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Autore: Wozzugururu    16/07/2014    1 recensioni
L'antico mito riguardante il vaso di Pandora rivisitato in chiave più recente. Tutti conosciamo il mito, ma quali erano le sensazioni di Pandora, cosa pensò in quel fatidico momento? Leggendo questo racconto potrete saperne di più.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pandora

 

 

Il mio più grande problema era la mia curiosità. Era la mia bestia, notte e giorno mi rodeva le viscere, graffiava e raspava nei meandri più reconditi della mia mente. Notte e giorno, sin dalla mia nascita.

Mio padre, o meglio, colui che mi aveva dato la vita, mi fece intelligente e di bell'aspetto, eppure volle condannarmi a struggermi nell'impossibilità di scoprire cosa ci fosse nel bellissimo scrigno che mi aveva regalato quando mi aveva data in sposa a Epimeteo, il fratello del titano Prometeo.

Notte e giorno lo scrigno restava sigillato, nascondendo il suo misterioso contenuto alla mia sete di conoscenza.

Notte e giorno il mio istinto lottava con la consapevolezza del divieto divino che mi era stato imposto: mai, per nessuna ragione, aprire il vaso.

 

Un giorno la tentazione fu troppo forte. Il cielo terso mi metteva in soggezione, avevo paura che Zeus e gli altri dei mi stessero guardando dall'Olimpo, percui mi nascosi sotto un vecchio e ritorto albero di fichi. Le larghe foglie della pianta mi diedero sollievo dalla calura estiva. Afferrai un frutto maturo che pendeva poco lontano da me e lo gustai senza mai staccare gli occhi dall'oggetto del mio desiderio. I minuti fregi erano stati dipinti con una maestria tale che la processione che vi era raffigurata pareva danzare allegra intorno al coperchio. Mi sedetti appoggiando la schiena al tronco nodoso del fico. Una leggera brezza portava con se l'odore del mare e lo stridio dei gabbiani. Mi incurvai per avvicinare io mio viso al vaso e appoggiai una mano sul coperchio. Lo sollevai delicatamente.

Dal vaso scaturì come una fontana di una strana melma oleosa dal colore scuro e l'odore nauseabondo. Il cielo si fece improvvisamente buio, mentre il sole veniva coperto da grandi nuole nere velate nella parte bassa di rosso. Nella semioscurità riuscii ad intravvedere all'interno dell'orripilante getto una serie di volti contorti in smorfie di immane dolore. Le mie orecchie vennero pervase dai gemiti di migliaia di anime in pena. Qualcuno mi chiamava, altri invocavano vanamente aiuto. Mi coprii le orecchie con le mani sperando di riuscire a scacciare quel coro che corrodeva la mia sanità mentale, ma fu del tutto inutile. Un forte vento cominciò a soffiare, trasportando dal luogo di tormenti dal quale proveniva l'odore del sangue e della morte. Le mie lacrime venivano strappate via dal mio volto dalla furia della tempesta, il mio vestito vorticava sferzandomi il corpo. Cosa avevo fatto? Quali conseguenze avrà il mio gesto? Piangendo per il male che sentivo di aver procurato a tutta l'umanità col mio folle gesto, cercai di arginare il danno nell'unico modo possibile: afferrai il coperchio e chiusi con forza il vaso.

La calma tornò immediatamente, l'erba rada riprese ad ondeggiare mollemente nella dolce brezza marina. Ora l'unica tempesta era quella che avevo nell'animo. Perché mio padre aveva voluto procurare tutte quelle disgrazie agli uomini? Io, la curiosa Pandora, ero forse stata creata solo per questo scopo? Ero forse una punizione?

Restai a lungo appoggiata con entrambe le mani al vaso, piangendo un fiume di lacrime che cadevano sul suolo seccato dal sole. Meditai addirittura di scagliare il vaso lontano, ma pensai che se si fosse riaperto sarebbe stata la fine. Eppure, sebbene solo per un attimo, pensai che forse c'era anche qualcosa di buono nel vaso. Scacciai quel pensiero, temendo mi avrebbe portato solo altre disgrazie, e mi avviai mestamente verso casa.  

   
 
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