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Autore: happley    12/07/2014    0 recensioni
Alba era tutto ciò che odiava in una persona e tuttavia Sion non riusciva a lasciarlo in pace.(...)Sfortunatamente per Alba, più si agitava e cercava di giustificarsi, inciampando nelle parole, più Sion sentiva crescere il bisogno di farlo stare zitto.
Gakuen!AU in cui Sion (Ros) e Alba frequentano il secondo anno in un liceo della periferia di Tokyo, Alba è il presidente del Consiglio studentesco, e Sion (suo malgrado?) va spesso a dargli una mano. Sion x Alba.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno! Stamattina mi sono svegliata con la voglia di scrivere qualcosa su Senyuu, in particolare l'idea di una gakuen!AU mi ronzava in testa da un po'. Anche Haruhara ha disegnato una gakuen!AU, di cui pare sia uscito un oav animato, ma purtroppo non ho avuto occasione di vedere né l'uno né l'altro :c In questa fic Sion, Crea e Foyfoy sono in classe insieme, Alba è il presidente del Consiglio studentesco e tutti sono al secondo anno di un liceo nella periferia di Tokyo. Ho scelto di usare il nome 'Sion' per Ros perché in un'AU di questo genere non vedo perché dovrebbe usare un nome finto... insomma, non aveva molto senso. Sion e Alba sono già in una relazione (✿◕ヮ◕)/ *:・゚✧*:・゚✧

Disclaimer: Senyuu e i suoi personaggi sono stati creati da Robinson Haruhara, che ha tutti i diritti su di essi. Solo il soggetto di questa storia e la storia stessa mi appartengono.

for some weird reasons, he can't leave him alone.

Verso la fine di Aprile, il caldo nelle aule era afoso ed umidiccio e non passava un filo di vento.
Sion fece un verso estremamente irritato e bestemmiò sottovoce contro Crea e le dannate tapparelle che l’amico aveva rotto la settimana scorsa. Per colpa sua, il sole che penetrava dalla finestra gli arrivava quasi dritta in faccia, costringendolo a socchiudere gli occhi. Non riusciva a vedere bene la lavagna, dopo poco ci rinunciò. Mancava solo un mese alla fine della scuola e non sentiva un grande bisogno di prendere appunti, perciò si sfilò gli occhiali da lettura, li piegò  li posò ordinatamente nella loro custodia.
Supportandosi col gomito, appoggiò il viso sul palmo della mano e spostò lo sguardo annoiato verso il cielo, che era di un azzurro accecante, e quasi subito l’immagine della stanza del Consiglio studentesco si materializzò davanti ai suoi occhi.
Chissà cosa stava facendo il presidente, in quel momento. Probabilmente era inondato dal lavoro che avrebbero dovuto fare gli altri, come sempre.
 
La prima impressione che Sion aveva avuto del presidente non era stata positiva… anzi.
Alba era debole, stupido, chiacchierone. Si faceva mettere i piedi in testa facilmente. Lasciava che gli altri gli addossassero tutte le responsabilità. Sbatteva continuamente negli spigoli dei mobili perché non stava mai attento. Dopo soli cinque minuti in sua compagnia, Sion si trovava spesso a chiedersi come fosse riuscito a sopravvivere fino a sedici anni.
Era gentile fino a star male. Non rifiutava di aiutare nessuno. Portava sempre a termine ciò che gli veniva affidato. Lo costringeva quasi a prendersi cura di lui. E quando sorrideva in quel modo ingenuo sembra impossibile resistere alla tentazione di abbracciarlo.
Alba era tutto ciò che odiava in una persona e tuttavia, per qualche strano motivo, Sion non riusciva a lasciarlo in pace.
 
