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Autore: Gaber_Ricci    05/07/2014    0 recensioni
Si stava avviando verso la doccia fischiettando, con malcelata soddisfazione, I shot the sheriff, che suonò il telefono. Alzò la cornetta e qualcuno gli disse che Coleen era morta.
(ATTENZIONE: linguaggio forte)
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Matt volava di palazzo in palazzo, tenendosi aggrappato alla sua corda e tendendo l’orecchio per cogliere qualunque indizio la città che stava interrogando poteva dargli: ogni conversazione, ogni bestemmia, ogni lieve alterazione del battito cardiaco che rivelasse che una menzogna stava venendo detta. Tutto questo, per scovare e minacciare un uomo che, in altri tempi, avrebbe protetto ed aiutato.
Aveva fatto un tentativo con gli informatori: non era servito a niente, se non a far quasi venire un vecchio Al che se l’era visto comparire all’improvviso davanti a testa giù che penzolava da un palazzo, come se fosse l’Uomo Ragno. A tutti, aveva fatto la stessa domanda: “Non ti dirò cos’è accaduto, ma se lo sai, capirai. Hai idea di chi sia stato?”. Un cazzo di enigma, ma anni di selezione avevano fatto in modo che i suoi informatori comprendessero anche quando parlava come l’oracolo di Delfi: e tutti avevano scosso il capo, segno che a far visita non invitato a casa Hood era stato davvero un balordo qualsiasi, e non un raffinato scassinatore lautamente ricompensato da qualche avversario politico o economico (non che facesse grande differenza). Questo rendeva le cose più difficili: meglio. Più tempo avrebbe dovuto dedicare a quella ricerca (che, ovviamente, era importante perché Cox sapeva chi era lui, e perché era noto che Cox facesse parte della corte di Kingpin, e perché Kingpin già una volta… cazzate), meno ne avrebbe avuto per pensare ad altro. Quella notte, uscire fuori a svagarsi assumeva tutto un altro significato.
Niente alcol. Niente musica. E, per l’amore di Dio, niente donne. Doveva rimanere lucido. Il suo senso radar doveva funzionare al massimo delle sue possibilità. Doveva evitare come la peste incontri ravvicinati con qualsiasi donna volesse perseguire il fine paradossale di riscaldare il suo corpo levandogli di dosso i vestiti. Perché nella sua mente, l’unico posto dove ancora esistevano le immagini, avrebbero avuto, tutte, lo stesso volto: un volto che non aveva mai visto. Quello di Coleen.
Sei una contraddizione che cammina, Matt Murdock, si era ripetuto tutto il giorno; e che rischia di schiantarsi contro un palazzo, se non sta un poco più attento, aveva aggiunto, quando era giunto a tanto poco dall’andare a decorare con una bella macchia rossa il vetro di un grattacielo da far gridare di terrore un broker che faceva gli straordinari. Ti adorava ben oltre i tuoi meriti, sarebbe morta per te e senza dubbio l’avrebbe preferito al modo in cui è morta. L’hai rifiutata perché sei uno stronzo, ed ora, guardati (ah ah ah), penzoli in giro cercando di tenere lontano il fatto che a vent’anni è finita a fare compagnia a tuo padre, a Karen, ad Electra ed a tutti quelli che hanno avuto la sfortuna di amarti. E, oh, già!, c’è anche quell’altra piccola questione.
Quando l’aveva conosciuta, Coleen non aveva neppure due anni. Il muro di Berlino era appena caduto, e la neonata Russia sentiva il bisogno impellente di dimostrare che, in quanto a capacità commerciali, non andava seconda a nessuno, figurarsi agli odiati yankees. Il capitano di quella nave doveva essere un vero e proprio orgoglio, per i suoi compatrioti: era riuscito a strappare addirittura un terzo (gli altri due se li erano divisi, alla pari, i genitori e gli intermediari) dell’assegno da quattrocentomila dollari che taluni anonimi avevano staccato, nel segreto delle loro stanze, per aggiungere ai container stipati di viveri puzzolenti che portava sul ponte dell’altro carico, ben nascosto nella stiva, e per portarlo da Nachodka, attraverso il canale di Panama, a New York, nella patria dei liberi e dei forti. Dove lei arrivò, come tutti gli altri, ormai priva perfino di un nome. Non che questa fosse la mancanza più grave.
Era stato Devil, ad occuparsi per primo della questione. Aveva compreso ben presto, tuttavia, che non avrebbe potuto venirne a capo, senza ricorrere a Matt Murdock. Era stata una delle prime volte che aveva invertito il suo abituale modus operandi. Una delle prime volte che finì sui giornali col suo vero nome. Una delle prime volte che Kingpin ebbe modo di odiarlo, anche senza guardarlo attraverso la maschera: che un terzo di quattrocentomila dollari moltiplicato per ventiquattro bambini, capirete, fa schifosamente tanti soldi.
