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Autore: firephoenix    06/07/2014    3 recensioni
"È difficile sapere cosa si vuole quando si è morti."
TatexViolet
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tate, Langdon, Violet, Harmon, Violet, Harmon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il cuore inizia a battere forte, le mani cominciano a sudare, il corpo viene scosso da inspiegabili quanto prevedibili tremori, le pupille si dilatano... c'è poi tanta differenza tra l'amore e la paura?
Io non credo.
In quei giorni poi, l'impalpabile barriera che li divide mi sembrava ancora più sottile.
Era successo tutto piuttosto in fretta: il tradimento, il litigio tra mamma e papà, la tentata riappacificazione, la casa... proprio quella casa; quella che ha segnato la fine della mia vita ed un nuovo inizio, quella dove ora sono intrappolata per sempre in mezzo ad un manipolo di morti assassinati (e assassini, in qualche caso).
Avevo sempre amato tutto ciò che è dark, misterioso, persino un po' macabro... il fatto è che non pensavo di certo che vi sarei precipitata dentro così.
E tutto a causa di una persona sola.
Non era stata il movente del trasferimento, certo, ma, una volta che mi ero seduta al limite del precipizio, era stato lui a trascinarmi lentamente verso il baratro.
La paura e l'amore. Lui aveva completamente annientato tutti i miei pregiudizi e le mie convinzioni riguardo a quei due fardelli; come altro potrei definirli? Per me non sono altro che due pesanti spade che gravano sulla testa di chiunque... e il destino vuole che non si sappia mai quale cadrà per prima.
A me erano precipitate in testa entrambe, contemporaneamente. Un attimo prima immaginavo di porre fine alla mia vita con qualche taglietto, mi sembrava che tutto fosse diventato insostenibile, anche se era solo l'inizio, un secondo dopo lui era li, dietro di me, a darmi consigli su come morire meglio, fissandomi con occhi vuoti e profondi. Solo più tardi avrei scoperto che erano una perfetta finestra sulla sua anima; un riflesso, un indizio che volontariamente decisi di ignorare. Le spade avevano già colpito.
Nel giro di due giorni aveva stravolto la mia vita.
Avevamo parlato della morte quella volta, in camera mia. Dei nostri tagli, della scuola in cui andavo e da cui lui stesso era stato cacciato (Dio, se solo avessi saputo prima il perchè della sua espulsione...), dell'aborto di mia madre. Mi aveva detto che non bisognerebbe mai ferire chi si ama. Ora mi chiedo se sia stato lui a ferire me o il contrario.
Il giorno dopo mi ero sfogata con lui, come se fosse mio amico da sempre, come se ci fosse sempre stato per me. Avevo deliberatamente ignorato l'ordine di mio padre di stargli lontano e lui aveva fatto lo stesso, ma dopotutto in quel periodo non mi curavo molto di ciò che diceva Ben; stronzate, pensavo.
Avevamo il piano perfetto per sbarazzarci di quella cretina con cui mi ero picchiata a scuola. Il piano perfetto per spaventarla a morte. Già, proprio il piano perfetto.
Dopo quello che era successo avevo deciso di chiudere con lui... forse, forse no... sicuramente non dopo che mi aveva salvato la vita da quegli squilibrati ammazza-infermiere. Mi viene quasi da ridere a ripensarci, era davvero solo l'inizio. Avrei dovuto assecondare mia madre con il secondo trasferimento? A volte me lo chiedo, tuttavia non vi ho ancora trovato una valida risposta.
Un'altra cosa “divertente”? Halloween... e il nostro primo bacio. Mi aveva baciato così, come se fosse la cosa più normale al mondo, dopo avermi spaventata, anche se non lo avrei mai ammesso, e prima di provare a spaventarmi ancora, in un misto di eccitazione che non era mai andata scemando, che fosse per i brividi sulla schiena o per le sue labbra sulla mia bocca.
