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Autore: AsanoLight    19/07/2014    1 recensioni
Era troppo tardi per rimproverarsi di non aver intrapreso lo stesso cammino di Akari e divenire medico anziché combattente.
«Sei un idiota», mormorò flebilmente il comandante, accarezzando i rosei e polverosi capelli del dottore, «Sei un incosciente. Sempre a pensare agli studi, e mai un po' di riguardo per te stesso»
I molesti boati dell'esplosione, le scintille vermiglie dell'incendio, le sottili tossiche polveri, e nella fosca oscurità tinta di un opaco carminio, le loro ombre.
Era troppo tardi per tutto.
Genere: Angst, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akari, Altri, Hirato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Torre di Ricerca, ore 23.49

 

Adagiò il corpo del dottore sopra una barella e aprì la finestra forzandola perché la stanza arieggiasse quanto dovuto. La luce non c'era ma fortunatamente era possibile sfruttare il barlume dello scettro per illuminare quanto dovuto il piccolo tugurio. Il volto cinerino e spaventosamente teso, le rosee sopracciglia e la fitta e folta chioma ora scompigliata e ricoperta di polvere, ogni stilla dell'essere di Akari sfioriva inafferrabile sotto i suoi occhi e lui non poteva far altro che tentare l'impossibile per salvarlo. Il respiro era relativamente regolare -troppo lungo per poter essere definito normale, e ogni tanto si bloccava, e in quei momenti pareva ad Hirato che anche il suo cuore smettesse di battere e i polmoni di arricchirsi d'aria. La macchina del suo organismo sembrava arrestarsi quando sentiva la sincronia con quella di Akari venire meno.

«Akari», lo chiamò, posando la nuda fronte su quella del dottore, e lasciò scorrere i nudi polpastrelli lungo la sporca carnagione.

Akari sibilò con le secche labbra il nome del comandante ma non trovò la voce né l'energia necessarie per poter dare forma e tono a quel nome eppure per lui tanto sublime quanto detestabile; se c'era uno stato d'animo che gli competeva in quel momento, era di sicuro la rabbia. Se avesse avuto forza a sufficienza, se non avesse sentito la morte così vicina, tanto da non sapere fino a quanto sarebbe stato capace di celare ad Hirato quei rantoli di agonia, l'avrebbe scaraventato contro il muro a suon di sonore testate, quel solo sentimento gli rievocava la faccia meschinamente tranquilla del comandante e l'indecifrabile sorriso che non aveva smesso di sfoggiare.

"Davvero ti importa così poco di me?", avrebbe voluto domandargli, ma il cuore gli si stringeva nel petto e le ferite gli facevano ancora più male quando pensava a quelle esatte parole, e nel suo malessere, aumentava inesorabilmente la sensazione di pateticità.

Hirato lo guardò con freddi occhi e, dandogli le algide spalle, si mise a frugare tra i cassetti dei banconi alla ricerca di un qualche kit che si prestasse alla medicazione.

«Akari, ti prego, dimmi qualcosa»

Akari non rispose, cominciava già a svanire il calore dalle tese membra, si fecero rigidi e severi più del solito i connotati, si corrucciarono impercettibili le sopracciglia del comandante a quell'intollerabile silenzio. Davanti al tacito muro del dottore, non faceva altro che sentire l'agonizzante melodia della morte, quella tragica cantilena di rantoli strozzati e agonizzanti mugolii che fecero correre folli le sue pupille tra i vari cassetti del bancone, ripiano per ripiano, passando al vaglio ogni scomparto.

"Dove diavolo sta il kit di pronto soccorso?!", tradiva del terrore quel solo mormorio, mentre spostava le medicine una ad una, verificandone il contenuto con molta superficialità, sperando che almeno una di quelle si potesse prestare alla situazione come calmante o analgesico, "Paradossalmente, i Varuga non hanno attaccato affatto questa zona. Davano per scontato che avrebbero fatto tutti fuori".

