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Autore: icered jellyfish    07/07/2014    2 recensioni
[La storia partecipa alla challange «OTTO FANDOMS E UNA VALANGA DI PROMPTS» indetta da kuma_cla ]
[ THE BIG FOUR | CROSSOVER – Rise of the Guardian/Tangled/How to train your dragon/The brave | Hints Jackunzel ]
Eppure erano mesi che la sua concezione di quell'immensità che non conosceva era cambiata, perché erano mesi che non era più sola come lo era sempre stata.
Erano mesi che non era più la sua unica figura genitoriale a rappresentare il solo umano che avesse mai visto. Erano mesi che qualcuno, finalmente, l'aveva trovata – e per quanto questo inizialmente questo l'avesse spaventata, l'avesse messa in guardia e l'avesse spinta a non fidarsi, la sua curiosità era stata troppa, per non provare ad avvicinarsi a quei tre individui che ora l'attendevano giù, nella radura che anche lei presto avrebbe raggiunto.
Genere: Generale, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost, Merida, Rapunzel
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Ed è arrivato il momento di prendere la mia vita tra le mani







C A P I T O L O   U n i c o

“ Ed è arrivato il momento
di prendere la mia vita tra le mani







Il canto delle allodole sembrava volerla incitare a compiere quell'incerta decisione che l'aveva portata a poggiare i suoi piedi perennemente scalzi sul cornicione di quell'unica finestra nella stanza circolare – la stessa che, da sempre, da diciotto anni, le aveva fatto da quadro riguardo quel mondo che non aveva mai assaporato e in cui ora, forse, si sarabbe finalmente immersa.
Si tenne stretta alla lunghissima chioma dorata – agganciata all'uncino del muro sopra di lei e sciolta fino a quel suolo, alla base della sua alta torre, che non aveva ancora mai visto da vicino –, osservando e analizzando, per la prima volta in assoluto, quanta distanza la dividesse da quel prato sul quale presto avrebbe camminato.
Non aveva mai avuto timore alcuno di restare in quel punto preciso, fino a quel momento, ma ora tutto era diverso; ora era lei che avrebbe dovuto affrontare quell'incredibile altezza, e non sua madre – di ritorno da uno
dei suoi lunghi viaggi o dalle quotidiane visite in paese, quello di cui le aveva solo parlato, e con così tanta preoccupazione e spavento, da averla terrorizzata su quanto potesse essere crudele la vita là fuori.
Eppure erano mesi che la sua concezione di quell'immensità che non conosceva era cambiata, perché erano mesi che non era più sola come lo era sempre stata.
Erano mesi che non era più la sua unica figura genitoriale a rappresentare il solo umano che avesse mai visto. Erano mesi che qualcuno, finalmente, l'aveva trovata – e per quanto questo inizialmente questo l'avesse spaventata, l'avesse messa in guardia e l'avesse spinta a non fidarsi, la sua curiosità era stata troppa, per non provare ad avvicinarsi a quei tre individui che ora l'attendevano giù, nella radura che anche lei presto avrebbe raggiunto.
Non ricordava nemmeno come fosse cominciato tutto esattamente, ma guardare quella folta concentrazione di ricci infuocati – quegli occhi liberi come il cielo limpido e azzurro che abbracciava il suo spirito spaurito, davanti al vibrante coraggio che quella ragazza emanava –, la faceva stare bene, perché i venticinque metri che le separavano, non erano poi così tanti quando ci si capiva veramente.
Non ricordava nemmeno quando avesse iniziato a voler così bene a quel mucchio di lentiggini accanto – fitte e infinite, così tante da essere visibili fin là sopra –, quando avesse iniziato a desiderare di voler abbracciare quel volto che le ospitava – a desiderare di aggiungere qualche trecciolina, a quei capelli dalla stessa tonalità dell'autunno
–, a desiderare di specchiarsi nel meraviglioso mare di foglie fresche che rigogliosamente riempivano di coraggio le iridi di quel ragazzo di cui, lo sentiva, non avrebbe più saputo farne a meno.
