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Autore: ENS 2    04/07/2014    3 recensioni
In uno splendido regno vive una famiglia di giusti regnanti. Ma un giorno, avvenne il dramma. La piccola principessina Cynthianeve rimase sola, costretta ad affrontare la vita priva della guida della sua famiglia. E all'orizzonte, la minaccia della sua più grande nemica prende forma. Questa è la loro storia.
Genere: Avventura, Demenziale, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Chrom
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Cynthianeve
 
C’erano una volta, tanto tempo fa, in un regno tanto lontano, due giusti sovrani. I loro nomi erano re Chrom il Signore dei Buchi di Trama e Sumia la Sfrittellosa. Ma in circoli oscuri, tipo l’osteria sotto il castello, c’era chi osava chiamarla “la Bomba-Pegasi”. Non volete sapere il perché.
 
“Lo giuro, io l’ho vista!” esclamava un bruto ubriaco all’osteria.
“Piantala di urlarlo ai quattro venti, imbecille!”
“L’ho vista!” urlò ancora. “L’ho vista quando andavo a spiare le ragazze a fare il bagno. Soprattutto Sully, eh, ma ho visto anche lei.”
Silenzio da parte dell’altro. Altra. “Mi spiavi?!”
“Esistono! Io li ho visti!” [cit.]
Sully prese un coltello a caso per sgozzarlo ma poi si rese conto che sarebbe finita sul patibolo: essere cavaliere le permetteva di uccidere a piacere una rosa di persone di cui Vaike non faceva parte. “Accidenti!”
Il bruto la fissò: “Se vuoi offendere dovresti sforzarti di più.”
“Perché… ehi, perché tra tutte le gnocche che c’erano spiavi me?”
“Beh… “ Vaike prese ad ondeggiare “tu sei la più bona.”
I due si fissarono intensamente, per quanto l’alcol permettesse, e capirono di amarsi. Ah, sì, l’armonia, l’amore, i puffi. Le solite robe. Facciamo qualcosa di più divertente: dato che sono Autore e Narratore allo stesso tempo, posso dare uno sguardo nel loro futuro e dirvi come andrà a puttane il loro matrimonio… uhm… beh, sì… d’accordo… ho capito, vi amate tanto, eccheppalle, quando arriva il dramma… sì… ah…! eppure…! non ci credo…! l’ha fatto per loro…! La potenza del loro amore! Salvati! Nonostante tutte quelle scolopendre mutanti a due teste…! Ahhh!! … Datemi giusto cinque minuti per piangere dalla commozione, va bene?
 
… Ancora non so cosa pensare. L’amore, la passione, il pathos! … Meglio evitare le sbirciate nel futuro. Grima, Henry ma ti pare il caso di cazzeggiare con agenti mutageni?! No, devo calmarmi, tutto non è ancora accaduto… Dov’eravamo? Abbiamo completamente perso la via, fatemi un attimino leggere la sceneggiature. … Una storia su Cynthia che fa Biancaneve? Che cazzo mi ero fumato?
Dunque, eravamo a Chrom ed alla Bomba-Pegasi. Ecco: regnavano con giustizia e bontà, e nel paese nessuno li criticava, odiava od osteggiava. E’ una favola, che vi aspettavate? Peggio: è un Fire Emblem. Danzavano sugli arcobaleni, insomma. Un bel giorno nacque la loro primogenita, una bella bambina tutta paffutella e gorgheggiante. No, ma dai? Sceneggiatura del cavolo… Crebbe forte e sana, infischiandosene dei ruoli di genere nonostante tutte le torte che la madre tentava di farle cucinare. Quella si limitava a sbafarsele e poi usciva a fare a botte con gli amici, che erano onestamente terrorizzati da lei. “Tutta esuberanza”, diceva la madre sorridendo. Più grandicella prese anche, favorita dalla totale assenza di seno, a vestirsi da uomo. Che messa così non ha granché senso, dato che ormai i pantaloni li indossano tutti, e mi piace. E’ che si metteva una maschera e se ne andava in giro a parlare di sé stessa al maschile, fingendo di essere un uomo. Ora ha senso. Però se devo correggere ogni due secondi non si può andare avanti! Dopo me la litigo con il lato di me che fa l’Autore. Ma non è questa la storia in cui si parla delle sue turbe mentali, quindi avanti veloce.
Un giorno indubbiamente meno felice nacque sua sorella, Cynthia. Tanto per farvi capire la gravità del giorno, stavano dando i Teletubbies alla televisione! E non lo facevano da tre anni, cazzo! Nacque dunque questa puffetta, ed appena nata tentò di uccidere a morsi la levatrice. E ci riuscì. Tutto fu passato sotto silenzio: loro erano i reali, potevano farlo. Anche Cynthia crebbe, purtroppo, e nell’adolescenza tutti presero a chiamarla Cynthianeve. Perché… boh. ‘Pettate che l’Autore pensi a qualche scusa accettabile per giustificare un nome così di merda. Ah. Ottimo. A tredici anni cadde in una cava di gesso e si cuccò un’intossicazione di quarto livello. No, davvero buono. Davvero davvero. … Ora conterò fino a cinque, e tu avrai trovato un nome non volgare. Sì, anche se devi tirare fuori la sua pelle candida e bianca ed amenità varie. No, non me ne frega nulla di farmi veder litigare con me stesso da tutti i lettori, tanto saranno quattro barbone assonnate che credevano di leggere un porno. No, non è un buon motivo per accontentarle! NO! Rimetti le mutande a Gerome!
 
- Problemi tecnici –
 
Ecco, siamo tornati. Chiediamo scusa per il disagio, nostro per l’interruzione, vostro per non aver visto Gerome tutto ignudo. Zozzone… Comunque, messi a posto alcuni problemi con l’autore, direi di andare avanti. Cynthianeve era dolce e buona, sicuramente, e passava le proprie giornate a farsi chiamare Principessa Pega-Pony dal padre e ad immaginarsi un futuro sposo un po’ troppo simile a lui. Grima che problemi ‘sta famiglia. Vabbé, tagliamo corto: un bellissimo giorno avvenne il dramma.
 
Era un giorno perfetto. Tutto brillava, luccicava e scintillava, e nel cielo i pegasi portavano striscioni arcobaleno. Barbie moriva d’invidia nel Gran Salone da Ballo, assieme a mille altri invitati. Era il grande giorno dei dieci anni della principessina Cynthia. Lei e suo padre aspettavano sulla fine della scalinata. Perché tutte le sale da ballo hanno scalinate. Lucina, in smoking, tentava impacciata di provarci con un bel principe di un regno lontano. Nonostante le turbe mentali aveva realizzato di preferire gli uomini.
“Avrò anche i pantaloni ed il tatuaggio di un teschio che rutta fiamme sulla chiappa destra, ma sono bellissima! E comunque ci sono uomini che mi amerebbero volentieri! Perché non ne incontro?”
Effettivamente hai ragione, ma l’Autore è stronzo e non te ne sta facendo incontrare nessuno. Uh-uh. Comunque, posso lasciarti il mio numero?
“Riparliamone quando sarai diventato più alto.”
Sai che stai per morire, vero?
“CHE?!!”
La dolce Cynthia non ebbe il tempo di chiedersi perché, nel giorno del suo compleanno, fosse sua madre e non lei a fare la classica scena da film in cui ci si introduce tra mille sospiri d’ammirazione scendendo le scale, vestitissimi e bellissimi. Tanto anche se il suo elucubrare non fosse stato interrotto all’improvviso ci avrebbe messo parecchio. I sospiri stupefatti morirono d’un colpo quando la regina Sumia si esibì nella sua specialità: inciampare. No, non inciampò in nessuno tappeto. Vabbé che stava scendendo le scale e portava quei ridicoli affari chiamati tacchi, ma comunque per lei era una quotidianità, suvvia. La regina capitombolò per tutta la lunga scalinata ad una velocità sorprendente, emettendo piacevoli squiish liquidi ad ogni botta con le scale. Nessuno ebbe il tempo di fare alcun ché, tutto avvenne in pochissimi attimi: Chrom, in un gesto di disperato coraggio spintonò via la figlia minore, spedendola nell’insalatiera del buffet.
“Addio, figlia mia! Sii giusta e ricorda di diffidare di quel brutto porco di Inigo!” furono le drammatiche ultime parole del re d’Ylisse prima di venire investito dalla moglie rotolante che ormai aveva acquisito una notevole accellerazione.
Sotto gli occhi stupefatti della folla, quelli trionfanti e maligni di Barbie e quelli agghiacciati e traumatizzati di Cynthia, re e regina rotolarono follemente per tutto il lucido pavimento della sala in un capolavoro di aerodinamica tutt’oggi studiato da Miriel, che era sul posto. Lucina ebbe solo il tempo di contestualizzare la mia minaccia per capire di dover togliersi dalla loro traiettoria. Ma non ci riuscì. Venne investita anche lei, andando ad unirsi all’infelice capitombolone familiare con inaudita violenza. Per poco, per sua fortuna: poco dietro v’erano grandi vetrate che sfondarono in mille schegge, finendo dall’altra parte. E dodici piani di sotto. Inconvenienti del bullarsi con i vicini di regno con la torre più alta e fallica di Akaneia.
Quella tragica notte s’impresse a fuoco nella mente della povera Cynthianeve: la gioia della festa, il padre calmo e tranquillo pochi attimi prima, poi il suo ultimo e disperato sguardo mentre la spingeva verso la salvezza e l’insalatiera. Madre e padre avvinghiati mentre attraversavano l’intera sala, la sorella coinvolta nella follia… ed il rumore acuto delle mille schegge spezzarsi. La principessa si alzò, sporca d’insalata, ed attraversò l’intera sala con passi malfermi, gli occhi spiritati. Nessuno ebbe il coraggio di avvicinarsi a sussurrare parole di conforto. Arrivata alla finestra, da dove la sua famiglia era piombata nel nulla, si sporse incurante dei pezzi di vetro. Erano lì, tre corpi immobili decine e decine di metri sotto di lei, mentre tutt’ad un tratto una tempesta aveva iniziato ad infuriare.
Tra la pioggia tempestosa e le lacrime di chi ha realizzato che il tuo piccolo e fatato mondo ha appena subito una violenza ululò nella notte: “PPEEEEEEEEEEERRCHEEEEEEEEEEEEEHHHHH!!!!?????!!!!???!!!?
 