Quando la campanella suonò, segnando la fine delle lezioni, Sion era così immerso nei suoi pensieri che quasi non se ne accorse. Ma poi Crea decise di girarsi e di rovinare la sua pace.
“Si-tan, il tuo quaderno è più bianco del mio!” esclamò. “Anche tu non capivi quello che c’era scritto alla lavagna?” lo prese in giro ridendo, e Sion alzò un sopracciglio, seccato.
“Scherzo, Si-tan, scherzo” lo rassicurò l’amico, come se non fosse evidente. “Lo so che senza aprire libro hai comunque voti altissimi. Mi chiedo come fai… forse chiedi lezioni private al president—Ouch!” Crea s’interruppe con un verso di dolore quando il diario di Sion gli atterrò in fronte con una forza decisamente non necessaria.
“Non dire stupidaggini. È solo che non sono stupido come te o Foyfoy.” Il ragazzo scostò la sedia, si alzò ed iniziò a raccogliere la roba, apparentemente senza alcun rimorso per il segno rosso che aveva lasciato sul volto del compagno. Crea si massaggiava il punto dolorante, le labbra arricciate in un broncio e un accenno di lacrime –finte- agli angoli degli occhi
“Qualcuno mi ha nominato?” Foyfoy comparve in quel momento davanti al banco di Crea, dopo aver attraversato mezza aula per raggiungerli; i capelli biondi gli ricadevano su una spalla, legati in una coda di cavallo disordinata, e aveva le mani infilate nella tasca del gakuran.
“Sì, Si-tan stava giustappunto ricordandoci come la nostra media finirà probabilmente sotto le scarpe anche quest’anno” gli rispose Crea. Foyfoy non parve offendersi. Era vero che i loro voti erano normalmente bassi, e poi entrambi erano abituati alla malignità di Sion nei loro confronti.
“Oggi devo sbrigare delle cose giù all’aula del Consiglio” annunciò il ragazzo dai capelli neri, già con la borsa in spalla. “Torna a casa da solo, Crea.” Schioccò la lingua, infastidito, quando si accorse che l’espressione imbronciata dell’amico si stava trasformando in un sorriso stupidamente divertito che non prometteva nulla di buono.
“Mmm, ho capito, va’ pure dal presidente. Mica mi offendo.”  
Appunto, si aspettava un commento di questo tipo.
Sion si sforzò di ignorarlo e s’incamminò verso la porta dell’aula.
“Povero Alba… Sion l’ha proprio preso di mira,” osservò Foyfoy con un sospiro. “Deve avere la pazienza di un santo, dopotutto Sion è particolarmente cattivo con lui…”
Seguì la risata allegra di Crea. “Ma è un buon segno, sai?” canticchiò. “In verità, Si-tan è il tipo a cui piace dar fastidio alla persona che gli piace. Alla fine, non riesce proprio a lasciar solo il pres—” Ancora una volta non poté finire la frase, Sion gli aveva afferrato la testa tra le mani: cominciò a stringere e a fare forza, quasi volesse schiacciargli la scatola cranica.
“Cosa dicevi Crea? Qualcosa di stupido, giusto? Non c’è bisogno che continui, giusto?”
“Ahia, ahia, ahia! Si-tan, basta, basta, mi sbriciolerai il cervello!”
“Oh, ma non c’è pericolo. Non preoccuparti di perdere cose che non hai, Crea.”
“Si-taaaan, la testa mi fa male, mi fa maleee!”
Foyfoy osservò i due ragazzi e sospirò, esasperato da quella scena che aveva visto ripetersi moltissime volte da quando era finito in classe con loro. Che anche questo fosse un modo di dimostrarsi affetto? Era una cosa talmente assurda, solo Crea poteva pensarlo. A guardarli sembrava davvero che Sion volesse ucciderlo, dopotutto.
 