Visto? Amore e paura. Sempre a braccetto come vecchi amici che fanno a gara a chi stringe di più il braccio dell'altro per la supremazia.
E poi era andato tutto in un lento quanto fulmineo degenerare: la rosa, la spiaggia, i ragazzi morti, Constance che mi confessava di essere sua madre, la ricerca sulla sparatoria...
Ricordo com'era stato, perfettamente. Come mi ero sentita. La sensazione di un nodo allo stomaco, di un capogiro alla testa, tutto quello non poteva essere realmente accaduto, vero? Mi sentii male, un po' come se fossi già morta... dopotutto non mancava certo molto.
Mi sono suicidata. Sono morta in quella vasca da bagno, tra le sue braccia.
Ho dovuto ripeterlo parecchio a me stessa per rendermene conto, per capacitarmi che non fosse tutta una grande stronzata; forse fatico a crederci ancora adesso, anche dopo aver visto il mio cadavere.
Ero spaventata a morte, forse anche un po' incazzata. Mi aveva mandato fuori di testa quel giorno. Era un assassino, i ragazzi di Halloween non erano in costume e lui li aveva uccisi. Era un fottutissimo assassino; e poi, come se non bastasse, erano arrivate Constance, con le sue stronzate su “altre possibili realtà”, quella stupida medium, la cantina, i fantasmi...
Non volevo morire. Volevo solo dimenticare. Dimenticare la casa, mamma, papà, tutto il dolore, lui.
Ovviamente però, nel momento in cui la paura dominava il mio cuore e attanagliava la mia anima (anche perchè ormai di me era rimasta solo quella) lui si era presentato in camera mia e mi aveva aperto il suo cuore nero. Improvvisamente la paura era stata rovesciata da un “ti amo” così tormentato e disperato che aveva cancellato tutto lo shock e il dolore di quel giorno e, sfiniti, ci eravamo stesi uno accanto all'altra.
In quel momento mi ero sentita come se fosse tutto normale, come se fossimo due ragazzi innamorati qualunque, vivi, soprattutto. In quel momento avevo sentito il bisogno di proteggerlo per sempre.
E mentre io lo proteggevo da se stesso, lui proteggeva me dalla casa. Mi aveva insegnato come far andare via i fantasmi, dicendomi che adesso li potevo vedere perchè ero “evoluta”. Effettivamente mi rendo conto che forse “morta” sarebbe suonato un po' meno delicato da dire.
Poi era successo. Lo volevo, era inevitabile.
Non aveva fatto male, anche se era la prima volta. Lui non mi avrebbe mai fatto male. Aveva ucciso, torturato, stuprato altre persone... ma sapevo che non avrebbe mai fatto del male a me; la cosa peggiore era che non riuscivo a capire se questo fosse un bene o un male.
Così, alla fine, ero rimasta a fissarlo, a guardare i suoi capelli chiari che facevano contrasto con gli occhi neri come la notte, ripensando alla gentilezza e all'intensità con cui aveva appena preso la mia verginità, alle sensazioni che avevo provato toccando la sua pelle morbida ed immergendo le dita nei suoi ricci biondi.
Incredibile in effetti come assomigliasse ad una specie di angelo della morte. Mesi fa sarei andata pazza per un ragazzo così. Adesso non lo so più. È difficile sapere cosa si vuole quando si è morti.
“Come Romeo e Giulietta” aveva detto. Voleva che morissi felice, voleva che morissi con lui.
Vedere il mio cadavere non era stato uno spettacolo. Avevo pianto e gemuto di dolore tra le sue braccia, sentendomi vuota e senz'anima come lo era anche lui, come se la vita me l'avessero appena strappata dal petto senza permesso. Dio, è successo tutto così in fretta, ma non rimpiango nulla. Non rimpiango nessuna singola parola che gli ho rivolto, nessun gesto che ho compiuto nei suoi confronti.
