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Autore: looking_for_Alaska    04/07/2014    0 recensioni
Anno 3025, stato di Alagar. Rebel ha ormai sedici anni e la società la obbliga a scegliere tra due lavori possibili : essere un ufficiale dell'Esercito, che ha lo scopo di annientare tutti i maschi esistenti, oppure rifornirlo. Un giorno però incontra un ragazzo che le chiederà di entrare a far parte della Resistenza. Seguirà il suo cuore, anche se così facendo farà soffrire tutti quelli che ama?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Furry, Triangolo
Capitoli:
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Mi alzo dalla sedia, mi sistemo la maglietta. Faccio un respiro profondo. Va tutto bene Rebel, mi dico. È solo un giorno come gli altri. Un altro giorno in quella scuola, con ragazzi messi all'angolo e picchiati da ragazze truccate e perfette. Siamo nel 3025. Vivo ad Alagar. Le femmine regnano e i maschi vengono disprezzati. Abbiamo sviluppato un sistema che fa in modo che le donne possano riprodursi senza uomini. Se nasce un figlio maschio, viene chiamato Reietto e abbandonato, la madre viene torturata. I ragazzi vanno normalmente a scuola con le ragazze, ma sono soggetti a bullismo di vario tipo da esse. Prima che ve lo domandiate, alcuni ragazzi stanno nella scuola per pulire e non sono dotati di istruzione. Il loro scopo è di essere picchiati quando noi donne lo riteniamo giusto. Per quanto possa sembrare terribile, ci si abitua. Sono quasi 300 anni che le donne hanno deciso di sterminare gli uomini e nessuno ha potuto contrastarle. Studiamo o per entrare a far parte dell'Esercito, oppure quelle delle famiglie più povere per rifornirlo. I maschi non ci devono essere. È una guerra tra i sessi, e le femmine sono in netta maggioranza. << Rebel! >> l'urlo di mia sorella mi riporta alla realtà. Entra nella mia stanza ruggendo e sbatte la porta. In mano tiene la sua maglietta, quella che avevo sporcato di Nutella. << Mi spieghi come mai la mia maglietta era nel tuo armadio? Sporca di Nutella? >> urla. Io scrollo le spalle e trattengo una risata. Vera ha tre anni più di me, ha dei capelli castano chiaro tagliati corti e due sottili occhi blu. Non ci assomigliamo molto. Io ho gli occhi azzurro ghiaccio e lunghi capelli castano scuro lievemente mossi, arrivo a malapena al metro e sessanta e amo leggere. Lei invece è alta e l'unica cosa che le interessa è uscire con le sue amiche e provarci con Katy, la ragazza che le piace. << Oggi uscirò con Katy, te ne rendi conto? E tu mi hai sporcato la mia maglietta preferita! >>. Sbuffo. << Non farla tanto lunga, non ti é mai interessata granché quella maglia, soprattutto perchè a te il verde non piace >>. Vera soppesa la maglia e studia il colore. << Bè.. Ma a Katy sì; quindi, dovevo metterla. Ora cosa posso fare? >>. << Ti presto una delle mie? >> tento. Mi guarda in modo cinico e sbuffa. << Chiederò alla mamma se ne ha una. E dopo facciamo i conti! >>. E se ne va sbattendo la porta, di nuovo. Sospiro. Quante storie solo per un vestito. Apro la porta e scendo giù in cucina dove trovo mia madre Lana che discute con sua moglie Elizabeth. Mia mamma, da sempre innamorata di lei, ha avuto il coraggio di dichiararsi solo due anni fa. Allora si sono sposate, e adesso vivono insieme nella nostra vecchia casa. << Non puoi usare quella padella per le uova, Beth >> sta dicendo mamma. << Sì, invece; posso benissimo e lo sai! >>. Vado verso il frigo e tiro fuori una mela. Nel portarmela alla bocca, mia mamma si gira e grida << No ferma! Stasera vengono a trovarci i nostri cugini canadesi, e sono tutti vegetariani >> inizia. << E per ora l'unica cosa senza carne che abbiamo è proprio quella mela >> continua Beth. Guardo il frutto e indico le uova. << In quelle non c'è carne >>. Mia madre sbuffa platealmente. << Gliele daremmo da mangiare, se non odiassero le uova! >>. Riconsegno il frutto senza ribattere. Possibile che non si possa mangiare neanche una mela? << Rebel tesoro, aspetta. Devo dirti una cosa >> mamma mi ferma posandomi una mano sul braccio. Mi giro e la