Quel giorno il sole
risplendeva più del solito.
Una cosa non proprio
gradita a Suigintou, sempre abituata a vivere nel buio.
Come ogni altro giorno
era seduta sulla finestra dell’ospedale, mentre guardava Megu, la quale si era
appena addormentata.
Come sempre avevano
parlato tra di loro, ma quella volta le parole che si erano scambiate poco prima
continuavano a rimbombarle nella mente.
“Chissà quanti bei posti
hai visto. Con quelle ali di sicuro avrai avuto la possibilità di viaggiare per
il mondo…”
“Non mi sono mai
interessata al luogo dove mi trovo. Ogni volta che mi sveglio l’unica cosa che
mi importa è combattere.”
“Dicono che ci siano
certi posti bellissimi, direi magici. Italia, Grecia, Spagna, Cina, Stati Uniti…
centinaia di nazioni una più bella dell’altra. Tu sei mai stata in
Brasile?”
“Brasile?”
“Si,
Brasile. Sembra che il Brasile vanti ottimi calciatori, però ci sono un sacco di
altre cose da vedere…”
“Non
so nemmeno dove si trovi. Non sono certa nemmeno di sapere dove sono ora…”
“Sai, mi piacerebbe così tanto andarci almeno una
volta…”
“Perché non vai allora? Se ti piace così tanto…”
“Per
me è impossibile. Chissà, magari stanotte potrei già non esserci più.”
“Idiozie. Se sei sopravvissuta finora non vedo perchè tu
debba morire. Dovresti solo pensare a rimanere in salute.”
“Se
potessi andarci vorrei vedere per prima cosa
“
“Si
tratta di una statua gigantesca che ritrae Gesù Cristo ed è stata messa in cima
ad un promontorio. Da lì si vede un tramonto che ti toglie il fiato. O almeno è
quello che ho sentito dire. Dovresti conoscerlo, visto che sei un angelo.”
“Ti
ho detto che
NON sono un angelo.”
“Lo
so. Comunque per me rimani il mio angelo.”
Davvero lei era un angelo?
Un
angelo non poteva far male alle persone.
Un
angelo non avrebbe ucciso.
Un
angelo non avrebbe rischiato di strapparle la vita ogni volta che
combatteva.
Come
poteva davvero considerarla un angelo?
Per
lei, se c’era un angelo in quella stanza, si trattava di Megu, nessun altro.
Grazie a lei era cambiata.
Aveva iniziato a credere negli altri.
Addirittura si era aggrappata ad una menzogna!
Una
menzogna che l’aveva fatta sperare.
Una
menzogna che la bambola di Enju le aveva raccontato per spingerla a
combattere.
Una
menzogna grazie alla quale ha creduto di poter salvare Megu dal suo
calvario.
Quella fu l’unica volta nella sua vita che decise di fare
qualcosa per qualcuno.
Solitamente faceva tutto solo per se stessa.
Fu
in quel momento che prese una decisione.
Ma
non una egoistica, come quella di far diventare Megu la sua Medium, solo per
avere più potere.
Se
doveva essere un angelo lo sarebbe stato, in tutto e per tutto.
L’avrebbe protetta, non l’avrebbe più costretta a soffrire,
le avrebbe fatto capire che la morte non doveva, non poteva ancora
toccarla.
Se
lei non poteva muoversi l’avrebbe portata via lei, volente o nolente.
Chissà, magari l’avrebbe anche portata in Brasile, a vedere
la tanto agognata Statua del Cristo.
Deciso ciò planò silenziosamente sul letto della ragazza e,
prendendole la mano, baciò l’anello della ragazza, liberandola dal suo
vincolo.
Le
ali della bambola solleticarono il viso della degente, che si svegliò.
Si
stupì di trovarsi Suigintou al suo fianco.
Fino
a quel momento era sempre rimasta il più lontano possibile da lei, anche quando
le chiedeva di avvicinarsi.
“Cosa è successo? Vuoi finalmente portarmi via?”
“Non
ti lascerò morire.”
La
ragazza si accorse in quel momento che l’anello che fino a quel momento aveva
avuto era scomparso.
“Sei
libera. Non devi più soffrire. Ti porterò via di qui, ma non nel modo che
intendi tu.”
La
bambola volò di nuovo fino alla finestra, ma prima di andarsene disse.
“Ora
devo andare, ma tornerò domani. Non preoccuparti, andrà tutto bene.”
Per
la prima volta Suigintou sorrise, ma quello non era uno dei sorrisi malvagi che
le apparivano in volto quando combatteva.
Quello era un sorriso vero, che veniva dal cuore.
Megu
si alzò dal letto e si affacciò alla finestra, mentre la prima bambola spariva
all’orizzonte.