Il sorriso di Azana gli ritornò all'improvviso nitido alla memoria, il ghigno che aveva follemente sfoggiato, quel ghigno che sembrava ridere di lui e del dottore, dei suoi compagni, dei sogni e delle speranze di ciascuno di loro, sputare sul destino dei propri genitori e della propria famiglia e su quello di centinaia altri sventurati, vittime dei Varuga. Gli ribollì il sangue nelle vene, spaccò involontariamente una provetta, stringendone troppo il fragile vetro tra le mani.

Storse la bocca, colarono lente le stille di sangue dalla ferita ma non destò il dottore quel chiaro rumore. Hirato si sistemò la montatura degli occhiali sul setto e, sollevato, trovò finalmente nel pianale garza, bende e disinfettante e si apprestò frettolosamente a medicare il dottore, steso sulla barella. Rimosse con delicatezza il camice e lo adagiò sopra il bancone assieme al prezioso fascicolo di dati. Quando fece per slacciare la camicia, vide intatto il quaderno di Karoku, fulcro dei suoi recenti studi, protetto minuziosamente, neppure fosse stato un bambino in fasce. «Era questo che avevi cercato di salvare?», disse in una risata, estraendo il consunto quaderno dalla camicia e lo depose assieme al fascicolo, solo allora si accorse di Hearty, che spaventato se ne uscì dal taschino, vide il volto contratto di Hirato e subito se ne ritornò al caldo, «Non posso crederci... Per loro, avresti messo a repentaglio la vita? Sei davvero-»

Si portò la mano, tagliata dal vetro della provetta e insanguinata, al volto, Akari dischiuse appena le palpebre e si portò con caduca forza un palmo allo sterno, tossendo altro sangue.

"Perché piangi?", avrebbe voluto sussurrare, vedendo Hirato, perdendo oramai la poca lucidità che gli poteva rimanere, ma le parole ancora una volta non gli uscirono dalla bocca, neppure incrociando le sincere iridi di ametista del comandante, lucide nella penombra della stanza, il naso fattosi d'un tratto umido e la piega delle labbra increspata, come mai le aveva viste prima ad ora.

«Non sto piangendo», Hirato si difese a denti stretti, ricercando una compostezza che aveva oramai perso, «Mi lacrimano gli occhi per lo sforzo di vedere con così poca luce». Lavò via con la manica del pigiama oramai asciutto le prove della sofferenza e, rigirando il dottore di schiena, che aveva ripreso a rantolare, tossendo gravemente sangue, cercò di applicare la medicazione.

Le mani tuttavia gli tremavano, non riusciva neppure a trovare la forza per tenere fermo con la pinzetta il soffice batuffolo di cotone, imbevuto di disinfettante -neppure il pensiero che la vita di Akari potesse dipendere dalla sua determinazione riuscì a conciliarlo e a dargli la forza. Akari continuava a sputare sangue agonizzante, non aveva più l'energia materiale per risollevarsi, per parlare, e ora gli veniva meno perfino il respiro. Davanti a sé, Hirato aveva quella schiena di abrasioni, lesioni e sangue, scavata dalle pugnalate e incrostata di sangue e polvere.

Ripercorse più e più volte quello scenario di disperazione, cercando di pianificare come avrebbe dovuto agire, ma più i secondi venivano scanditi inesorabili più la confusione saliva, il sudore scendeva a fiotti, Akari si faceva rigido. Più quel corpo sfioriva, si allontanava inafferrabile proprio come quando, ancora giovani, lui insegnante sfuggiva irraggiungibile ai suoi occhi di ametista e alle insistenti richieste di attenzione, e costringeva quel ragazzo dai corvini capelli ad inseguirlo ora nella biblioteca, ora per i corridoi della scuola, cercando di afferrarlo dapprima per un lembo della giacca, poi per un polso.

E adesso che da tempo l'aveva fatto suo, Akari fuggiva di nuovo, e non ci sarebbe stato più verso di legarlo a sé, una volta andato.