Fu anche una delle prime volte che, lavorando per la giustizia, finì per andare a sbattere contro la legge.
Madre Victoria, superiora di un gruppo di suore che condividevano con lei la missione di accudire orfani e l’appartenenza ad un ordine ambiguamente dedicato all’adorazione del Sacro Corpo di Nostro Signore, aveva deciso che il nome più adatto per quella bambina era Coleen; e lui aveva deciso che il cognome Murdock le sarebbe stato bene. Era stato allora che, all’improvviso, era comparso Bastian Myers.
Myers era la prova vivente che il denaro poteva comprare tutto, tranne una moglie fertile che non meritasse una visita dei suoi sicari prima di aver potuto scodellare fuori almeno un cazzo di bambino. Coleen era stata scaricata sulla banchina del molo con stampato in fronte, a fuoco vivo, il suo indirizzo, circostanza che Matt non aveva potuto riferire in tribunale, che l’ultimo che aveva avuto l’ardire di pronunciare il nome Myers in quelle sacre stanze aveva finito per lasciare questa Terra col cranio spappolato da una statua della Giustizia cieca tragicamente scivolata giù dal suo basamento (aveva del senso dell’umorismo, bisognava ammetterlo).
Il suo nome comparve sotto quello di Matt meno di una settimana prima della causa di affidamento. Un bel risparmio: qualcosa che sarebbe stato costretto a comprare, di nascosto, per ben quattrocentomila dollari, ora Myers poteva prenderselo, alla luce del sole, a costo zero, senza nemmeno quei pochi spiccioli che di solito servono per corrompere un giudice. Signore e signori, solo per voi qui stasera: in un angolo Matt Murdock, avvocato al suo primo incarico importante, figlio di un uomo dai trascorsi non limpidissimi, privo di relazioni sentimentali stabili, e per di più cieco. Dall’altra Bastian Myers: proprietario di tutto, comprese fabbriche che, alla bisogna, possono produrre mogli perfette (sia pure a scadenza) e fedine penali nuove di zecca per qualunque ascendente o discendente fino alla cinquantaduesima generazione. Ehi, guardate Myers: sta dicendo “Lo butto giù alla seconda ripresa!”. Predizione azzeccata: se Coleen aveva finito per crescere fino a diciassette anni con madre Victoria e le sue consorelle dal morboso interesse per il Corpo di Cristo, infatti, non era stato per l’insperato coraggio di un uomo di legge: no, era stato solo perché, quando Myers l’aveva presa in braccio per la prima volta, Coleen gli aveva sputato in faccia. Lui era lì, quel giorno. Non aveva mai rimpianto tanto di essere cieco.
Nulla sarebbe servito a lavare quell’insulto. Non il fatto che lei avesse due anni. Non che di anni ne fossero passati quindici. Neppure un cancro incurabile. Chiunque conoscesse Myers, anche solo di fama, avrebbe dunque sentito la sensazione dell’inganno che pervase loro due, quando il suo testamento venne aperto e Coleen dichiarata sua erede universale.
Doveva esserci qualcosa dietro, se non altro il desiderio di umiliare e far rodere il fegato a tutta quella banda di iene che gli si era fatta attorno sperando che il cancro che gli stava mangiando il pancreas gli mandasse in pappa anche il cervello. Ma quello era fin troppo facile, da fare, e poi perché proprio Coleen? Lo capirono, quando il vecchio notaio lesse l’ultima clausola: “Come unica condizione, pongo che lei debba portare il mio cognome”.
Matt la convinse ad accettare. Quel giorno, si rese conto di essere invecchiato, e di essere invecchiato male, e di quanto la sua innocenza lo abbagliasse. Fu per quello che rifiutò, ogni volta che lei glielo chiese: la prima volta, quella sera che ebbe il primo attacco.
Stavano studiando l’assetto societario di una delle grane che Myers le aveva lasciato insieme al suo cognome. Un coacervo talmente ben congeniato di pezzi di merda fumante ed angeli incapaci di sentirne la puzza (Matt riusciva quasi a vedere il malato terminale Myers che sghignazzava mentre architettava quella trappola), che gli era venuta voglia di proporre a Coleen di fare come Alessandro Magno col nodo di Gordio: vaffanculo, un colpo di spada e finita lì, rifondiamola da zero e chi se ne frega delle penali miliardarie e degli amici degli amici degli amici degli amici di Kingpin che potevano risentirsene. “Abbiamo accettato di farci carico dell’impero del male di Myers” disse, sfoderando tutta la sua retorica e ricorrendo codardamente alla prima persona plurale “proprio per tentare di cavarne qualcosa di buono e…”. Lei aveva emesso uno sbuffo tanto simile a quelli di disappunto che tirava fuori quando lui si lanciava in quei discorsi, da non allarmarlo minimamente. Il terrore l’aveva invaso quando aveva udito il suo cuore che impazziva e lo schianto quando si abbatté priva di sensi dalla sedia sul pavimento.
