Buon San Valentino
Il
gambo di quella povera rosa era ormai rovinato in modo irreparabile.
Era
tutta colpa del nervosismo e del fatto che quel semplice fiore fosse la causa
di tutti i miei problemi in quel momento.
Mi
imposi di smetterla di attorcigliare il gambo verde scuro intorno alle mie dita
affusolate e mi sporsi leggermente all’indietro, in modo da appoggiare la
schiena contro il muro del retro di Mielandia che, essendo in una stradina
laterale di Hogsmeade, non era molto conosciuta e trafficata. Anzi, si sarebbe
potuta tranquillamente definire deserta, se non fosse stato per la mia
presenza.
Avevo
appena smesso di parlare da sola come ero solita fare nei momenti di agitazione
maggiore ma, per quando cercassi di essere coraggiosa e di non lasciarmi
abbattere, non potevo smettere di sentire uno stretto nodo fastidioso
all’altezza dello stomaco.
Quella
rosa, quello stupendo fiore color rosso acceso, era la prova che, per la prima
volta, qualcuno ad Hogwarts si era accorto della mia presenza tanto da
invitarmi ad uscire.
E
per farlo non aveva scelto un giorno come un altro, ma il 14 Febbraio, il
giorno degli innamorati per eccellenza.
Era
tradizione ad Hogwarts da qualche anno di regalare, durante il giorno di S.
Valentino, una rosa ad una persona speciale, ma nessuno me ne aveva mai regalata
una.
Non
avevo detto di quell’appuntamento segreto ai miei amici; li avevo semplicemente
informati che sarei andata a studiare in biblioteca tutto il pomeriggio e che
non volevo essere disturbata.
Nessuno
mi aveva chiesto altro e per la prima volta in vita mia, dopo aver detto una
bugia, non venni smascherata all’istante.
Continuavo,
malgrado mi fossi ripetuta fin troppe volte di smetterla, a rigirarmi il gambo
della rosa tra le dita, facendo attenzione alle spine che, minacciose, si
trovavano ad intervalli regolari su quello stelo delicato.
Avvicinai
il fiore al naso e ne odorai il profumo, sorridendo alla sensazione di
solletico che mi causava la morbidezza dei petali sulla pelle. Il sorriso si
allargò al pensiero che, chiunque mi avesse dato quell’appuntamento, aveva
scelto una rosa davvero stupenda.
Per
essere ancora inverno il clima quel giorno era piuttosto mite, permettendo così
a molte coppie di occupare la giornata con lunghe passeggiate lungo la via
principale di Hogsmeade o per i prati che costeggiavano il castello.
Vi
erano ancora degli accenni di neve lungo i bordi delle strade, o sotto le ombre
degli alberi più folti, ma in generale ce n’era talmente poca che la maggior
parte della gente si comportava come se non ci fosse.
Io
adoravo la neve, soprattutto se potevo godermi la calma che trasmetteva la
caduta dei fiocchi attraverso il vetro delle finestre della sala comune, magari
seduta sul mio angolo di divano preferito e con in mano una tazza di cioccolata
calda con panna.
Sfiorai
accidentalmente una delle spine della rosa e ritrassi automaticamente la mano
offesa.
Sembrava
quasi che quel fiore avesse voluto richiamare la mia attenzione, dato che i
pensieri mi avevano portato a distrarmi dalla situazione in cui mi trovavo.
Chi
era stato a spedirmi quella rosa rossa?
Nomi
e nomi comparvero sulla soglia della mia mente, affollandola, ma solo uno di
essi attirò realmente la mia attenzione.
E
se fosse stato...?
No,
non dovevo illudermi così... eppure...
Sospirai,
frustrata dalla situazione, ripensando al biglietto ricevuto che, una volta
letto si era auto-bruciato, lasciando dietro di sé solo cenere argentata.
Perché
chi mi aveva invitata non aveva scritto il proprio nome?
Probabilmente
per farmi una sorpresa, ma se quella rosa mi era stata inviata da chi pensavo
io, quella persona avrebbe dovuto sapere che odiavo le sorprese.
Appoggiando
anche la testa al muro bianco alle mie spalle, guardai il cielo di un colore
grigio azzurro.
Era strano ammetterlo, ma avevo davvero avuto paura quando
avevo letto quel biglietto.
Non quel tipo di paura che t’impedisce di ragionare o che ti
stringe il petto in una morsa dolorosa, ma quel tipo di paura che ti porta a
dubitare di tutto e tutti: il timore che qualcuno, se ti fossi presentata a
quell’appuntamento avrebbe potuto ridere di te.
Il pensiero che tutto fosse uno scherzo architettato per
farmi del male non mi abbandonava, allo stesso modo in cui credevo che dietro a
tutto ci fosse uno dei miei migliori amici.
Ma se entrambe le ipotesi fossero risultate sbagliate?
Se
non fosse stato Ron ad invitarmi?
Il fatto che continuassi a sperare che lui si fosse accorto
di quanto ero innamorata di lui, non significava per forza che ciò accadesse.