Lo amavo e glielo ho detto, l'odiavo e gli ho gridato di andare via... però non faccio che pensare alle sue lacrime, ai suoi occhi rossi. Dopotutto lui ci teneva davvero a me, mi aveva protetto, ma aveva anche rovinato la mia famiglia e la mia vita.
Era proprio come mi aveva detto Chad, lui era un mostro e lo sarebbe rimasto per sempre. Come in una sorta di malattia cronica ci sarebbero stati dei momenti di allentamento e dei momenti più intensi, ma il sottofondo non sarebbe cambiato. Sarebbe rimasta una lunga e interminabile cantilena di morte intrappolata in un viso d'angelo.

 

Mi passai le mani tra i capelli lunghi che non avrei mai più avuto bisogno di tagliare. Ero seduta sul letto e stavo guardando un video musicale dei Ramones su you tube dando le spalle alla porta, quando questa emise un'impercettibile brontolio. Stoppai la musica mentre lo stomaco mi si annodava e alcuni passi risuonarono più chiaramente dietro di me; evitai al mio corpo di sussultare, non era difficile riconoscerli... anche dopo tutto il tempo che era passato.
«Tate» non era una domanda quella che uscì a stento dalle mie labbra, tremolante, come una piccola fiamma scossa dal vento.
«Mi dispiace, non volevo disturbarti. Mi piace davvero quella canzone»
La sua voce ebbe su di me lo stesso effetto di un pezzo di ghiaccio che andava sciogliendosi sulla schiena; rabbrividii. Non sapevo che rispondergli.
Era passato un anno e mezzo da Natale, quando lo avevo visto per l'ultima volta, e adesso entrava in camera mia come se non fosse mai accaduto nulla. Come se fosse tutto come prima.
«Che cosa vuoi?» chiesi brusca senza mai girarmi per guardarlo.
«”Ciao Tate, come stai? Bene, Violet. Oh ok, come mai sei qui?”» fece lui ironico «Così andrebbe meglio, non credi?»
«Che cosa vuoi, Tate?» ripetei la domanda in tono più crudele, ma questa volta mi voltai. Per un attimo mi mancò il fiato. Da quanto tempo non lo vedevo sorridere? Da quanto le sue fossette erano mancate al mio sguardo? Troppo. O troppo poco evidentemente.
«Volevo solo sapere come stavi» ammise lui alzando le spalle in modo innocente. No, non ci sarei cascata di nuovo; lui era davvero tante cose, ma di certo non innocente.
«Sto bene» risposi girandomi nuovamente verso il computer e facendo finta di essere concentrata sullo schermo; in realtà tutto ciò che riuscivo a vedere era Tate.
Non era cambiato per niente: stessi capelli che gli cadevano scompigliati davanti agli occhi scuri e profondi, stesso pallore sul viso, stesso golfino a righe verdi e nere... Sperai che se ne andasse, ma tutto ciò che ottenni da lui fu il lento fischiettare di una canzone*, quella che, ricordai, era stata la colonna sonora della nostra prima chiacchierata proprio in questa camera. Stavo per girarmi e invitarlo esplicitamente ad andarsene per evitare l'ondata di dolore che mi stava per travolgere, quando lui mi anticipò, sconvolgendomi:
«Ho parlato con Vivien ultimamente»
Spalancai la bocca, sostenendo il suo sguardo immobile per qualche secondo. Poi improvvisamente scattai in piedi e lo spinsi contro il muro con tutta la mia forza, completamente fuori di me.
«Tu! Che cazzo hai fatto a mia madre? Cosa le hai fatto ancora?» urlai al limite, continuando a spingerlo, nonostante fosse già appoggiato alla parete.
«Violet! Violet, calmati!» gridò lui di rimando, afferrando le mia braccia e stringendo forte in modo da placarmi «Non l'ho nemmeno sfiorata! Le ho solo parlato. Abbiamo. Solo. Parlato» scandì fissandomi negli occhi.
