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Autore: AsanoLight    19/07/2014    0 recensioni
Era troppo tardi per rimproverarsi di non aver intrapreso lo stesso cammino di Akari e divenire medico anziché combattente.
«Sei un idiota», mormorò flebilmente il comandante, accarezzando i rosei e polverosi capelli del dottore, «Sei un incosciente. Sempre a pensare agli studi, e mai un po' di riguardo per te stesso»
I molesti boati dell'esplosione, le scintille vermiglie dell'incendio, le sottili tossiche polveri, e nella fosca oscurità tinta di un opaco carminio, le loro ombre.
Era troppo tardi per tutto.
Genere: Angst, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akari, Altri, Hirato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avvertimento: Azana non ha ancora lasciato la torre di ricerca. Il suo tradimento è solo sospettato.


Torre di Ricerca, ore 23.02

 

Non ricordava di essersi mai dato tanto da fare per ultimare le ricerche su Nai e sull'amnesia di Karoku. Con gli avvenimenti che avevano turbato nei recenti giorni la prima e la seconda nave e i ripetuti e inarrestabili attacchi dei Varuga, non aveva neppure avuto il tempo di raccogliere nuovi dati né di richiamare i due pazienti per poter effettuare qualche nuovo esperimento, nella speranza di riuscire a svelare l'arcano mistero, che da mesi oramai -da quando avevano preso sotto l'ala protettiva il ragazzo dai cerulei capelli, aleggiava sulla Torre di Ricerca, divenuto uno dei principali oggetti di studio.

Appoggiò le secche labbra sul levigato orlo di ceramica della tazza e sorseggiò cautamente il caldo caffè, riempiendosi le narici del soave aroma esotico che, più che tenerlo sveglio, lo invitava piuttosto a deporre penna, carte e documenti, spegnere ogni macchinario e coricarsi sul divano almeno dieci minuti, arrotolato come un involtino nel plaid a quadri. Nessuno avrebbe minacciato la sua quiete, né comandanti presuntuosi o fastidiosamente impiccioni di navi galleggianti nell'aria né ministri della difesa piagnucoloni. Sarebbe stato solo con se stesso, nel suo angolo di felicità, tra il pulviscolo depositato sui vecchi trattati di medicina -quando ancora insegnava a Chrono Mei, il silente riposare di Hearty, la creaturina che aveva strappato al bosco e che sembrava esserglisi misteriosamente affezionata e la fragranza del caffè che impregnava i bianchi muri della stanza.

Quel desiderio restava tuttavia lì, nel cuore di Akari, ma non ne voleva sapere di essere esaudito. Il dottore continuava a tenere gli occhi di pesca prepotentemente inchiodati ai documenti, noncurante della notte incombente che lo attendeva, ricurvo sulla scrivania d'acero, come già molte volte aveva fatto, con la silente luna che, dall'alto del cielo, come una fetta di ricotta sospesa nel telo indaco dell'oscurato etere, sola nella sterminata via Lattea, lo osservava incuriosita. Indifferenti gli giungevano i richiami di un gufo, celato tra chissà quali fratte di un albero, e i pianti dei grilli e l'ondeggiare sinuoso dei corti fili d'erba, che assecondavano il leggero vento danzando un ballo che solo loro potevano conoscere ma che non avrebbe certo rubato lo sguardo di un umano.

«Dannazione. Dove sono i documenti su Karoku?», sollevò appena il mento delle carte che stava consultando, ricadde l'attenzione in un rimbalzo sullo spicchio di prato che si poteva intravedere di scorcio dalla finestra del primo piano, ma già, i fili d'erba, timidi, avevano cessato la loro danza, e ad Akari poco interessava conoscere le loro vere intenzioni o apprendere di quello stupendo ballo che li aveva tenuti, fino a qualche istante precedente, in vita. Frugò scocciato nei cassetti della scrivania, infilava con stizza la mano e si assicurava di tastare l'intero vano fino in fondo, per assicurarsi che fosse effettivamente vuoto. Il setaccio era completato e il dottore, a malincuore, s'era già arreso alla dura realtà.