L’ora
dell’appuntamento si stava avvicinando e l’ansia aumentava secondo dopo
secondo, in relazione con le lancette delle ore che si spostavano lentamente
verso l’orario stabilito.
Cosa
avrei fatto se non fosse stato il mio rosso amico a presentarsi
all’appuntamento?
Sospirai
di nuovo, stringendo con più forza lo stelo tra le mie dita, prima di
immobilizzarmi di colpo: un suono attutito di passi si stava avvicinando sempre
di più a me.
Raddrizzai
le spalle che, senza accorgermene, avevo incurvato e staccai la schiena dal
muro, facendo qualche passo in avanti.
Mi
voltai verso la stradina che collegava il retro di Mielandia con la strada
principale di Hogsmeade e vidi un ragazzo alto, coperto da un mantello nero che
ne nascondeva il volto grazie al cappuccio sollevato, procedere verso di me.
“L’altezza
è quella giusta”, pensai, prima di ricordare a me stessa che erano molti gli
studenti ad Hogwarts ad essere così alti e che dovevo smetterla di illudermi.
Il
ragazzo continuò ad avanzare, fino a quando non si fermò di fronte a me.
Continuavo
a sentirmi inquieta, soprattutto per il fatto di non poter vedere il viso del
nuovo arrivato, ma non lo diedi a vedere e gli sorrisi.
«Ciao»,
dissi semplicemente, sperando che Ron la smettesse di giocare e si togliesse
quel cappuccio.
Lui
non rispose, ma inclinò leggermente il capo a mo’ di saluto.
Aggrottai
appena le sopracciglia confusa dallo strano comportamento del mio interlocutore
e aprii la bocca per chiedergli chi fosse.
Emisi
un verso di sorpresa nient’affatto femminile o grazioso quando una sua mano
afferrò di scatto la mia spalla, avvicinandomi a sé in modo brusco, fino a
quando i nostri visi non furono talmente vicini da permettermi di sentire
chiaramente il profumo di una colonia misto all’odore di bucato.
Non
riconoscevo il timido ed impacciato Ron in quei gesti troppo sicuri, allo stesso
modo in cui, la bocca che avevo fin troppo vicina alla mia non assomigliavano
affatto a quella di Ron, che aveva il labbro inferiore leggermente più carnoso
rispetto a quello superiore.
La
bocca che avevo davanti era atteggiata in una smorfia vagamente familiare, dove
entrambe le labbra erano strette a formare una linea sottile.
No,
quelle che avevo di fronte non potevano essere le labbra di Ron.
Ma
allora chi si trovava sotto quel cappuccio?
Se
non avessi capito di non avere di fronte il mio rosso amico probabilmente non
ci avrei pensato su più di tanto prima di baciare quelle labbra. Ma ora quel bacio,
lì a mezz’aria, si era perso lasciandomi dentro una sensazione di
inadeguatezza.
Era
come il desiderio irrazionale di buttarsi giù da un ponte: sai che finiresti
col farti molto male, ma l’attrazione che esercita quel pericolo su di te
rimane comunque lì, a tentarti, confondendoti.
Mia
zia diceva sempre: “Bisogna sconfiggere le
nostre paure e balzare nel vuoto. Speriamo solo di non farci male!”.
Ecco,
io mi sentivo proprio in quel modo; indecisa se cadere o no in quella dolce
irrazionale tentazione che rappresentavano quelle labbra troppo vicine.
Sarebbe
bastato un istante, un semplice battere di ciglia, oppure ancora meno: il
battito d’ali di un colibrì per cancellare quella esigua distanza tra noi.
Un
nulla e avrei potuto sentire il sapore di quella bocca sconosciuta ma, allo
stesso tempo, dolorosamente familiare.
Eppure,
dopo poco, mi allontanai appena, rendendomi conto che quel viso, stava
continuando ad avvicinarsi a me in modo troppo brusco e sfacciato.
Non
saprei dire cosa mi avesse fermato, ma ringraziai ogni Santo del Paradiso di
avermi sostenuto in quel momento appena il misterioso ragazzo si tolse il
cappuccio.
Lo
shock mi fece sbarrare gli occhi e socchiudere le labbra, mentre continuavo a
ripetermi che non poteva essere vero e che presto qualcuno mi avrebbe svegliato
da quell’incubo vivente.
Draco
Malfoy era di fronte a me, gli angoli delle labbra sollevati in uno di quei
ghigni altezzosi e malefici che tanto odiavo e gli occhi, dello stesso colore
del cielo nuvoloso, brillavano di una luce a dir poco crudele.
«Malfoy?!»,
esclamai, sconvolta, prima di liberarmi della presa della sua mano ancora sulla
mia spalla.
«Buon
pomeriggio, Granger», mi salutò, continuando a mostrare quell’odioso ghigno:
«Ti aspettavi forse qualcun altro?»
Quella
sua domanda retorica mi fece digrignare appena i denti, mentre ostentavo un
finto sorriso a denti stretti : «Certamente non mi aspettavo te!»