Dieci anni dopo
 
Non avvenne molto in quei dieci anni. Davvero. L’Ylisse come regno non subì particolari cambiamenti di politica, ed anche se dal castello le notizie si fecerò sempre più rade ed insignificanti, la gente normale continuò la propria vita in pace. Circa. Re Chrom era molto amato. Orde di donne in lacrime per quasi un mese alla sua morte. Anche qualche uomo. Io ad esempio rimpiansi la sua sexy mascella per sette secondi. Tanto eh. A noi ovviamente interessa la vita dei reali, data l’impostazione elitarista di questa storia, dunque in breve si può dire che in quei dieci anni il personale del castello si sfoltì notevolmente. Gli eventi mondani divennero una chimera e gli ospiti si potevano contare sulla punta di una lingua. Il siniscalco di re Chrom, sir Frederick, prese la reggenza e rese un buon servizio al regno, mantenendosi sulla linea di soffice ed irrealistica pace mantenuta dal defunto sovrano. Sì, nessuno si filò la principessa Lissa. Ah ah. Questo era un uomo concreto e fedele alla casata reale, e maliziosi mormoravano un po’ troppo fedele al re, che preferì alleggerire la folla nel castello il più possibile per far avere alla povera principessa un’esistenza calma e priva di scocciatori. Pochi rimasero, alcuni amici, alcuni servitori, spesso entrambe le cose contemporaneamente. Solo ai diciotto anni della principessa Cynthia, arrivato per lei il momento di diventare regina e comandare, quegli individui che passavano il tempo spettegolando sulla nobiltà e la famiglia reale si rianimarono, sperando i qualcosa di nuovo. Cioè quei pochi che erano sopravvissuti a ben otto anni di nulla.
Ovviamente nei due anni di regno che Cynthia, ormai regina, ha già avuto tutto si mantenne stabile ed anche questi pochi stoici si estinsero. Uhm, questa storia si sta sempre più allontanando dall’originale Biancaneve…
Comunque, ecco che arriviamo dove si voleva che fossimo, dove la nostra storia può finalmente svolgersi.
 
Severa non era amata. Non era amata da nessuno. In ben ventidue anni, ovvero sin dal giorno in cui era nata, il dubbio di essere qualcosa di indesiderato le aveva roso la mente. Sua madre, sempre gentile ed amorevole, si era sempre comportata in maniera distante con lei. Ma a ben vedere si comportava così con tutti. Suo padre era stato con lei sempre accondiscendente e pronto a soddisfare ogni suo desiderio. L’aveva abituata malissimo, e non le aveva insegnato nulla. Certo, lei che si comportava da bimbetta capricciosa non poteva dare la colpa al padre, ma se invece di accontentarla in tutto le avesse insegnato il giusto comportamento, a quest’ora magari lei non sarebbe così sola, e lui non sarebbe un padre di merda. Sapete come si dice, no, avere delle radici secche? Il matrimonio dei suoi era stato una farsa, con suo padre incapace di darsi un comportamento dignitoso per sé stesso e sua madre innamorata di un altro sin da prima che si sposassero. Perché allora fossero andati all’altare per Severa rimaneva un mistero. Cordelia, sua madre, e membro di spicco delle truppe di cavalieri pegaso, da Severa risoprannominate vacche volanti, era sempre stata innamorata del re. Sì, il re, Chrom. La sua morte era stata troppo per lei, che evidentemente anche dopo essere sposata da più di dieci anni continuava a dipendere da un altro uomo con cui scambiava a stento due parole alla settimana. Priva di energia, la diminuzione del personale attuata dal reggente le aveva dato il colpo di grazia. Dopo meno di due anni aveva preso il suo pegaso ed era volata via, verso l’orizzonte. Severa aveva solo quattordici anni, e l’aveva pure sorpresa a farlo mentre passeggiava per i passaggi delle mura sgranocchiando un cosciotto di pollo, quindi aveva giusto avuto il tempo di lanciarle contro l’osso e prenderla in testa, urlando a quella vacca di tornare indietro e ridarle la sua infanzia. Sperava almeno di averle fatto male.
Alla notizia quello zerbino di suo padre Lon’zu non aveva fatto nulla. Nulla. E così Severa passò gli otto anni successivi ad ignorarlo, limitandosi ai saluti di rito ed impegnandosi a diventare un buon cavaliere.
Tutta questa vicenda familiare potrà essere ben triste, ma non giustificava il suo comportamento da testa di cazzo con le persone che le stavano attorno, e dopo un’abbondante dose di ceffoni da parte di persone che intimamente aveva il coraggio di chiamare amici, aveva capito cosa aveva sbagliato. Sì, l’aveva fatto. Ed era cambiata? No.
Dunque Severa era seduta su uno scranno, all’ultimo piano di una torre semi-abbandonata del castello d’Ylisse. Che detta così sembra interessante e malinconico e poetico, ma la torre era minuscola, ogni piano costituiva una singola stanza, difatti secondo era un intero piano latrina, ed in tutto i piani erano quattro. Se si annusava bene dal primo ed il terzo poteva sentirsi puzza di sterco. La stanzetta del quarto piano, forse persino più polverosa delle altre, era l’unica dotata di finestre. Persino di vetrate, nel classico stile da stanza ylissea: enormi e tutte a sinistra secondo la prospettiva di chi sedeva al capo della stanza, rivolto come se fosse una sala del trono. E questo era stato il primo pensiero di Severa quando la vide. Decise di montarci una piccola pedana, proprio alla fine della stanza, e poi di piazzarci una sedia un attimo importante per simulare un trono. Montare la pedana le portò via molto tempo e risorse, ma alla fine fu soddisfatta del risultato. Anche il portare sulla schiena la sedia per quattro rampe di scale strette, con la puzza di cacca per la maggior parte di esse, non fu facile, ma il risultato complessivo la inorgoglì. Perché lei poteva tranquillamente far finire col culo per terra l’intero castello nel cortile degli addestramenti, tranne Frederick, ma arrivava ad inorgoglirsi per una pedana montata male ed una sedia in una stanza vuota e polverosa. Non che per le vittorie schiaccianti con le armi non s’inorgoglisse in una maniera esagerata, sia chiaro. Sedutasi sul suo trono si godette per circa trenta secondi la sensazione di essere importante. Poi bestemmiò  e capì che sembrava una deficiente.
Passò mesi, dunque, a cercare il tassello perfetto per il suo piano diabolico. Infine lo trovò in un mercatino di robivecchi, ad un prezzo misero. Lo portò nelle sue stanze (stanza) e lo piazzò davanti al trono, su un cavalletto. Si sedette al suo posto ad aspettare. Ed è proprio in questa avvincente situazione che la troviamo nel presente di questa storia che si perde troppo nei riassunti del passato: a fissare uno specchio dal suo trono taroccato.
Lo specchio non aveva particolari insegne o decori, ma lei sapeva che era quello giusto: aveva costretto Laurent a passare quasi un mese chino sui libri per trovare le informazioni giuste: il vetro oscuro, opaco, ed il resto della cornice erano gli stessi dell’illustrazione nel libro trovato dal suo schiavetto. Doveva essere lui!
“Senti, datti una mossa che ho delle richieste per te.” Probabilmente Severa non stava approcciandosi nella maniera più diplomatica. “Svegliati, specchio!”
Una risata sarcastica si emanò dallo specchio: “Allora, chi abbiamo qui?” Un viso apparì sul vetro, un viso astuto che la sondò. Era la testa fluttuante di un uomo non giovanissimo, dai capelli lunghi castani e barba e baffetti. Nulla di particolare, se non fosse stata l’espressione di viva intelligenza. “Un’altra bambina presuntuosa venuta a giocare?”
Severa non incassò con dignità: “Sono la tua padrona! Sei ai miei ordini.”
“Credici.” disse lo specchio. “Innanzitutto io non mi chiamo “specchio”, mi chiamo Robin.”
“Come ti permetti? Non ho tempo da sprecare con un oggetto del mobilio.”
“Senti, temo che tu abbia iniziato nella maniera sbagliata. Anche se vorrei tanto avere un bracci per poter prendere a pugni una testa di cazzo come te, penso che dovresti un attimo riflettere.” fece Robin ragionevole.
La risposta di Severa fu di stizzirsi ancora di più e disse acidamente: “Guardami, guarda come sono ridotta: a parlare con uno specchio. Ho bisogno che tu mi aiuti per uccidere la regina.”
“Perché dovrei aiutarti?”
“Perché non t’infrangerò.” Un sorrisetto compiaciuto comparve sulle labbra della donna. Molto sexy, lo ammetto.
Ma Robin non si lasciò impressionare e dopo aver scosso la testa nel vetro ribatté: “La solita storia. Come vorrei che poi lo faceste davvero.”
Severa non era stupida. Niente affatto. Non solo sapeva che non avrebbe rotto lo specchio, perché le serviva, ma inoltre nel tono di voce di questo Robin non aveva sentito nessuna paura, come se non gl’interessasse di morire. E le era venuta la sottile impressione che la rottura dello specchio non significasse la morte per quell’assurda testa galleggiante… “Bene, calmiamoci.” Lo sforzo che fece per pronunciare queste pacifiche parole divenne leggenda. “Ti propongo un affare: aiutami ad uccidere la regina, ed io vedrò cosa posso fare per uno come te. Qualsiasi cosa tu sia.”
“Aspetta, niente formula “specchio, specchio, mostrami la più bella del reame”; “è Cynthianeve”; “LA UCCIDERO’!!”…?
“Uhm… no. Davvero davvero. Voglio il potere, fine a sé stesso.”
“Non stai seguendo il copione! Un attimo…” detto ciò andò a questa stessa pagina a leggere cosa avrebbe dovuto dire davvero Severa: “Ecco, vedi? Dovresti incarnare con qualche lieve differenza la cattiva originale, non fare di testa tua. Hai persino piazzato un’enorme introduzione strappalacrime all’inizio dl timeskip! Non si fa Severa.”
“Sciocchezze.” Il suo sguardo era gelido. “E’ tempo di mostrare alla community cosa sono in grado di fare. Tutti mio odiano? Bene, allora mostrerò che devono anche temermi! Prenderò quella stupida reginetta di Cynthiavacca e le farò rimpiangere il giorno in cui suo padre la salvò dalla morte, quella sera i dieci anni fa.”
               “Ed il copione, la storia?” Robin si rese conto pochi attimi dopo di come quelle domande fossero retoriche.
               “Basta. Non sarò più un personaggio da quattro soldi. Avrò la mia vendetta: appena vidi questa storia capii che sarebbe stata perfetta. Ho preso il potere del mio destino e mi comporterò come voglio, al diavolo l’Autore!”
               Pazza!
               “A costo di sembrare sempre più inutile, sì, mi unisco anch’io: pazza.”
               Severa si alzò ed andò a guardare dalle finestre la regina Cynthianeve, che stava giocando nei giardini con alcuni uccellini. “Sì, invece! E’ inutile che ti lamenti, voce narrante, adesso ho preso io il controllo della storia.”
               Non te lo permetterò, non mi lascio fregare per così poco.
               “Invece sì, invece sì.” Ghignò. “Il potere per influire sulla narrazione non ce l’ho né l’avrò mai, ma guarda cos’altro posso fare: già c’è lo specchio come spalla sarcastica ed intellettualoide, tu sei di troppo. Vattene.
               Ah ah ah, ora sì che sragioni. Non puoi… no, aspetta. Che sta succedendo? Non è possibile! No, non ti permetterò di bandirmi da questa storia! Le resterò attaccato, sono la sua voce narrante!
               “Idiota.” disse Severa, quasi non più interessata a, beh, me. “Non puoi affrontarmi.”
               Tu, non puoi, passare!!
               “Io ti bandisco!”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Allora, lo hai scacciato?” chiese Robin.
“L’ho ucciso.” disse Severa, soddisfatta. Sembrava stanca, e si sedette sul trono.
“E adesso?” disse Robin.
“Beh, adesso che la storia e mia e non devo più seguire le idee idiote di un autore idiota, possiamo occuparci di Cynthianeve.” disse Severa.
“Ah, d’accordo.” disse Robin.
“Bene, quindi…” disse Severa, ma si fermò. “Che cazzo è successo alla voce narrante? Fa schifo.
“Dimmelo te, sei quella che l’ha UCCISA.” disse Robin.
“Grima dannato, dev’essere partito il pilota automatico, senza nessuno a narrare.” disse Severa.
“E adesso?”
“Adesso la voce narrante la fai tu.”
“Non sono molto convinto…”
“Fallo e zitto, che sei appena salito di due gradini sulla scala sociale della storia.”
“Ma dove?”
“Sei l’ultima spalla comica e sarcastica rimasta e sei anche diventato la voce narrante.”
“Spalla. Bah. Vedrai, ragazzina, se sono una spalla.”
 