guardo interrogativa. << Hai sedici anni, e domani è il giorno del tuo diploma >>. Mi prende per mano e mi fa sedere al tavolo, seguita da Beth. << Hai deciso cosa fare dopo la scuola? >>. Sospiro. Abbiamo affrontato questo discorso troppe volte. << Pensavo di lavorare per rifornire l'esercito.. >> provo a dire ma Beth mi ferma con un gesto stizzito. << Tu non sei una poveraccia Bel. Non rifornirai nessuno, bensì sarai in prima linea. E non ribattere >>. Mia madre guarda la sua partner con un'espressione esasperata. << Beth per favore >> dice, poi si rivolge a me, << l'ha detto in malo modo, ma il succo è quello >>. Le fisso, senza dir nulla. Non voglio uccidere nessuno, possibile che non lo capiscano? Non ci trovo niente nell'uccidere dei maschi. È una cosa stupida. Ma non posso dirlo, non con queste idee che le persone hanno. << Sentite, io... >> inizio ma mia madre mi blocca. << Mi dispiace tanto, Bel, ma abbiamo già contattato il comandante dell'Esercito perché metta una buona parola per te quando entrerai. Non ti lasceremo marcire in una fabbrica >>. Annuisco, perché lottare contro di loro non mi porterà a niente. Mi alzo ed esco dalla casa. Appena sono fuori, inspiro fortemente. Batto le mani e una tavola da surf si ferma volando ai miei piedi. Si chiamano tavolette. Sono degli aggeggi simili a tavole da surf, solo più piccole. Invece di cavalcare l'acqua, si cavalca l'aria. Ci salgo sopra e quella fa uno scatto in alto. Allargo le braccia e la faccio salire a più di tre metri di altezza. Niente mi impedisce di cadere, a parte due manette fluorescenti attaccate con una catena blu alla tavoletta. Se dovessi scivolare, quelle si serrerebbero forte sui miei polsi e mi riporterebbero su. Faccio scattare il braccio in avanti e quella parte a razzo. Dieci minuti dopo, atterro dolcemente davanti alla scuola. Arriva una ragazza e mi da una pacca sulla spalla. << << Ehy, Reb >>. Sorrido sicura di me. << Ciao Jane >>. Arrivano altre sei ragazze, che mi salutano entusiaste. Jane è più meno il capo, dopo di me. Jane ha freddi occhi grigi e capelli biondo platino stretti in una crocchia. Odia i maschi più di qualsiasi altra cosa. Non ho mai osato dirle che per me è diverso. È fredda con tutti, tranne che con me. È la mia migliore amica. << Domani abbiamo il diploma; cosa farai dopo? >> mi chiede. Con Jane devi sempre stare attento a ciò che dici. È una persona crudele e usa tutti le armi che ha a disposizione per distruggerti se le sei nemico. E se sei suo amico... Cambia poco. << Pensavo di andare nell'Esercito, ovviamente >> se le avessi detto la verità non l'avrebbe mai accettata. Mi prende dolcemente la mano e la stringe forte. << Avrai un posto di rilievo, lo so già. Te lo meriti >>. << Anche tu >>. La verità però è che non lo meritava nessuna delle due. Tutto il male che avevamo fatto a quei poveri ragazzi non era un merito. O almeno non per me; per gli altri sì. Insieme entriamo nella scuola, e ognuna va nella propria classe. Io vado nella mia, "arte della guerra", e mi siedo. L'insegnante, la signora Maddy, é una donna sulla quarantina accompagnata sempre da un pugnale. << Allora oggi impareremo come parare un fendente. Allora, come tutti saprete l'arte del combattimento... >> e da qui perdo la concentrazione e inizio a pensare. Alla fine delle lezioni mi ritrovo con Jane e le altre fuori nel parcheggio. Jane mi sta raccontando di quanto sia noiosa la lezione di storia. << Cioè, cosa pensi che me ne freghi a me di quando gli uomini si credevano superiori alle donne. Dico, ma te la immagini una cosa simile? >> ripete Jane per la millesima volta. << No, mi sembra impossibile >> rispondo come da copione. Mi chiedono di uscire insieme, ma io rifiuto. Devo ancora scegliere cosa indossare domani, dico. Loro capiscono e se ne vanno. Jane mi lancia una lunga occhiata, e sembra quasi che mi scavi dentro. Poi sorride e raggiunge le altre. Mi inquieta sempre quando fa così. Scrollo le spalle e mi calmo. Prendo la tavoletta e ci salgo sopra, e volo fino a casa. Mia sorella è sulla porta di ingresso e mi guarda atterrare. << Oh