Malfoy
afferrò con la mano destra la mia guancia, mentre sul suo viso compariva uno
sguardo fintamente malinconico: «Ma come, Granger? Non sei contenta del mio
invito? Non ti è piaciuta la rosa?»
Mi
stava prendendo in giro e aveva macchinato quel piano malefico solo per
umiliarmi!
Possibile
che Malfoy non avesse niente di meglio da fare che rovinarmi una serena
giornata invernale?
Quella
rosa rossa che solo alcuni minuti prima avevo odorato, sorridendo al pensiero
di un misterioso ragazzo che la sceglieva per me, divenne all’istante il
simbolo della derisione più assoluta e, anche se mi pianse il cuore quando lo
feci, lasciai comunque cadere a terra quel fiore.
«Nient’affatto!
A saperlo che eri stato tu ad invitarmi non mi sarei preoccupata di venire fin
qua!»
«E
quale sarebbe stata l’alternativa? Studiare tutto il giorno? Sai, Granger,
potresti anche ringraziarmi», disse, con tono di rimprovero, prima di piegarsi
a raccogliere la rosa.
«Ringraziarti?
E di cosa, se posso chiedere?», domandai con tono di voce aspro e petulante,
come una bambina che vuole averla vinta a qualsiasi costo.
«Di
averti fatta uscire dal castello a respirare un po’ d’aria pura e non quella
viziata della biblioteca, mi sembra ovvio».
Si
portò il fiore al viso, odorandone a sua volta il profumo, prima di sorridermi:
«Eri agitata, Granger?», chiese, indicando il gambo, rovinato dalle mie dita
nervose, di quella povera rosa.
Non
avrei saputo cosa rispondergli di abbastanza piccato da lasciarlo senza parole,
così decisi di spostare i riflettori su di lui: «Perché mi hai invitato,
Malfoy? Ti sei preso una cotta per me?»
Non
saprei dire cosa mi aspettassi di sentire, ma di sicuro non quello che uscì
dalle sue labbra: «Ho perso una scommessa ed eccomi qui», una strana luce
attraversò i suoi occhi grigio-azzurri: «E poi come potresti anche solo pensare
che io nutra degli interessi nei tuoi confronti, Mezzosangue? Sei forse
impazzita?»
«Tra
noi due quella pazza non sono certamente io!», gli dissi, lanciandogli
un’occhiata che sperai potesse ucciderlo, ma sfortunatamente non accadde nulla:
«Ed ora, scusami, ma non ho intenzione di rimanere un minuto di più a farmi
prendere in giro da te!»
Con
queste parole gli voltai le spalle con gesto altezzoso e stizzito, prima di
muovere alcuni passi verso la via principale di Hogsmeade.
«Non
ho finito con te, Granger. Torna qui.»
Strinsi
forte le labbra e tornai a fissarlo: «Io non voglio parlare con te», dissi con
tono tagliente, nella speranza che si stancasse presto della situazione e che
mi lasciasse in pace.
«Io
voglio, invece».
«Tua
mamma non ti ha mai detto che “la radice voglio non esiste neanche nella serra
di Merlino”(1)?»
«Mia
mamma mi ha sempre detto che posso volere e avere tutto ciò che voglio e
infatti ho tutto ciò che voglio», disse con tono altezzoso, facendomi
digrignare i denti per il fastidio.
«Puoi
anche pensare di avere tutto, ma in realtà non sei niente», dissi con quella
vocetta da saputella che sapevo odiasse.
All’improvviso
avevo una gran voglia di litigare con lui.
«E
tu invece puoi anche pensare di essere qualcuno, ma in realtà sei solo feccia»,
disse, senza distogliere lo sguardo.
Mi
aveva rivolto simili insulti talmente tante volte che avrei dovuto ormai esserne
immune, invece, ogni volta, era come quando, il secondo anno, mi aveva
chiamata “Sporca Mezzosangue” per la prima volta.
Ancora
una volta mi sentii ferita nell’orgoglio da quegl’insulti che mi sminuivano non
solo come strega e donna, ma anche come essere umano.
Eppure
non l’odiavo per quelle idee bigotte che la sua famiglia gli aveva inculcato
fin dalla nascita, ma provavo per lui solo una gran compassione.
«Sai
una cosa, Malfoy? Mi fai pena».
La
rabbia sul suo viso contratto in una smorfia di odio e disgusto mi permise di
capire di aver colpito il suo punto debole, ma io non ero meschina quanto lui e
non avrei mai utilizzato le sue debolezze contro di lui, a meno che non avessi
avuto altra scelta.
«Ora,
se non ti dispiace, devo andare», dissi, allontanandomi, prima di voltarmi
un’ultima volta: «Buon San Valentino, Malfoy»
Non
ottenni risposta, ma capii dai suoi occhi accusatori di aver vinto lo scontro
verbale.
Ma
la guerra non era ancora finita.
The End
Nda:
(1)
Ho modificato il modo di dire: “l’erba voglio non esiste neanche nel giardino
del re” così da renderlo meno “babbano” e più “magico”.