E fu così che la congiura di Severa iniziò, in un tiepido pomeriggio d’Aprile, mietendo come prima vittima la voce narrante stessa. Siamo onesti: prometteva bene.
 
               “Allora, Severa, come sta andando l’addestramento? Ho sentito che il maestro d’armi ti adora.” Cynthianeve disse.
               Il giorno dopo le due ragazze stavano bevendo il tè del pomeriggio sulla veranda, senza essere disturbate da nessuno. Cynthianeve aveva preso l’abitudine di invitare ogni pomeriggio, esclusi i giorni festivi, un abitante del castello a bere il tè, per mantenere un rapporto amichevole con tutti. Ovviamente con Severa era una speranza vana. Le loro litigate, anche da prima che i reali morissero, erano leggendarie: una volta avevano litigato per otto ore di fila su una marionetta a forma di cavaliere che un artigiano venuto al castello aveva regalato alla principessina. Dunque Severa aveva pensato che fosse suo diritto di prenderla e proclamare Cynthia una sgualdrina. Cosa fosse una sgualdrina, ai tempi nessuna delle due bimbe lo sapeva, ma Severa l’aveva sentito dire da una guardia del castello e le sembrava una definizione appropriata per la sua nemica. Dodici anni dopo si trovava ancora d’accordo.
Ma quella fu solo una delle loro prime litigate: da nominare soltanto sottovoce, altrimenti Cynthianeve andava in escandescenza, quella volta quando avevano quattordici e sedici anni in cui lei era entrata di botto in una stanza ed aveva trovato Severa diversamente vestita con un  giovane cameriere. Secondo l’opinione della ragazza, quel tipo di comportamento era inaccettabile e aveva ordinato ai due di rivestirsi. Il “fatti i cazzi tuoi!” si udì per tutto il castello. Non solo. Le due negli anni si erano sfidate su tutto: gare di velocità, bellezza, abbuffata, combattimento, nuoto, monopoli. La loro rivalità si era accresciuta e limata, diventando un odio serio e maturo.
               Dunque nessuna delle due era felice di trovarsi faccia a faccia a dover fingere convenevoli. Difatti Cynthia aveva fatto d tutto per fingere di dimenticarsi il nome di Severa sulla lista degli incontri, ma i suoi doveri da regina l’avevano spuntata. Erano da un annetto arrivate ad una tregua e si stavano sforzando di mantenere un comportamento dignitoso.
               “Ma certamente.” Severa rivolse alla sua regina il più falso dei sorrisi “Dice che non ha mai avuto un allievo più abile e promettente” sorseggiò la sua tazza “Beh, va anche detto che parla di me al maschile, e quando gli faccio notare che sono una donna ha uno strano tic all’occhio, ma per il resto va tutto bene” Il suo volto si fece perplesso.
               “Ah, ma certo” rispose Cynthianeve “Tutto ottimo, davvero. Mi dicono anche che nell’ultimo periodo hai passato molto tempo con Laurent” fece un sorrisetto malizioso “Fra voi due c’è forse qualcosa?” le chiese incurante di come l’argomento già in passato le avesse fatte litigare come due scolopendre indemoniate.
               Il sopracciglio sinistro della nostra protagonista si alzò: “Ti interessi a questi sciocchi pettegolezzi?”
               Risatina “Oh, dai, ogni tanto potremo pur concederceli, no?” A giudicar dall’occhiata che Severa le lanciò, la sua opinione era no “In questo castello non c’è molto da fare, ed i pettegolezzi girano in fretta, soprattutto qualcosa di così succoso.”
               Severa non era contenta. No. Disse con calma apparente: “Non ho nessuna relazione con lui. Ho avuto bisogno del suo aiuto per alcuni studi.”
“Studi? Ma davvero? Sono colpita.”
               Il sopracciglio sinistro si alzò ancor di più: “Sì, uno studio” Che poi, Severa stava mentendo spudoratamente: Laurent era stato il suo schiavetto, quello non era stato uno studio e lei non ripassava qualcosa da tre anni.
               “Ehi, sta zitto!”
               “Uhm? Con chi parli?” le chiese stupita la principessa.
               “Ah, nessuno” Rabbia mentalmente inviata alla mia illustre persona. Bah “Ho avuto un pensiero vagante per la testa. Nulla di che” Sorrise sgradevolmente.
               “Non ne sono convinta…”
               “E invece sì! Non c’entrava con te, né con la tua volgare faccia da pedo-bimba!”
               Cari lettori, immaginate il suono del ghiaccio che si spezza secco. Fatto? Avete l’immagine ed il suono mentale giusti.
               “Come osi! Sono la tua regina!”
               “La mia regina? Ma se non riesci a dominare neppure il tuo intestino!”
               “Menti!”
               “Al ricevimento con la duchessa ti hanno sentita tutti, è inutile che fai l’innocentina!”
               “Non mi ha sentita nessuno!”
               “Dunque lo ammetti!”
               “AARGH! Sei una stronza!”
               “Dannata puttana gravida!”
               “TU dai della puttana a ME? Ma stiamo scherzando!? TU sei una puttana!”
               “Casomai sei tu che hai problemi coi peni!”
               “Io non ho problemi coi peni! Ne sono ragionevolmente intimorita. Tutti lunghi e duri e vanno infilati… CHE CAZZO TE NE FREGA!”
               “VA’ DALLO PSICOLOGO!”
               “PUTTANA!”
               “PUTTANA GRAVIDA!”
               Nel caso ve lo steste chiedendo, sì, andò avanti per molto. Troppo. Saltiamo questo indecoroso pezzo.
               “E NON CAPISCI PROPRIO UN CAZZO! E’ PROPRIO PERCHE’ SONO TUTTI LUNGHI E DURI CHE SONO BELLISSIMI!!”
               Signore?
               Silenzio… “Occazzo ho detto davanti a tutti che amo i peni lunghi e duri.”
               Penso che sarebbe stato strano se avessi detto che ti piacevano in un’altra maniera.
               “Ah ah! Adesso Severa la tua già bassa dignità è al limite storico!” le urlò trionfante Cynthianeve.
               Severa decise che era arrivato il momento di andarsene e disse arrabbiata: “Basta! Ti invito, domani alle sei di pomeriggio, sotto il platano che si può vedere in lontananza dalla finestra della tua stanza.”
               “Come sai che si vede dalla mia finestra?”
               “Zitta. Ti invito e lì troverai un mio paggio, che ti accompagnerà sola nel luogo da me prestabilito, per parlarti di qualcosa che potrebbe cambiare il nostro futuro.”
               “Perché non mi dici direttamente dove andare?” chiese giustamente la regina.
               “Perché mi fa sembrare importante.”
               “Perché dovrei andare da sola in un posto sconosciuto invitata dalla mia peggior nemica, che mi odia a morte?”
               “Ci saranno i biscotti.”
               “Biscotti?”
               “Tanti, tanti biscotti.”
 