Si portò esasperato una mano tra i capelli, dov'era la sua infallibile maschera?, dove la sua calma? Mai come in quell'istante comprendeva le sensazioni e gli stati d'animo di Gareki.

Afferrò dal bancone una siringa e prelevò dell'anestetico che aveva fortunatamente ritrovato tra i tanti medicinali, tastò tremando l'avambraccio del dottore e, senza detergere la zona, cercando esclusivamente la vena giusta nella penombra, iniettò il liquido nella vana speranza di non procurargli ulteriori dolori. Akari increspò appena la fronte alla sensazione viva dell'ago sotto la pelle ma poi la bocca rimase semi aperta, il respiro rallentò paurosamente e il corpo cadde vittima di un fatale torpore.

Hirato attese infiniti secondi, li scandì e ne contò trenta ma si convinse di essersi ingannato, perché per essere trenta secondi, erano decisamente stati troppo lunghi.

Trovò il coraggio di brandire con decisione la pinzetta e, facendo scorrere il cotone sulle profonde ferite -e subito il batuffolo si faceva d'uno scuro cremisi che gelò il sangue nelle vene del comandante, cercò di detergere al meglio l'intera schiena. Strappò poi alcune bende e cercò di legarle con quanta più cura possibile attorno al torace del dottore. Passò il bendaggio più e più volte attorno allo stretto petto, cercando di prestare attenzione perché non gli rendessero difficile il respiro una volta risvegliatosi. Nella mente, lo perseguitavano come demoni maligni le immagini di quella pelle, che aveva baciato, adorato, amato, quella schiena così perfetta tanto deformata eppure.

«Akari», si chinò sulla nuda nuca del medico e sibilò il nome tremando, «Akari», ancora una volta lo chiamò, e non si accorse neppure dello strazio nella voce.

 

«L'hai fatta male», dopo un eterno silenzio, giunse finalmente la risposta che tanto Hirato agognava, il pensiero che Akari fosse finalmente riuscito a trovare il fiato per mormorare quelle sole parole caustiche, pregne di rimprovero a quel ragazzo che molto tempo prima fu uno dei suoi studenti e che adesso era lì, solo nella stanza con lui, gli riempì il cuore di un'anomala gioia. Lo guardò con occhi stupiti -gli aveva parlato, non se l'era sognato.

«Akari. Ti sei risvegliato dall'anestesia-»

Ma Akari aveva già chiuso gli occhi, ritornando al suo innocuo torpore, all'arrancato respiro e ai battiti cardiaci che ora rallentavano pericolosamente, ora acceleravano inarrestabili, a quel viso che ora si faceva teso e ora spaventosamente rosso. "E' colpa dei fumi che ha inalato", pensò il comandante, osservando freddo i mutamenti nel suo corpo, "Deve aver respirato qualche fumo strano, o forse i Varuga hanno approfittato dell'incendio per sollevare una nube di gas intossicante".

«Hai fatto un'iniezione pessima», ancora una volta, Akari parlò, con voce moderata, che rimbombava insolitamente ovattata nel tugurio che era stato improvvisato infermeria. Ma Hirato gli sorrise sornione, recuperando il solito, identico temperamento, mirando a quelle fasciature fatte tanto bene che erano state capaci di restituire la vita alla morte, «Spero tu ora capisca come mi sento ogni volta che faccio i tuoi controlli di routine», disse allora scherzando, non azzardò a toccare quel corpo, fragile, debole, tanto bisognoso di cure.

«Tra i tanti momenti in cui farmela pagare, proprio questo, Hirato?!», berciò il dottore; già il comandante, senza vederla, poteva immaginare l'espressione che gli animava il volto, quel piglio crucciato che solamente un orso poteva sfoggiare, «Che diavolo mi avresti iniettato -oltretutto...?»