bene, alla fine sei tornata >> dice freddamente. Annuisco e la sorpasso per entrare. Raggiungo mamma in salotto, dove trovo una marea di vestiti per terra, sul divano, sul tavolo e persino sulla tv. << Perché..? >>. Ma Beth mi precede. << Domani hai il diploma, ragazzina, e ti serve un vestito adatto >>. Guardo mia madre e lei annuisce. Poi si alza e mi viene incontro con tre vestiti tra le braccia. << Allora >> dice << questi sono i migliori che ho trovato >>. Me li passa e io ne butto un po' per per terra di quelli sul tavolo e ce li distendo sopra. Uno è nero, corto fino al ginocchio, con una gonna in tulle e il corsetto di raso. È sexy, ma non particolarmente bello o originale. Il secondo è rosa ed è di seta sottile, con lunghe maniche e una profonda scollatura. Nulla che non abbia già visto. Ma il terzo mi lascia a bocca aperta. Ha un'ampia gonna, fermata in fondo da un fiocco, il corsetto è brillantato e mette in evidenza la vita, mentre le sottili spalline sono messe in evidenza da due piccoli fiocchi. Ma la cosa più bella è che è blu. Si intona perfettamente ai miei occhi azzurro ghiaccio e sta bene anche con i miei capelli scuri. Avrei messo quello, senza dubbio. Mamma mi guarda e sorride compiaciuta. Lo solleva e ride. << Ora vai a fare i compiti >>. Mi sveglio il giorno dopo, venti minuti più tardi del solito. Oggi è il gran giorno. Sono emozionata, non so come funzionino queste cerimonie. Non è permesso assistere a chi non l'ha mai fatta. Mi accompagnerà Beth, e poi la mamma mi porterà davanti alla cattedra del preside. Mia mamma entra nella stanza facendo sbattere la porta contro il muro e io mi tiro su di scatto. << Alzati >> esclama << devi prepararti >>. Annuisco, e scendo dal letto. A passo strascicato mi dirigo verso il bagno e mi faccio la doccia, mi lavo i denti e la faccia e mi depilo. Beth entra nel bagno e mi prende la mano, studiandola. << Manicure >> dice soltanto, e apre un cassetto e tira fuori una limetta per le unghie e uno smalto blu chiaro. È un colore particolare, perfettamente intonato col mio vestito. Lo adoro. In due secondi mi lima e pittura le unghie, ordinandomi di non toccare assolutamente niente. Lei e mamma mi aiutano ad indossare il vestito, e Beth mi trucca. Amo come sa truccare Beth. Con l'ombretto mi fa una scia azzurrina, né pesante né troppo evidente. Con un blu scuro traccia il contorno degli occhi, poi mi mette dei brillantini sia sopra che tre sotto. << Tanto, tanto mascara >> dice tra sé, << hai ciglia lunghe e non ne avresti bisogno, ma con il mascara è permesso esagerare >>. Sorrido. Poi Beth prende un rossetto rosa, e me lo mette. Mamma invece mi prende i capelli e mi arriccia le ciocche davanti, e una bella manciata di quelli dietro, e me li annoda in uno chignon. Mi lascia alcune ciocche sotto sciolte, come se fossero dei riflessi. Li arriccia, e me li sistema. Il risultato é stupendo. Mi fisso allo specchio e rimango a bocca aperta. Sono bellissima. << Stupenda, mia cara >> sussurra la mamma asciugandosi una lacrima. Beth annuisce, più pragmatica. << Sì, può andare >>. Sorrido raggiante. Sono felice. Non vedo l'ora. Poi nella stanza entra Vera, e l'incanto si spezza. Si mette di fianco a me e si specchia. É vestita con una semplice camicia di flanella che mette in evidenza il seno, sotto un paio di jeans e decolleté alte nere. Semplice ma bellissima. Più bella di me. Distolgo lo sguardo e lei sorride compiaciuta. << Dai, andiamo >> dice mamma, e io la seguo sollevata fuori dalla stanza. Quando c'è Vera, l'atmosfera é sempre pesante. Mamma mi prende la mano e la stringe forte tre le sue. << La mia bambina >> sussurra con gli occhi lucidi. << Sono tua figlia anche io, eh >> esclama Vera andando al bagno. Mamma mi molla subito la mano e si volta dicendo << allora, prendi la giacca di pelle azzurra, quella appesa all'attaccapanni. Okay, ora chiamo Beth, -BETH!