xxx
 
Alba lasciò cadere la testa sulle braccia e spalmò la guancia destra contro la superficie fresca del banco. Faceva un caldo abissale, in quella stanza, e il sole gli batteva proprio dietro la nuca. I suoi occhi color nocciola squadrarono per un attimo l’aula deserta, poi si soffermarono esasperati sulle due cataste di fogli appoggiate al suo fianco –tutti gli altri membri del Consiglio si erano tirati indietro dicendo di avere attività dei club da svolgere, o talmente tanti compiti da dover subito tornare alle proprie case, e come spesso accadeva gli avevano lasciato una montagna di lavoro.
Il ragazzo si raddrizzò nuovamente, prese uno dei fogli e lo fissò senza capirci niente: nella sua mente stanca e accaldata, lettere e numeri si confondevano, sembravano staccarsi dal bianco e ammassarsi in un unico, grande groviglio di fili neri dinanzi ai suoi occhi.
“Presidente?” Alba dovette sbattere un paio di volte le palpebre per uscire da quell’illusione e tornare alla realtà. Il ragazzo che era comparso sulla porta, con una borsa in spalla, si passò una mano fra i capelli neri e borbottò qualcosa tipo, “Come immaginavo, è ancora qui…”, accompagnato da uno sbuffo. Aveva l’aria incredibilmente annoiata e, nonostante percepisse il suo cattivo umore come un pericolo imminente, Alba si sforzò di sorridergli.
“S-Sion, come mai qui? Non credevo che saresti venuto” disse.
Sion gli lanciò un’occhiata vacua ed alzò un sopracciglio. Era venuto tutti i giorni di tutte le settimane di tutti gli ultimi tre mesi, eppure Alba lo accoglieva sempre come fosse una novità. Non sapeva se il suo candore fosse reale o costruito, in ogni caso gli dava sui nervi.
Chiuse la porta scorrevole facendola sbattere contro il muro, e senza preoccuparsi del fracasso che seguì buttò la cartella per terra e raggiunse Alba, si chinò alle sue spalle per esaminare la situazione.
“Eh- questo lavoro mi sembra un po’ troppo arduo per uno come te, presidente. Sicuro di capirci qualcosa?” osservò, non potendo trattenere un ghigno quando vide le guance dell’altro prendere rapidamente colore.
“Cosa vorresti dire con ‘uno come te’?! E poi sono perfettamente in grado di cavarmela!!” ribatté Alba, la sua voce si alzò di qualche tono, come sempre quando si sentiva a disagio.
“Non c’è bisogno di mentire, presidente, sappiamo tutti che il tuo quoziente intellettivo è limitato.”
“Mi stai dando dello stupido?!” gridò Alba, esasperato. Ci voleva davvero poco per farlo agitare. Sion sorrise, pensando a quanto fosse sciocco, sincero. Ripensandoci, non era possibile che quell’atteggiamento fosse costruito: Alba era completamente trasparente, al contrario di lui.
Senza dire nulla, prese alcuni fogli e ci diede una sbirciata, constatando con sollievo che sarebbe stato un lavoro di pochi minuti; perlopiù erano conti riguardanti i budget dei club, e la matematica era il suo punto forte. Afferrò dal banco di Alba una penna e quante più carte poté, poi spostò una delle sedie alle spalle dell’altro e ci si sedette a gambe incrociate.
Quanto notò l’espressione sorpresa di Alba, le sue labbra si piegarono nuovamente in un ghigno. “Presidente, so di essere incredibilmente attraente, ma preferirei che tu svolgessi il tuo lavoro piuttosto che fissarmi. Per quello abbiamo un sacco di tempo, dopo, se finisci in tempo” disse, non senza una certa malizia. Alba avvampò non appena colse l’allusione.
“N-non ci tengo, grazie!” dichiarò, si voltò di scatto e tornò a fissare il foglio pieno di numeri.
Sion non smise di sorridere, immaginando quanto l’altro fosse agitato anche solo per il fatto di sentire il suo sguardo addosso. Ma era ora di mettersi al lavoro. Non voleva certo trascorrere là le successive tre ore. Si infilò nuovamente gli occhiali e scorse rapidamente i fogli, faceva tutti i calcoli a mente e scriveva solo i risultati, senza pasticciare troppo; presto si trovò senza più carte da compilare e fu costretto ad alzarsi per prenderne delle altre.
Si alzò senza far rumore e si avvicinò al banco del presidente, apparentemente troppo concentrato nel lavoro per accorgersi di lui. Alba non era particolarmente bravo in matematica, ma nemmeno troppo scarso, e procedeva molto più lentamente di lui, scrivendosi tutti i passaggi con metodo. Solo allora, squadrandolo dall’alto, Sion notò che i suoi capelli castani erano legati in una piccola coda di cavallo, che gli lasciava scoperto il collo arrossato e madido di sudore. Quella vista insolita lo incuriosì ed eccitò allo stesso tempo, al punto che quasi desiderò di mordere quella porzione di pelle normalmente nascosta alla vista. La tensione si smorzò un po’ quando, esaminando meglio la pettinatura, si accorse che il fermaglio usato era rosa acceso, con una fragola di strass appuntata.
Gli venne da ridere.
“Wow, bello. Credo che vada molto di moda… tra le bambine delle elementari” commentò. “Presidente, non sapevo che avessi questi gusti” aggiunse, tirandogli leggermente i capelli.
Alba si girò, confuso, e quando capì di cosa stava parlando si portò istintivamente le mani alla nuca, imbarazzato. “E-eh—no, n-non è mio! Me l’ha dato Ruki, non potevo dire di no, voleva mettersi a piangere e quindi…”
Sion ovviamente sapeva di cosa stava parlando. Ruki era un’esuberante ragazzina che andava ancora alle scuole elementari, precisamente quella di fronte al loro liceo, e per coincidenza era anche la figlia dei vicini di Alba: sembrava molto affezionata a lui e non perdeva occasione per importunarlo.
Sfortunatamente per Alba, più si agitava e cercava di giustificarsi, inciampando nelle parole, più Sion sentiva crescere il bisogno di farlo stare zitto.
Con un gesto repentino, brusco, gli afferrò il mento tra le dita e gli mantenne fermo il volto, mentre con la lingua percorreva il tratto di pelle dalla nuca, dove c’era l’attaccatura dei capelli, fino al colletto della camicia. Alba rabbrividì e chiuse istintivamente gli occhi, lasciandosi sfuggire un gemito di sorpresa, che diventò imbarazzo man mano che Sion risaliva lungo il collo con le labbra, lasciando baci tutt’altro che leggeri: voraci.
“E-ehi, guarda che siamo a scuola!” gli ricordò Alba, con un tono di rimprovero non troppo convincente visto che era smorzato dal panico. Erano passati già tre mesi da quando avevano iniziato ad uscire insieme (cosa che non avevano detto ad anima viva, anche se Sion sospettava che Crea lo sapesse ugualmente: era uno dei tanti lati negativi di avere un amico d’infanzia che ti conosce come le sue tasche), ma Alba non sembrava ancora essersi abituato ad essere toccato da lui. “Sion… ah… e-ehi!!” Alba protestò quando sentì una mano fredda sollevargli la maglietta e scorrergli sulla schiena.
Sion alzò lo sguardo verso di lui, accigliato. “Non posso?”
Alba deglutì, Sion non poté fare a meno di notare il movimento del pomo d’Adamo che saliva su e poi giù. Il sudore gli gocciolava lungo la nuca. Per un po’ rimasero fermi, Alba insicuro e col respiro affannato e Sion in attesa ma con una pazienza in rapido esaurimento.
“O-okay. Solo un pochino, però” acconsentì infine il presidente e, rassegnato, tirò leggermente la testa indietro per lasciargli più accesso. Sion sorrise mentre gli posava le labbra nell’incavo della clavicola, lentamente risalì verso sopra, si fece strada verso la bocca dell’altro e lo baciò.
Avrebbe voluto spingersi oltre, e si accorse quasi subito che i propri occhiali erano d’impiccio: sbuffando, li tolse in fretta, abbandonandoli sul banco, poi chinò nuovamente in avanti, stavolta intenzionato a rendere il bacio più profondo. Alba mugugnò, ma gli lasciò un totale controllo: si aggrappò al suo gakuran, attirandolo a sé, ed ebbe un solo tremito quando sentì polpastrelli freschi affondargli nei fianchi.
L’aula pareva aver raggiunto i quarantacinque gradi quando si separarono nuovamente.
“Sion” sussurrò Alba, senza fiato, affondò il viso nel suo collo per l’imbarazzo, ma non poteva nascondere il rossore che gli pervadeva persino le orecchie. “Sion” ripeté.
“Tempo scaduto” brontolò l’altro. Alba si riscosse e lo spinse via; tossì leggermente, come per darsi un contegno, e guardò l’orologio appeso alla parete. “Dobbiamo sbrigarci” disse, la voce un po’ più roca del normale.
“Già” rispose Sion, e tra loro cadde un silenzio più che imbarazzante.
 
