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Autore: Dk86    26/08/2008    0 recensioni
Poi un vortice di vento ed oscurità la catturò e tutto quanto svanì.
Fuori dal nero, dentro al blu.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia ha molteplici ispirazioni: prima fra tutte una vecchia fiaba che sono sicuro conoscete tutti; poi il meraviglioso racconto di fantascienza "Diserzione" di Clifford Simak (e infatti il "Vero Mondo" di cui i personaggi parlano si chiama così a causa sua); ed infine il verso di una canzone di Neil Young, di cui mi sono permesso di invertire i colori.





FUORI DAL NERO, DENTRO AL BLU


A Floydd quella notte la luna sembrava più che mai un teschio, che la fissava dall’alto del cielo scuro con la sua chiostra di denti morti sgranati in un sorriso sinistro. “Non arriverete mai alla fine del vostro viaggio”, pareva dire in tono canzonatorio, e quasi si sentiva la mandibola disincarnata scricchiolare nello sforzo di spalancarsi e richiudersi.
“Perché guardi in alto?”, domandò Senn nel suo tipico tono svagato. Neanche lui stava dormendo, a quanto pareva. “Stanotte la luna sembra il volto di uno scheletro”, borbottò Floydd senza distogliere gli occhi dalla volta nera del cielo.
Un paio di secondi di silenzio, poi la risposta, esattamente quella che la ragazza si aspettava. “A me non pare proprio. Sembra una persona felice che sta sorridendo, piuttosto. Perché devi sempre essere così pessimista, Floydd?”.
E tu perché non smetti mai di essere così maledettamente ottimista, Senn?, pensò di rimando lei, afferrando da terra un legnetto ed usandolo per tormentare le braci del focolare ormai morente.
L’Hamelin aumentò di intensità per qualche istante, riempiendo l’aria con uno zufolio allegro che invitava ad accennare quantomeno qualche passo di danza. Floydd dovette trattenersi con tutta se stessa per non saltare in piedi.
All’improvviso, alle sue spalle si levò un debole grugnito, e lei e Senn si voltarono in quella direzione mentre l’Hamelin tornava ad abbassarsi di volume: ma era solo la Vecchia Signora che aveva borbottato qualcosa nel sonno leggero, disturbata forse dalla melodia del flauto.
Floydd si ritrovò a chiedersi se quando fossero stati più vicini alla fonte dell’Hamelin le note sarebbero state tanto intense da non permettere loro nemmeno di dormire e concluse che sarebbe stato sicuramente così.
Accanto all’anziana cantastorie Regal sonnecchiava beato, la lunga coda color sabbia acciambellata contro il corpo. Non sembrava fosse stato disturbato dal picco d’intensità della musica che riempiva l’aria, ma teneva le orecchie triangolari ben ritte in cima alla testa anche durante il riposo, come a voler captare anche il più piccolo rumore nelle circostanze. Verena, dal canto suo, dava l’impressione che non la si sarebbe potuta svegliare nemmeno facendole esplodere un incantesimo ad un paio di dita dalle orecchie.
“Cerca di riposare un po’, vuoi?”, la voce di Senn strappò Floydd dalla contemplazione dei suoi male assortiti compagni di viaggio. “Farò io la guardia, anche se non vedo proprio perché dovrebbe essercene bisogno”.
Certo, le persone come te pensano sempre che non ce ne sia bisogno finché qualcuno non taglia loro la gola, pensò Floydd in maniera lugubre stendendosi a terra con qualche borbottio. L’ultima cosa che vide prima di chiudere gli occhi fu il teschio di luna che la fissava con rapace aspettativa.
Passò quasi un’ora prima che l’Hamelin le permettesse di prendere sonno.


La chiamavano la Vecchia Signora perché nessuno, neppure lei, sapeva qual era il suo vero nome; né lei desiderava adottarne uno, perché diceva di essere troppo vicina alla Grande Narratrice per avere il tempo di trovarne qualcuno che calzasse.