«Perchè dovrei crederti, eh? Mi hai raccontato un sacco di stronzate» lo guardai con astio.
«Vi, tua madre è già morta. Cos'altro potrei farle?»
Era rimpianto quello che avevo letto nel suo sguardo. O ero solo stata condizionata dal fatto che mi aveva appena richiamato Vi... il mio diminutivo suonava così bene tra le sue labbra ed era così tanto che non glielo sentivo pronunciare.
Mi accorsi che mi aveva lasciato andare le braccia solo quando con una mano mi accarezzò i capelli, spingendomeli dolcemente dietro l'orecchio. Seguii il movimento con la cosa dell'occhio, muovendo impercettibilmente il viso a seguito del suo tocco, ipnotizzata.
Mi staccai di colpo. Lui fece per aggiungere altro, ma poi rimase lì a fissarmi con aria contrita ed addolorata mentre indietreggiavo fino al letto.
«Mamma!» cominciai a urlare, dirigendomi alla porta della camera. Volevo una conferma, volevo sapere cosa si erano detti. Che l'avesse perdonato per averla...? Tate bloccò il mio cammino con poche parole, senza nemmeno fissarmi.
«Non credo ti convenga, sai... Vivien e Ben stanno...»
«Oh»
«Già...»
Dalla nostra morte mia madre e mio padre si erano riavvicinati parecchio. Lei lo aveva definitivamente perdonato per la storia con Hayden... anche lei era da un po' che non si faceva vedere. Chissà cosa faceva nascosta nella casa. Chissà cosa aveva fatto Tate fino ad adesso.
«Cosa vuoi veramente?» gli chiesi improvvisamente «Come mai sei uscito allo scoperto?»
Quando lui si voltò a guardarmi mi sembrò che il suo sguardo vuoto mi risucchiasse in una profonda e oscura tristezza. I segni rossi che gli avevano sempre solcato il volto al di sotto degli occhi mi parvero ancora più marcati.
«Ho bisogno di te. Mi manchi, Violet»
Lo ammetto: me ne ero dimenticata. Mi ero completamente scordata degli effetti che produceva in me la sua sfrontata sincerità, il suo sguardo deciso e diretto, la voce provata... mi facevano venir voglia di accarezzarlo, confortarlo e sdraiarmi accanto a lui fino alla fine delle nostre vite. Purtroppo però, eravamo già morti entrambi.
«Perchè proprio ora?» sussurrai appena, continuando a sostenere imperterrita il suo sguardo.
«Un anno e sette mesi, Vi» mormorò con voce strozzata «Un anno e sete mesi in cui ho provato con tutto me stesso a starti lontano, ad aspettare, a rispettare la tua volontà. Un anno e sette mesi senza parlarti, senza poterti guardare negli occhi. Un anno e sette mesi di oscurità, senza nemmeno un po' di luce a rincuorarmi... ho provato. Non ce l'ho fatta, Vi. Ho bisogno della mia luce per non cadere nell'oblio. Ho bisogno di te. Tu sei la mia luce, Violet»
Con un gemito, attraversai decisa la stanza a falcate verso di lui, con i capelli che mi frustavano dolcemente il viso, fino a fermarmi ad un centimetro dal suo volto. Lo vidi fremere, desiderare un contatto diretto con me. Il cuore prese a battermi forte mentre il mio respiro accelerava.
«Non sono più nella luce, Tate. A causa tua»
«Tu non hai bisogno di stare nella luce Violet. Non ne hai mai avuto bisogno» il suo sorriso mi colpì ancora una volta «Tu sei luce. Non capisci? Guardati intorno!» Tate si allontanò leggermente da me per indicare con le braccia tutto ciò che lo circondava «Sei in una vera e propria casa degli orrori. Chiunque abiti qui dentro ha fatto cose orribili, ha tradito, ha ucciso, torturato... ma tu no...»