Guardò il suo dito, ormai privo del legame che condivideva
con la prima Rozen.
Nel
guardare la mano il suo sguardo cadde su un vaso di vetro molto sottile, dove,
solitamente, le poche persone che venivano di tanto in tanto a trovarla
depositavano i loro fiori.
Sorrise.
Anche lei pensò che sarebbe andato tutto bene.
Ma
probabilmente non nello stesso modo che intendeva Suigintou…
Il
giorno dopo la bambola si alzò in volo dalla chiesa abbandonata dove abitava
ormai da tempo.
Per
tutta la notte non aveva fatto altro che adoperarsi per trovare ciò che le
serviva ed elaborare un piano di fuga.
Si
era procurata tutto il necessario per partire lontano e far ricominciare una
nuova vita alla ragazza.
Naturalmente, vista la conversazione del giorno precedente,
prima sarebbero andate a visitare il Brasile.
Per
la prima volta Suigintou era davvero curiosa di vedere il mondo.
Arrivata presso l’ospedale vide Megu affacciata alla
finestra.
In
camera c’era un’infermiera. Avrebbe dovuto aspettare che se ne andasse prima di
entrare.
Notò
con piacere che la ragazza sorrideva mentre lei si avvicinava.
Fu
un sollievo per lei.
Temeva che avesse frainteso il suo gesto.
Questo sollievo però si tramutò rapidamente in terrore.
Megu
aveva qualcosa di luccicante in mano.
Qualcosa che sembrava rotto.
La
bambola ebbe solo il tempo di vedere che il vaso per i fiori non c’era più.
Iniziò a volare più velocemente, cercando di fermare la
ragazza.
Nottetempo doveva aver rotto il vaso, conservandone un solo
pezzo.
E
conoscendola il motivo sicuramente non era innocuo.
Infatti, prima che Suigintou potesse avvicinarsi, passò
quel pezzo di vetro sulla propria gola, iniziando a sanguinare a fiotti, cadendo
all’indietro.
L’infermiera corse subito fuori a chiamare aiuto, mentre la
prima bambola piombò in camera.
Non
importava quanto sangue la imbrattasse, cercò in ogni modo di salvarla.
Non
le importava nemmeno che in quel momento stessero scendendo fiumi di lacrime dai
suoi occhi.
Al
diavolo tutto. Anche a costo di dover sembrare una debole doveva fare
qualcosa.
Nel
frattempo Megu continuava ininterrottamente a sussurrare qualcosa a Suigintou,
che però non prestava nessuna attenzione alle sue parole.
Ma
ogni suo tentativo di fermare il dissanguamento fu vano.
Megu
smise di vivere dopo aver baciato sulla fronte la sua unica amica.
In
quello stesso istante la bambola perse ogni speranza di salvarla.
Ogni
suo freno emotivo si ruppe, lasciandola sfogare in un pianto disperato.
Un
pianto che non si era mai concessa prima.
Quando i medici arrivarono trovarono questo spettacolo ad
attenderli.
Una
ragazza stesa a terra, in un lago di sangue, e sopra di lei una piccola creatura
alata che piangeva la sua morte.
Suigintou iniziò al librarsi lentamente sotto gli occhi dei
presenti.
“Voi…”
Meimei avvolse con una luce violacea Megu, sollevandola da
terra.
“Voi…”
Senza smettere di piangere la bambola alzò il viso verso
coloro che erano accorsi.
La
sua disperazione iniziò lentamente a tramutarsi in disprezzo.
Il
volto contratto in una maschera d’odio.
Gli
occhi rossi, arrossati ulteriormente dal pianto, non trasmettevano altro che
rabbia.
“Voi… l’avete uccisa! L’avete uccisa ancora prima che
iniziasse a vivere!”
Quasi senza rendersene conto iniziò la lanciare piume in
ogni angolo della stanza.
La
prima Rozen, più che l’angelo tanto decantato dalla morta, sembrava essere
diventata Lucifero in persona, pronto a vendicarsi di ogni cosa.
“Non
vi perdonerò mai! Vi odio!”
La
bambola generò una tremenda energia, la quale sfondò la parete della stanza che
si affacciava all’esterno.
Suigintou volò via, stringendo a se Megu, fino a che non la
portò alla vecchia chiesa.
Quando finalmente riuscì a comprendere ciò che la ragazza
le stava sussurrando, però, non poté fare altro che affliggersi ancor di più.
Quelle parole risuonavano nella sua mente, rischiando di
farla impazzire.
“Grazie Suigintou, grazie a te ho capito che dovevo essere
io a togliermi la vita. Un angelo bello e puro come te non può sporcarsi con una
nullità come me.”
La
ragazza aveva frainteso il suo gesto.
L’aveva interpretato come un rifiuto della bambola a
strapparle la vita, e così se l’era tolta da sola.