Bramava raggiungerli, bramava vincere il suo panico per quel proposito che non riusciva a portare a termine – perché sarebbe stata la peggiore delle figlie, se solo avesse disobbedito così vigliaccamente, durante la sua assenza, agli ordini della madre.
Bramava poterli prendere per mano, assaporarli come una ventata d'aria fresca, stringerli come se nulla contasse più di quello – come se l'esistenza fosse fatta di quello, fosse fatta di loro –, ma la codardia era troppa, e il senso di colpa era infinito e martellante, finché infine non si concentrò su di lui.
Lui che la guardava col solito sorriso tirato in su sull'angolo destro, lui che con una mano si scosse appena i capelli brillanti come la neve – la stessa neve che sembrava comporre i pigmenti della sua candida pelle, perfetta, nel suo chiarore invernale.
Lui che, con i suoi occhi azzurri – con i suoi occhi di cristallo, con i suoi occhi che erano una trappola letale come l'oceano, come il ghiaccio sulla superficie di un lago – l'aspettava velando lo stesso fremore che provava anche lei, nel voler stare vicino.
E lo sentiva, quello che li univa nonostante la gabbia in cui non si era mai resa conto di essere rimasta rinchiusa fino ad allora – lo sentiva attraverso i brividi che il solo vederlo le provocava sulla pelle, accarezzandola con un leggero gelo che sapeva di lui.
«Ho incontrato una persona e... credo piacergli.» Avrebbe tanto voluto pronunciare quelle parole – condividere quella bruciante felicità con la persona a lei più cara al mondo –, ma come avrebbe anche solo potuto pensare di raccontare a sua madre di quegli incontri segreti che finalmente la facevano sentire meno abbandonata – di raccontarle quanto ormai desiderasse che lasciasse la torre molte più volte al giorno e molto più a lungo, per permettere loro di stringersi attorno a quel corpo di mattoni che la tenevano lontana da ogni cosa, e starle, nei limiti del possibile, accanto.
Come poteva sperare di poter raccontare qualcosa del genere a colei che quella stessa mattina le aveva urlato contro che non avrebbe mai lasciato quel posto – a colei che non avrebbe mai permesso ai suoi piedi di godere del contatto col terreno.
E non le importava che fosse per il suo bene, non le importava che quello fosse un materno istinto di protezione, perché quel claustrofobico spazio era diventato ancora più piccolo, e gli sconfinati orizzonti che da sempre voleva scoprire, li
percepiva ormai troppo distintamente per poter continuare ad ignorarli –  per poter continuare ad ignorare l'immenso che lui le faceva provare e che loro condivano.
Voltò l'attenzione alle sue spalle, sulle colorate pareti che aveva dipinto in ogni giorno della sua esistenza, per poi inspirare profondamente il suo più grande sogno di sempre e gettarsi nella stessa aria che ormai le riempiva i polmoni.
E fu illimitata, la sensazione di far parte di qualcosa di più grande di quanto avesse mai immaginato, perché mai aveva sentito così tanto il sangue scorrerle nelle vene e il suo corpo reagire con così tanta adrenalina da farle rimbombare prepotenti palpitazioni
nel petto – forti, al punto tale da farle credere che presto le si sarebbe spaccata la cassa toracica.
Ma per quanto quell'emozionante tragitto le parve interminabile, alla fine arrivò – arrivò a quel verde e agognato traguardo, tornato nuovamente così inedito e intimidatorio da costringerla a stringersi su di sé, artigliata alla fune dei suoi stessi capelli che l'aveva aiutata ad arrivare indenne fino a lì.
I suoi occhi – dello stesso ed infinito colore che stava osservando e rifletteva in essi – si spalancarono così tanto da renderle impossibile sbattere le palpebre, finché non realizzò, infine, che ormai c'era – che ormai, finalmente, era lì, e che quel che aveva attorno non erano più pareti e mobili, ma loro.
Timidamente posò lo sguardo sull'emozione e l'ardore di quei sorrisi sospesi e a lei rivolti, per poi rendersi conto che sarebbe bastato un passo, uno soltanto, per dare inizio a quel che fino al giorno prima aveva solo disegnato su un foglio di carta – e non poté credere a quanto sapesse di loro, sentire il fresco dell'erba sotto i piedi.







