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Autore: I m a witch    18/07/2014    1 recensioni
Lei è Alice, altrimenti nota come Deamon A, frontwoman della celebre band black metal The Six Deamons.
Vive per la sua band, canta per passione.
Lei e i suoi compagni vengono idolatrati in tutto il mondo grazie al loro fascino oscuro e maledetto; i testi delle loro canzoni parlano di demoni e come tali si fanno chiamare.
Scopriranno a proprie spese che i demoni delle loro canzoni sono più reali di quanto potessero mai immaginare.
Perché nessuno è al sicuro quando si avverte l'odore di ciliegie: l'odore di Cherry.
**Questa storia partecipa al contest "Il Romanticismo del 666" indetto da _LoveStory_ & _Stardust**
**Storia in gara agli "Oscar EFPiani 2015"**
Genere: Dark, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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DISCLAIMER: tutti i personaggi di questa storia mi appartengono e sono frutto della mia fantasta. Eventuali somiglianze con fatti e/o persono sono meramente casuali.




The Six Deamons
-Smell of Cherry-
 
 
Capitolo 1
 
 
Era notte fonda, ormai, e le luci dei fari delle macchine illuminavano con irregolare intermittenza l’interno della nostra cuccetta, terza del corridoio a sinistra del tour bus a due piani.
Accanto a me, come sempre, c’era la ragione principale per cui mi ostinavo a compiere quegli estenuanti e frenetici viaggi: Jason Griffiths, meglio conosciuto dai nostri fan con il nome di Deamon J o semplicemente J. Membro fondatore, insieme a me e a Ryan Allen, il nostro bassista, dei Six Deamons.
Era senza dubbio il chitarrista più discusso, amato, odiato e idolatrato del momento, nel mondo del metal. Il suo talento era innegabile, così come il suo fascino da bello e dannato. Lineamenti regolari con un ché di nobile, mascella squadrata adombrata da un piccolo pizzetto, capelli neri lunghi, corpo perfettamente scolpito ricoperto di tatuaggi di demoni, occhi ghiaccio da perderci la testa dentro.
Sorrisi tra me e me, pensando che l’amore passionale tra il chitarrista e la cantante di un gruppo metal fosse uno dei più banali cliché in cui potessimo incappare.
«Mi stai fissando» borbottò, con voce roca.
Sorrisi.
«Lo so»
Lo baciai a lungo, con impegno e passione, tanto per rimarcare il concetto che lui era solo mio, e non di quelle miliardi di fan in giro per il mondo che lo sognavano ogni notte, immaginando milleuno modi in cui avrebbero potuto incontrarlo, ammaliarlo e uccidermi per poter finalmente stare con l’ambito oggetto del desiderio.
Con scatto agile si impose su di me, approfondendo il bacio.
«Dov’è il bottone per spegnerti, Alice?»
«Se vuoi cercalo dove ti pare, anche se sono anni che ci provi…» sorrisi, piena di allusioni più o meno sottintese.
Jason sospirò, cadendomi pesantemente addosso, senza più riuscire a sostenersi sulle proprie braccia.
«Sono distrutto, sai? Questa sera il concerto è stato particolarmente pesante» si lamentò.
Sorrisi comprensiva, accarezzandogli dolcemente i lunghi capelli.
«Forse non è stato il concerto in sé, ma il fatto che sono tre mesi, ormai, che giriamo il mondo. Non è facile esibirsi una sera sì e una no e nel mentre spostarsi, montare palchi, accordare strumenti, far fronte ai vari imprevisti, promuovere il nuovo album, cercare di non deludere i fan…» sospirai.
Dovevo ammettere che anche io ero particolarmente stanca. Per quanto andassi avanti a furia di riscaldamenti e gargarismi, la mia gola stava risentendo parecchio di quei mesi di sforzi e sempre più spesso iniziava a farmi male. Fortunatamente durante i live potevo contare sull’appoggio di Ian, nostro tastierista nonché seconda voce. Tutto ciò, però, non bastava a farmi rilassare. Jason dovette capirlo, dato che prese ad accarezzarmi lentamente un fianco.
«Cielo, menomale che manca solo un mese alla fine del tour… e sai che faremo, una volta a casa?» chiese, trovando la forza per sollevare la testa e guardarmi con un gran sorriso sornione.
«Cosa?» chiesi, fingendo di non capire.
