito non moriva mai, ma soffriva atrocemente, e sanguinava. Così ogni giorno l'alba giungeva, e così ogni volta la notte l'avrebbe succeduta, con l'oro negli occhi. Per questo quelli di Mana stridevano di alizarina, così come la sua bocca, che gocciolava storie da raccontare e segreti da rivelare alle farfalle, che un tempo erano apparse in mezzo ai viburni del viale, attorniate da aure inferme. Ma nell'algido vento di inizio Febbraio, quegli erranti colori non esistevano; tali anime senza peccato – fragili ed indifese, non avrebbero mai goduto un velo d'immortalità eterno. Qualcuno accanto, eppure siamo tutti soli; premendo con le dita sulla lunga gonna indossata, desiderò vestire il suo corpo di farfalle e profumare di primavera. [...]
• {scritta perché Mana aveva tutto, ed adesso non ha niente}
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Shoujo-ai | Personaggi: Mana Ouma
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incest
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Cantò solo per quell'estate
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Fase I: Contatto






 
Seduta sulla scomoda sedia cigolante della sala d'attesa di quel posto, Mana guardava attentamente l'immensa parete davanti a lei: era arrivata a milleduecentocinquantatré piastrelle colorate, e non riusciva ad andare avanti. Incominciò a contarle due ore prima, quando alle prime luci dell'alba un raggio di un sole pallido e cereo fece capolino dal vetro della piccola finestra alla fine del corridoio; era sufficiente per vedere le figure astratte davanti al suo corpo, carico di entusiasmo ed interesse. Non lo aveva mai detto a mamma e papà, ma anche lei era impaziente, ed anche se lo nascondeva dietro un sorriso da giovane donna, era da nove mesi che stava aspettando con un nodo alle tonsille.
La porta alla sua destra si chiudeva e si apriva di continuo, liberando nell'aria una strana essenza di innocenza e dolore; Kurosu s'intravedeva nella stanza, certe volte camminando verso il dottore con le mani tra i capelli, e certe volte con quelle stesse dita intrecciate dolcemente ai palmi di Saeko – che anche se non si vedevano, erano lì, tremanti e caldi, avvolti da una piacevole sofferenza. Mana sapeva benissimo che papà era un tipo ansioso; mamma era sbadata, ma sapeva che ce l'avrebbe fatta, con la stessa forza che sfumava ogni sua giornata con la figlia e il marito, ammorbidendo i problemi ed i contorni delle ombre di cui Mana aveva sempre avuto paura.
Milleduecentocinquantaquattro, Mana puntò con il ditino verso la piastrella azzurra, milleduecentocinquantacinque, quella rosa era la più bella di tutte quelle che aveva contato fino adesso: ormai quasi completamente illuminata dalla luce solare, risplendeva con quel colore così naturale, del corpo e dell'umanità. E mentre si stava per alzare, diretta verso il bagno – non perché ci dovesse andare, ma per ingannare il tempo e riflettere il suo candido viso nello specchio offuscato sopra il terzo lavandino dalla sinistra, quello a cui mancava l'angolo in alto, caduto dietro il rubinetto in acciaio –, Kurosu uscì dalla stanza destinata ad ospitare una nuova vita proprio quel giorno. Mana si girò di scatto, non mosse le labbra, trattenendo il fiato per paura di disturbare la quiete dell'ospedale in una mattina afosa; osservò per qualche secondo l'alta figura dell'uomo guardare il pavimento.
«Shu, proprio come desideravo io, come desideravi te, Mana». I quarzi liquidi delle espressive iridi di Mana fecero scivolare un velo di acqua salata che raggiunse le sue labbra in un movimento deciso e singolare, mentre le sue esili gambe si mossero velocemente verso Kurosu, che condivideva le lacrime della figlia, stringendola tra le sue braccia e sfiorandole i profumati capelli color pesca, del colore del tramonto che gli ricordava i paesi caldi e le foreste pluviali della Colombia, dove vi comprò il fermaglio che Mana non aveva mai tolto da quel giorno impreciso di un anno prima, uno di quei pochi regali fatti alla figlia – che si sarebbero senza dubbio potuti contare sulle dita delle mani. L'eucharis era l'unico fiore che gli ricordava la giovane primogenita dalle folte ciglia nere, le labbra rosee e delle piccole orecchie nascoste dai lunghi capelli: i suoi bulbi erano semplici e bianchi, ma allo stesso tempo recisi e forti, un fiore che donava ancora a distanza di un anno, freschezza assoluta e che coinvolgeva Mana in una danza di piroette sulle punte dei piedi. Nasceva all'inizio della stagione invernale, nascosto dai pizzi che la neve creava quando il terreno era ancora friabile al tocco, che riusciva a sopravvivere a lunghi periodi di siccità con quella sua corona dorata al centro dei petali color del sale – dello zucchero, di Mana. Nonostante lei avesse sempre preferito il rosa, esattamente come sua madre, perché ricordava loro un'infanzia colma d'amore ed abbracci.
Kurosu tenne stretta Mana, piangendo non solo per la felicità d'avere un nuovo dono nella famiglia, ma per tutto ciò che lo rese l'uomo più appagato del mondo in soli pochi anni: i migliori della sua vita, in cui aveva conosciuto Saeko, quella ragazza distratta, con un constante raffreddore e il naso rosso perennemente celato tra le pagine di un libro di medicina. Aveva provato a cambiare da allora, Saeko, anche Mana lo sapeva, ma tutto ciò che era riuscita a mutare dagli anni dell'adolescenza era stato il taglio di capelli. Rise, Kurosu rise tutte le volte che lo ricordava a Mana, e anche lei sorrideva – segretamente grata che la mamma non fosse cambiata, che non fosse stata capace di trasformare quello che era originariamente: una madre sognatrice ed occupata, ma presente, presente per un bacio scoccato sulla fronte prima di andare a dormire o per un aiuto alla figlia, insegnandole i numeri e le lettere, istruendo e seguendo la sua bambina in tutti i passi che compieva giorno per giorno.
Dei passi frettolosi si trasformarono in una breve corsa quando il dottore scorse padre e figlia, giungendo con il respiro affannato e con il sudore che gli rigava la fronte e le tempie, nonostante la stanza da dov'era giunto fosse a pochi metri. Mana alzò il volto per prima, la piccola bocca aperta e lo sguardo leggermente confuso, mentre con le braccia stringeva ancora la camicia blu di Kurosu. Il dottore abbassò il viso, stringendo le mani in due pugni, così tanto da ferirsi le nocche, diventate da bianche a rosse in due battiti persi dal cuore di Mana, ora intimorita dall'evidente tremore dell'uomo.
«Papà, che cosa sta succedendo?», con il suo piccolo palmo della mano tirò leggermente il tessuto della camicia di Kurosu, concentrato, ma allo stesso tempo disperso attraverso le fini lenti dei suoi occhiali, sul dottore, pensando di aver cancellato quella possibilità, quell'unica e maledetta possibilità di un peggioramento improvviso. Non poteva essere vero, anche lui era un medico, anche lui l'avrebbe potuto prevenire, l'avrebbe potuto quantomeno sapere; non capiva niente, non capiva.
«Signor Ouma, mi perdoni, la prego, non sappiamo come sia successo, no-», il dottore cadde sulle ginocchia, nascondendo il volto tra le mani, singhiozzando mortificato ed inconsapevole. «Quando il bambino è nato... non abbiamo riscontrato nulla di... anomalo. È successo tutto nei minuti in cui ha lasciato la sala parto...», Mana aveva ancora la mano serrata sulla camicia, osservando l'uomo dall'alto, senza che una lacrima le bagnasse le guance. «Ha iniziato a tossire violentemente, c'era del sangue... la paziente non è più riuscita a respirare, come se avesse ingerito delle sostanze, ma non c'era nulla, assolutamente nulla! In pochi secondi il petto smise di muoversi. Non abbiamo saputo salvarla, è tutta colpa mia», con un gesto fugace ed inaspettato, Kurosu sembrò quasi cadere, andando a sbattere e trovare nello stesso tempo supporto nel mosaico a parete, quello con le piastrelle colorate che a Mana piaceva tanto ammirare.
«Quella paziente era Saeko. Quella paziente era una parte di me. Quella paziente era mia moglie!» urlò Kurosu, e questa volta Mana poté chiaramente vedere la crepa negli occhi del padre; nei suoi... sentiva solamente il vuoto. Ed era proprio quel vuoto che le abbagliò la vista, vedendo un bianco accecante, un manto di capelli autunnali, della terra, e quel sorriso che mostrava i denti perfetti di Saeko. Si portò le mani alle labbra, incapace di vedere, incapace di muoversi o semplicemente di sentire il suo respiro dissonante rispetto a tutto intorno a lei. Gridò, gridò tutte quelle impressioni ricevute e trasformate in coscienza, gridò il suo corpo e la sua anima, la crudeltà umana di quel colore che tanto amava e i ricordi migliori, in modo che non lo avrebbe più rifatto, in modo da crescere velocemente e superare il dolore che solamente un urlo infinito può sminuire, subito succeduto da quella stessa calma, dallo stesso silenzio – da quella piccola perdita del ritmo, quella falsa illusione, quell'incondizionato e assoluto deterioramento di sé stessa.











