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Autore: King_Peter    16/07/2014    8 recensioni
{ Brothership Pevensie | Susan's Memories | The Last Battle }
1966.
Lei era sempre stata la sorella che non voleva credere.
Un tempo la chiamavano "la dolce", ma come poteva pretendere ancora quel titolo?
Come poteva, ora, che il suo cuore si era fatto più duro della stessa pietra, insensibile a tutto ciò in cui una volta aveva creduto, a quel mondo in cui tutto loro Pevensie avevano scelto di credere?

Per un attimo, Susan si guardò allo specchio, il trucco scialbo, gli occhi venati di rosso per il pianto liberatorio, svuotata, finalmente, di tutta quella rabbia che aveva covato segretamente per tutti quegli anni: quella allo specchio non era lei, era il mostro che aveva sempre tenuto nascosto sotto la sua maschera, sfamandolo raccontando a sé stessa solo bugie.

Susan non poteva morire, Susan doveva continuare a vivere per ricordare.
Lei era l'ultima dei Pevensie.
Lei era l'ultima regina di Narnia.
Lei non era e non sarebbe più stata la sorella che non aveva creduto.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aslan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"My sister Susan, she is no longer a friend of Nania."
Peter, the Last Battle
 
 
Susan osservò il suo riflesso allo specchio, sorridendo nel suo modo tipico mentre le sue dita stringevano il tubetto del rossetto che sfiorava le sue labbra, tingendole di un rosso così acceso da esaltare la chiarezza dei suoi occhi e il colorito roseo del suo incarnato.
Era perfetta, esteticamente perfetta con quelle guancia delicate e i capelli scuri raccolti in un elegante capigliatura, mentre i suoi occhi si aprivano e chiudevano per perfezionare il suo trucco.
Ma cos'era diventata?
Le dita si strinsero intorno al rossetto, abbassandosi lentamente fino a raggiungere il bordo della specchiera, sotto lo sguardo confuso del suo riflesso, le pupille attonite che seguivano le sue mosse, aspettando che, da semplice pedina qual'era, venisse mangiata dalla regina avversaria.
Susan non si riconosceva più, non era più la stessa da quando era successo: ferite che aveva cercato di chiudere, adesso cominciavano a riaprirsi, sanguinando con più forza, gemendo di dolore come se non fossero mai state sanate.
Cosa le restava? Cosa le restava se non sangue e dolore?
Susan sentì il suo sapore metallico in bocca, quello che aveva provato quando si era morsa le labbra con così forza per evitare di piangere, la sua classica viscosità sulle dita, cosa che le fece perdere la presa sul tubetto del rossetto.
Le immagini di quel giorno scorrevano lentamente davanti ai suoi occhi, come una tortura destinata a non terminare mai, la rabbia, il suo insolito grido di dolore, come un ultimo, estremo tributo alla sua famiglia che era stata completamente spezzata dallo schianto del treno: i suoi occhi incontrarono quelli tristi di Peter, le pupille piangenti di Lucy che cercavano tanto una rassicurazione, quelle sgomente di Edmund, moltiplicate dagli sguardi speranzosi del professor Kirke, la signora Polly, suo cugino Eustachio.
Tutti che aspettavano una sua mossa, tutti che aspettavano che mattasse sulla scacchiera della sua anima.
Faceva male.
Vedeva ancora la carcassa sporca del treno sul quale viaggiavano, le rotaie polverose sconnesse e i suoi occhi piangenti che si rifiutavano di credere al macabro spettacolo che si profilava davanti a loro.
Che cos'erano stati quei dieci anni della sua vita spesi per la sua bellezza, le sue feste e i vestiti pregiati che tutte le sue coetanee le avevano sempre invidiato?
Lacrime, amare, bagnarono il suo volto, liquefacendo il suo trucco, facendo vedere a nudo, finalmente, il volto che una volta aveva mostrato fiero al popolo di Narnia.
Narnia.
Anche ad anni di distanza, quel nome riusciva sempre ad intimorire e a consolare il suo cuore, a sfamare la sua inettitudine con la gioia e la speranza che aveva provato solo una volta nella vita.
Perché non era mai tornata?
Per quanto Susan bramasse una risposta, in cuor suo, conosceva la causa di quel lungo, solitario esilio sulla terra, ancorata alla solida realtà: era sempre stato difficile, per lei, credere in qualcosa che andava oltre la sua razionalità, che superava tutti i limiti che si era imposta per non provare più dolore.
Lei era sempre stata la sorella che non voleva credere.
Un tempo la chiamavano "la dolce", ma come poteva pretendere ancora quel titolo?
Come poteva, ora, che il suo cuore si era fatto più duro della stessa pietra, insensibile a tutto ciò in cui una volta aveva creduto, a quel mondo in cui tutto loro Pevensie avevano scelto di credere?
Il peso della corona che un tempo aveva portato le faceva bruciare la radice dei capelli, perforando la sua pelle come spilli infuocati, mentre abbassava il capo per la vergogna e i suoi occhi, stanchi, cercavano di fermare le lacrime, inutilmente.
Susan quasi li invidiò per essere morti tutti insieme, per essere, ne era sicura, tornati nel regno in cui erano stati re e regine e averla lasciata lì, sola, nel dimenticatoio.
Per essere di nuovo al cospetto di Aslan.
La vergogna, una gomitata, poi tutti i cosmetici sulla specchiera caddero a terra, infrangendosi rumorosamente sul pavimento di marmo, mentre onde di profumo andavano confondendosi con i suoi singhiozzi amari.
Per un attimo, Susan si guardò allo specchio, il trucco scialbo, gli occhi venati di rosso per il pianto liberatorio, svuotata, finalmente, di tutta quella rabbia che aveva covato segretamente per tutti quegli anni: quella allo specchio non era lei, era il mostro che aveva sempre tenuto nascosto sotto la sua maschera, sfamandolo raccontando a sé stessa solo bugie.
Il mondo sembrò girarle intorno.
Articoli di giornale sbatterono contro le finestre, oceani di parole battute a macchina le vorticarono intorno, facendole perdere l'orientamento, mentre Susan si portava le mani agli occhi bagnati, cadendo a terra sulle ginocchia e cominciando a singhiozzare come faceva sempre da bambina.
Solo che adesso non c'era Peter, non c'erano più i suoi fratelli.
Era sola, irrimediabilmente sola e senza speranza.
Per quanto volesse mostrarsi forte, sapeva benissimo che la sua era solo una corazza che aveva fabbricato contro il dolore, per non dare soddisfazione a coloro che la circondavano e la reputavano debole, prendendola in giro, giudicandola.
Una cosa che Susan aveva sempre detestato.
Si accorse solo allora che, per quanto tutti facessero finta di esserle amici, erano solo interessati al suo denaro, alla sua popolarità per poter scavare a fondo e disseppellire la Susan che era stata, la Susan che una volta aveva creduto.
Lei poteva credere, lei voleva credere, ma ciò in cui avrebbe dovuto riporgere la sua fiducia era un qualcosa di incredibile, illogico.
“Impossibile” sussurrò alla solitudine della sua stanza nella vana speranza che qualcuno la sentisse, cosa che, invece, non accadde.
Che senso aveva la sua vita, ora? Che senso aveva ora che aveva perduto quanto c'era di più caro nella vita, ora che aveva finalmente scoperto il mostro che abitava dentro se stessa?
Susan non lo sapeva e aveva paura di ottenere una risposta.
Aveva solo voglia di rintanarsi in un angolino, portare le gambe al petto e piangere, chiedendo perdono a Dio, agli uomini.
Chiedendo perdono al suo cuore che aveva sempre affogato nel mare della ragione.
“Scusami Aslan!” chiese, alla stanza vuota, “Scusami se ho dimenticato, scusami se non ho più avuto fiducia in te, in Narnia!”
Niente.
Susan sapeva che quella era solo una pia preghiera che non sarebbe mai stata ascoltata: adesso vedeva il suo destino, ovvero quello di rimanere sola e in balia della sua disperazione finchè la morte non sarebbe sopraggiunta e avrebbe scelto per lei.
Poi fu un attimo.
Susan spalancò gli occhi, voltandosi di scatto e guardandosi intorno alla ricerca della zampa che aveva sentito poggiata sulla sua spalla, del respiro caldo che aveva giocato, per un attimo, con i suoi capelli.
Niente.
Eppure lei era sicura di averlo sentito, era sicura di non essersi immaginata la gioia che aveva sempre provato dinanzi ad Aslan: asciugò con le dita le ultime lacrime, dipingendo il suo volto di nero e sbavando il suo trucco, cominciando, lentamente, ad alzarsi.
Il vento smise di soffiare, le parole di turbinare, mentre il mondo, adesso, sembrava accelerare al ritmo impazzato del suo cuore: aveva capito, finalmente, aveva trovato un senso alla sua vita.
Susan non poteva morire, Susan doveva continuare a vivere per ricordare.
Lei era l'ultima dei Pevensie.
Lei era l'ultima regina di Narnia.
Lei non era più e non sarebbe più stata la sorella che non aveva creduto.
 