La sera stessa Severa sorseggiava vino non particolarmente pregiato sul suo trono, compiaciuta che tutto stesse andando come doveva.
               “Non capisco: a che ti servo?” le chiesi. Mi aveva spostato accanto alla finestra. Poteva ancora guardarmi negli occhi voltando lievemente il capo.
               “Tu, Robin, sei il mio piano di riserva. Oh, certo, servi per far ridere e per restare quel pelino necessario fedeli alla fiaba originale, ma la verità è che se tutto andrà bene non farai nulla” disse Severa.
               “Ma qualche pagina fa avevi pensato che ti ero necessario…”
               “Lo sei: sei una sicurezza a cui non voglio rinunciare. Sto attentando ad una regina cretina in una storia demenziale, sì, ma voglio comunque sicurezze. Mica sono scema.”
               “Ah. Certo.”
               Si irritò: “Sento forse del sarcasmo?”
E di colpo la porta della stanza si aprì. Entrò una tizia in armatura completa, che per il buon nome della parodia abbiamo evitato di farle sopportare le ridicole tette di ferro che hanno sempre impestato Fire Emblem.
               “Grazie, tra l’altro” disse la sconosciuta.
               “Ma guarda, un’ospite educato. Dove abbiamo messo i pasticcini?”
               “Severa si diede un contegno ed assunta sul trono una posa teatrale le disse: “Kjelle. Sei arrivata.”
               “Non perdiamo tempo: perché mi hai dato quest’appuntamento?”
Ed il nutrito fandom che le shippava esplose. Bum.
               “Non diciamo assurdita!” Severa si indignò “Non potrei mai avere rapporti con questa musona dall’emotività di un armadio!”
               “Il sentimento è reciproco, principessina” disse Kjelle.
               “Non osare chiamarmi così.”
               “Perché?” il viso di Kjelle non fece una piega “Mi ricordo ancora di quella volta che rubasti quella marionetta a Cynthia…”
               “Silenzio! Non ti ho chiamata per farmi insultare!”
               “Mph. A no? Allora dovresti prendertela con te stessa: ti arrabbi troppo facilmente.”
               Mi intromisi alzando la voce: “Basta, tutte e due. In questa stanza ci sono le mie donne preferite di Awakening e non accetto che litighino come due bambine.”
Kjielle notò lo specchio vicino alle finestre, cioè me: “Quello è uno specchio parlante?”
               “Sì, lunga storia, lascia stare: parla troppo e spara cazzate.”
               “No, ora mi ascoltate, tutte e due: non siamo qui per comportarci da imbecilli, ma per questioni importanti. Quindi ora datevi una calmata e discutete” Mi ero alterato? Mi ero alterato. Sapete, non è piacevole fare lo specchio succube della situazione in una parodia di quart’ordine in cui la protagonista è un’isterica prepotente.
               Kjielle sospirò, ed anche Severa si diede una calmata. “Vedo che il tuo specchio è saggio” le disse Kjelle.
               “Nah, soltanto non ha ancora superato quella sottile linea che separa l’intelligenza presuntuosa dall’offesa. Ne so qualcosa. Comunque” poggiò la bottiglia di vino a terra e si diede un’aria professionale, e vagamente nobile “Sei qui, dopo molte discussioni, per aiutarmi in qualcosa di fondamentale. Domani, alle sei di pomeriggio, dovrai farti trovare sotto il platano tunzeggiante e lì verrà la regina. Allora la porterai nella Radura delle Mille Albicocche, dove la ucciderai.” Non chiedete, loro due erano state più legate che con Cynthianeve e dunque si era formato uno strano gergo da amici che condividevano anche con altri individui che probabilmente non appariranno in questa storia. Non lo so, l’Autore deve decidere.
               “Certo.”
Perplessità in sala.
               “Aspetta, davvero?” chiese Severa sorpresa “Tutto qui? Niente lamentele? Niente ricatti?”
               “No.”
               “Ma è mai possibile che qui la odino tutti così tanto? Sono l’unica deficiente che crede di essere un’eccezione?”
               “Brava fattele due domande.”
E detto questo se ne andò.
               “E portami il suo cuore come prova!” le urlò Severa mentre scendeva le scale.
               Per molti minuti nella sala ci fu silenzio. Ognuno di noi due rifletteva sui fatti suoi, su come questo piano sovversivo potesse andare in porto e come fosse stato stranamente facile convincere Kjelle. Severa rifletteva anche su ciò che l’aveva portata fin la, sulla sua vita e ciò che avrebbe fatto con il cuore di Cynthianeve. Bleh. Io su come fosse palloso essere uno specchio.
               “Aspetta” Severa si rianimò all’improvviso: “Le due donne che preferisco?”
               “Sì…?”
               “Non riesci a decidere tra la bellissima, bravissima e stupenda me e quella mucca dalla mente stanca?”
               “Beh…”
               “Ora ti faccio vedere io se puoi permetterti questi dubbi!” Si alzò brandendo minacciosamente la bottiglia di vino vuota.
               “Non mi pento di nulla!”
 
Il giorno dopo Cynthianeve, all’ora concordata, andò dal platano e vi trovò Kjelle. Lei la portò nella foresta lì vicina, fino alla radura designata.
               “Severa mi ha chiesto di ucciderti.”
               “Davvero? Sarà la terza volta che ci prova.”
               “Beh, io andrei…”
               “Tò” le lanciò un sacchetto di monete “Compratici quello che vuoi. Grazie della lealtà.”
               “Di niente” E Kjelle svanì da questa storia.
               “Ed ora dove sono?”
Guardandosi attorno Cynthianeve non riusciva a trovare la strada per tornare indietro. Certo, Kjelle se n’era appena andata e poteva seguirla, ma se stessimo qui a seguire un filo logico la storia sarebbe morta da un pezzo. Nella radura vedeva soltanto una vecchia casetta su un albero ai margini, piena di scritte incise e verniciate: dicevano robe tipo “Owain è finntastico”; “Severa ama i peni” mezzo cancellato; “Cynthia puzza”. Cose così. Ma la regina non era una sprovveduta donzella in pericolo, e decise di prendere una direzione a caso e vedere dove l’avrebbe portata. Tanto erano tutte uguali. E per esigenze di trama finì davanti ad una casetta deliziosa, dal tetto rosso e la porta blu. No, non quella che Daenerys cerca. No, non lo so se nel telefilm la cita, io leggo i libri da sei anni e più anni! Comunque, si ritrovò davanti a questa casetta in mezzo alla foresta.
Io sono la regina, pensò, è mio diritto entrare nelle case degli altri.
Dentro trovò un macello allucinante: polvere, soprammobili per terra, libri sparsi, i letti, ben sette, sfatti, la tavola piena di posate e piatti sporchi, il lavello intasato da avanzi di cibo. Era uno schifo. E puzzava di brutto. Cynthianeve decise che l’unica cosa ragionevole da fare al momento fosse di uscire subito. A mandare lì le sue guardie per far giustiziare gli autori di quell’abominio ci avrebbe pensato quando sarebbe stata al sicuro al castello. Corse fino alla porta ma non riuscì ad aprirla, ed allora iniziò a prenderla a pugni, poi a gomitate, infine a testate. Nulla.
Lievemente intontita, si chiese ad alta voce, come nei cartoni animati: “Perché cazzo non si apre.”
Motivi di trama. Devi restare lì e vivere con i possessori.
“Ma ho un castello, sono al regina! Severa non può portarmelo via, non è nessuno!”
Mi spiace ma devi. Baci baci.
“Questa storia fa schifo!  Neanche trovare il motivo per farmi restare sapete fare! Idioti! Deficienti! COGLIONI!!”
Nonostante tutte le imprecazioni, la ragazza rimase chiusa in quel porcile. PER SEMPRE.
 