F I N E
LA STORIA PARTECIPA ALLA CHALLANGE «OTTO FANDOMS E UNA VALANGA DI PROMPTS» INDETTA DA KUMA_CLA.



    » N O T E    A U T R I C E ;

Bene, finalmente ho portato a termine questo mio piccolo impegno – stilato mesi e mesi fa, ma questo non lo diremo.
Son qui che lotto contro le zanzare che svolazzano nella mia stanza – lasciare
spiaccicati sui muri i cadaveri delle cadute in battaglia, non serve a intimidire quelle in vita a quanto pare – e mi son detta: rendiamo tutto più dinamico, e mettiamoci anche a scrivere!
In realtà oggi ho semplicemente la vena artistica a mille, e non so se questo sia un bene o un male, perché per quanto umilmente vorrei dire che questa storia mi piace parecchio, lascio le opinioni a voi. c:
Specificazioni? Non credo ci sia bisogno di darne; ho semplicemente descritto la mia versione di Rapunzel che lascia la sua torre, ma in un contesto in cui non è Eugene che la porterà via da lì, ma Merida, Hic e Jack – che, come intuibile dal testo, da mesi hanno scoperto per caso la sua ubicazione nel bosco e le vanno a far visita quando Madre Gothel si assenta.
Mi piace da morire immaginare questo loro andare a trovarla, avvicinarsi a lei – dopo iniziali ed ovvi tentennamenti da parte di Rapunzel, vista la sua distorta visione del mondo e delle persone –, fino a stringerci una forte amicizia che la convincerà a disobbedire di nascosto agli ordini della sua adorata madre.
Sinceramente immagino Rapunzel intenzionata a ritornare a casa, dopo – proprio come nel film, il suo volere era infatti vedere le luci e poi fare rientro –, ma la vita è imprevedibile, la fantasia è imprevedibile, quindi mi piace anche pensare a un qualcosa che la tratterrà – la salverà – dalla sua prigionia proprio grazie a loro tre.
Sentitevi comunque liberi di immaginare un po' quello che volete come seguito; il mio compito era solo quello di darvi un incipt, di proporvi uno scenario a finale aperto proprio per guidarvi sì dove io volevo, ma lasciandovi spazio per poter poi sfruttare tutta la vostra immaginazione come meglio preferite – l'immaginazione è sacrosanta, e deve essere libera.
Tutto il testo è stato scritto con in sottofondo la seguente canzone, ed è una soundtrack proprio per i The Big Four fatta dalla bravissima Lily Sevin – vi consiglio l'ascolto anche di questa, sempre dedicata al quartetto, che ha ispirato quest'altra mia storia su How to train your dragon.
Hanno entrambe dei testi perfetti, e io le adoro sinceramente. Non mi capacito nemmeno di quanto sublimi e calzanti siano le battute di tutti e quattro i personaggi – le migliori fanfiction in cui mi sia mai imbattuta, davvero, perché in fondo è un po' questo quel che sono.
Ad ogni modo, avendo ascoltato la prima per tutta la stesura, la considero la colonna sonora della storia – e il titolo è infatti preso da lì.
Giusto a titolo informativo, poi, volevo solo condividere quest'immagine che ho trovato su internet, perché se la storia è nata, è solo grazie all'ispirazione che mi è giunta dopo averla vista. ♥
Bbbene, spero che la storia vi sia piaciuta – soprattutto a te, kuma_cla. x° – e niente, al solito mi auguro di trovare qualche recensione. :))
Alla prossima, grazie anche solo per le visite!


© a u t u m n
   
 
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