«Ci riposeremo, dormendo ventiquattro ore di fila…» disse, beato.
Lo guardai con faccia teatralmente delusa, facendolo ridere.
«E ci daremo dentro, anche» assicurò, baciandomi «con del buono e sano sesso»
«Mi piace il tuo programma, sai?»
«Vuoi sapere un’altra cosa che mi piacerebbe fare?» chiese ancora, con espressione seria «Sposarti… ti va?»
Persi un battito.
Stavamo assieme da… quanto, ormai? Otto anni, anno più, anno meno? Senza contare che ci conoscevamo già da molto prima, fin dall’asilo.
«Dici sul serio?» chiesi, non riuscendo a credere alle mie orecchie.
«Sì, sul serio» affondò la testa tra i miei seni e capii che lo fece per nascondere quel lieve rossore che avevo captato, un istante prima «So che non sono cose da proporre alle tre di notte, pressoché nudi, all’interno di una minuscola cuccetta di un tour bus in viaggio da mesi, pieno di omaccioni tatuati… e che quel “ti va?” sarebbe più adatto ad un invito al cinema…» si ammutolì, restando immobile in quella posizione.
Nonostante il suo aspetto da duro e il suo fisico imponente, in quel momento faceva una tenerezza infinita. Gli sollevai il viso per il mento, perdendomi nei suoi occhi profondi.
Cos’era che vi si agitava dentro… paura? Temeva forse un rifiuto?
«Senza contare il fatto che non vedo il mio anello» sorrisi, cercando di sdrammatizzare.
Non si tranquillizzò, anzi.
«Cazzo, che stupido… forse avrei dovuto prenderlo prima, ma eravamo già in viaggio e, sai, non tutti gli autogrill hanno annessa una gioielleria vicino ai bagni pubblici e ai bar scadenti…!»
«Potevi prendermene uno da quei distributori di giochini idioti, hai presente? A volte li hanno, e anche di mille colori!» proposi.
Mise il broncio.
«Fai la seria, per una volta! Non hai risposto»
Lo baciai.
«Non c’è bisogno di rispondere… sai meglio di me che è un sì, con o senza anello»
Mi baciò con trasporto, prendendomi il viso tra le mani.
«Non sai quanto sono… cielo! Ti amo» farneticò, tra un bacio e l’altro.
«Anche io sono felice e ti amo» risi.
Era il momento più bello della mia vita. Avrei potuto mettermi a saltare, urlare e…
Dei colpi secchi fecero tremare la parete nord della nostra cuccetta, facendoci sobbalzare.
«La piantate?! C’è gente che vuole dormire!» sbraitò Cam, nostro vicino di cuccetta, nonché batterista del gruppo.
«Ha detto sì!» gridò Jason, e in quel momento capii che ero l’unica a non aver saputo nulla della proposta, fino a quel momento… prevedibile!
«Oh, finalmente, che cazzo! Congratulazioni! Ora dormite, piccioncini, o avrete un testimone in meno!»
«Scusa, fratello, non faremo più casino!»
«Cosa? Hai già scelto i testimoni?» bisbigliai, ridacchiando.
Fece spallucce.
«Non appena l’ho detto ai ragazzi, si sono subito proposti di farmi da testimoni… sai benissimo come sono quando vogliono qualcosa, no? Non potevo certo rifiutare!»
Risi, immaginandomi le facce supplichevoli dei quattro.
«Sì, in effetti...! Non vedo l’ora di dirlo a Tracy!»
«Probabilmente glielo avrà già detto Ian, anche se ho raccomandato loro di tenere le bocche chiuse. Ora dormiamo, non scateniamo le ire del terribile Deamon C… quello lì ci prende a bacchettate in testa, parola mia!»
«Oh, è solo nervoso perché stasera non ha trovato nessuna da portarsi a letto»
Jason ridacchiò.
«Buonanotte, futura signora Griffiths!»
«Buonanotte!» sorrisi, felice.



Il giorno dopo annunciammo la notizia al gruppo e allo staff. Festeggiammo in piena regola con dello champagne, tra un impegno e l’altro.
«Sono così felice per voi!» mi abbracciò Tracy, con i suoi soliti gridolini concitati. Ricambiai l’abbraccio, felice, al quale si unirono anche i miei compagni di band.