Il desiderio irrazionale di portarla all’ospedale più vicino volando di palazzo in palazzo quasi ebbe la meglio sulla sua usuale prudenza. Attese l’ambulanza consumandosi, contando le extrasistoli che facevano assomigliare il ritmo del suo cuore ad una danza tribale per gli dei della morte. Il sudore, tanto corposo da fargli sentire la testa pesante, gli aveva imperlato la fronte e le tempie.
“Diciotto anni fa” aveva esordito lei, alcune ore dopo, prima di fermarsi, forse per rimasticare le parole di quel dottore che si era appena allontanato. Era state tante, e grevi, e ponderate, ma di cui lui non riteneva che tre brani sanguinanti: “cuore”, “progressiva ed inarrestabile”, “non c’è cura”. Il resto, erano minime consolazioni per indorare la pillola: ma non poteva fregare lui, che aveva studiato alla stessa scuola, come si faceva a dire ad un cliente che c’era una condanna a morte sul suo capo.
Ma lei riprese: “Diciotto anni fa, avresti voluto fare di me Coleen Murdock. Lo vuoi ancora? Perché io sì, lo voglio”.
“Abbiamo quasi trent’anni di differenza, Coleen. Ed io sono cieco”.
“Due sgradevoli circostanze che non ti impediranno di venire al mio funerale”. La sua ironia, così inattesa, non l’aveva sorpreso abbastanza da dire sì. Era già abbastanza difficile dover accettare di dover perdere Coleen, l’ultimo brandello di entusiasmo ed onestà che gli era rimasto (Cox gli aveva già fatto recapitare un faldone di fotografie e l’invito a presentarsi da lui il più presto possibile). Perdere anche una moglie, e per di più prima di aver avuto il tempo di imparare ad amarla come tale, sarebbe stato troppo.
Continuò a proporglisi mentre peggiorava a vista d’occhio; reiterò la richiesta anche quando volle farsi aiutare a redigere il testamento. Dovette purtroppo spiegarle che, anche se madre Victoria probabilmente l’avrebbe fatto, bruciare banconote era un reato federale, e non poteva lasciare a nessuno quell’incombenza, che era puerile, ridicola ed insensata (che era Coleen). L’ultima volta, quasi un’implorazione, era stato il giorno in cui era morte. Forse aveva sperato che il tempo o la pietà avessero temperato il suo egoismo: si era sbagliata. Il modo in cui reagiva alla lettera contenuta in quella busta, unico oggetto del suo lascito indirizzato a lui (per fortuna), lo dimostrava, e…
Cristo santo. Per quanto tempo aveva cazzeggiato a trenta metri d’altezza, pensando a Coleen, le braccia che lo sostenevano per automatismo e non per sua volontà? Eccolo, il grande eroe che doveva rivoltare New York come un calzino, quella notte, incapace anche di capire dove cazzo fosse finito. Quante miglia aveva fatto? Come diavolo avrebbe fatto a tornare indietro, ora?
Si fermò a riflettere su un terrazzo vuoto. Pochi metri più in basso, sentiva un lieve ronzio elettrico, che si nascondeva in mezzo a quello, biologico, di cinquantamila moscerini che agitavano le ali. Un lampione. Se solo avesse avuto un po’ di fortuna…
Senza sapere bene perché (qualcun altro doveva aver deciso per lui, in nome della spettacolarità), superò il parapetto e saltò giù a piedi uniti. Alcuni dei moscerini si scansarono, impauriti. Altri andarono a morire sul selciato, sotto il suo peso. La sua schiena protestò vivamente, dicendo qualcosa di molto simile a: non hai più vent’anni. La mise a tacere, anche il dolore sordo permase.
Rimase in ascolto per rendersi conto se qualcuno l’avesse visto o sentito. Sembrava di no. Si sfilò un guanto ed iniziò a tastare il lampione, sperando che ci fosse… c’era. La barra orizzontale su cui era inciso, leggermente a rilievo, il nome della strada. Lo percorse con le dita; il leggero rilievo della stampa gli disse che era nella Quarantottesima. Bene, non sono molto lontano da casa, iniziò a pensare, prima che un sorriso improvviso facesse deragliare il suo senno. Iniziò a correre, sfiorando in modo febbrile i muri, alla ricerca del 120. Era lì che lui abitava.
  
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