Quando Floydd aveva sentito quel discorso la prima volta – quanto era passato? Un mese, forse un mese e mezzo? – aveva cercato di correggere l’anziana donna dicendole che la Morte semmai era la Triste Mietitrice, non certo la Grande Narratrice.
La Vecchia Signora aveva sorriso e le aveva risposto che la Morte, secondo lei, aveva il compito di raccontare la storia di tutti gli esseri viventi per poi andare loro incontro una volta che essa fosse finita. Floydd, come suo solito, aveva sollevato gli occhi al cielo senza più sollevare la questione. Verena, altrettanto ovviamente, era stata presa dalla sua fastidiosissima esaltazione e aveva cominciato a dire che anche lei aveva sempre pensato la stessa cosa quando era ovvio che anche lei aveva sentito per la prima volta quella storia solo cinque minuti prima.
Fra tutti loro la Vecchia Signora era colei che più era abituata alle peregrinazioni, avendo vissuto tutta la vita lungo le strade, prima con i genitori e poi da sola; conosceva migliaia e migliaia di storie di ogni genere, alcune insegnatele dalla madre e dal padre, altre apprese dalla gente più disparata ed altre ancora inventate da lei stessa. Per di più, era in grado di raccontarle con incomparabile maestria, senza mai incespicare o sbagliare anche solo una sillaba: riusciva a caratterizzare alla perfezione tutti i personaggi di cui tracciava le vicende, e non soltanto variando la voce e le espressioni del volto; era come se lei stessa diventasse quelle persone, ed esse parlassero attraverso la sua vecchia ed arguta lingua e le sue labbra rugose e sottili con la massima naturalezza.
Per qualche strano motivo che Floydd non comprendeva, la storia che la Vecchia Signora più di tutte amava narrare era proprio quell’antica favoletta che qualsiasi moccioso conosceva e che Floydd era arrivata a detestare, dato che aveva ormai iniziato a perseguitarla.
“… ma i cittadini di Hamelin non vollero pagare al giovane pifferaio quanto promesso, nonostante lui li avesse liberati dalla piaga dei topi che li affliggeva grazie al suo flauto incantato. E così il ragazzino disse”, e per qualche istante, il tempo di pronunciare le parole del pifferaio, i lineamenti rugosi della Vecchia Signora si trasfigurarono divenendo più giovani di cinquanta, sessanta, settant’anni, mentre la sua voce si raffinava prendendo il tono di un dodicenne serio e dalla furia celata ben in profondità e per questo molto più terribile perché era impossibile osservarne le proporzioni. “‘Nonostante io abbia rispettato la mia parte del patto voi non avete intenzione di tener fede alla vostra parola. Vorrà dire che otterrò la mia ricompensa in altro modo’ E così detto il ragazzo portò alla bocca il suo flauto ed iniziò a suonare una melodia tanto vivace ed allegra che tutti i bambini di Hamelin iniziarono a seguire il pifferaio, mentre gli adulti non poterono fare nulla perché l’incantesimo portato da quelle note stregava anche loro, costringendoli ad osservare immobili i loro figli e i loro nipoti venire portati via per non fare mai più ritorno”.
Ed eccoci qua, pensò Floydd, aggrottando la fronte. Sta per arrivare la parte più stupida di questo cumulo di idiozie…
“Quello che i cittadini di Hamelin non sapevano è che il giovane pifferaio era in realtà un potentissimo mago, che grazie alla sua musica poté aprire un passaggio fra un mondo e l’altro… Fra il mondo in cui si trova la città di Hamelin e il nostro. Fu qui che il pifferaio condusse i bambini di quella città; e noi, tutti noi siamo i loro discendenti”. Un attimo di pausa per aumentare la drammaticità dell’asserzione. Floydd sapeva perfettamente come proseguiva quella tiritera, quindi su di lei lo stratagemma non ebbe alcun effetto; Verena, Senn e perfino Regal, dal canto loro, pendevano dalle labbra della narratrice. “Ogni vent’anni circa, però, un ponte fra il Simakh, il vero mondo, e questo, che ne è solo la pallida imitazione, si riapre. Allora torna a levarsi la melodia dell’Hamelin, e i pochissimi che sono in grado di udirla si mettono in viaggio per raggiungere il Simakh, dove ogni cosa è cento volte più bella e luminosa e dove i nostri occhi possono osservare cose che in questo mondo non ci è dato vedere”.
