Porcelain
“La notte, la polvere, il sonno.
La verità
si protegge da sola.
Il vaso conferisce
Una forma al vuoto,
e la musica
al silenzio.”
Georges Braque
Intro
C’è questa cosa bellissima della porcellana - la capacità assurda di abbracciare un paradosso continuo. La vita scivola irripetibile sulle sue geometrie bianche - sembra imperturbabile, così scontata. E poi c’è questa cosa – è così facile romperla. Come ogni esserci condannato a marcare questa terra, anche la porcellana è condannata a rincorrere un grado d’entropia maggiore. Le crepe si diramano, i pezzi si moltiplicano, diventano polvere.
C’è questa cosa bellissima della porcellana che la rende così adatta – non è carne, eppure è opportuna al modo umano di sopravvivere, vivere il dolore, essere dolore.
A volte lasciamo che le cose ci riecheggino dentro. A volte la superficie resta imperturbabile e in noi tutto precipita; a volte basta così poco a spezzarci – così facili da smembrare, è un continuo infrangersi il nostro - porcellana sul cemento – la vita è nient’altro che un pessimo gioco di resistenza.
C’è di bello della porcellana che, quando tenti di ricomporre i pezzi e per caso ne hai perso uno, poi non è più la stessa – quel vuoto combacia discreto con ciò che rimane di noi quando poco a poco perdiamo noi stessi, chi amiamo.
E c’è anche che la porcellana è come la memoria. La tieni lì, bella, intatta, un candore immoto macchiato da ghirigori che ne elevano la preziosità rarefatta; vorresti fosse indistruttibile ma basta così poco – è come i ricordi, l’identità, l’orlo sfilacciato dell’infinito ricamo dell’esistenza – tra la porcellana e la polvere si frappone solo schianto, breve quanto il nostro salto verso l’oblio.
Guardi la porcellana e capisci quanto in realtà sia facile eliminare un ricordo.
#1 Porcelain (100)
Sei poco più d’un pallido nome (identità obliata) e non posso raggiungerti;
concedimi una carezza, regalami il tuo odore –non posso vivere l’amore se non respiro la tua pelle.
A te mi arrendo, vulnerabile,
ai loro occhi sono una bambola – nulla più di una bambola
porcellana nitida, compatta,
come gli assiomi che mi smembrano.
Sei tutto ciò che rinnego – eppure sei;
(a te consacro le mie ginocchia logore)
sveli le mie crepe, scoperchi i miei vuoti;
(l’immortalità del tuo ricordo spezza la linea dell’oltre)
e sorridi, ancora mi sorridi, e dici:
“Tranquilla, non sei la sola a essere a pezzi.”