xxx
 
Al punto esatto dove le loro strade si separavano, c’era uno spiazzo con un panorama mozzafiato. Lo vedevano tutti i giorni, visto che dovevano per forza passare di lì al ritorno da scuola, ma ogni volta Alba ne restava impressionato, si appoggiava al parapetto e osservava estasiato per un po’ la città sotto di loro, il mare scintillante che catturava i raggi del sole.
Anche Sion si soffermava a guardare la vista, ma a lui non interessava il paesaggio.
Dopo un po’, le orecchie e la nuca di Alba si tinsero di rosso, segno che riusciva a percepire quello sguardo così intenso puntato sulla propria schiena –solo allora l’altro si rese conto di ciò che stava facendo e scosse in fretta il capo, fingendosi indifferente.
“Beh, presidente, io vado. Cerca di non sporgerti troppo e non spiaccicarti al suolo, non sarebbe un bello spettacolo, senza contare che inquineresti notevolmente l’ambiente” disse.
Alba lo guardò, talmente sconvolto che dalla bocca non gli uscì nemmeno un suono di protesta, e subito dopo si allontanò di scatto dal parapetto. Sion ridacchiò e si voltò.
Aveva mosso appena qualche passo che Alba lo richiamò.
“U-uhm, Sion,” esclamò, “grazie per oggi.”
L’altro sollevò una mano e la agitò in segno di deferenza e saluto. “Non l’ho fatto per te, trovo solo divertente prenderti in giro, presidente” replicò. Alba non rispose alla provocazione, fatto molto strano. Sion si bloccò e si rivolse verso l’altro, che si mordicchiava il labbro nervosamente, torturandosi le mani e la giacca del gakuran che portava legata in vita.
“Oggi mia madre torna tardi e, uhm, mi chiedevo,” la sua voce divenne quasi inudibile, “se volessi, per caso, venire da me.” Le sue guance bruciavano di un rosso ormai quasi violaceo.
E la cosa peggiore è che Sion temeva proprio di aver assunto lo stesso colore.
 
Ah, non poteva proprio lasciarlo in pace.
 
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