“E noi stiamo andando lì, vero?”, domandò Verena, gli occhi chiari che brillavano di una eccitazione infantile a stento trattenuta. A quel punto della storia faceva sempre la stessa stupidissima domanda, ma questa volta il suo tono era tanto carico di fastidioso fervore che Floydd non fu incapace di trattenersi.
“Non stiamo andando in nessun altro mondo, non darle retta”, disse la giovane maga. “Non esiste nessuna magia tanto potente da creare una porta per altre dimensioni. E’… è stupido anche solo pensarlo”.
“Smettila, Floydd, stai mancando di rispetto alla Signora”, sbottò Senn, alzandosi in piedi con l’aiuto del manico della sua lunga lancia, ma la cantastorie bloccò il suo fervore con un cenno della mano.
“Su, ragazzo mio, non è necessario scaldarsi in questo modo”, disse la donna con serafica calma, per poi rivolgersi alla maga. “Mi spiace di averti offesa, giovane Floydd, perché sappi che non era questa la mia intenzione. D’altronde, tu ne saprai sicuramente molto di più sulla magia di questa povera vecchia a cui piace inventarsi delle storie”.
A Floydd però non sfuggì lo sguardo divertito che vide – o credette di vedere – negli occhi della donna. Sì, altro che povera vecchia, pensò acidamente. Lo stai facendo apposta a raccontarmi sempre questa storia, mh? Ma quando arriveremo alla fonte dell’Hamelin vedremo se le tue frottole per bambini avranno ancora qualche valore.


L’insegnante di magia di Floydd era stato, esattamente come la sua allieva, un individuo di estrema pragmaticità. D’altronde, essendo anche suo padre, era ovvio che condividesse con lei almeno qualche lato del carattere. Il precetto che l’uomo ripeteva più spesso, nonché quello per cui Floydd gli era più grata, pareva essere del tutto incompatibile con la sua professione di incantatore. “Fidati solo di ciò che conosci e che hai visto con i tuoi occhi, e di nient’altro. Ignora gli sciocchi che ti racconteranno che con la magia è possibile realizzare qualunque miracolo perché è una stupida e dannosa menzogna. L’arte di incantare come ogni altra cosa ha dei limiti, e solo quando li avrai compresi potrai dire di averla padroneggiata appieno, perché saprai con estrema precisione che cosa sarai in grado di fare e che cosa invece sarà al di fuori della tua portata”.
Il tanto decantato pifferaio di Hamelin – posto che quel fastidioso moccioso fosse realmente esistito, cosa di cui Floydd si permetteva fortemente di dubitare – poteva benissimo essere stato un mago estremamente potente, ma di certo nemmeno lui era in grado di fare cose come aprire un varco verso altri mondi. Era qualcosa che chiunque non avesse avuto il cervello intossicato da stupide favolette per bambini avrebbe capito subito.
Floydd sospirò, seduta accanto al focolare dal lato opposto rispetto ai suoi compagni di viaggio, che si erano radunati intorno alla Vecchia Signora per l’ennesima storia serale. L’Hamelin quella notte era molto più intenso del solito, e le tambureggiava senza alcuna pietà sulle orecchie togliendole perfino la voglia di pensare. D’improvviso la ragazza sentì una lieve pressione sulla pelle degli stivaletti; abbassò lo sguardo e notò che Regal le si era avvicinato e le aveva appoggiato la testa dal muso appuntito sui piedi e ora la fissava con i suoi supplichevoli occhi color del carbone. Senza pensarci troppo, la ragazza abbassò una mano ed iniziò a grattare la zona dietro alle orecchie dell’animale, che manifestò il suo piacere con dei bassi mugolii languidi.
