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Autore: Kiki Daikiri    25/08/2008    7 recensioni
Qualcuno diventa cieco, qualcuno desidera di tornare a vedere... ma qualcuno, qualcuno è sempre stato cieco. Sempre.
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Primo capitolo di questa nuova fanfiction.
Nuova si fa per dire, più o meno è stata iniziata a marzo 2007 e poi abbandonata.
Decido di riesumarla perchè credo che ora come mai prima mi sembra di intravedere qualcosa di reale in ciò che immaginavo un tempo.
Attendo critiche e commenti, con la speranza che possa interessarvi una storia un po' particolare come questa.
Il primo capitolo è solo puramente introduttivo, senza particolari profondità o introspettiva.



Capitolo 1
 Bill Kaulitz
 
 
«Bill… sono le due cazzo!… aspettiamo te per mangiare.»
Mmm
«Vengo dopo…»
«Bill Kaulitz! Muovi il culo e vieni qua!»
Con fatica, costringo le mie stanche membra a uscire dalle coperte calde, mugugnando di sconforto a ogni passo sul pavimento gelato.
Come fa la moquette di un tour bus a essere fredda?!? Farò rapporto al fornitore…
Maledico la mobilia che prendo dentro ad ogni movimento, seppur impercettibile, e mi lascio cadere di peso al lato destro del tavolino.
«Ma che schifo… almeno potevi metterti i pantaloni! Bleah!»
Lo sguardo mi cade sulle gambe nude e i boxer neri aderenti, quelli con il mio nome scritto sull’elastico, unico indumento che indosso.
Per me Georg esagera... non sono mica tanto male in boxer!
Una ragazza nuova dello staff ci porta degli spaghetti, con mio sommo dispiacere…
«E la colazione?»
«Guarda Bill che sono le due del pomeriggio… passi direttamente al pranzo.»
Guardo Tom come se fosse l’ultimo imbecille del pianeta.
«Si ma la colazione è il pasto più importante della giornata! Non si potrebbe avere latte e cereali prima della pasta?»
Dagli sguardi disgustati comprendo che la risposta è un secco no, così mi alzo, solitario, e mi rifiondo a letto, con una scatola di cereali e il cartone del latte in mano.
E la colazione la faccio così, bevendo dalla confezione e guardando il telegiornale delle due, solo.
 

 
«Senti qua che roba!: “Bill ti amo!” “Bill e Tom i più fighi del mondo” “Bill il monsone non ci separerà” ma queste sono folli!»
Gustav sembra sempre più sconvolto mano a mano che legge le lettere. Sono centinaia, migliaia, decine di migliaia. A sorte ogni mese ne scegliamo un po’ che leggiamo e alle quali mandiamo in risposta autografi prestampati… ingegnoso eh?
“Bill sei gnocco da paura” “Bill vieni a casa mia, c’è un letto libero! Ti amo!” “Bill sei il mio angelo”
Sento l’angoscia che sale, si arrampica lungo la gola e poi viene sputata fuori sotto il peggiore dei veleni: la vanità.
«Annulliamo l’incontro per gli autografi di oggi?» propongo, portando entrambe la mani dietro alla nuca. In men che non si dica sento tre paia di occhi spalancati puntati su di me.
«Cosa? E perché?!»
«Ma si... andiamo lì… ci facciamo desiderare un po’, facciamo una breve comparsa e filiamo via…»
«Ma il punto resta sempre un altro: perché??»
«Tom non fare finta di non sapere come vanno queste cose: se concediamo subito tutto ai nostri fans presto andremo a finire nel dimenticatoio…»
«Ma dai… quelle ragazze aspettano questo incontro da mesi…»
Georg, il solito, bonario Georg… lui non capisce cosa significhi veramente essere una star.
«E io vi ripeto: facendo così non dureremo neanche un anno ancora. E comunque il vocalist sono io e se decido che oggi non firmo autografi non li firmo. Lo sapete benissimo che tre quarti di quelle ragazzine saranno lì per me…»
Detto questo prendo e vado a farmi una doccia, consapevole di averli lasciti ammutoliti e infuriati.
 