- e andiamo >>. Beth arriva immediatamente, guarda la mamma cinicamente e dice : << Lana, ti sembra il modo di sgolarsi? >>. Mia madre solleva un sopracciglio. << Precisamente. Dai, andiamo >>. Mi volto verso mia madre, e le tiro un polso prendendola da parte. Non voglio che Vera o Beth sentano. << Mamma, lei...verrà? >>. Ovviamente mi riferisco all'altro mio genitore. Il suo nome è Emma. L'altra mamma. Siccome siamo senza uomini, la seconda donna non si chiama seconda mamma o qualche altra cosa del genere. Si chiama gena. La gena è l'altro genitore dello stesso sesso di tua madre che ti ha generato. La mia gena é Emma Gray, che però se n'é andata quando avevo dieci anni. La mamma le aveva detto che amava Beth, ed Emma ha deciso di mollare tutto e andare via. E con "mollare tutto" intendo "mollare me". Mi manca. Non mi ha più cercata da allora. Ho bisogno di sapere che sta bene. La mamma mi accarezza una guancia teneramente, ma con uno sguardo malinconico. << Non lo so, tesoro... >>. Mi crollano le spalle. Speravo che almeno per la mia Cerimonia sarebbe venuta... Mamma mi sistema una ciocca di capelli, sospirando. << Mi dispiace >>. Poi sembra risvegliarsi; mi prende per mano e mi fa salire sulla navicella. Partiamo subito, senza aspettare Beth e Vera. Verranno dopo. La navicella si libra in aria che é una meraviglia. In dieci minuti siamo nel luogo dove si tiene la Cerimonia: una specie di palestra al chiuso, con un palco dove sono sistemate le luci. C'é tanta gente, e io vedo Jane tra la folla. Indossa un lungo vestito nero dalla gonna in tulle che va giù sottolineandole i fianchi. È senza spalline. È truccata di nero e i capelli quasi bianchi sono più tirati del solito. Solito chignon, solito sguardo freddo, solita Jane. Non posso andare da lei, abbiamo l'obbligo di stare vicino alla nostra famiglia. La gena di Jane, Sarah, le prende la mano e la stringe forte. Sul viso della mia amica passa un smorfia disgustata, che viene subito nascosta dal normale sguardo freddo e dal gelido sorriso calcolatore. Io e mia mamma vediamo arrivare Beth e Vera. Vera cammina sculettando, come se fosse lei a dover fare la Cerimonia, e non io. Mi tremano le mani, e mi abbraccio i fianchi. Ho paura. Jane mi vede e mi fa ciao con la mano. Sorrido e ricambio. Si vendicherebbe se non lo facessi. La preside sale sul palco, prende un oggetto nero e lo ingoia. Poi si schiarisce la voce e la sua voce si sente forte, precisa, in ogni angolo della sala. I microfoni sono perfetti, funzionano a meraviglia. Si tengono in bocca, loro si aprono tipo un apparecchio dai denti, e cambiano la voce. << Buongiorno e benvenuti! >> esclama allargando le braccia. Il pubblico applaude e urla. Sorride, fa un discorso che io non riesco ad ascoltare per la troppa agitazione. Chiama dei nomi, dei ragazzi salgono sul palco, comunicano il loro futuro lavoro e la loro ambizione, e se è possibile, ricevono una medaglia che li farà trovare quel tipo di lavoro. Dopo sei persone, sale Jane. Mia madre mi stringe così forte il braccio da farmi male. << Ricorda >> mi sussurra all'orecchio << tu vuoi essere comandante dell'esercito. Ti accontenteranno, ma devi dirlo >>. Annuisco. Devo farlo. Dopo altre quattro persone, chiamano me. Respiro profondamente e faccio dei passi in avanti. Dopo poco sono sul palco e la preside mi tende la mano. La stringo distrattamente. Scruto il pubblico, cercando la mia famiglia tra la folla, ma non li distinguo. Sono io che sono diversa o sono loro che sono tutti uguali? La preside mi chiede cosa desidero fare di lavoro e io chino la testa. Molta di questa gente pagherebbe anche solo per vederlo da lontano, l'esercito. Io pretendo di comandarlo. È giusto? No, non lo è. Ma la vita non è giusta. Alzo la testa di scatto e dico forte e chiaro << Voglio essere comandante dell'esercito >>. Il preside mi osserva, mi studia e io mi sento piccola sotto il suo sguardo, poi sorride e annuisce, sollevando una medaglia d'oro. << Mia cara, l'esercito ti aspetta >> e me la mette al collo. Il pubblico rimane in silenzio, poi lentamente si inginocchiano. Divento pallida. Si stanno inchinando. Si stanno inchinando a me. Scorgo Jane tra la folla. È l'ultima a piegarsi, e ha uno sguardo d'odio negli occhi. Ho sempre temuto quello sguardo. E stavolta è per me. Sposto lo sguardo e