Floydd non aveva mai sentito di animali attratti dall’Hamelin, eppure quel grosso cane dal pelame grigio chiaro si era unito a loro e sembrava esattamente sapere dove stava andando.
“Fossi tanto sicura quanto te…”, borbottò Floydd continuando a grattare la testa di Regal, il quale si limitò a rispondere con uno sbadiglio.
Il pacifico animale, fra i membri del gruppo, era quello che Floydd sentiva più vicino. Lo indisponeva l’inguaribile ottimismo di Senn ed il pacato sarcasmo della Vecchia Signora; per non parlare di Verena, che aveva più di vent’anni eppure si comportava come una bambina. Floydd ogni tanto si stupiva del fatto che fosse in grado di allacciarsi i sandali da sola e mangiasse senza bisogno di essere imboccata. Regal, invece, era sempre calmo e tranquillo; badava ai fatti suoi e dato che gli mancava la parola non solo era un buon ascoltatore, ma non correva neppure il rischio di dire la cosa sbagliata al momento sbagliato.
La Vecchia Signora aveva appena finito di raccontare la sua storia, e lei e Verena si stavano preparando a dormire. Regal, accorgendosi della cosa, si alzò ed andò a sdraiarsi fra le due, come faceva ogni sera. Senn sembrò per qualche istante ponderare l'idea di rimanere sveglio, per poi capire probabilmente che non valeva la pena perdere tempo cercando di avvicinarsi a quell’impossibile giovane maga.
Floydd rimase sveglia ancora a lungo; anche se la luna ormai si era ridotta ad uno spicchio, continuava a trovarla troppo simile ad un teschio.


Fin da quando il fenomeno dell’Hamelin aveva avuto origine, la zona ampia circa cinque giorni di cammino dal luogo in cui la misteriosa melodia si levava era completamente disabitata, ed anche quando essa taceva nessuno vi si avventurava mai. Gli abitanti dei villaggi di confine asserivano che si trattava di una forma di rispetto nei confronti del leggendario pifferaio e dei pochissimi fortunati che potevano udire la sua musica, ma Floydd era convinta che la loro fosse paura pura e semplice. Ancora una volta, quella ridicola favola aveva colpito nel segno: coloro che non potevano udire l’ipnotica canzone rimanevano inerti ed apatici ad osservare coloro che come i bambini della storia ripercorrevano il cammino del pifferaio. E come loro, scomparivano senza lasciare traccia.
Floydd, però, non era per nulla convinta che in passato le persone richiamate dall’Hamelin si fossero volatilizzate. Potevano esserci mille motivi diversi per la loro sparizione anche senza tirare in ballo bislacche leggende su porte verso altri mondi. Ed era proprio per svelare la verità su quel fenomeno che Floydd si era messa in marcia; se la cosa non l’avesse interessata, riteneva di possedere abbastanza forza d’animo da resistere tranquillamente a quello sciocco richiamo. Non era certo dotata di volontà debole come i suoi compagni di viaggio, d’altronde.
Il cielo quella mattina era sereno, di un tersissimo grigio chiaro, e il mondo era illuminato dai bianchi raggi del sole primaverile. Il gruppetto era ormai in marcia da un paio d’ore, guidato dalla Vecchia Signora che come al solito pareva non soffrire di tutti i disagi tipici della sua età, quando giunse ad uno stretto passo fra due formazioni di due ed alte rocce granitiche. Di recente doveva esserci stata una frana, poiché la via era sbarrata da un cumulo di grossi e pesanti massi.
“Oh, no, adesso come facciamo, come facciamo, come facciamo?”, iniziò a lamentarsi Verena, che pareva già sull’orlo delle lacrime.
Floydd sospirò, infilando una mano nella tasca della veste ed estraendone un sottile flauto di legno grigio. Senza perdere tempo se lo portò alle labbra ed intonò un semplicissimo incantesimo di Levitazione. Obbedienti, i massi si sollevarono in aria uno dopo l’altro ed andarono a posarsi a lato del sentiero.