«Ora, però, non privilegiarlo solo perché sarà tuo marito…!» sbottò la nostra chitarra ritmica, Steve, scompigliandomi i capelli.
«Non ti preoccupare, continuerò a maltrattarvi senza distinzioni!» risposi, dandogli un pugno sulla gigantesca spalla tatuata.
Erano tutti così, i miei uomini: grandi e grossi come armadi, ricoperti di tatuaggi, facce da duri ma dolci e iperattivi come solo loro sapevano essere.
La mia famiglia, pensai orgogliosa.
«Adesso tocca a te, Ian!» insinuò Jason, dandogli una pacca sulla schiena.
L’interessato arrossì, ricevendo il dolce broncio di Tracy in risposta, al ché la fissò intenerito.
«Presto o tardi, immagino» sorrise, abbracciandola, tra i fischi generali.
Jason mi avvolse i fianchi con le braccia, appoggiando il viso sui miei capelli blu notte.
«Ascoltate un momento, per favore» disse, serio «Vi prego di non far parola del matrimonio con nessuno, almeno fino a nuovo ordine»
Girai la testa verso di lui, osservandolo sorpresa.
«Perché? Hai forse paura di spezzare il cuore delle tue fan?»
Lo vidi sollevare gli occhi, esasperato.
«Non potrebbe fregarmene di meno» sbottò.
Odiava quando insinuavo un qualche rapporto tra lui e le sue fan. Mi aveva detto più volte, anche in passato, che non aveva alcun interesse sentimentale e/o sessuale verso di loro. Per di più non mi aveva mai dato modo di essere sospettosa, gelosa o isterica, quale puntualmente invece mi rivelavo ogni qualvolta che, gironzolando su internet, trovavo interventi abbastanza scottanti su di lui, nonché esplicite fantasie erotiche. Era una battaglia ancora aperta, tra noi, ma ormai avevo imparato a conviverci, mio malgrado: era il rovescio della medaglia, e poi anche su di me venivano fatti interventi piccanti in rete, così come sugli altri. Eravamo tutti delle rockstar, in fondo, e tutti noi eravamo una succulenta attrazione.
«E allora..?» chiesi, attendendo spiegazioni.
«E allora voglio solo evitare l’accanimento mediatico che si creerebbe intorno a una notizia del genere. Siamo già tutti molto stanchi e stressati, l’ultima cosa che ci serve è far fronte anche a giornalisti insistenti e paparazzi»
Riflettei sulle sue parole, osservando la mia band.
Ian e Tracy, più che abbracciarsi, sembravano sorreggere l’uno il peso dell’altra; Cam era buttato su un divanetto, appoggiato a un Ryan dalle occhiaie preoccupanti; infine Steve era ancora in piedi, ma sembrava visibilmente dimagrito, anche se non avrebbe ammesso di essere stanco nemmeno di fronte a Dio. Per non parlare di tecnici, roadie e tutti gli altri membri dello staff, ormai sull’orlo di crisi isteriche. Inutile parlare di me e Jason, poi: non avevamo più nemmeno la forza di fare sesso.
«Ha ragione» concordò Ryan, stiracchiandosi «Sarebbe meglio riprenderci dal tour, prima di affrontare gli squali della stampa»
Sospirai.
«Bene, allora è deciso. Bruce, quanto manca per Londra?» gridai all’autista.
«Circa tre ore»
Iniziammo a organizzarci per la millesima volta in vista del concerto, calcolando effetti, scaletta, orari e posizioni.
Con nostalgia, ricordai il giorno di sette anni fa in cui decidemmo di fondare la band, nel garage di casa mia. Eravamo io, Jason e Ryan, inizialmente The Three Deamons, essendo in tre, sebbene per poco. Si aggiunsero in seguito Cam, con la sua potente batteria, Ian, con i suoi effetti alla tastiera e la sua voce in sottofondo che resero unici il nostro stile, e infine Steve, da subito in perfetta simbiosi con Jason. Diventammo così The Six Deamons, ognuno col proprio nome in codice: Deamon J, Deamon A, Deamon R, Deamon C, Deamon I, Deamon S, semplicemente J.A.R.C.I.S. Jarcis. Era così che i nostri fan ci chiamavano, in gergo, quasi come fossimo una cosa sola, ed era davvero così.