«Non te l'ho detto? E' un anestetizzante. L'ho trovato tra i vari medicinali»

«Come sapevi che si trovava qui?», chiese puntiglioso Akari, che aveva misteriosamente recuperato l'acida vitalità e la mortale impetuosità di sempre, ma non osò ciò nonostante regalare uno sguardo al comandante, rimaneva piuttosto composto nella sua prona posizione, a pancia all'ingiù come Hirato l'aveva lasciato, «Non sono un genere di farmaci che saresti convinto di ritrovare in un'infermeria»

Hirato abbassò adagio il capo e diede le spalle al dottore, intenzionato a non rilasciare le ragioni del suo agire.

Raggiunse il bancone e osservò piuttosto il quaderno di Karoku, ancora integro, e il fascicolo dalla ruvida copertina blu con i dati sui membri dell'equipaggio della prima e della seconda nave.

"Ha rischiato di morire per salvare questi dati, quando sapeva perfettamente che se c'avesse lasciato la pelle sotto le macerie, i Varuga sarebbero venuti comunque a riprendersi quello che avevano disperatamente cercato", accarezzò la copertina del consunto quaderno e, senza possibilità alcuna di frenarla, lasciò scendere ostinata una lacrima, "Da' sempre la precedenza agli studi. Dieci anni fa erano gli enzimi, poi c'erano gli esperimenti sugli animali a Vantnam e adesso il quaderno di Karoku. Ogni elemento, possibile oggetto di studio o di ricerca, ha sempre avuto la precedenza rispetto alla sua vita, che pure è tanto preziosa per ciascuno di noi"

«Hirato»

«Cosa c'è»

«Girati»

Hirato si morse il labbro, la corvina testa inghiottita dalle rialzate spalle.

«Girati», ordinò perentoriamente Akari, che senza sforzo si mise a sedere sulla barella, ne scese poi tentennando e gli si prostrò innanzi senza sfiorarlo, «Girati e lascia che veda questo bastardo piangere come si deve»

«Non sto piangendo», si ripeté Hirato, ma le lacrime che scendevano lungo gli zigomi tradivano lo spavaldo sorriso che gli ornava il volto, Akari se ne stava impalato, severo davanti a lui e non trovava nonostante ciò, parole necessarie per confortarlo, c'erano solamente quegli occhi di pesca, ricolmi di un paterno rimprovero, che sembravano volergli dire tutto e al contempo niente. Hirato cercò di sfiorargli il mento, afferrarlo in qualche maniera e legarlo a sé, non importava se avesse significato macchiarlo con la mano insanguinata o con quella tremolante con la quale l'aveva tentato di curare, Akari tuttavia aveva già compreso le sue intenzioni ed era prontamente indietreggiato di un passo sfuggendo a quella presa.

«Non piangerei mai davanti all'uomo che mi ha visto crescere», disse Hirato, con il cuore in frantumi, accorgendosi dell'impossibilità di raggiungere il dottore, neppure volendolo.

 

«Preferisci piangere dandogli le spalle?», domandò il medico con stizza, «Quando imparerai a crescere e a camminare con le tue gambe, razza di un deficiente?»

«Sarei io il deficiente? E tu, che preferiresti morire per un quaderno ancora da decifrare piuttosto che salvarti la pelle, cosa saresti allora?»

«Ne ho abbastanza delle tue provocazioni, Hirato», bofonchiò il dottore, «Tu parli, parli, ma non riesci mai ad essere onesto con te stesso. Cosa dovrei dire io?, che ti vedo partire per giorni, mesi interi in missione negli angoli più sperduti della terra e non mi posso opporre?»