Afferrò il camice dalla gruccia dell'attaccapanni e lo indossò con un fiero orgoglio; in ogni ricamo e filo di stoffa di quel bianco capo d'abbigliamento era stata intessuta la fatica che aveva impiegato per giungere fino a lì e conquistare la sua bella posizione. Quel camice raccontava la sua vita, nel bene, quando era un tirocinante ed era Ryoushi a insegnargli le basi del suo mestiere, e nel male, quando troppe volte era dovuto accorrere in soccorso degli ufficiali al servizio di Circus, quando li aveva visti spirare tra le braccia sebbene le cure somministrate -quando davanti alla morte, si era sentito impotente.

E forse, era proprio quella sensazione di impotenza, di impossibilità, di debolezza -proprio quella, che lo spingeva a studiare di più, a passare notti insonni tra le carte e i documenti, a fare ricerche su ricerche ed esperimenti a non finire, ad onta di risultare agli occhi altrui una seccatura ed uno dei dottori più burberi che fossero mai esistiti sulla faccia della Terra.

Ma anche così, non se ne curava.

'Gli altri' non potevano capire le sue ragioni.

Se lo sarebbe ripetuto in eterno, se fosse stato necessario, mentre camminava con passo spedito per gli interminabili corridoi, nitidi e spogli, diretto verso il reparto vita, dove già sapeva che ad attenderlo c'era un solare Azana, impicciato tra provette e vetrini, indaffarato come solo lui poteva essere a quell'ora della notte. Le luci artificiali illuminavano la lunghezza sterminata dell'atrio di un abbaglio bianco ma abbacinante, pitturava di una candida tinta ogni mattonella o parete colpisse e ora, perfino la sua camicia, che pure era di un alterato azzurro, pareva essersi fatta lilla sotto quel bagliore.

«Azana!», urlò il nome del ricercatore, intravedendo in fondo all'accecante corridoio una scura sagoma. Ma l'ombra non parve prestare attenzione al suo richiamo, non si voltò né esitò, accelerò piuttosto il passo e, approfittando del bianco splendore del corridoio e della lentezza del dottore, si fece trasparente all'improvviso, miscelandosi in quelle stesse, monotone, tinte. Akari si strizzò gli occhi, guardò ancora una volta davanti a sé, realizzò con stupore che la luce che aveva creduto tanto abbacinante era in realtà quella di sempre. Nessun candore l'aveva avvolto, nessun bagliore l'aveva accecato. "Devono essere gli scherzi del sonno", pensò recalcitrante, e riprese a camminare con la medesima andatura, impaziente di raggiungere Azana e ritornare poi ai suoi fedeli uffici, seppellendo tra le profondità dell'inconscio ogni bisogno o vizio contingente.

Si trascinò fino al reparto vita, unica sua compagnia lo schioccare delle suole sulle mattonelle di marmo, l'udito per un attimo fenduto da un meccanico rumore e la mente tuttavia troppo rivolta alle carte che doveva consultare per potersi curare di altro. Bussò cortesemente alla porta scorrevole dell'ufficio e Azana lo accolse con modesto calore, un sorriso insolitamente spento e smunto ma ripieno fino all'orlo di cordialità e opportuna cortesia.

«Mi servono i dati che abbiamo raccolto l'ultima volta che abbiamo visitato Karoku. Devo averli accidentalmente lasciati qui»

«Mi dispiace, Akari-sensei... Ma qui non ci sono dati»

Il dottore inarcò perplesso un sopracciglio, tradì dalle paonazze gote della sana impazienza e si precipitò agli scaffali alla ricerca di quello per cui aveva fatto tanta strada, scomodandosi dalla sua posizione di pace e ristoro, abbandonando l'ufficio pregno della dolce fragranza di caffeina.

«Cerca meglio, Azana. Sono sicuro di averlo lasciato qui, da qualche parte»

Un secondo rumore metallico gli giunse all'orecchio.

«E' caduto qualcosa?», domandò destandosi innocuamente.

Ma Azana continuava a conservare quell'espressione minuta, alienato dalla realtà che lo circondava e dalle pretese del superiore, che pure tanto ammirava e da troppo tempo meditava di tradire, passando dalla parte dei Varuga. Rispose sovrappensiero, come già era stato accordato che rispondesse, e prolungò la presenza del dottore nel suo ufficio anche quando già Akari aveva deposto completamente le armi, demorso nel suo intento di ricercare dati in una stanza in cui era matematicamente certo che non fossero presenti, e tornare sulla propria via.