Fine.
 

No, è uno scherzo. ‘Sta storia va avanti, purtroppo. Ehi, abbiamo raggiunto abbondantemente la decima pagina di Word, quanto è lunga? Autore, datti pace, che mica gli utenti la leggono tutta, eh. Anzi…
TUNZ TUNZ
TUNZ PARATUNZ
TUNZ TUNZ
Ecco, sei felice? Undici pagine. Ora possiamo anche chiudere qui, tanto nessuno arriverà fin qui. … No, io intendevo… D’accordo, non vuole. Cribbio, che stronzo difficile. Dice: “Abbiamo una storia da raccontare!” Bah, idiota. Come se a qualcuno interessasse…
 
Ore di sofferenza e tentativi di non annusare il tanfo dopo, i nanetti proprietari della casa tornarono dal lavoro. Trovarono la regina sul pavimento dell’ingresso, in posizione fetale. Doveva aver sofferto. Ma sfortunatamente era ancora viva. Ancor più sfortunatamente i nani erano persone perbene, ed invece di farle cose orribili e finire nel notiziario delle sette le allestirono l’armadio-letto che tenevano per gli ospiti. Ovviamente si chiedevano da dove venisse quella fanciulla, trovata all’improvviso in casa senza una spiegazione. Ma pensarono che fosse una povera fanciulla perdutasi nella foresta e che, disperata, avesse cercato riparo da loro. Dunque la fissarono in maniera inquietante nel sonno per un po’ e decisero di poterla ospitare per parecchio. Erano nani per bene.
 
“Oh…” Cynthianeve si svegliò confusa, non capendo dove fosse “Batista, la colazione. Caffè con panna e mezza ciambella. E se mi rovini di nuovo il velo di zucchero ti faccio tranciare i testicoli, hai visto quello venuto prima di te no?”
“Signorina” disse il nano più anziano e saggio, il capo, che era rimasto a vegliare sul suo sonno “temo che non ci sia nessun batista da queste parti.”
“Cosa?” La ragazza si rianimò “Sono ancora qui?”
“Sì, signorina. L’abbiamo trovata svenuta in casa.”
Cynthianeve si rese conto di dove fosse e squittì: “Sono ficcata nei vostri sudici letti! IHHH!!” Ne uscì con una rapidità invidiabile, rovinata quando inciampò nella trapunta e diete una mentata sul pavimento.
Gli altri nanetti accorsero a causa del rumore e chiesero spaventati: “Cos’è successo?”
“La fanciulla si è quasi ammazzata, presto Cannuolo, và a prendere i medicamenti!”
Un nano particolarmente panzuto corse in cucina.
“Non rimpiango nulla” intanto erano le parole della ragazza nella sofferenza della botta.
“Aiutatemi a rimetterla a letto!”
 
Dopo questo incidente Cynthianeve si diede una calmata. Dato che era costretta dall’Autore a restare lì, si costrinse ad abituarsi ai nani ed alla casa, e loro furono molto contenti di avere un’ospite per cui fare una buona azione. In breve la misero a pulire, cucinare, lavare i vestiti ed a raccontare le favole della buonanotte al più giovane, Minchiolo, che davanti a quella dolce ragazza si era riscoperto mammone.
               Ovviamente per Cynthianeve l’impatto con le faccende domestiche non fu soffice: “Ma come farò? Non ho idea di come fare!”
               “Beh, è tempo che impari” le disse ferreo il capofamiglia “L’Autore ci ha espressamente chiesto di essere il più bigotti, meschini e maschilisti possibili in modo da farti soffrire, e dobbiamo impegnarci. Anche se la cosa non mi convince.”
               “Sì, è un vero peccato non poter mostrare al pubblico la nostra gentilezza e bontà” disse un nano.
               “Io faccio volontariato!”
               “Io seguo i ragazzi difficili nei centri d’accoglienza!”
               “Io vado a manifestare per i diritti delle donne. Ehi, non guardatemi così, vi lamentate tanto che gli uomini vi trattano male ma poi quando c’è quello che si comporta con uguaglianza lo fissate strano!”
               “Io vado a messa tutte le domeniche!
               “Taci, imbecille!”
               “Uhm, sì” disse il capofamiglia. Fumava una bella pipa rossa, completamente inutile ai fini della storia “Comunque, dobbiamo comportarci come non faremmo mai, dunque mi aspetto di trovare i nostri vestiti stirati ed il cibo in tavola quando torneremo, capito?”
               “Non la do una pulita alla casa?” chiese Cynthianeve.
               “No, non c’interessa.”
               La ragazza fissò turbata il lovecraftiano grumo di cibo avanzato sotto al tavolo della cucina “Lo farò comunque.”
               “Come vuoi. Noi andiamo a lavorare. Salutate ragazzi.”
               “Ciao Cynthianeve!”
               “Vedi di stirare bene le mie mutande eh, sono quelle pelose color caramello.”
               “Voglio morire.”
               Uhm, nanetti, l’-
               “Nani” il capofamiglia era freddo con me “Non nanetti: nani.”
               Ah, d’accordo. Comunque l’Autore vuole un attimo più di enfasi nel vostro far capire alla tizia qual è il suo posto.
               “Ma ci stiamo impegnando!”
               Non è abbastanza.
               “Ah, allora…” il nano era chiaramente a disagio “Uhm… pulisci bene, perché noi dobbiamo andare a lavorare! … Perché siamo uomini! Ecco!”
               “Ma non eravamo nani?” chiese Minchiolo.
               “La terminologia è sempre stata poco precisa nel definire la razza umana.”
               “Ah.”
               “Dunque pulisci! Ehr… donna!”
               L’Autore inarca un sopracciglio ma gli va bene.
               “Uff, bene. Noi andiamo.”
               Ed i nani se ne andarono. Cynthianeve rimase a fissare lo sporco della casa, sconsolata. “L’unica cosa che mi rincuora è che questa storia riceverà così tante recensioni negative dopo queste battute…”
               Si stava scherzando.
               “Credici.”
 
Torniamo a Severa, che stava sorseggiando vino mediocre attaccandosi alla bottiglia, seduta sul suo trono.
               “Sono tornata” disse Kjelle salendo le scale della torre, apatica come sempre.
               La prima ragazza si mise subito in una posizione più nobile, per darsi delle arie e disse: “L’hai fatto?”
               “Sì.”
               “Mistai dicendo che dopo più di dieci anni di litigi, offese, scontri, rabbia e tirate di trecce io non devo più sopportare quella rincoglionita?!”
               “Sì.”
Kjielle dovette far rinvenire Severa a ceffoni.
               Ripresasi spintonò lontano l’altra, irritata: “Bastarda, mi hai fatto malissimo!” Cercò di rimettersi decentemente sul trono “Hai i modi di un orso!”
               Quella per tutta risposta le lanciò in piena faccia un sacco.
“Severa, fa qualcosa di figo, che Kjelle ti sta superando nella gara a chi preferisco” le dissi.
               “Cos’è?” chiese dopo essersi ripresa dallo stordimento, soppesando il sacco in mano.
               “Il cuore di Cynthia.”
               “Cazzo l’hai portato davvero.”
               “Sì. Ora pagami.”
               Momenti di confusione “Pagarti…? Sbaglio o nella scena in cui ti ordino di ucciderla neppure si parla del tuo pagamento?”
               “No, infatti” controllai su questa pagina “quell’imbecille dell’Autore se n’era scordato.”
               “Voi mi pagherete” disse Kjelle furiosa “Ho ucciso la regina!”
               “Sì, mi sembra giusto, non scazzare però.”
               Kjelle la fissò male.
               “Beh, se parti tutta arrabbiata senza neanche riflette poi non lamentarti che la gente ti fissi male…”
               “Basta Severa!”
               “Tieni, per il tuo ottimo lavoro” E le diede un biscotto.
               L’espressione di Kjelle mentre si rigirava tra le mani il biscotto e lo fissava fu talmente calma che per poco credetti che le sarebbe bastato. Ovviamente no. Con un urlo disumano estrasse la spada e si scagliò contro Severa, tirando pure giù qualche santo. L’altra ebbe giusto il tempo di afferrare la spada che teneva sempre accanto al trono e parare l’assalto, ed il duello ebbe inizio. Fu bellissimo, e questo è un modo davvero gramo per cercare di non far capire che l’Autore a descrivere gli scontri ha difficoltà, dunque vi fornirò i momenti salienti:
               “Fottuta stronza! Mi hai preso per una vacca!” urlò Kjelle mentre tentava un affondo.
               Severa lo parò agilmente “Esattamente!” Portò il suo colpo all’unica parte scoperta del corpo di Kjelle: la testa, ma l’altra donna frappose la spada.
               “Credi di dover avere tutto, che noi siamo solo i poveri stronzi che devono servirti!”
               “Getterò il tuo cadavere nello scolo!”
               Fendente, stoccata, parata e finta, provarono tutto. Kjelle per pochi attimi afferrò la spada di Severa con la sinistra, stringendo i denti mentre il sottile acciaio del guanto lamellare si piegava sotto la lama. L’avversaria non esitò un attimo e le sferrò un pugno in faccia, facendole perdere la presa eparecchio sangue dal naso. Ma Kjelle deviò con fatica la seguente falciata al suo viso e lo scontro continuò.
               “Sono io la migliore spadaccina del castello, Kjelle” disse Severa calma, sorridendo malignamente. Non era più agitata, la calma era fondamentale per combattere. E sapeva di avere l’avversaria in pugno.
               “Zitta! Mi hai sempre battuta nel cortile, ma questa volta si uccide davvero. Sono più forte di te!”
               Severa parò il colpo di Kjelle e lo tenne alto, tentando di far scivolare la sua lama fino al viso dell’altra ma quella tenne le due lame ferme, e si disimpegnarono per il prossimo scontro.
               “L’armatura ti rallenta. Senza elmo non vale nulla.”
               “Zitta stronza! Ti farò vedere chi è la migliore!”
               Il suo fendente venne deviato sulla punta e con un unico sciolto movimento Severa le piantò la spada in gola.
               “Devo indovinare?”
               “Opporca l’hai ammazzata!”
               Il cadavere della ragazza crollò al suolo nel clangore del metallo, spargendo una pozza di sangue su tutto il pavimento.
               “Argh, già era sporco. Ora non hai più il coraggio di dire che non sai scegliere tra me e lei, vero?”
               No, non ce l’avevo.
 