All’inizio eravamo soltanto dei diciottenni con un vago sogno da raggiungere, senza nemmeno avere minimamente idea di cosa comportasse realmente quel sogno. Pensavamo fosse tutta un’avventura, arricchita da viaggi intorno al mondo, soldi, droga, alcol e puttane. Forse all’inizio era davvero così, ma tutti ci rendemmo subito conto che, in realtà, era molto di più, che avevamo sulle spalle la responsabilità del Presidente degli Stati Uniti, visto che su di noi, sulla nostra musica, facevano affidamento milioni di persone in tutto il mondo.
Potrebbe sembrare un concetto esagerato, ma era così. Quando la realtà si parò davanti a noi per quello che era, era ormai troppo tardi per poterci tirare indietro. Potevamo solo andare avanti, sempre avanti, qualunque cosa fosse successa…
Jason mi tenne stretta per tutto il tempo, aumentando la presa di tanto in tanto.
Mi lasciai cullare: ce l’avremmo fatta a finire quel dannato tour, ne ero certa.
 
 
I riflettori ci abbagliavano, rendendo a malapena visibili le quasi sedicimila persone urlanti presenti al concerto. Faceva caldo, l’estate londinese era davvero umida e afosa, anche se nulla paragonata a quella della nostra terra natia, l’Arizona.
I miei capelli blu restavano appiccicati alla fronte, ricoprendo scomposti l’intera lunghezza della mia schiena, ma continuavo imperterrita a saltare da una punta all’altra del palco, ad incitare sempre più la folla, a fare headbanging tra una strofa e l’altra, scatenando sempre più l’isteria dei nostri fan.
Amavo cantare, amavo il palco, amavo la sensazione dei miei vestiti di pelle attaccati addosso dal sudore, amavo i miei fan e la complicità con i miei compagni.
Di tanto in tanto andavo da Ian, duettando una parte con lui, per poi passare da Steve e Ryan per un piccolo sketch comico. Durante l’assolo andavo da Cam, incoraggiandolo a darci dentro sulle pelli, per poi guardare provocante Jason. Era un cazzo di dio, con quella chitarra in mano, la matita nera degli occhi sbavata, la maglietta dei Pantera, sudata, aderiva al petto e rendeva ogni suo muscolo ancora più attraente.
Ci lanciammo uno sguardo d’intesa: quella notte non ci sarebbe stato alcuno spazio per la stanchezza.
Ad un certo punto sentii una strana sensazione addosso, come una pugnalata in pieno petto.
Persi il ritmo delle parole, le dimenticai quasi, pur avendolo scritto io, quel testo: Scary falls, una delle nostre canzoni più famose, il mio principale motivo d’orgoglio. In quel momento sembrava non l’avessi nemmeno mai sentita prima.
Ian mi lanciò un’occhiata preoccupata, correndo subito in mio aiuto, urlando e cantando sul proprio microfono per supplire la mia voce.
Mi portai una mano alla gola: era successo qualcosa alle corde vocali? No, la voce c’era ancora: era il fiato, a mancare. Era come se qualcuno me lo stesse succhiando via, a poco a poco. Spostai terrorizzata lo sguardo su Jason, in cerca di aiuto, ma non trovai nulla se non i sui occhi improvvisamente assenti. Fissava un indefinito punto del pubblico, suonando la propria chitarra con gesti ritmici e meccanici, totalmente privi della sua solita passione.
Cosa gli era preso?
Capendo che qualcosa non andava, a fine canzone le luci si spensero e alcuni dello staff corsero sul palco, tra cui anche Tracy.
«Alice, stai bene?» chiese, preoccupata.
Tutti mi furono subito addosso, così come i ragazzi, preoccupati da quell’improvviso calo che mai era capitato prima d’allora.
Cercai Jason con lo sguardo, trovandolo fermo nella medesima posizione di poco prima.
«Allora, Alice?»
«Sì… scusate, sarà stato un brutto scherzo della stanchezza» risposi, cercando di convincere più me stessa che loro, dato che insistevano già per chiamare un medico.
«Non mi serve un cazzo di dottore!» gridai «Finiamo lo spettacolo e torniamo sul bus»
La folla continuava a gridare “Deamons! Deamons!”: sapevo che il nostro tempo di tregua era già finito da un po’.
Lo staff si affrettò a ritirarsi nel backstage e noi tornammo ai nostri posti.