«Non troverà quello che cerca, Akari-sensei», con un melanconico ghigno, facendo affondare una mano nella tasca del consunto giubbino lucertola, Azana prese le sue distanze dal dottore, «Né ora, né mai più. Perché, vede, quei dati sono già tra le mani del Kafka. Loro sapranno per certo dirci e spiegare l'origine di Nai e quello che è successo a Karoku, essendone loro stessi gli artefici, non pensa?»

Ma non ci fu spazio per altre parole.

Il mesto allievo aveva già previsto le crudeli parole che il dottore avrebbe sollevato contro di lui e, senza esitazione, lo afferrò per la stretta cravatta e lo invitò a guardare fuori dalla finestra, a scrutare ogni dettaglio di quella notte.

«La ricordi -questa notte, perché non ce ne saranno mai più di simili. Un Varuga, in questo preciso momento, sta già prendendo in cura ogni nostro dato ed esperimento e manca oramai poco al grande spettacolo»

«Lo spettacolo?!», Akari rabbrividì, facendosi d'un niveo pallore, e gli venne inutile opporre resistenza alla folle presa dello studente.

«Sì! Lo spettacolo! I Varuga distruggeranno la Torre di Ricerca di Circus, solo così potrà sorgere una nuova potenza!»

Azana ora rideva esaltato, la lunga e malconcia chioma argentata gli ricopriva con le lunghe frange il viso, si tastò le braccia e s'apprestò allora a chiudere la finestra in un istrionismo che pareva rasentare la follia. «Fa freddo, non crede anche lei?», domandò impendendo all'aria fresca e rigenerante della soave notte di fluire liberamente nella stanza, e sembrò per un attimo ad Akari che stesse escludendo da quel reparto ogni essere vivente che gli competeva, la danza dei fili d'erba che pure non aveva potuto vedere, il gufo che rotea la testa, imboscato chissà dove tra le fratte sempreverdi degli alberi, i rami sospesi nel vuoto che portano la vita di tante piccole foglie, «E' meglio chiudere. Non si sa mai»

Ma i muscoli del serio dottore non osavano muoversi, l'acido lattico li frenava con ostinazione pur non avendo fatto alcuno sforzo nel macinare quei pochi metri che distanziavano l'ufficio dal reparto vita; Akari era impalato, le scarpe ben salde al pavimento di marmo come le radici di una quercia secolare, impossibilitato a reagire e, senza comprendere, se ne stava come una statua di marmo in piedi, immobile, irrigidito dal continuo ticchettare di quel rumore metallico, che, insidioso, gli era in maniera serpentina entrato nelle cervella, e ora aveva l'impressione stesse scandendo perfino i ritmi del battito cardiaco. Quei meccanici ticchettii l'avevano cortesemente accompagnato a quel reparto, c'erano stati perfino prima che lui vi si recasse e adesso, senza il bisogno di prestare attenzione al tuono spaventoso di un'esplosione, che rapidamente si propagava per la torre di ricerca, il crollo delle macerie di un reparto e l'improvvisa folata di nube, cenere e caldo vento omnipervasiva, ora sapeva già da sé che stava per arrivare l'inferno.

Azana sorrise, disse delle parole che Akari non riuscì neppure volendolo ad intendere, e dandogli le gelide spalle, se ne andò con gelata quiete dalla stanza, chiudendo il dottore al suo interno, solo oramai con il salire della caliginosa coltre dai sottili spifferi dell'aria condizionata, e con l'odore di cenere e morte che impregnava il tessuto del bianco camice e sporcava di tristo pulviscolo la profumata stoffa.

Non era un sogno.

Non poteva restarsene con le mani in mano.

Si scosse, mosso da una rabbia e da un fervore che bussavano prepotentemente alla porta del cuore, ringhiavano come un leone infuriato, con la stessa energia che adesso sfoderava per aprire la finestra, che sembrava opporre un'umana resistenza e tutto voleva saperne meno che di aprirsi -sebbene Azana l'avesse richiusa con tanta semplicità.

"Non c'è altro modo", bofonchiò estraendo un fazzoletto dal taschino e subito se lo portò davanti alla bocca e al naso respirando quieto, cercando di non inalare la fuliggine, che lentamente saliva al soffitto, sospinta da quel cirro dall'ambiguo odore, che con difficoltà avrebbe detto fosse 'proprio' quello di un'esplosione. Chiamare Azana, giunto a quel punto, non avrebbe avuto senso. Se quello che diceva era vero, il Kafka non aveva ancora preso tutti i dati. C'erano ancora dei documenti che poteva salvare, quelli più preziosi, quelli che non erano digitali ma semplicemente cartacei.