I nani erano alla cava di gemme preziose, e fumavano l’erbapipa.
               “Fa caldo” Coro d’assenso da parte degli altri.
               “E’ l’Estate.”
               “Oh, finalmente una buona notizia.”
               “Perché, ne abbiamo avuta qualcuna cattiva di questi tempi?” Si guardarono perplessi, e giudicarono che no, non ne avevano avute.
               “Voglio mangiare le pesche.”
               “Alza il culo e prenditele quando passiamo vicino al campo.” Tutti giudicarono quest’affermazione del capofamiglia molto saggia, tranne quello che le aveva chieste.
               “Che ne pensate di quella ragazzina, Cynthianeve?”
               “E’ una brava figliola.”
               “Molto servizievole.”
               “E’ tutta morbida!” Fissarono stupiti Minchiolo “E’ che l’ho palpata un po’ mentre dormiva…” si giustificò quello “Ma giusto un poco…”
               Il capofamiglia scosse la testa e disse: “Povera ragazza, chissà cosa deve aver fatto per incorrere nelle ire dell’autore. Eppure sembra così perbene. Un vero mistero.” Tutti annuirono. Annuivano sempre quando lui si esprimeva, era molto saggio.
               “Su, torniamo a casa: abbiamo lavorato abbastanza” Tutti furono d’accordo.
 
“Abbiamo inserito gli spargimenti di sangue nel rifacimento di una vecchia fiaba per bambini. Mica siamo la Disney.”
               “Zitto, che mi secchi” Severa non era dell’umore adatto per scherzare. Prima aveva dovuto levare l’armatura al cadavere di Kjelle, poi l’aveva arrotolato in una coperta pesante. Cioè dopo essersi girata mezzo castello fino ai magazzini, aver preso una coperta ed essere tornata. Poi si era messa un mantello scuro, per coprirsi il volto. Altro viaggio scazzato per andare a prenderlo fino in camera sua e ritorno. Aveva portato il cadavere fino al canale di scolo del castello, e come promesso là l’aveva gettato, senza un rimorso. Tornata aveva dovuto occuparsi dell’armatura: lavata e smontata, aveva sparso i pezzi per tutta l’armeria, sperando di non farsi vedere da nessuno. Poi si era data una lavata e cambiata, poi aveva bestemmiato per essersi resa conto che doveva ancora pulire il pavimento dal sangue e che si sarebbe sporcata, ed eccola qui china a passare uno straccio insanguinato sulle pietre.
               “Ti darei una mano, ma sono uno specchio.”
               “Taci.”
               “Accovacciata stai rivolgendo il tuo culo verso di me.”
               “Imbecille” Ma non si prese la briga di spostarsi.
               Non sapevo che dire, in realtà. L’avevo vista uccidere poche ore fa Kjelle, e non sapevo come reagire: da un lato non me ne importava molto, ma dall’altro mi chiedevo fino a che punto sarebbe potuta arrivare questa parodia.
               “FATTO” disse Severa. Altra camminata di soppiatto per svuotare il secchio rosso, altra lavata, altro cambio. Alla fine di tutto tornò a sedersi soddisfatta sul tro-
               “Che ca- ah, sì, il sacco” Severa si era seduta sul sacco con il cuore, e lo prese per guardarlo meglio. Diede una lunga occhiata dentro con fare esperto, poi disse: “Boh.”
               “E’ il cuore di Cynthianeve?”
               “Non ne ho idea. Mica so riconoscere i cuori, non sono una cacciatrice.” Diede un’altra occhiata al cuore secco e lievemente schiacciato per essercisi seduta sopra: “Non lo so. Tu lo sapresti riconoscere?”
               “Sono un mago nero di enorme potere.”
               “Qundi?”
               “No.”
               “Potrebbe anche avermi rifilato una patacca.”
               “Beh, tu hai provato a pagarla con un biscotto e poi l’hai uccisa.”
               “Silenzio, non ho chiesto la tua opinione in merito” Il suo viso si piegò scocciato e gettò il sacco in un angolo “Mah, passiamo ad altro: festeggiamo! La torta l’ho fatta preparare qualche giorno fa, quindi ormai sarà stantia, però…”
               Dubbioso, le chiesi: “Non vuoi essere certa che sia morta?”
               “Beh, mi piacerebbe.”
               “Allora usami, no?”
               Silenzio “… Aspetta, funzioni anche così?”
               “Perché, cosa credevi che facessi?”
               “Pensavo che ti limitassi a trasmettere tutti i canali, compreso il satellitare.”
               “COSA?! E per quale motivo ero fondamentale per la sicurezza dei tuoi piani?!”
               “Beh, nel caso fossi finita nelle segrete ti avrei tenuto come compagno di stanza ed abrei potuto passare il tempo” rispose lei con semplicità.
               “PASSIAMO SUBITO QUESTO PEZZO! STAIMO PERDENDO CREDIBILITA’! SENTO I LETTORI CHE CI MANDANO A CAGARE E CLICCANO LA X IN ALTO!”
               “Calmati, non c’è bisogno di urlare” mi disse irritata.
               “Non pretendere ora di poter interpretare quella calma e ragionevole, eh!”
               Comunque, Severa si alzò ancora dolorante per tutta la fatica di occultare il cadavere di Kjelle e fare giri, e si avvicinò a me. Sfiorò delicatamente il vetro con la punta delle dita “Come si fa?”
               “Conosci la formula?”
               “Così in basso dobbiamo cadere?”
               “E’ una parodia di Biancaneve, ringrazia che qualche animale del bosco non abbia ancora tentano di ingropparti piuttosto.”
Sospirò e disse: “Specchio, specchio delle mie brame, mostrami quella puttana gravida di Cynthianeve, dimmi dov’è!”
               Lo specchio, ovvero io, le mostrò che era circondata da uomini.
               “Impossibile.”
               “Davvero, se è nell’immagine allora sta accadendo.”
               “Però, neanche due giorni fuori dal castello e già si dà alla pazza gioia?” Ma guardò meglio,  e vide che quegli uomini erano seduti a tavola, mentre Cynthianeve lo serviva sconsolata. Poi spazzava mentre loro mangiavano. Poi sparecchiava e lavava i piatti. Poi faceva la pedicure ad uno. Poi…
               “E mo’ basta, sono ore che la spii!”
               “Silenzio, non mi divertivo così tanto da quella volta in cui quel coniglietto al bioparco le cagò sul vestito. Brava vacca, soffri!” Ridacchiò “Bene, dunque tutto è… E’ VIVA PORCA PUTTANA!!”
               “Mi chiedevo quando te ne saresti accorta.”
               “Quell’ulteriore vacca di Kjelle mi ha mentito! Mi ha fregata! Mi ha tradita!” era rossa in viso, inferocita “Sono contenta di aver spedito il suo cadavere in una fogna senza nome!”
               “Guarda che le fogne del castello ce l’hanno un nome.”
               Ridiede la sua attenzione alle immagini “Ma io quel posto lo conosco: è la catapecchia del vecchio custode della foresta. Ormai è morto da anni. Devono esserci andati a vivere quei tipi… che sono nani, non uomini, ora che guardo meglio.”
               “La terminologia è sempre stata poco precisa nel definire la razza umana.”
               “Devono essere abusivi: la politica Ylissea è chiara al riguardo, alle razze sub-umane non è permesso possedere oggetti.”
               “Già il fatto di chiamarle sub-umane…”
               “Zitto, è la legge reale. Quei nani devono essersi nascosti lì per poter vivere al di sopra di quanto meritino. Eh eh, ora faccio una soffiata e mando lì le guardie reali: sarà uno scandalo trovare la regina che fa le pulizie a dei nani criminali!”
               “Certo, la sua fama verrà distrutta, ma tu poi perderai la testa quando lei ti farà giustiziare.”
               “Ah già. Mi piace la mia testa.”
               “Piace anche a me, quindi tienitela sulle spalle.”
               “Devo mandare lì qualcuno a finirla, ora che è vulnerabile ed in balia delle faccende di casa” Rabbrividì “Brh, faccende di casa.”
               “Ci andrai tu travestita da vecchia befana con una mela avvelenata?”
               “No, che ti sei pippato per avere un’idea del genere?” Scosse il capo “Ho bisogno però di qualcuno di fiducia e brutto per interpretare la parte. Di fiducia ho solo me stessa e te.”
               “Grazie per avermi inserito.”
               “Quindi dovrò arrangiarmi solo col brutto. Uhm, Cynthianeve è la vittima, Kjelle è morta… Noire ha delle tette troppo grosse per poter essere considerata brutta da voi porci del pubblico maschile…”
               “E questa da dove è uscita?”
               “Non ne ho idea, l’autore è convinto che facesse ridere. Dà fastido anche a me che l’ho dovuta dire” disse perplessa “Comunque... Ci sono! Nah!”
               “E’ rimasta solo lei.”
               “Ma è morta tre anni fa investita da un guidatore di carri in stato d’ebbrezza, quindi no.”
               “Facciamo anche morale sociale, visto? Non bevete se dovete guidare.”
               “Quindi, quindi… cazzo, dovrò andarci io.”
 