Suigintou era letteralmente in pezzi.
All’improvviso qualcuno entrò dalla porta.
Shinku.
Qualcosa l’aveva portata ad andare lì.
La
quinta bambola iniziò a camminare per il santuario, quando, ad un certo punto,
iniziò a sentire il pianto della sorella.
Cercò di capire da dove provenisse quel lamento, e,
arrivata dietro l’altare, vide la prima Rozen.
Non
fu tanto vedere l’orgogliosa bambola piangere, quanto ciò che vide una volta
avvicinatasi a sconvolgerla.
Megu, stesa a terra e con la gola lacerata.
Solo
allora notò che Suigintou era sporca di sangue.
“Suigintou…”
L’alata non si voltò e disse, con la voce spezzata dalle
lacrime.
“Vattene via…”
“Cosa è successo?”
“Ti
prego… và via… lasciami sola…”
“Suigintou, non sarai stata…”
“È…
è tutta colpa mia…”
Shinku posò una mano sulla testa della sorella, cercando di
leggere nei suoi ricordi.
Ciò
che vide fu una pugnalata al cuore.
“Suigintou, non è…”
“Ti
supplico, distruggimi.”
La
bambola rossa rimase immobile.
Non
poteva essere stata lei a chiederle una cosa del genere.
Suigintou si alzò, voltandosi verso la sorella.
“Non
ho più nessun motivo per rimanere in vita! Sono solo spazzatura! Una come me,
che non riesce a fare niente di buono neanche a volerlo, non potrà mai essere
Alice!”
Shinku non riuscì a fare ciò che le chiese la bambola
albina.
La
abbracciò ed iniziò a cantare la canzone che Megu era solita cantare mentre
aspettava il suo arrivo.
L’aveva imparata quando
“Non
sei sola, ci sono io con te. Vieni con me.”
Suigintou non ebbe la forza di opporsi, ma prima volle fare
un’ultima cosa per Megu, in quella chiesa, lo stesso luogo dove si erano
conosciute.
Usando il potere di Meimei la bambola chiuse la ragazza in
un cristallo, avvolta dalle sue piume nere.
Infine incise su un marmo queste parole.
“Qui
giace Megu. Un’anima pura alla quale è sempre stata negata l’esistenza. Un
angelo caduto per errore dal Paradiso. Un angelo che mi ha salvata dalle
tenebre.”
Dopo
aver fatto ciò Shinku la condusse a casa sua.
Come
c’era da aspettarsi tutti i presenti non gradirono molto la cosa. Specialmente
Suiseiseki, la quale aveva ancora impresso nella mente ciò che la prima bambola
aveva fatto alla sua gemella.
Per
tutta la giornata Suigintou non fece altro che rimanere in silenzio.
Non
volle nemmeno mangiare, né permise a Nori di lavarle il vestito, lordo di
sangue.
Quella notte non si addormentò nemmeno. Preferì rimanere
fuori casa, ad osservare il nulla.
Lo
stesso nulla che sentiva dentro.
Ad
un tratto sentì dei passi alle sue spalle, ma non ebbe bisogno di voltarsi per
capire chi era.
“Che
sei venuta a fare?”
“Dovrei chiedertelo io desu. Non ti è bastato tutto quello
che hai fatto desu?”
“Non
volevo venire qui…”
“E
perché sei venuta desu?”
“Non
ho avuto la forza di oppormi… ormai… non mi importa più di niente…”
“Come desu?”
“Ti
importerebbe più qualcosa se il mondo che conosci venisse cancellato davanti ai
tuoi occhi? Vorresti continuare a vivere nonostante tutti coloro che ami non ci
siano più?”
“Che
significa desu?”
Suigintou sorrise, ma il suo era un sorriso amaro.
“Come immaginavo. Shinku non vi ha detto niente, vero?
Tanto meglio. Non merito la vostra pietà.”
“Pietà desu? Perché dovremmo avere pietà di te desu?”
“Non
sono affari che ti riguardano.”
Tra
le due bambole cadde il silenzio.
Suigintou sapeva quello che Suiseiseki provava nei suoi
confronti, perciò tentò di sfruttare la situazione a suo favore.
Fece
apparire la sua spada e la piantò a terra, alla portata della terza Rozen.
“Prendila.”
Suiseiseki non rispose, né capì cosa intendesse fare la
prima bambola.
“Non
vuoi vendicare la tua gemella? Questa è la tua occasione. Usa l’arma che ha
tolto la vita a chi ti era più cara al mondo per renderle giustizia!”
La
giardiniera fu tentata di fare ciò che la bambola alata le diceva di fare, ma,
una volta toccata l’elsa della spada, non ebbe il coraggio di usare l’arma.