Si fece coraggio, strinse i denti e con una tenacia inaudita, diete una spallata alla porta, una volta, due volte, alla terza si accorse del pass del ragazzo caduto a terra, probabilmente gli era scivolato nella fretta. Si chinò a raccoglierlo e, rapido come una scheggia, si precipitò fuori dal reparto correndo verso la sua unica destinazione. Si fiondò famelicamente all'interno del proprio ufficio, la nuvola di fumo sembrava meno densa, ma si potevano già sentire, dal piano superiore, mobili crollare, libri cadere per terra, oggetti che venivano spostati e provette che finivano infrante sul pavimento; anni di lavoro e di dure ricerche in frantumi.

Il tempo stringeva, Akari lo sapeva perfettamente.

Non aveva un posto dove mettere i documenti e ancora doveva capacitarsi di come i Varuga fossero riusciti a superare gli stretti sistemi di sicurezza della Torre di Ricerca e ad infiltrarsi con una tale perfezione, tanto da riuscire ad operare indisturbati nella notte senza che nessuna delle guardie se ne fosse accorta -ammesso e concesso che ci fossero rimaste delle guardie ancora vive, dopo il passaggio di quei mostri. Avevano messo delle bombe, e il metallico ticchettare di un ordigno imboscato chissà dove nella fitta nebulosa, gli suggeriva sinistramente all'orecchio che la morte fosse più vicina di quanto avesse mai pensato, quella morte gli aveva fatto compagnia mentre il gufo fuori ruotava la testa, l'erba danzava, lui si struggeva alla ricerca di quei documenti su Karoku, quei dati tanto importanti quanto preziosi, che mai sarebbero dovuti finire tra le mani del Kafka e Hearty, nella sua gabbietta, dormiva indisturbato.

"Hearty!"

Raccolse i fogli con i risultati degli esperimenti su Nai, sfilò dalla parete di libri un raccoglitore e li ficcò poi precipitosamente nella bustina trasparente di plastica assieme ai segreti più oscuri custoditi dalla torre di ricerca, i dati sull'Inkyuna e le statistiche dei combattenti della prima e della seconda nave. Si voltò poi verso la rosea gabbietta e, deglutendo amaramente alla vista della creaturina appallottolata, un batuffolo di zucchero filato, la sottrasse alla scatola di plastica e l'infilò frettolosamente nel taschino interno del camice. "Non ti muovere da lì, stupido animale. E' già troppo se ho deciso di portarti con me", si morse le labbra in un rimorso, gli solleticava le ciglia la polvere che cominciava insolitamente a cadere dal soffitto. Odiava arrendersi alla realtà, odiava quel senso ricorrente di impotenza davanti alle catastrofi, l'impossibilità di poter difendere tutto quello per cui aveva lottato da sé, dell'essere solo davanti alla realtà, al nemico.

Il countdown della bomba e il suo scandire i secondi erano divenuti parte di lui.

"Non posso andarmene. Ci sono ancora troppe cose che devo prendere"

Continuava a pensarlo, ma restava ancorato, tra polvere e nebbia, al suo ufficio, al morbido divano e la coperta di plaid a scacchi, alla finestra e la sua vista su uno squarcio di prato e a quei libri, che erano stati tutta la sua vita. E non voleva spostarsi, anche sapendo che quei mostri sarebbero arrivati, presto o tardi, e l'avrebbero ammazzato per avere quelle informazioni, perché nessuno l'avrebbe potuto difendere. Strinse a sé il pesante fascicolo, s'affrettò ad appropriarsi anche del quaderno di Karoku, ancora da decifrare, e lo fece scivolare sotto la camicia, diede una mesta ultima occhiata alla ricca libreria e, grugnendo di dolore, le volse le spalle, affrettandosi verso la porta.

Ma proprio quando fece per richiudersela alle spalle, si sentì travolto da una potente ondata di calore, un vento improvviso che lo scaraventò con forza lontano dalla stanza, il boato dell'esplosione lo rese sordo per lunghi attimi, cieco davanti alla impalpabile nebbia. Bruciava all'inverosimile la schiena e lui stesso non trovò la forza di rialzarsi, aggiaccato oramai a terra, tentennante, come se un macigno gli stesse in quello stesso momento gravando sulla schiena. Ma non c'era alcun sasso sulla spina dorsale, nulla che gli potesse impedire di rialzarsi.