Sussultai leggermente quando tornò vicino a me, prendendomi il viso tra le mani.
«Violet. Tu hai portato la luce in questo posto dimenticato da Dio»
«Stronzate. Mi sono suicidata, Tate!»
«È stata la casa!» urlò in un impeto di rabbia lui, perdendo il controllo e lasciandomi di scatto per andare alla lavagna appesa alla parete a scrivere “infezione”** come aveva già fatto molto tempo prima, ma con più frustrazione, grattando il gesso fino a consumarlo «La casa non risparmia nessuno, ma anche dopo la tua morte sei stata capace di cambiare questo posto. Non puoi. Negarlo»
«Io non ho fatto nulla!»
«Hai reso migliore me!»
Per un attimo il silenzio cadde tra di noi. Lo avevo reso migliore?
Era vero, Tate aveva compiuto ogni sorta di crimine mi venisse in mente... ma quanti dopo che aveva conosciuto me? Ha stuprato tua madre mi suggerì una vocina nella mia testa.
«Vi...» sussurrò lui con voce rotta avvicinandosi ed afferrando il mio volto tra le sue mani «... tu mi hai cambiato. Ed è vero. Ho fatto del male anche dopo averti conosciuto e, Dio, probabilmente non smetterò mai di farne... ma senza di te, senza la mia luce, non posso...» emise un lamento strozzato a concludere la frase e feci a mala pena in tempo a scorgere il bagliore di una lacrima sulla sua guancia prima che mi baciasse con impeto, senza darmi tempo di respirare. Era come il nostro ultimo bacio, il bacio dell'addio, doloroso, passionale, sospirato... solo che questa volta non era un diversivo, questa volta non c'era nessun ragazzo da salvare, questa volta eravamo solo io e lui. Questa volta lo volevo anche io.
La sicurezza dei miei pensieri mi spiazzò.
Mentirei se dicessi di non aver pensato a lui in questo anno e mezzo, se dicessi di non aver immaginato di riprovare la sensazione della sua pelle nuda sotto le mie dita, o del solletico dei suoi riccioli biondi sul mio viso e sul mio collo.
Perchè non provavo repulsione per lui? Perchè non ero capace di stargli lontano?
Mi staccai dalle sue labbra all'improvviso, mollandogli uno schiaffo sul volto.
«Tu non mi meriti»
Restammo a fissarci col fiatone a qualche passo di distanza.
«Nessuno merita amore in questa casa. Nessuno merita te. Ma io non sto parlando di merito»
«E di che diavolo stai parlando allora?» le mani mi prudevano e non capivo se fosse per la voglia di prenderlo a sberle o per la voglia di accarezzare le sue labbra.
«Parlo di bisogno, te l'ho detto. Non posso vivere...» sorrise malinconico «... o non vivere senza di te» poi fissò il suo sguardo nero nel mio, guardandomi intensamente, come solo lui sapeva fare.
«Dimmi che non lo sento solo io, Violet»
A quelle parole il mio cuore perse un battito.
Lo vidi riavvicinarsi a me, questa volta lentamente, come se cercasse il mio permesso. Non lo fermai. Mi accarezzò i capelli e mi sfiorò il volto con il naso fino ad arrivare al mio orecchio sinistro.
«Dimmi che ne hai bisogno anche tu»
Lo sentivo anche io? Ne avevo bisogno?
La risposta era evidente nel mio respiro accelerato, lampante nei miei sospiri... ma lui era un mostro... lui...
«Come hai potuto farlo?» sussurrai, chiudendo gli occhi, come se potessi proteggermi dalla serie di orrori che aveva commesso. Tate si staccò da me, sentii il suo fiato sul mio collo tremolare per poi allontanarsi.
«Non lo so»
«Come hai potuto stuprare mia madre?»
«Non lo so»
«Come hai potuto uccidere tutti quei ragazzi?»