Ucciderla, alla fine, non le sarebbe servito a niente.
Rientrò in casa, voltandosi di tanto in tanto per vedere se
Suigintou reagisse in un qualche modo.
L’unica cosa che l’albina fece fu lasciarsi cadere sulle
ginocchia.
Senza rendersene conto era diventata come Megu.
Desiderava morire, ma nessuno assecondava il suo
desiderio.
Non
riusciva più a trovare una ragione di vita.
Ma
ne aveva una di morte.
E
l’avrebbe perseguita in ogni modo.
Il
giorno dopo, quando Shinku si svegliò, non c’era traccia di Suigintou.
Visto l’accaduto informò anche gli altri di quello che era
successo il giorno precedente, in modo che potessero finalmente vedere la
bambola sotto una luce diversa.
Ma
nonostante tutti i loro sforzi non la trovarono, né ebbero sue notizie.
Almeno finché, dopo quattro giorni, non giunse un
pacco.
Allegato a questo c’era una lettera indirizzata a
Shinku.
La
bambola la aprì, iniziando a leggere ciò che c’era scritto.
“Per
Conoscendoti immagino che in questi giorni ti sarai
preoccupata per me, ma non temere.
Ora
stò bene.
Mentre ti scrivo questa missiva mi trovo in Brasile, ma
quando la leggerai… beh, non ci sarò più.
In
questo momento però ho voluto realizzare uno dei desideri di Megu.
Megu desiderava vedere il tramonto dalla Statua del Cristo e, visto che lei ormai non può, l’ho fatto io al suo posto.
È stata un’esperienza bellissima, unica.
Per
la prima volta nella mia vita ho sentito che qualcosa aveva DAVVERO senso.
Posso dire che il mio ultimo ricordò è stato il più bello
in assoluto.
Vedendo il sole che scompariva ho sentito anch’io il
bisogno di scomparire, e mi sono lasciata cadere nel vuoto.
Ad
attendermi c’era la mia spada.
Non
preoccuparti, non rimarrò lì per sempre.
Meimei ha provveduto a tutto ciò che avevo preparato.
Quando leggerai questa lettera sarò già a casa tua.
Vorrei chiederti solo un favore.
Prenditi cura di Meimei dopo che avrà portato a termine il
suo ultimo compito da parte mia.
So
che la mia Rosa Mystica dovrebbe appartenerti, ma… ne ho bisogno.
Mi
serve per porre rimedio ad un grande errore.
Se
non l’avessi ancora capito nel pacco che ti è stato recapitato ci sono io, o
meglio, il mio corpo.
Puoi
farne quello che vuoi. Donalo ad una bambina, usalo come pezzi di ricambio,
oppure trasformalo nella spazzatura quale sono.
Volevo diventare Alice, ma solo ora capisco che non potrò
mai esserla.
Diventa tu Alice al posto mio, ma non farlo per me.
Fallo per te stessa.
Non
voglio il tuo perdono, né la tua compassione, né quella di nessun altro.
Non
merito niente.
Addio per sempre, Shinku.
Suigintou.”
Shinku aprì disperatamente il pacco, sperando che quello
che aveva letto fosse solo uno scherzo di pessimo gusto.
Ma
non fu così.
Suigintou giaceva nel suo scrigno, immobile.
All’altezza del petto un foro, segno che la sua spada
l’aveva trapassata.
La
bambola rossa non ebbe il tempo di versare una lacrima che Meimei uscì dallo
scrigno assieme alla Rosa Mystica della bambola albina.
Lo
spirito si avvicinò ad Hina Ichigo e Souseiseki e, divisa in due
Mentre Nori e Suiseiseki davano commosse il ben tornato
alle due bambole Jun e Shinku rimasero vicino a Suigintou.
Nonostante fosse morta un lieve sorriso le allietava.
Nonostante tutto era felice.
Felice di essersi redenta per ciò che aveva compiuto di
malvagio.
Felice, perché avrebbe potuto finalmente rivedere Megu.
Shinku non rimase indifferente alla vista di quel corpo,
ormai senza vita.
Jun
le disse, cercando di consolarla.
“L’espressione del volto è così serena… sembra quasi che
stia dormendo.”
“Si,
hai ragione.”
Dopo
un po’ la bambola disse.
“Jun, non potresti rammendarle l’abito?”
Il
ragazzo annuì.
Anche se quella bambola era sempre stata ostile nei loro
confronti era pur sempre una Rozen, una delle sette sorelle.
Sarebbe rimasta con loro, anche se solo nel corpo.
Perché la sua anima aveva già raggiunto un’altra
persona.
L’unica persona che Suigintou amava oltre suo padre.
L’unica persona che l’aveva fatta sentire sempre a
casa.
E
con la quale avrebbe condiviso l’eternità.
Fine