C'erano solo le sue silenti lacrime, quel coraggio di piangere che gli era sempre mancato, e la cui causa veniva ingiustamente imputata alla polvere sulle ciglia; s'era oramai fatto d'amaranto nel volto al pensiero che tutta la sua vita era stata là dentro, e quello che aveva perso non l'avrebbe più recuperato, neppure tra le macerie. I finemente ricamati volumi che gli erano stati lasciato da Ryoushi, i dati e gli esperimenti che aveva raccolto in tanti anni di insegnamento e di applicazione, niente di quello sarebbe più tornato.

Con lui, di questi studi, c'era solamente il quaderno di Karoku, nascosto sotto la camicia, il fascicolo, stretto nel petto e Hearty, risvegliato dal boato, che si agitava minutamente nella tasca del camice.

 

Un secondo rimbombo giunse da una moderata distanza nell'interminabile corridoio. Akari non riuscì ad alzarsi da terra per poter scorgere lo scenario con più attenzione né fuggire e, prima che se ne potesse accorgere, un branco di macerie del soffitto gli erano cadute davanti agli occhi, sollevando una fitta coltre. Si portò ancora una volta con mano tremolante il fazzoletto al naso e alla bocca e tossì pesantemente senza lasciare il fascicolo, vicino al cuore, nella cieca speranza che anche le persone i cui dati stava cercando di proteggere, da qualche parte, avessero potuto sentire quella vicinanza e accorrere in suo soccorso. Agghiacciò raggelato alla vista di vermiglie tracce di sangue sul fazzoletto dove aveva tossito, aumentarono impazziti i battiti del cuore al pensiero di non essere stato nemmeno cosciente del suo malessere.

Ma ora che aveva tentato di rialzarsi, l'aveva sentito con il suo stesso corpo, la salute se ne stava lentamente andando, abbandonava quell'ammasso di carne impenetrabile qual'era sempre stata la sua, si faceva debole e fiacca, grondava il sangue dalla schiena, bruciava terribilmente la pelle lungo l'intero dorso, ancor più al sentire la polvere caliginosa depositarvisi. Akari arrancò i respiri, uno dietro l'altro, affannosamente, avrebbe voluto chiamare aiuto ma la voce gli veniva meno, la gola era insolitamente secca e la strada era completamente desolata, i reparti esplodevano uno dopo l'altro e terremoti improvvisi scuotevano sino nelle fondamenta la torre di ricerca -era una caccia serrata quella dei Varuga, provette e liquidi potenzialmente pericolosi venivano rovesciati per terra; era forse da considerarsi una fortuna che la torre di ricerca, quella notte, fosse insolitamente desolata?

Con gli occhi, ricercò nelle nubi tossiche l'uscita di emergenza o le scale, ma aveva perso ogni punto di riferimento e, non importava dove dirigesse lo sguardo, riusciva esclusivamente a vedere grigio. L'urlo di Azana gli giunse tuttavia nitido alle orecchie, un grido che echeggiò sinistro nell'infinità del corridoio, unendosi ai molesti boati della notte.

La preoccupazione gli salì al cuore e glielo strinse in una morsa, Hearty stesso si accorse di quel cambiamento d'umore nel dottore e si raggomitolò nel taschino atterrito; se solo Akari avesse potuto, avrebbe soccorso il suo studente, che pure l'aveva tradito, che pure era passato dalla parte del Kafka -non poteva negare di serbare per lui quel genere d'affetto e di amore che era più da considerarsi un privilegio riservato a pochi uomini sulla faccia della Terra. «A-zana...», rantolò stringendo della polvere in un pugno, si morse a tal punto il labbro da farlo sanguinare, «p-erché...».

«'Perché' cosa, Akari-sensei?»

Il ragazzo dagli argentei capelli lo scovò, tra le macerie, aggiaccato a terra, e subito gli si mise accanto in ginocchio, girò il volto del dottore per poterlo imprimere a tempo indeterminato nella memoria, quel viso che conservava un patetico sapore di sconfitta, paonazzo per lacrime di rabbia e di dolore, che richiedeva disperatamente delle spiegazioni che il giovane ricercatore non avrebbe certo dato, un'implicita richiesta alquanto inopportuna.