 
Osservo con la massima calma la folla che si accalca fuori dal centro commerciale.
Se uscissi in questo momento dalla macchina mi mangerebbero vivo, letteralmente parlando. Un brivido mi corre lungo la schiena, se di paura o eccitazione non lo so. È me che aspettano… me e solo me. Nessuna di loro si strappa i capelli per Georg, nessuna si tatua la faccia di Gustav sul braccio, ben poche darebbero la vita per mio fratello. Sono potente, le loro vite stanno appese a un filo invisibile che fa capo alle mie mani. Sono il burattinaio, sono il re.
Tom interrompe le mie riflessioni, facendomi notevolmente irritare: indica una delle migliaia di teste urlanti là fuori.
«Ancora sicuro di non voler firmare autografi? Guarda quella com’è carina…»
«Qualcuna di loro si chiama Angelina Jolie o ha la faccia delle Olsen?»
«Sfortunatamente no…»
«Allora non firmo autografi.»
Sento Georg agitarsi sul posto accanto a Tom e sussurrare rabbioso “Pallone gonfiato”, come se non sentissi.
Fingo di niente, meditando una rapida vendetta per il prossimo servizio fotografico: farò in modo che stia sempre sullo sfondo molto, molto dietro di me.
Come un bambino che fa i capricci, passo tutta l’intervista con le braccia conserte e lo sguardo rabbuiato mentre sparo parole a raffica senza nemmeno respirare, ma, soprattutto, senza l’approvazione dei tre ragazzi seduti notevolmente più in basso di me, sugli sgabelli.
Al termine della messa in scena, quando ormai sarebbe ora di affrontare le fans testa a testa, informo Saki che non intendo rimanere un secondo di più, così le macchine vengono preparate e tutto finisce prima ancora di cominciare.
 

 
Sabato sera.
Siamo al solito Club Privé, dove teniamo normalmente le nostre festicciole senza troppe pretese, quelle abituali che servono solo a sfogarsi un po’ tra un tour e l’altro.
Tom sta provandoci con la cameriera e io, sinceramente, mi annoio a morte: si nota proprio che questo party non l’ho organizzato io. Neanche un karaoke.
La verità è che non ho niente di bello da fare o da pensare, a parte che mi faccio schifo e che il mondo intero mi fa schifo. Sarà una crisi adolescenziale o qualche altra cazzata del genere.
Dimentico scolandomi un ennesimo angelo azzurro, il più forte che il barista sia disposto a farmi… dopotutto sembro ancora un minorenne.
Merda. Ho un pessimo tasso di sopportazione da alcool.
Barcollando mi avvio verso i bagni, sperando che nessuno mi senta vomitare.
«Bill? Sei… sei tu?»
La voce che sento è femminile e vagamente affannata. Alzo lo sguardo e incrocio un paio di occhi talmente belli e inquietanti al contempo da farmi rabbrividire.
Sono di un viola tanto intenso da far girare la testa.
«Chi se..?» ma non riesco a terminare la frase, perché lei mi preme una mano sulle bocca e mi fa cenno di tacere.
La conosco questa ragazza… o almeno credo. Nel panico del momento noto solo un viso già visto.
Sento uno scatto metallico: ho le manette ai polsi.
Le sue mani sono curatissime e fredde, le unghie lunghe e smaltate mi sfiorano piano una guancia.
«Devi capire che non lo faccio per me… devi capirlo Bill…»
Non capisco.
«Chi Sei? Chi Diamine Sei?»
«Farà male. Non posso fare altrimenti.»
Sono così preoccupato per me da non essermi nemmeno accorto delle lacrime che le colano lungo il viso quasi perfetto.
Credevo di aver provato paura quando in Francia sono stato aggredito dalle fans isteriche, ma quello non era niente. Niente.
La vedo muovere leggera una mano sulla mia faccia e, proprio quando penso che il peggio sia passato, un forte sibilo mi perfora i timpani.
Brucia.
 

 
È buio, tutto buio.
Anzi… buio è quando basterebbe premere un interruttore per riottenere la luce… questo è più propriamente nero.
Muovo la mano nel vuoto alla mia sinistra, cercando disperatamente il telefono.
Non riesco a trovarlo, non riesco più a fare niente…
Merda!
Comincio a piangere in silenzio ancora una volta, poi la rabbia mi trasporta e comincio a urlare quello che penso: «VI ODIO!!! ODIO TUTTI! VOGLIO MORIRE! SE MI VUOI BENE UCCIDIMI TOM! CAZZO! UCCIDIMI! TOOOM!»
Sento la porta aprirsi cigolando, dei passi avvicinarsi rapidamente al mio letto e due mani calde e forti che mi tengono fermo per le spalle.
«Tranquillo Bill… tranquillo… ci sono io… ti voglio bene… Ti voglio bene, capisci?»
«DIMOSTRALO ALLORA, TOM! UCCIDIMI!»
«Cosa succede?» questa voce la riconosco anche tra le mie urla…     
«Niente Georg… sta… delirando di nuovo.»
«IO NON STO DELIRANDO! CAZZO UCCIDETEMI! IO NON VOGLIO VIVERE COSì! NON VOGLIO ESSERE CIECO


 

 

 

   
 
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