«Jason..?» tentai di chiamarlo, ma era troppo tardi. I riflettori si accesero su di noi, rigettandoci in quell’Olimpo delle rockstar in cui non era permesso mostrare tracce di debolezza.
Distolsi lo sguardo da lui, cercando di ritrovare la sicurezza per un attimo perduta, dicendomi che avremmo risolto ogni problema a fine concerto.
The show must go on, no?
Riuscii a ricostruire la mia maschera da dura, quella maschera da dea della notte e della musica che mi ero sapientemente costruita in tutti quegli anni, la maschera di Deamon A. Ignorando quella fitta ancora persistente sul petto, continuai a cantare con più ardore di prima, mandando letteralmente in visibilio ogni persona presente in quello stadio. Li sentivo cantare ogni parola delle nostre canzoni, osannare ogni nostra mossa, gridare ad ogni assolo.
Mi girai verso Jason, ma la sua espressione era immutata. Vidi Steve andare da lui, cercare con più discrezione possibile di capire che cosa gli fosse preso: niente da fare. Jason ignorava tutto e tutti, perso nel suo mondo.
Per un attimo temetti che si fosse fatto una striscia, prima del concerto, per poi negarmelo categoricamente. No, non era possibile. Aveva chiuso con la droga da anni, ormai. Tutti noi avevamo chiuso con la droga. Eppure gli effetti sembravano gli stessi di qualche sostanza stupefacente.
«Grazie, Londra! Ci vediamo la prossima volta!» gridai sul microfono, concludendo lo spettacolo.
I fuochi brillarono fulgidi per quell’ultimo minuto, accompagnati dal giro di chiusura dei ragazzi. Poi tutto finì così come era iniziato, con il buio assoluto a proteggerci da ulteriori sguardi.
«Jason!» mi fiondai verso di lui, ma era già sparito.
«Bel concerto, ragazzi, alla fine vi siete ripresi!» sorrise Tracy, correndo ad avvolgere le proprie braccia attorno a Ian.
Il tastierista, però, sapeva che ancora qualcosa non andava, così come lo sapeva il resto della band.
«Si può sapere che succede?» chiese Jon, il nostro manager «Alice, allora?»
«Non lo so» mormorai «Dov’è Jason?»
 
 
Lo cercammo dappertutto per una buona mezz’ora, ma sembrava essere sparito nel nulla.
Come poteva un uomo di quasi due metri sparire in uno spazio così piccolo come il nostro backstage nel giro di tre secondi?!
L’ansia era a mille: non facevo altro che correre per i camerini, le postazioni trucco, aggirandomi come un’anima in pena. Le lacrime scendevano automaticamente sulle mie guance, per quanto cercassi di ricacciarle indietro con forza.
La mia mente elaborava mille scenari, da un crollo emotivo improvviso ad un attentato alla Dimebag Darrell. Qualunque cosa gli stesse succedendo in quel momento, avvertivo con ogni fibra del mio essere che Jason aveva bisogno di me, e io non ero al suo fianco.
«Calmati, Alice, lo troveremo» disse Ryan, prendendomi tra le sue braccia. Iniziò ad accarezzarmi la schiena, per tranquillizzarmi. L’aveva sempre fatto: era il mio migliore amico da sempre. Mi aggrappai ai suoi lunghi capelli biondi, sul rossiccio, resi più scuri dal sudore.
«Non l’hai visto, Ryan? Ho paura!» piansi sul suo petto, riuscendo a malapena a parlare.
«Paura di cosa?» cercò di scherzare, ma anche la sua voce era tesa come corde di un violino.
«Ho paura che… che sia ricaduto nel vortice, capisci? Che si sia fatto di coca, prima del concerto… che qualcosa stia andando storto, che ora, magari, è chissà in quale angolo in overdose e…» non riuscii a completare.
«Non dire cazzate, sai che non farebbe mai niente del genere!» negò categoricamente lui.
«Ragazzi» ci chiamò Cam, con viso terreo «l’abbiamo trovato»
Il sollievo sul mio volto venne subito ucciso dallo sguardo del mio batterista.
«Cos’è successo?» chiesi, con voce talmente profonda da non sembrare nemmeno la mia.
«Alice…» cercò di intervenire Steve, con un’espressione altrettanto sconvolta in viso.
«Dov’è?»
«Io non ti consiglio di andare a vederlo, in questo momento»
Dio, era come pensavo?!
Mi sentivo impazzire.