Il giorno dopo i nani erano andati di nuovo a lavorare, ergh, e Cynthianeve stava spazzando la veranda. Ad un’occhiata esterna poteva sembrare che avesse accettato il suo tristo destino di servilismo e pulizia domestica, ma la verità era che stava bestemmiando mentalmente in ogni lingua che conosceva. Cioè una, dato che dopo la morte dei genitori nessuno si era preoccupato della sua educazione. All’improvviso un musetto grazioso si sporse da sotto un albero vicino, verso di lei.
               “Ma che carino, un bambi!” Gli occhi della regina si illuminarono “Vieni qui piccolo, che ti coccolo.”
               Il bambi, turbato dalle avance sessuali di quella sconosciuta, decise di darsela a gambe levate e fuggire a piangere dal padre.
               “No, vieni qui, non sono come mia madre io!” Ma fu tutto inutile, e Cynthianeve ancor più demoralizzata rimase sola.
               Si guardò attorno, decisa a non lavorare e trovare una distrazione, ma la foresta era deserta. Si mise a fissare la sua scopa con odio, ma all’improvviso udì delle urla rabbiose, inframezzate da parolacce e bestemmie. La voce sconosciuta, femminile, era rauca, forse camuffata, ma la principessa era troppo stupida per rendersi conto dell’inganno. Corse oltre i cespugli da cui proveniva e vi trovò una persona ammantata in un mantello nero che lottava con il bambi di prima. L’animale provò a girarle attorno per zomparle sulle spalle ma quella gli afferrò una zampa e la torse. Si udì un violento scricchiolio di ossa e l’animale lanciò uno strillo di dolore. Venne atterrato e con rapidità la tizia ammantata estrasse una daga e lo sgozzò in una fontana di sangue.
Zuppa, pulì con calma la lama sul pelo del bambi e la rinfoderò, quindi si volse verso Cynthianeve. Attimi di silenzio imbarazzato.
“Ehr… Ciao” disse la figura incappucciata.
“Ciao.”
“Bella giornata, vero?”
“Sì.”
“Se solo tutti questi animaletti del bosco se ne stessero tranquilli…” e per sdrammatizzare ridacchiò, sembrando solamente più pericolosa, tutta sporca di sangue.
Cynthianeve disse a disagio: “Allora, bel tempo per passeggiare nella foresta.”
“Oh, sì.”
Il silenzio imbarazzato tornò, più di prima. La principessa non sapeva molto bene cosa dire ad una tizia incappucciata incontrata nella foresta mentre atterrava bambi pucciosi “Perché siete così ammantata?”
“Oh!” l’altra sussultò, per iniziare a parlare con maggior sicurezza: “Una vecchina come me ha bisogno di coprirsi quando esce.”
“Ma perché avete solo gli occhi visibili?”
La vecchina rise piano: “Giovincella, per me sono passati i bei tempi in cui mostravo il viso ai giovanotti. Ormai a nessuno importa di una vecchia azzimata.”
Mostrare il viso ai giovanotti? Pensò Cynthianeve, per quale misterioso motivo? Comunque, decise che poteva anche tornarsene nella baracca dei nani, aveva delle faccende da sbrigare.
Mentre si voltava e andava via, la vecchia le disse: “Ma come, non volete offrirmi una tinozza in cui sciacquare me ed i vestiti?”
Offrire ospitalità? La principessa era estranea a questo concetto. Non capiva davvero il suo scopo “Una tinozza?” chiese perplessa “E magari anche qualcosa di caldo da bere per riscaldarsi?”
“Perché no, accetto volentieri.”
La principessa fremette di rabbia malcelata: come osava quella vecchia metterle in bocca  parole non sue? Ora voleva anche da bere, come se la sua gentilissima ospitalità non bastasse? Dannati plebei, gli offri una mano e quelli si prendono pure l’anello d’oro con un’ametista grande come un’oliva che porti al dito. Anche se al momento tutti i suoi gioielli erano al castello. Era un esempio figurativo!
Costretta a lavare pure una vecchia, Cynthianeve aveva voglia di bestemmiare, ma non lo avrebbe fatto: mica era come quella bifolca di Severa. Le due donne entrarono in casa e la vecchia si accomodò in cucina, senza curarsi del fiume di sangue che si stava lasciando dietro. La principessa non se ne accorse poiché aveva passato tutto il giorno di ieri a pulire, ma la sua mente si era inceppata e non connetteva che avrebbe dovuto sgobbare di nuovo. Si era inceppata dall’età di otto anni. Padellata in testa da parte di Severa, non chiedete.
“Che bella cucina” si limitò a dire la vecchia mentre poggiava il suo culo insanguinato su una sedia del tavolo.
Ma guarda, mi riempie di ovvietà, come se non ci fossero già abbastanza cose che attentano alla mia sanità mentale, pensò Cynthianeve “Cosa volete nel vosto tè?” chiese.
“Due zollette di zucchero, grazie.”
La ragazza indicò un ripiano: “Lo zucchero.”
Le due stettero parecchio a fissarsi a vicenda nelle palle degli occhi.
“ … Allora? Questo tè?”
“Mbhé?”
“Il tè. Con lo zucchero.”
“Sì, e allora?”
“Ci sarebbe anche il bagno…” aggiunse perplessa la vecchia incappucciata.
               “Ah, giusto! Nello sgabuzzino c’è la tinozza, prima porta a destra nell’ingresso.”
               Ulteriore fissarsi a vicenda nelle palle degli occhi.
               L’ospite si stava seccando e chiese irritata: “Non vi date una mossa? Preparatemeli!”
               La principessa sorrise radiosa: “Quanto umorismo nonnina, siete ancora arzilla, eh?” Rise “Dovreste provare a Colorado, io lo guardo tutti i sabato pomeriggio, lo trovo molto divertente.”
               Il fissarsi a vicenda nelle palle degli occhi si intensificò.
               “Aspetta, mi state dicendo che DAVVERO devo preparare tutto io?”
               La vecchia annuì “Così funziona.”
               “Ma, ma… Questa ospitalità è una fregatura!” urlò Cynthianeve “Vi lavate con la MIA acqua, bevete il MIO tè, impuzzolite il MIO tetto e devo anche servirvi come qualsiasi puttana che fa la cameriera?! Chi cazzo l’ha inventata l’ospitalità!” Prese un mattarello e l’agitò con violenza “Fuori di qui! Non sgobberò per nessuna vecchia dal culo raggrinzito! Fuori!”
               Il mattarello sbatteva contro ogni superfice della cucina e la vecchia decise che era arrivato il momento di seguire con dignità il consiglio della ragazza. Alzò il culo e prese a correre verso l’uscita, tallonata da Cynthianeve che urlava contro l’ospitalità e menava fendenti a caso. Perlomeno in casa non c’era nulla da distruggere.
               “E non osate mai più farvi rivedere!” urlò la principessa mentre la sua ospite correva fuori “Ingrata!”
               “Sei una stronza del cazzo!” fu la pacata risposta. Al sicuro fuori dalla casa, disse acidamente : “Ed io che volevo regalarvi una cosa!”
               “Uh?” l’attenzione di Cynthianeve si alzò: regali! Ecco cosa si confaceva al suo rango.
               “Ero venuta qui” disse la vecchia rimettendo in ordine il mantello che nella foga si era spiegazzato e spostato “perché avevo udito dai miei uccellini canterini che una bellissima fanciulla si era stabilita nella foresta.”
               “Aspetta, tu parli con gli uccelli?” Sua madre le aveva insegnato che non ci si doveva mai fidare delle donne che parlavano con gli uccelli, persino meno delle cameriere. Però aveva anche lodato la sua bellezza: forse poteva darle il beneficio del dubbio.
               “Sì, i miei uccellini messaggeri: sono una maga dei boschi, e loro mi comunicano tutto quello che accade di bello nella foresta.” Erano passate dal “tu” al “voi” senza rifletterci. Suppongo che provare ad ammazzare qualcuno con un mattarello lo renda più intimo.
               “Non puoi davvero pensare che ti crederò.”
               “Spoiler: alla fine ti regalo un biscotto.”
               “Dimmi tutto, tizia-maga dei boschi che parla con gli uccelli.”
               “Mi tengo informata su tutto ciò che accade di bello perché amo ricompensare chi se lo merita. E tu, mia cara, sei una bellissima fanciulla che è venuta a rallegrare questa foresta con la tua avvenenza. Ciò merita un premio.”
               La maga continuava a lodare la sua bellezza, e questo le faceva guadagnare punti.
               “Quindi?”
               “Tieni” e le diede un biscotto.
               “Yay, un biscotto!” disse felice Cynthianeve, e lo addentò.
               “Ah, sgualdrina gravida, ho vinto!” La vecchia si levò di colpo il mantello: era Severa! Non camuffava più la voce, ed aveva un ghigno feroce e soddisfatto.
               “Severa?”
               “Sì, sono io!”
               “Perché tutta questa messinscena?”
               “Il biscotto era avvelenato!”
               Cynthianeve gemette scioccata: “No! Non è possibile!”
               “Invece sì! Di un veleno mortale! Finalmente ti ho uccisa, e te lo rivelo adesso per poterti guardare in faccia mentre realizzi che ti restano pochi minuti di vita! Mi godrò il tuo orrore impotente!”
               “Ma, ma…” lo shock sul viso della principessa fu sostituito dalla rabbia “Ti porterò con me!”
               Scattò verso Severa per sferrarle un pugno, ma quella incassò sulla difensiva, le afferrò il polso e la spedì di testa contro un albero. Intontita dalla botta, rimase in terra a gemere.
               “Ah, questo ci voleva” disse Severa.
               Si udirono dei canti in lontananza, roba funky di fine anni ottanta. Ben ritmata, devo dire.
               “Chi?”
               Sbucarono dalla foresta i nani, e rimasero scioccati davanti alla vista di Cynthianeve a terra “Ragazzi, prendetela!” urlò il capo indicando Severa.
               “Cazzo, ho portato solo un coltello per camuffarmi bene” E Severa prese a correre inseguita da cinque nani.
               “Cynthianeve!” gemette il capo andando a controllare lo stato della ragazza “Cosa ti ha fatto?” Era quasi in lacrime, mentre accanto Minchiolo singhiozzava a dirotto “Perché è successo questo? Perché? Eravamo così felici, tutto andava bene!” Piansero a dirotto, poi all’improvviso il capo nano si ricordò di una cosa: “Minchiolo, trasportiamo il corpo a letto, conosco una pozione per salvarla! Lo so perché anni fa un’elfa dai grandi seni mi salvò da morte certa con le sue Pozioni Elfiche della Salvezza! Abbiamo una speranza!”
 