«Povero Akari-sensei... si è ustionato. Conoscendola, non mi meraviglio del fatto che abbia tentato di salvare il salvabile»

Akari aggrottò la fronte e cercò, sebbene la voce rantolante e il bruciore delle lesioni, di parlare con Azana, nella speranza di poterlo salvare, strapparlo a quelle malsane convinzioni in cui aveva cominciato a credere, persuaso da chissà chi.

«A-zana... ti prego, ascoltami... t-tu ti stai sbagliando», sibilò, «pensi che se non riusciamo a vincerli è perché fanno la cosa giusta ma- ma ti sbagli»

L'aveva tradito, ma restava pur sempre il suo pupillo, il ragazzo che conosceva da quando era fanciullo, quello dalle buone intenzioni, dal sorriso solare e gentile.

"E' stato manipolato", si continuava a ripetere, nel tentativo di convincere la mente, che tutto voleva meno che ascoltare le ragioni del cuore. Anche se era passato dalla parte del nemico, quel ragazzo restava pur sempre un essere umano come lui, fatto di carne e con un cuore che batte, un individuo che lui stesso aveva visto crescere per lungo tempo, un povero orfano che aveva deciso di immolare la vita per lo studio e la ricerca proprio come aveva fatto a sua volta lui quando aveva avuto la sua età. Un umano capace di sbagliare.

«La odio, Akari-sensei»

«Che cos-»

«La odio, la odio!», Azana lanciò un acuto grido, gli urlò queste e molte altre ostili parole che echeggiarono senza fine per l'intera torre di ricerca, oramai devastata dalle esplosioni e dall'incendio dei laboratori; sfilò dal giubbino lucertola un affilato pugnale e, senza esitazione, lo piantò deciso sulla scoperta schiena del dottore, colpi di coltellate ininterrotti, uno dopo l'altro, finché il raptus e la furia non si esaurirono, lavati dalle lacrime di rancore e di sofferenza, lacrime per il suo superiore, che tanto stimava quanto detestava, perché nonostante le sue capacità, piuttosto che ricercare la via della salvezza tra le braccia del Kafka, aveva preferito restare a morire per il Circus, fidandosi ciecamente del suo assistente, anche sapendo che lo aveva tradito, anche sapendo che quel ragazzo che aveva visto crescere, gli stava togliendo la vita.

Il dottore aveva già cessato di accusare i colpi in rantoli, era già a terra stremato, con la testa improvvisamente pesante e le gambe stanche, il fascicolo stretto a sé nella nebbia, il quaderno di Karoku nascosto sotto la camicia, Hearty tutto un tremito nel taschino. Il traditore s'era già rialzato tentennando, i capelli sciupati, la rigidezza di un morto nel volto, gli occhi ricolmi di scelleratezza, le prove del delitto che, lentamente, stillavano una ad una dal pugnale. Non si liberò dell'arma, ignobile trofeo di guerra e, rompendo il ghiaccio che gli bloccava le membra, prese a correre, alla ricerca delle scale, e Akari, in un barlume di lucidità, poté solamente ringraziare la fitta coltre grigia per aver celato agli occhi del povero ragazzo il pregiato fascicolo.

Si facevano confusi i contorni del mondo tra i nembi dell'incombente incendio, si inibivano soavemente i sensi e tutto sembrava innocuamente svanire inghiottito dal nulla, soffocato dal fumo e bruciato dal fuoco. E per quando aveva realizzato il lento grondare dalla schiena di un fiume di sangue e la natura di quelle lancinanti fitte, già un pannello era precipitato dal soffitto e lo aveva colpito sulla nuca imperlata di sudore.

Polvere, nebbia, nubi di gas e miscugli dei laboratori lemme lemme prendevano possesso dei polmoni, che già probabilmente annaspavano di sangue.

Ma pur riconoscendo che quel torpore improvviso poteva essere dato dal soffocamento o dall'avvelenamento o dalle pugnalate, non riusciva a pensare ad altro in quell'istante se non all'asfissiante affetto di Hirato, omnipervasivo, proprio come i fumi tossici che gli riempivano il corpo, e alle sue trapassanti occhiate, che scavavano tanto a fondo quanto il pugnale di Azana era riuscito a perforargli la pelle.

   
 
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