La natura in festa
Mancavano
pochi minuti all’alba, eppure nel villaggio di Uaineamach la festa non
accennava ad arrestarsi: i piper continuavano a
suonare le loro cornamuse senza accusare la stanchezza, proprio come gli
abitanti, che danzavano ininterrottamente senza curarsi dell’ora tarda.
Fin
dalla notte dei tempi era loro abitudine celebrare l’arrivo della primavera,
poiché essa rappresentava la rinascita della natura dopo il rigido inverno. I
boschi limitrofi rendevano omaggio a quella stagione con fiori variopinti e
foglie splendenti, vestendo a festa la selva denudata dalla stagione
precedente; ugualmente i cittadini si lasciavano trasportare dalla gioia,
inaugurando quei tre mesi di abbondanza con musica e divertimento.
Doran
era estasiato da quella meravigliosa atmosfera spensierata, capace di
travolgere tutti, dai bambini agli anziani; aveva iniziato a viaggiare quando
aveva compiuto sedici anni e da allora aveva visitato luoghi incredibili e conosciuto persone di ogni
tipo, ma mai in vita sua si era imbattuto in qualcosa del genere. Per la prima
volta aveva trovato un posto che avrebbe volentieri chiamato casa: la foresta
accudiva quello splendido paesino con amore, come una madre stringe tra le sue
braccia il proprio figlio, e la gente che vi risiedeva sembrava così gentile e
serena.
Da
dove veniva lui, un piccolo sobborgo di nome Fuarlatha, una celebrazione di
quel tipo sarebbe stata inconcepibile: tutto ciò che importava ai compaesani
era la produttività, il resto era superfluo o addirittura da condannare. Se suo
padre fosse stato lì, avrebbe bollato quelle usanze come sciocche perdite di tempo, energia e risorse, incapace di cogliere
il fascino di quel momento.
Il
ragazzo scosse la testa con vigore per scacciare quei fastidiosi pensieri e
immergersi nuovamente nell’euforia collettiva; si lasciò trasportare
dall’incalzante ritmo della musica e ricominciò a battere le mani per
accompagnare i danzatori. Il suo sguardo si soffermò su ognuno di loro,
sorridendo del disordine in cui versavano e di cui non si curavano, finché non
indugiò su una figura in particolare: una giovane dai capelli corvini, un tempo
raccolti in una lunga treccia ora sfatta, che ballava con grazia ed entusiasmo.
Nell’attimo
in cui si voltò nella sua direzione, incatenando con i suoi occhi smeraldini
quelli nocciola di lui, il suo esile viso fu illuminato da un radioso sorriso,
così brillante da riscaldare il cuore del vagabondo e spingerlo a ricambiare.
Senza neppure rendersene conto, il giovane si era alzato dal tronco su cui
sedeva e le si era avvicinato, porgendole una mano per invitarla a ballare.
La
fanciulla accettò con un timido assenso, congedandosi con garbo dal suo
precedente cavaliere e raggiungere il forestiero in mezzo alla folla; si
cimentarono nella giga, lei leggiadra come una piuma e lui goffo come un bradipo,
ridendo felici. Fino a quel momento avevano solo pensato a danzare, senza
scambiarsi neanche una parola, presi com’erano dall’euforia; lo straniero però
desiderava udire il suono della sua voce più di ogni altra cosa al mondo, così
si decise a iniziare il dialogo.
«Perdonate
la mia impudenza, ma non ho potuto fare a meno di notare che le vostre gote
hanno assunto il medesimo colore dell’alba. Lo trovo incantevole!» disse
sorridendole dolcemente, ammaliato dallo spettacolo che i suoi occhi avevano il
privilegio di ammirare: le guance della ragazza, arrossate dalla foga del
ballo, sembravano essere un riflesso del cielo che li sovrastava.
La
giovane lo ringraziò con un sussurro per poi fare un giro su se stessa, facendo
volteggiare l’abito giallo su cui aveva intrecciato dei fiori di carta;
inavvertitamente, il ragazzo le pestò un piede, facendole perdere l’equilibrio,
ma riuscì fortunatamente ad attirarla a sé prima che potesse cadere. Entrambi
rimasero senza fiato per l’improvvisa vicinanza e deglutirono a fatica,
visibilmente in imbarazzo.
«Vi
chiedo scusa, purtroppo non sono un bravo ballerino e il rischio di farvi del
male è a dir poco elevato.» mormorò a un soffio dalle labbra rosee della
fanciulla, la quale posò un dito sulla bocca del viaggiatore e scosse
lievemente la testa.
«Sono
certa che mi proteggerete da voi stesso, e poi non è opportuno offuscare un
giorno di festa con parole di malaugurio, non credete?» gli rispose con
dolcezza, la voce ridotta a un sussurro concitato, così intrigante che lo
straniero non seppe resistere: annullò la distanza che separava i loro volti e
la baciò con passione, incapace di trattenere l’ardore che infiammava il suo
spirito e che annebbiava la sua mente.
Le
loro lingue s’intrecciarono e cominciarono a danzare insieme, quasi volessero
emulare i loro corpi, talmente vicini da non poter saltare, eppure capaci di
ondeggiare a tempo di musica. Si separarono per riprendere aria e ne
approfittarono per guardarsi negli occhi e scrutare la luce che illuminava le
loro iridi, rendendone i colori più sgargianti: entrambi avrebbero voluto
restare così per sempre, l’uno perso nello sguardo dell’altra fino alla fine del mondo.
Le
urla di gioia della popolazione li fecero sobbalzare, strappandoli dal loro
idillio e riportandoli alla realtà: il cielo si era vestito di mille colori,
dall’azzurro pallido al rosso acceso dell’orizzonte, dove il disco solare si
era appena affacciato. La giovane si staccò dal suo cavaliere, incantata dallo
spettacolo che si palesava davanti a sé, intenzionata a unirsi al resto del
villaggio per commentare insieme quella meraviglia come erano soliti fare,
tuttavia fu trattenuta dal viandante.
«Perdonate
l’audacia, ma non conosco ancora il vostro nome...» disse con tono mesto e al
contempo speranzoso, augurandosi di ottenere quell’informazione, così da
poterla rintracciare in futuro.
«Mi
chiamo Aine, straniero.» gli rispose con un timido sorriso, gli occhi verdi
velati dal rammarico di doversi separare.
«Avete
un bellissimo nome, io invece sono Doran.» asserì, dopodiché le prese la mano
destra e le fece il baciamano, facendole vibrare il cuore per l’emozione, per
poi aggiungere: «Promettetemi che ci riverdemo!»
La
ragazza ridacchiò dell’ardore con cui le aveva detto quelle ultime parole, poi
annuì contenta.
«Se
vi tratterrete qui, con piacere!» replicò con voce cristallina prima di andare
verso gli altri, saltellando con letizia; il viaggiatore sorrise portando
entrambe le braccia dietro il capo e volgendo lo sguardo verso il sole appena
sorto. E mentre la natura festeggiava l’arrivo della primavera insieme agli
abitanti del villaggio, Doran celebrò quell’alba e ciò che per lui
rappresentava: l’incontro con la donna della sua vita.