“Sei incredibile, Floydd! Sei la persona più straordinaria che io abbia mai visto!”. Verena, ovviamente. Aveva iniziato perfino a battere le mani, quella stupidella cresciuta solo esteriormente! “Risparmia le tue energie per la camminata”, le rispose secca la maga, riponendo il suo strumento. “E’ una cosa che avrebbe potuto fare chiunque”.
Mentre Regal concedeva una simbolica annusata al tratto di sentiero ora sgombro, il gruppo si rimise in cammino e Floydd si affiancò alla Vecchia Signora, contrariamente al suo solito.
“Quanto manca alla fonte dell’Hamelin, secondo voi?”, domandò cercando di far suonare la sua domanda come casuale e spontanea.
Ovviamente la Vecchia Signora non si fece ingannare; le rivolse un placido sorriso e disse: “Anche tu sei impaziente di arrivare alla porta per il Simakh, giovane Floydd?”.
“Sì, diciamo pure che è così”, rispose l’altra restando sul vago. “Allora, quanto ci rimane da camminare?”.
L’anziana donna tornò a guardare avanti a sé. “Credo che entro due giorni dovremmo arrivare, per quel poco che ne capisco io. In fondo, abbiamo passato l’ultimo villaggio quattro giorni orsono. E comunque sono sicura che ti basta tendere le orecchie per capirlo, giovane Floydd; in fondo penso che tu abbia un udito migliore perfino di Regal quando si tratta di cose di questo tipo”. Il grosso cane, sentendo chiamare il suo nome, lanciò un gioioso latrato. Quella sera, Verena si lasciò prendere da un’altra crisi di eccessiva felicità quando Floydd accese il fuoco con la magia per cuocere dei conigli che Senn aveva cacciato con la sua lancia, e la maga si trattenne di pochissimo dal prenderla a ceffoni. Il suono dell’Hamelin era insopportabile, e la ragazza si coricò prestissimo, quando ancora la Vecchia Signora stava raccontando la sua storia serale. Quella notte, per la prima volta, l’arcana musica andò a visitarla anche in sogno.
Floydd si svegliò distrutta, la mattina dopo. L’unica cosa che riuscì a convincerla ad alzarsi fu il pensiero che ancora una manciata di ore ed avrebbe scoperto la verità dietro l’Hamelin.
“Sembri più nera del solito, stamattina…”, la salutò Senn ridacchiando. Floydd gli consigliò a bassa voce di infilzarsi sulla sua stessa arma.
“Allora, quando ci mettiamo in marcia?”, domandò Verena lavandosi al ruscello lì vicino e spargendo acqua tutt’intorno per l’eccitazione.
“Anche subito, se siete pronti”, concesse la Vecchia Signora, come al solito la prima a svegliarsi e a prepararsi per la partenza. “Se continuiamo di buon passo, entro stasera dovremmo arrivare in vista della Valle dell’Eco, dove l’Hamelin nasce”.
“Quindi”, sbottò Floydd, che improvvisamente si sentiva ben sveglia, “Voi sapete da dove proviene l’Hamelin?”.
“Con tutte le storie che ho sentito al riguardo, sarebbe strano se così non fosse”, rispose l’altra, che si era già rimessa in cammino.
“E perché non ce le avete mai raccontate, allora?”, domandò Verena, affiancandosi a lei.
“Perché sono meno interessanti di molte altre”, rispose l’anziana donna, con un tono che lasciava intendere che quella era la sua ultima parola sull’argomento.
Verena parve soddisfatta della risposta, ma non così Floydd, che invece non aveva mai sentito parlare di un luogo chiamato Valle dell’Eco. Questo, rifletté, va a sostegno della mia idea: se la gente non tornasse più indietro dal luogo d’origine dell’Hamelin allora nessuno potrebbe sapere com’è fatto. Ma in caso contrario…
“Oh, Floydd, sono così eccitata! Sapessi quanto sono eccitata!”.
La maga sospirò. “Verena, tu sei sempre eccitata. Dove sta la differenza stavolta?”. Proprio adesso che quel suono orribile mi stava dando tregua per pensare ti ci devi mettere tu?, pensò, sentendosi sull’orlo di una crisi nervosa.
