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Autore: Chloe R Pendragon    09/07/2014    5 recensioni
Buonasera!!! ^^
Questa storia parla dell'incontro tra Doran, vagabondo dall'età di sedici anni, e Aine, ragazza originaria del villaggio di Uaineamach, durante la festa organizzata per celebrare l'arrivo della primavera: spero che vi piaccia, alla prossima!!! ;)
Quarta classificata al contest "Frammenti di feste" indetto da _MoonBeam e Lutea Eos sul forum di EFP.
Partecipa alla challenge "La sfida dei duecento prompt" indetta da msp17 sul forum di EFP.
Partecipa allo "Spring contest per storie edite" indetto da MyPride sul forum di EFP.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La natura in festa

La natura in festa

 

Mancavano pochi minuti all’alba, eppure nel villaggio di Uaineamach la festa non accennava ad arrestarsi: i piper continuavano a  suonare le loro cornamuse senza accusare la stanchezza, proprio come gli abitanti, che danzavano ininterrottamente senza curarsi dell’ora tarda.

Fin dalla notte dei tempi era loro abitudine celebrare l’arrivo della primavera, poiché essa rappresentava la rinascita della natura dopo il rigido inverno. I boschi limitrofi rendevano omaggio a quella stagione con fiori variopinti e foglie splendenti, vestendo a festa la selva denudata dalla stagione precedente; ugualmente i cittadini si lasciavano trasportare dalla gioia, inaugurando quei tre mesi di abbondanza con musica e divertimento.

Doran era estasiato da quella meravigliosa atmosfera spensierata, capace di travolgere tutti, dai bambini agli anziani; aveva iniziato a viaggiare quando aveva compiuto sedici anni e da allora aveva visitato luoghi  incredibili e conosciuto persone di ogni tipo, ma mai in vita sua si era imbattuto in qualcosa del genere. Per la prima volta aveva trovato un posto che avrebbe volentieri chiamato casa: la foresta accudiva quello splendido paesino con amore, come una madre stringe tra le sue braccia il proprio figlio, e la gente che vi risiedeva sembrava così gentile e serena.

Da dove veniva lui, un piccolo sobborgo di nome Fuarlatha, una celebrazione di quel tipo sarebbe stata inconcepibile: tutto ciò che importava ai compaesani era la produttività, il resto era superfluo o addirittura da condannare. Se suo padre fosse stato lì, avrebbe bollato quelle usanze come sciocche perdite di tempo, energia e risorse, incapace di cogliere il fascino di quel momento.

Il ragazzo scosse la testa con vigore per scacciare quei fastidiosi pensieri e immergersi nuovamente nell’euforia collettiva; si lasciò trasportare dall’incalzante ritmo della musica e ricominciò a battere le mani per accompagnare i danzatori. Il suo sguardo si soffermò su ognuno di loro, sorridendo del disordine in cui versavano e di cui non si curavano, finché non indugiò su una figura in particolare: una giovane dai capelli corvini, un tempo raccolti in una lunga treccia ora sfatta, che ballava con grazia ed entusiasmo.

Nell’attimo in cui si voltò nella sua direzione, incatenando con i suoi occhi smeraldini quelli nocciola di lui, il suo esile viso fu illuminato da un radioso sorriso, così brillante da riscaldare il cuore del vagabondo e spingerlo a ricambiare. Senza neppure rendersene conto, il giovane si era alzato dal tronco su cui sedeva e le si era avvicinato, porgendole una mano per invitarla a ballare.

La fanciulla accettò con un timido assenso, congedandosi con garbo dal suo precedente cavaliere e raggiungere il forestiero in mezzo alla folla; si cimentarono nella giga, lei leggiadra come una piuma e lui goffo come un bradipo, ridendo felici. Fino a quel momento avevano solo pensato a danzare, senza scambiarsi neanche una parola, presi com’erano dall’euforia; lo straniero però desiderava udire il suono della sua voce più di ogni altra cosa al mondo, così si decise a iniziare il dialogo.

«Perdonate la mia impudenza, ma non ho potuto fare a meno di notare che le vostre gote hanno assunto il medesimo colore dell’alba. Lo trovo incantevole!» disse sorridendole dolcemente, ammaliato dallo spettacolo che i suoi occhi avevano il privilegio di ammirare: le guance della ragazza, arrossate dalla foga del ballo, sembravano essere un riflesso del cielo che li sovrastava.

La giovane lo ringraziò con un sussurro per poi fare un giro su se stessa, facendo volteggiare l’abito giallo su cui aveva intrecciato dei fiori di carta; inavvertitamente, il ragazzo le pestò un piede, facendole perdere l’equilibrio, ma riuscì fortunatamente ad attirarla a sé prima che potesse cadere. Entrambi rimasero senza fiato per l’improvvisa vicinanza e deglutirono a fatica, visibilmente in imbarazzo.

«Vi chiedo scusa, purtroppo non sono un bravo ballerino e il rischio di farvi del male è a dir poco elevato.» mormorò a un soffio dalle labbra rosee della fanciulla, la quale posò un dito sulla bocca del viaggiatore e scosse lievemente la testa.

«Sono certa che mi proteggerete da voi stesso, e poi non è opportuno offuscare un giorno di festa con parole di malaugurio, non credete?» gli rispose con dolcezza, la voce ridotta a un sussurro concitato, così intrigante che lo straniero non seppe resistere: annullò la distanza che separava i loro volti e la baciò con passione, incapace di trattenere l’ardore che infiammava il suo spirito e che annebbiava la sua mente.

Le loro lingue s’intrecciarono e cominciarono a danzare insieme, quasi volessero emulare i loro corpi, talmente vicini da non poter saltare, eppure capaci di ondeggiare a tempo di musica. Si separarono per riprendere aria e ne approfittarono per guardarsi negli occhi e scrutare la luce che illuminava le loro iridi, rendendone i colori più sgargianti: entrambi avrebbero voluto restare così per sempre, l’uno perso nello sguardo dell’altra  fino alla fine del mondo.

Le urla di gioia della popolazione li fecero sobbalzare, strappandoli dal loro idillio e riportandoli alla realtà: il cielo si era vestito di mille colori, dall’azzurro pallido al rosso acceso dell’orizzonte, dove il disco solare si era appena affacciato. La giovane si staccò dal suo cavaliere, incantata dallo spettacolo che si palesava davanti a sé, intenzionata a unirsi al resto del villaggio per commentare insieme quella meraviglia come erano soliti fare, tuttavia fu trattenuta dal viandante.

«Perdonate l’audacia, ma non conosco ancora il vostro nome...» disse con tono mesto e al contempo speranzoso, augurandosi di ottenere quell’informazione, così da poterla rintracciare in futuro.

«Mi chiamo Aine, straniero.» gli rispose con un timido sorriso, gli occhi verdi velati dal rammarico di doversi separare.

«Avete un bellissimo nome, io invece sono Doran.» asserì, dopodiché le prese la mano destra e le fece il baciamano, facendole vibrare il cuore per l’emozione, per poi aggiungere: «Promettetemi che ci riverdemo!»

La ragazza ridacchiò dell’ardore con cui le aveva detto quelle ultime parole, poi annuì contenta.

«Se vi tratterrete qui, con piacere!» replicò con voce cristallina prima di andare verso gli altri, saltellando con letizia; il viaggiatore sorrise portando entrambe le braccia dietro il capo e volgendo lo sguardo verso il sole appena sorto. E mentre la natura festeggiava l’arrivo della primavera insieme agli abitanti del villaggio, Doran celebrò quell’alba e ciò che per lui rappresentava: l’incontro con la donna della sua vita.

  
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