 
"Quando si è re o regine di Narnia, si è sempre re o regine.
Possa la vostra saggezza illuminarci finché le stelle non cadranno dal cielo."

Aslan, the Lion, the Witch and the Wardrobe


 
The King's Corner
Non so esattamente perché ho scritto questa one shot, ma ho trovato l'immagine di Susan su fb e così è nata l'idea. L'immagine, quindi, non mi appartiene e non so chi l'abbia fatta, quindi ... boh xD appartiene a chi ne detiene i diritti u-u
Ho sempre trovato il personaggio di Susan abbastanza particolare, ostico nei confronti di Narnia, ma anche molto amorevole, gentile e, quindi, ho provato ad esaltare il contrasto interiore che prova dentro, la voglia di cedere e quella di continuare a mantenere alto il muro.
E ne è uscito questo.
Come avrete capito dall'introduzione, è ambientata circa 10 anni dopo "L'Ultima battaglia", quando Susan si sta truccando e ripensa, improvvisamente, alla sua famiglia e, di lì, nascerà tutta la storia :')
Hope you enjoy it! :3
Lasciate una recensione, se vi va xD Ah, comunque, informazione di servizio, sono un ragazzo u.u
Narniani avvisati, narniani salvati xD Ok, sparisco :3

King


 
  
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