Ma era ovvio che l'avrei fatto, come non potevo? Come? Mana è... è il mio tesoro più grande. E dopo aver visto e rivisto l'anime, raccogliendo ulteriori informazioni; utili e necessarie (modificate leggermente a modo mio, ma che non tramuteranno il vero corso della storia), sono giunta a proporvi questa raccolta di massimo otto one-shot/capitoli; quindi abbastanza corta per essere considerata una vera e propria long fiction. In questa storia vorrei approfondire di più la storia dell'infanzia di Mana, quell'immagine della sorella maggiore perfetta trasformata in un mostro che non è, che non sarà mai. Mana sarebbe l'antagonista della storia, della situazione, quando invece è questa dolce bambina dai lunghi capelli color pesca che non ha fatto altro che amare il fratello e la famiglia. Il virus l'ha cambiata drasticamente, ma proprio per questo lei non è malvagia; è stata solo una vittima. Non posso assolutamente pensare a lei come deceduta, ma come testimone dell'avere una seconda possibilità, e spero che l'avrà... lo spero con tutto il cuore. Questa non è una one-shot, cari miei, del fandom Guilty Crown (cioè, sono riuscita finalmente a farlo nascere ), questa è una long-fiction aka raccolta di one-shots che racconterà del passato di Mana. Perché io non mi accontento di dieci minuti di un episodio per immaginarmi il passato del mio personaggio preferito del mio anime preferito. Con questo primo capitolo: infettata, vi aspetto con il prossimo – le altre fasi di un'infezione fatale quale è l'Apocalypse Virus – che non so quando pubblicherò (ma del quale sono comunque mooolto eccitata di scrivere). Spero che ci sia qualche buon'anima su questo bellissimo fandom appena nato. Miku.
   
 
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