«Qualcuno mi può dire che cazzo sta succedendo?!» urlai, liberandomi a suon di pugni dalle braccia di Ryan «Che cazzo ha fatto? Dov’è? Si è tagliato le vene, è in crisi, è in overdose, è…» non riuscii a dire quella parola, coprendomi il viso con le mani.
Non riuscivo nemmeno a pensare all’ipotesi che lui fosse… morto.
«Sta bene, purtroppo» disse cupa Tracy, incazzata come mai. Ian cercava di calmarla, ma la ragazza venne verso di me in preda alla collera.
«Che significa “purtroppo”?!» chiesi, fuori di me.
«Cazzo, Alice, è nel tourbus, nella sua cuccetta, quel verme schifoso… va da lui e ammazzalo, Cristo!» urlò la mia migliore amica, pestando i piedi per terra.
Un terribile sospetto mi colpì dritta nel cuore.
Nella sua cuccetta… quel verme schifoso…
Quel cazzone… se fosse stato vero… no, non era possibile!
Corsi verso il tour bus, spingendo di lato ogni povera anima che aveva la disgrazia di intralciare la mia folle corsa. Rischiai più volte di inciampare nei vari fili attorcigliati per terra, cercando di evitarli quasi come se fossero vipere. Uscii dal backstage, correndo per il posteggio privato dietro allo stadio in cui avevamo piazzato i nostri veicoli e bus. Dietro di me sentivo Ian, Steve, Cam e Ryan inseguirmi, cercando di fermarmi.
«Fatevi i cazzi vostri!» gli urlai contro «Se è vero quello che penso e voi state cercando di coprirlo, siete degli esseri ancora più schifosi di lui!»
Si fermarono lì, in piedi sull’asfalto grigio, con sguardo ferito e incerto.
Fanculo, non avevano il diritto di sentirsi offesi!
Entrai come una furia sul pullman, dirigendomi verso la sua cuccetta, la prima del corridoio a destra.
Non ebbi bisogno nemmeno di scoprire la tenda, visto che lo spettacolo tanto temuto era già in bella mostra: Jason, nudo, visibilmente eccitato, con sopra di sé una puttanella insignificante, ansimante, pescata da chissà dove, nuda anche lei. I loro visi erano talmente incollati che sembrava si stessero sbranando la faccia, piuttosto che baciarsi.
Strinsi forte i pugni, sentendo le unghia trafiggermi la carne a fondo.
«Tu… lurido figlio di puttana…» sibilai.
Quello che più mi ferì fu lo sguardo che puntò sui miei occhi: freddo come il ghiaccio da cui prendevano il colore, insensibile. Assente.
«Qualcosa non va?» chiese la troia, con occhi innocenti e sorriso trionfante. Certo, finalmente ha avuto il suo trofeo…!
Venni trascinata via a forza, prima ancora che riuscissi a scagliarmi contro quei due stronzi.
Se solo gli avessi messo le mani addosso…! Sentivo che sarei stata capace di strappargli la pelle, cavargli via gli occhi, prenderli a morsi, a calci… e invece potei solo prenderli a parole. Maledire lui, quella puttana che si era fottuto senza ritegno, per poi maledire me, il mio cuore fottuto dietro al suo, nonostante tutto.
La rabbia scemò di colpo, lasciandomi vuota come il guscio di una noce. Mi accasciai su me stessa, non capendo più nulla. L’ultima cosa che vidi furono le braccia di Ryan, pronte a sorreggermi di nuovo. Sapevo che, quella notte, avrei dormito accanto a lui, nella sua cuccetta, sfogando tutte le mie lacrime.

 



NdA:
Salve a tutti!
Se cercate una storia di demoni, metal e tanto romanticismo... siete nel posto giusto!
Questa storia, come già detto nell'introduzione, è stata scritta per il contest "Il romanticismo del 666" indetto da _LoveStory_ e _Stardust, con i seguenti:
Obblighi: backstage, pullman, tradimento, patto.
Citazioni: “Non dimenticarlo mai: i sentimenti offuscano la capacità di giudizio.” - Come una rosa d’inverno
“L’inferno si trova dentro la tua testa”- Soul eater
Spero di essere riuscita nell'impresa! Fatemi sapere che ve ne pare, ne sarei felicissima! :)
Alla prossima!
Witch ^-^

 
  
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