“Sai, questa è la seconda volta nella mia vita che sento l’Hamelin. I miei mi dissero che quando avevo due anni mi dovettero legare al letto perché di notte cercavo di fuggire per venire qui!”.
“Sì, molto interessante…”, borbottò Floydd. Poi un’illuminazione la colpì. “Aspetta un attimo… Hai detto che questa non è la prima volta che senti l’Hamelin?”.
Il volto bianco e tondo di Verena assunse un’espressione stupefatta. “Sì, Floydd. Non è da te non capire al volo le cose… Sei sicura di stare bene?”.
Le labbra di Floydd si dischiusero in un ghigno che fece rabbrividire l’altra. “Sì. Ora sto bene”.


La Vecchia Signora aveva avuto ragione: proprio sul far della sera, quando il cielo da grigio iniziava a diventare nero, i cinque viaggiatori giunsero alla Valle dell’Eco. La vista, anche nel crepuscolo, era straordinaria: imponenti pilastri di roccia bianca si ergevano a perdita d’occhio, e Floydd non aveva mai visto qualcosa con un colore tanto puro; i raggi del sole stavano svanendo, ma la ragazza si chiese come doveva essere lo spettacolo di quel luogo nelle ore intorno al mezzogiorno. Probabilmente il riflesso era tanto abbacinante da non poterlo osservare direttamente. Forse era proprio questo il motivo per cui nella valle non cresceva neppure una pianta: oltre alla luce anche il calore dei raggi riflessi doveva essere tanto intenso da bruciare qualsiasi foglia avesse cercato di spuntare lì.
Ma non era finita: ognuno dei monoliti era forato a diverse altezze e i buchi avevano i bordi lisci e levigati, come se qualche amorevole, gigantesco artigiano li avesse limati con amore; ed in effetti sembravano troppo ben realizzati per pensare che fossero semplice opera della natura. In quel momento soffiava un vento piuttosto impetuoso, che passando attraverso i vari fori creava delle note che poi mescolandosi e fondendosi creavano…
“L’Hamelin!” esclamarono Senn e Verena, iniziando a saltare in giro. “Ce l’abbiamo fatta, ce l’abbiamo fatta!”, gridavano, mentre Regal prendeva ad abbaiare scodinzolando e rincorrendoli.
“Non ti unisci a loro, giovane Floydd?”, chiese la Vecchia Signora con un sorrisetto.
“Preferisco di no, grazie”, rispose lei con aria sicura. “Quello che mi piacerebbe è che voi ci raccontaste la verità, ora”. La giovane maga si voltò verso i due ragazzi festanti. “Senn, Verena! Venite qui. La Vecchia Signora deve dirvi qualcosa di importante…”.
I due, insieme a Regal, accorsero come una sola persona, sudati ed eccitatissimi. “Finalmente siamo arrivati! Presto vedremo il Simakh!”, gridò il ragazzo, la sua fedele lancia abbandonata su un sasso poco distante.
“Zitto, ora!”, sbottò Floydd. “Possibile che non lo capisci? Che non lo capite tutti? Non c’è nessun Simakh, nessun varco verso altri mondi, nessunissimo dannato pifferaio! Quelli che arrivano qui semplicemente si accorgono che il tanto misterioso Hamelin è provocato solamente da uno stupido vento che passa attraverso degli stupidi buchi in degli stupidi sassi, e che non c’è nemmeno uno straccio di magia dietro! Forza, ditelo anche voi”, e la maga accennò con la testa alla Vecchia Signora. “Voi siete già stata qui, no? Altrimenti non sapreste come ci si arriva, né com’è fatta questa valle, perché secondo la leggenda chiunque venga qui sparisce per un nuovo meraviglioso mondo dove tutto è splendido e dove ci sono cose mai viste, giusto?”. Il tono del discorso di Floydd era salito fino a trasformarsi in uno strillo acuto, che si mischiava all’Hamelin in maniera disarmonica. Le sue guance di solito pallide si erano colorate, e i suoi capelli neri si erano scompigliati e disordinati.