«Non lo so»
«Come puoi non saperlo?» urlai, riaprendo gli occhi e spintonandolo nuovamente con tutta la mia forza, mandandolo via da me. Lui abbassò lo sguardo con aria afflitta, tirando su col naso, in modo quasi infantile.
«Tate» lo appellai in modo che mi guardasse negli occhi «continui a dire come io abbia cambiato la casa, come abbia migliorato te... non hai mai pensato che tu possa aver cambiato me? Che possa avermi rovinato? Mi hai ucciso in un certo senso, sai? Mi hai demolito, mi hai terrorizzato...»
«... ti ho amato» concluse lui.
Ed eccoli di nuovo insieme. Amore e Paura. Sembrava una presa in giro, una grandissima presa per il culo senza fine che mi perseguitava da quando avevo messo piede in quella casa.
«Ti ho amato anche io...» dissi senza sapere il perchè. Forse volevo farlo sentire in colpa, forse volevo solo ricordare i giorni felici.
Restammo in silenzio per un po', nella stessa stanza, ma lontani chilometri di distanza.
«Vivien mi ha detto che era destino. Che tutto quello che è successo aveva lo scopo di riunire la vostra famiglia» fece lui dopo un po'. Era vero? La nostra famiglia era riunita, certo, ma a che prezzo?
«Ti aspetti che ti ringrazi?» gli chiesi sarcastica. Lui mi guardò con aria afflitta.
«No. Non mi aspetto nemmeno che mi perdoni...»
«Bene»
«... ho solo bisogno del tuo aiuto» si avvicinò ancora, appoggiando la sua fronte alla mia. Trasalii per la sua vicinanza. Volevo le sue mani sui miei fianchi, ma sapevo che era profondamente sbagliato anche solo pensarci.
«Come posso fidarmi di te?» il mio tono di voce si era involontariamente addolcito.
Lui alzò le spalle e scosse la testa, solleticandomi la fronte con i riccioli biondi.
«Ti amo, Violet. È tutto quello che so e tutto quello che ho bisogno di sapere»
Mi staccai da lui e lo fissai negli occhi lucidi.
«Cosa vuoi dire?» gli chiesi, ricordando che, per ironia della sorte, era stata l'ultima frase che lui stesso mi aveva rivolto prima che gli ordinassi di andarsene, quasi due anni prima.
«Resta» sussurrò lui, al contrario di quello che gli avevo detto io.
Un singhiozzo mi sfuggì dalle labbra e Tate vi posò sopra la sua bocca in un bacio quasi inconsistente, che durò un nulla.
Mia madre mi aveva detto che ero stata coraggiosa a cacciarlo via. Ma era davvero coraggio? E ciò che stavo vivendo in quel momento cos'era allora? Codardia?
No. Era paura e amore: per l'ignoto, per Tate, per il futuro e per me stessa.
Mi aveva detto che ero la sua luce, ma la luce più brillante per essere tale necessita dell'oscurità più profonda.
«Resto» sussurrai.

 

 

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*per chi non lo sapesse la canzone è Special Death di Mirah :) ascoltatela, merita: https://www.youtube.com/watch?v=-2x_kL-6gMo

**nel primo episodio mentre Violet e Tate parlano nella camera di lei, Tate scrive “TAINT” sulla lavagna ovvero “macchia” o “infezione”.

 

Saaaaaalve :) *si affaccia sul nuovo fandom con orgoglio*

Spero che la mia ff vi sia piaciuta. L'ho scritta un po' così, senza pretesa, per vedere cosa saltava fuori. Ho amato e sofferto per la Tate/Violet (come credo un po' tutti) e dopo aver finito di vedere la serie mi è venuta una voglia assurda di scrivere ahah.
Vebbè sto divagando! Grazie a tutti quelli che hanno letto e un bacione speciale a Rehara che mi ha fatto conoscere AHS :*
Bye!
firephoenix

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