vedo Vera che china la testa con rabbia. Mia mamma sorride, Beth è seria. Non sembra felice. Chino la testa, ringrazio e scendo dal palco. Mia mamma mi raggiunge e mi abbraccia. << Bravissima >> sussurra. Beth viene verso di me. << Brava >> si congratula controvoglia. << La gente ora ti rispetta, e premierà il tuo coraggio e ti farà comandante >>. Guardo Vera, in disparte. Non sorride. Incrocia il mio sguardo, sogghigna e se ne va. Rabbrividisco. Credo che si vendicherà. Jane viene verso di me con un sorriso viscido che mi dà il voltastomaco. << Congratulazioni >> dice. Non cerca nemmeno di nascondere la falsità e la rabbia. Non è contenta, per niente. Lei ha avuto un semplice posto di soldato, io comandante. Questo vuol dire che sono superiore a lei a tutti gli effetti. Mi irrigidisco, perché ora capisco. Ho vinto. Ho vinto contro di lei. Mi abbraccia e mi sussurra all'orecchio << non é finita qui >>. E se ne va. Un ragazzino, l'unico maschio nella sala, sta pulendo per terra e lei con un gesto di stizza lo afferra per il colletto e lo butta a terra, prendendolo a calci. La gente mangia al buffet, beve. Non ci fa caso, è una cosa normale. Non infastidisce nessuno. Ma me sì. E vado verso di lei, la prendo per mano e la stacco da lui. << Lascialo >> sibilo. Jane mi fissa e mi dà un pugno alla spalla. << Ma da che parte stai? >> sbotta, urlando. Ha gli occhi lucidi, e io mi sento quasi male. Non l'ho mai vista piangere. Vedo la delusione in lei per non essere arrivata dove sono arrivata io. So cosa sta pensando. << Sei stata coraggiosa >> le sussurro, posandole una mano sulla guancia, ma lei la schiaffeggia e mi spinge via. Piange. sussurra e poi lo grida << MA NON ABBASTANZA! >>. Esce dalla sala a passo di marcia e non torna più. Il ragazzino, ancora a terra, si alza e scappa. La gente non fa caso a me, mi sento sola, piccola. Poi lo vedo. È appoggiato al muro, mi guarda. Ha corti capelli scuri, occhi profondi e grigio scuro, quasi neri. Ha una bandana militare legata in testa, una canotta attillata verde oliva e jeans. È bello, muscoloso, forse troppo. Mi inquieta. Soprattutto perché é un ragazzo sui diciotto anni, e nessun maschio sopravvive fino a quell'età. Mi sorride. Il suo sorriso è come una presa in giro, ma non riesco a distogliere lo sguardo. Mia madre mi afferra il braccio. << Rebel, stai bene? >>. Mi volto un secondo verso di lei e poi torno a guardare il ragazzo, ma lui è sparito. Sospiro. Forse non c'è mai stato. << Sì, certo >> rispondo e poi usciamo dalla sala. Alla nostra sinistra un bosco, a destra la strada che porta a casa. << Vuoi andare a casa? >> chiede premurosa la mamma. Sto per annuire quando vedo una canotta verde oliva scomparire tra gli alberi. << Solo un minuto >> dico senza guardarla e mi inoltro nel bosco, nel punto dove ho visto scomparire lui. Cammino, inciampo; é una sequenza infinita, finché una mano mi blocca il polso. Mi volto di scatto e lo trovo davanti a me. È molto alto, credo quasi un metro e novanta. Avevo ragione, è molto muscoloso, ed è bello. Ma i suoi occhi hanno qualcosa di particolare: sono molto scuri da sembrare neri, ma anche molto chiari per non esserlo. Questo tipo mi spaventa ma al tempo stesso mi attira. É strano. Non dovrebbe essere qui. Anzi, non dovrebbe proprio essere da nessuna parte. Non dovrebbe esistere. << Ciao >> mi dice, e la sua voce è così profonda che mi scuote nelle viscere. << Ciao >> sussurro così piano che credo che non mi abbia sentito. Sorride. Ha un sorriso sarcastico, da cattivo ragazzo. Ha dei bicipiti enormi. Si mette le mani in tasca. << Grazie per aver aiutato il bambino >> dice. Mi guardo intorno. Ho paura che qualcuno mi scopra. << Non l'ho fatto >>. Il ragazzo ride. << L'hai fatto eccome, invece >>. Segue una pausa. << Devi andare >> la sua voce adesso é tesa. Guarda verso il piazzale. Annuisco. Mi incammino verso la mia navicella, dove intravedo la mamma. << Ciao >> dico. << Ciao, Rebel >> risponde. Mi volto di scatto quando sento il suono del mio nome, ma lui é già scomparso.
   
 
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