Gli occhi di Senn e Verena si erano spalancati per l’incredulità. “No, non è vero…”, mormorò il ragazzo. “Se è come dici tu, allora perché solo noi possiamo sentire l’Hamelin?”.
A Floydd per un attimo mancò il respiro: è vero, non ci aveva assolutamente pensato! Se fosse stato solo per i sassi allora tutti avrebbero potuto sentire quel fastidioso suono! Ma allora, forse…
La Vecchia Signora, però, aprì bocca, e stornò l’ultimo dubbio rimastole. “La giovane Floydd ha ragione, ragazzi miei”, disse, in tono sommesso. “L’unico potere che questo luogo possiede è quello di attirare certe persone qui; come gli uccelli si sentono spinti a migrare al caldo quando arriva l’autunno, così noi sentiamo questo suono e veniamo radunati qui. Mi dispiace di avervi ingannati, ragazzi… Ma desideravo mantenere viva la leggenda in cui anch’io una volta credevo. Perdonate lo sciocco desiderio di una povera vecchia…”.
Verena stava piangendo. Grosse lacrime rotonde le scendevano lungo le guance e cadevano a terra, scurendo dei piccoli cerchi di polvere raggrumata. “Io mi fidavo di voi… Volevo davvero vedere un altro mondo… Io…”. Poi la ragazza si girò e corse a nascondersi dietro uno dei pilastri di roccia, da cui si levarono dei singhiozzi soffocati. Regal, frignando piano, si sedette a terra, il lungo muso appoggiato fra le zampe anteriori e gli occhi fissi al cielo che diventava sempre più scuro.
“Quindi…”, la voce di Floydd fu poco più che un bisbiglio. “Quindi, ero io ad avere ragione?”.
Qualche attimo di silenzio, poi la risposta di Senn. “E ne sei felice, ora?”.


Floydd aprì con fatica gli occhi, sbattendo le palpebre più e più volte per scacciare tutti gli ultimi scampoli di sonno. Il vento che aveva provocato l’Hamelin era caduto qualche ora prima, ma i singhiozzi di Verena e Regal erano continuati molto più a lungo, finché entrambi non si erano addormentati, sfiniti; gli altri li avevano seguiti di lì a poco.
Floydd aveva fatto molta fatica a prendere sonno: continuava a vedere davanti a sé il volto di Senn, che le chiedeva se ora che aveva scoperto di avere ragione era felice; ma quel che era peggio era che il ragazzo non era sembrato arrabbiato mentre pronunciava quelle parole. Solo infinitamente triste.
Alla fine la maga era sprofondata in un abisso senza sogni; ora, però, una musica l’aveva destata. Era una melodia più semplice di quella suonata dall’Hamelin fino a poche ore prima, ma molto più bella e malinconica; anche se era eseguita solo con un flauto, a Floydd sembrava quasi di udire delle parole accompagnare le note, che narravano di un popolo di esseri dalla lunga vita che avevano abbandonato la loro terra natia e non potevano più farvi ritorno perché la magia che li sosteneva là era scomparsa.
Senza nemmeno pensarci, la ragazza si alzò in piedi, e vide accanto a lei Senn, Verena e Regal che avevano fatto altrettanto, e ora fissavano davanti a loro con aria vacua. La maga provò a chiamarli, ma scoprì che la sua bocca era come bloccata, e la sua lingua si rifiutava di articolare parole. Sotto la luce della luna calante Floydd vedeva chiaramente il pelo grigio chiaro di Regal, i lucidi capelli bianchi di Verena e il manico scuro della lancia di Senn, che il ragazzo teneva stretto in mano…
Nonché una quarta figura, più avanti, nascosta nelle ombre. Era da lei che proveniva il suono del flauto.