Severa correva a perdifiato nella foresta, inseguita dai cinque nani furiosi, decisi a farle pagare per ciò che aveva fatto alla loro amica. Si inseguivano da molto e tutti erano stanchi ed i loro animi erano macchiati da emozioni violente. Dalla foresta non sarebbero usciti tutti vivi. Uno dei nani aveva quasi raggiunto la loro preda, ed ino scatto raccolse da terra un sasso e glielo lanciò contro. Severa sentì il rumore e si abbassò, fermandosi. Il nano in corsa fu colto di sorpresa e le finì contro. Il pugnale gli finì nel braccio. Venne gettato agonizzante contro il secondo più vicino e la ragazza riprese la corsa, mentre i nani comprendevano l’accaduto e le urlavano contro minacce. L’inseguimento continuò, i cacciatori con l’animo nero.
               Vorrei davvero poter tirare fuori una bella storia da questo inseguimento, cari lettori, ma la realtà è spesso meno accattivante della poesia: i nani era tozzi e dalle game corte, e semplicemente Severa li seminò. Niente scontri ulteriori, nessun duello all’ultimo sangue. I nani la persero di vista e tornarono indietro, trasportando il ferito che sarebbe sopravvissuto.
 
Quando rividi Severa in prima persona, quella notte, era scarmigliata, spettinata e sudata, senza contare le chiazze di sangue sparso che erano filtrate dal mantello. Si gettò sul trono e si mise ad ansimare, riprendendo fiato.
               “Perché non ti sei rilassata in città?” chiesi.
               “E se mi avessero vista sopra di sangue?” Legittimo.
               Le lasciai il tempo di riprendersi. Dopo un po’ riprese colorito, si mise comoda sul trono e parlò: “E’ morta” Aveva un sorriso soddisfatto “Finalmente non mi seccherà più.”
               “Brava, l’hai uccisa perché ti seccava.”
               “Oh, sta zitto. Ci odiavamo, eravamo nemiche. Una di noi due doveva morire. Punto. Tremo al solo pensiero di qualche sceneggiatore pigro e buonista che ci faccia riappacificare in qualche maniera stupida e zuccherosa.”
               Non commentai.
               “Ora, devo farmi un bagno. E poi mi godrò i funerali.”
               “Buon per te.”
               “Non mi resta che ucciderti.”
               “Ovviamente, devi eliminare tutti i testimoni” Riflettei. Attentamente “Cosa?!”
               Severa sembrava quasi dispiaciuta “Beh, sì, devo ucciderti.”
               “Non te lo permetterò!”
               “Oh, certo. Uno specchio come te dev’essere molto temibile ”Venne verso di me, afferrando la solita bottiglia di vino “Questa volta andrò fino in fondo.” CRASH!!
Lo specchio si frantumò in mille pezzi al contatto violento con la bottiglia. Finalmente ero libero. Una nuvole nera si liberò dall’oggetto rotto e si condensò, fino a darmi nuovamente una forma fisica dopo tanto tempo “Sono tornato!” ghignai.
               “Oh.”
               “Sì, Severa, ed indovina ora cosa farò, io, mago nero d’altissima potenza liberato dopo tanti anni?”
 
La Pozione Elfica della Salvezza non aveva funzionato sino alla fine. Per fortuna, il veleno utilizzato da Severa era troppo potente, e Cynthianeve rimase sospesa in un coma profondo.
               “Almeno le abbiamo salvato la vita” singhiozzò uno dei nani.
               Per preservarla l’avevano rinchiusa in un blocco di cristallo, estratto di fresco dalla miniera. I nani non ricordavano un altro giorno in cui avevano lavorato così tanto. Avevano piazzato il blocco nella radura più grande della foresta, perché tutti i suoi abitanti venissero a piangere la sua scomparsa. Cervi, conigli, uccellini, molti animali erano venuti. La radura era colma e tutti stavano a guardare in modo triste la bara di cristallo.
               “Perché, Cynthianeve, perché?” continuava a chiedersi il capo, mentre Minchiolo non aveva neppure la forza di parlare. Poteva solo piangere.
               In muta contemplazione gli altri, nessuno aveva lo spirito per argomentare un discorso di commiato, dunque il funerale era una veglia malinconica. Finché un raggio di sole non trapassò le nubi ingrigite per l’occasione, e da dietro l’orizzonte sbucò un uomo a cavallo di una viverna. Gli animali si agitarono sopresi, i nani erano disorientati. La viverna si fece largo tra la folla, ed arrivata alla bara l’uomo smontò.
               “E’ questa la bellissima fanciulla, forse una principessa dal destino crudele e avverso, caduta avvelenata per mano di una tizia-maga dei boschi che parla con gli uccelli?” chiese solenne.
               “Sì” gli rispose il capo dei nani “Ma ormai non c’è più nulla da fare. Non ti chiederò come sia possibile che tu sappia dell’accaduto, non ho intenzione di rovinare la sacralità del momento.”
               “E’ un vero peccato. Ero venuto fin qui a cavallo della mia fedele Minerva nella speranza di poter fare qualcosa. Ed invece… ” Il suo viso si contrasse in una smorfia di dolore.
“Un attimo!” esclamò Minchiolo “Tu sei un principe!”
“Sì, l’ho detto.”
“Baciala! I baci dei principi salvano sempre le principesse!”
               La novità fece il giro di tutta la radura, con speranza ed eccitazione. C’era una speranza! Non ci potevano credere, eppure era vero! Il mestiere dei principi era salvare le principesse, ed un principe era arrivato a salvare la giornata!
Il principe si avvicinò alla bara di cristallo, e tutti gli altri gli fecero spazio, per lasciargli operare la sua magia. Accarezzò il cristallo, la figura di Cynthianeve immutabile dentro di esso. E rimase perplesso “Ehi, ma come fa a respirare lì dentro?”
               Il silenzio cadde sui presenti.
 
“Oh, Severa…”
               Eravamo avvinghiati nel letto, nudi.
               “Approvo particolarmente la piega che ha preso la situazione.”
               “Amore” mi disse Severa “Invece di sprecare la tua bocca per parlare, perché non la usi per… ohhhhhhh…
 
              
  
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