Il piede destro di Floydd si sollevò di sua iniziativa e fece un passo in avanti, così come gli altri due ragazzi ed il cane. Poi un altro, ed un altro ancora; la figura misteriosa guidava la loro marcia, in direzione di una delle innumerevoli caverne che foravano i fianchi della vallata come le entrate di un gigantesco formicaio. Il suonatore si mise accanto all’entrata e con una breve pioggia di note acute li invitò a precederlo. Il primo ad attraversare l’imboccatura fu Regal, seguito da Verena. Senn, nel varcare la soglia della grotta, si lasciò scivolare di mano la lancia, che cadde a terra con un tonfo sordo.
“Mi dispiace di aver mentito a tutti voi, giovane Floydd”. Il tono della Vecchia Signora era strano: era lo stesso che assumeva quando attraverso le sue labbra parlava il pifferaio. E, cosa ancora più bizzarra, la sua voce rimbombava a Floydd direttamente nella testa; cosa tutto sommato logica, dato che la donna non aveva smesso di suonare. “E mi dispiace anche di averti preso il flauto di tasca… Ma d’altronde a te non servirà, quando sarai dall’altra parte”.
Regal, Verena e Senn continuavano a camminare verso il fondo scuro della caverna, e Floydd fu costretta a seguirli. Prima, però, le giunse un altro messaggio. “Ah, per favore, spiega a Senn che solo voi sentivate l’Hamelin perché sono io a decidere chi può farlo e chi no… E se dovesse domandarti perché allora io abbia scelto proprio voi, mah… puoi semplicemente dirgli che vi ho trovati simpatici”.
La giovane maga sentì la propria testa voltarsi verso l’imboccatura della grotta, e laggiù, stagliata contro i bianchi pilastri illuminati dalla luna all’esterno, credette di vedere la figura di un ragazzino che suonava un flauto e faceva un cenno con il capo in segno di saluto. Poi un vortice di vento ed oscurità la catturò e tutto quanto svanì.
Fuori dal nero, dentro al blu.


Floydd spalancò gli occhi nell’udire un grido lacerante. Si levò a sedere, cercando di capire chi aveva emesso quello strillo, e la testa le vacillò; per qualche secondo il mondo le girò tutt’intorno, e rischiò seriamente di svenire.
“Ehi, idiota, levati da lì!”; una voce maschile roca e furibonda risuonò imperiosa, mischiata a rumori simili a quelli che faceva suo nonno quando usava la magia con il suo antiquato trombone.
Floydd era seduta a terra, su una striscia di roccia calda e grigia, e intorno con la bocca spalancata, di Verena che saltava in giro urlando a pieni polmoni e di Regal che annusava l’aria in maniera frenetica c’erano due file di edifici, persone che li fissavano con aria perplessa, e davanti e dietro di loro c’erano dei piccoli carri che non erano trainati da nessun animale e che avevano dentro di loro delle persone che agitavano le mani e continuavano a gridare.
E tutto questo era dieci, cento, mille volte più bello rispetto all’altro mondo; tutto quanto sembra più luminoso, più vero, più reale… Floydd non avrebbe saputo come altro definirlo. D’altronde, così come ad un cieco è impossibile spiegare che cosa sono i colori, allo stesso modo non ci si può aspettare che qualcuno che è vissuto in un mondo fatto solo di bianco, nero, ed un’infinita scala di grigi possa comprendere che cosa siano il blu ed il verde.
“Evviva!”, gridava Verena. “Siamo arrivati nel Simakh!”. Regal sollevò il lungo muso verso l’alto e rovesciò al cielo la sua contentezza sotto forma di ululato.
“Ma che cazzo vi prende, a tutti voi?”, continuava a sbraitare l’uomo sul piccolo carro. “Vi siete fatti di qualche droga?”.
Floydd alzò gli occhi, la bocca spalancata in un’espressione d’estasi. Lassù, in alto, uno spicchio candido osservava il mondo.
“Senn?”, domandò Floydd con voce sommessa.
Il ragazzo si girò verso di lei e vide che la ragazza stava sorridendo. Era un sorriso timido, ma dolce e caldo. “Sì?”, fu tutto ciò che nel suo immenso stupore riuscì a pronunciare.
“Avevi ragione tu”, disse Floydd, guardando il cielo. “La luna, forse… Forse sta sorridendo”.
  
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