«Non vuoi opporti»

«Non parlare come se sapessi tutto», le gote di Akari si fecero insolitamente di carminio, un segno di buona salute agli occhi del comandante della seconda nave, «Tu sei un bastardo egoista, non mi stancherò mai di ripetertelo, neppure dopo dieci anni. Sei la persona più individualista che esista sulla faccia della terra, non ti importa niente di quello che provano quelli che restano, tu pensi solo a startene lontano, te ne sbatti del tuo lavoro e di ogni altra cosa e intervieni solo se strettamente necessario. E ora, all'ultimo, vieni qui e speri di salvarmi la pelle, recuperandomi in extremis! E hai anche il coraggio di rimproverarmi il fatto che abbia voluto difendere i miei studi! E quando mai io ti ho invece rimproverato le missioni che intraprendi? Quando mai mi sono lamentato della tua lontananza?»

Hirato chinò il capo riluttante.

«Sei un vigliacco», grugnì il medico con voce impastata, «Un insopportabile bambino incosciente e invidioso. Se muoio, non la sconterai mai abbastanza. Lo sai, vero?»

Il comandante si coprì il viso con gli ampi palmi, lordò di sangue le pulite lenti.

«Non sarebbe già da sé una punizione la tua morte, Akari?»

«Ti farei un piacere»

«E a chi cederò poi la calda piazza del mio letto?»

Il medico sorrise a quel dolce ricordo.

Hirato avrebbe voluto dire tante parole, avrebbe parlato a lungo finché la voce non gli si fosse consumata, finché l'alba non sarebbe giunta e anche fosse giunta, avrebbe atteso la notte, avrebbe lasciato le lune salire al cielo, crescere e calare, i grilli cantare, i gufi roteare la testa, i fili d'erba volteggiare e danzare balli segreti. Avrebbe atteso mille giorni e mille notti, e se neppure quelli sarebbero bastati, sarebbe invecchiato in quel tugurio, mirando il rigido corpo di Akari e le riposanti ciglia, nella patetica speranza che un giorno si sarebbero schiuse ancora una volta, come un'ostrica, rivelando quelle preziose perle di pesca qual'erano i suoi occhi.

Ma quella speranza era scemata con ogni suo proposito.

L'infermeria era rimasta un vuoto tugurio, illuminato fiocamente da quel caduco barlume di speranza nutrito dal suo cuore. La fatale iniezione aveva già rapito Akari, l'aveva strappato per sempre dalle braccia del comandante e le sue lacrime, seppellite nell'oscurità, che ora bagnavano il prezioso bendaggio del dottore, non bastavano a colmare la pateticità che gli inondava il cuore, l'idea che niente di tutto quello che era stato 'Akari' sarebbe più stato raggiungibile. Non ci sarebbero stati più lembi del camice da afferrare, morbide stoffe o calde piazze da riscaldare, nessun proposito per lottare, nessuno per fare ritorno alla torre di ricerca, niente di tutto quello sarebbe più esistito.

La sua incoscienza, la sua ingenuità, il suo essere infantile glielo avevano strappato via.

E nella vuota stanza, restavano solamente quelle parole, quella conversazione che c'era e non c'era stata, quelle parole rivolte a delle orecchie che già non lo ascoltavano, quei rimproveri che erano stati solamente la voce del suo cuore.

Quel cuore, che adesso era solo.

Solo come Hearty, raggomitolato oramai sulla nuca del dottore.

Solo come lui, inghiottito dall'abisso del suo dolore, stretto al camice del dottore, affogato in quelle lacrime di odio e di paura che non sarebbero mai bastate a colmare l'abisso che li separava.


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Eccomi, dopo un anno di silenzio stampa, con quest'ultima Hirakari, fresca fresca di block notes. In realtà doveva essere un tutt'uno, ma ritrovarsi a leggere un muro di parole interminabili non è proprio il massimo quindi meglio spezzarlo in capitoli. Se tu, lettore/lettrice/fangirl incallita o non di Karneval, sei arrivato/a fino a qui, ti ringrazio per la pazienza ^^"
Questa storia è stata un'impresa più per decidere la morte di Akari e la sua sofferenza che altro!!
Grazie a Flavia per il sostegno durante questa impresa e i continui suggerimenti su come far fuori questo povero disgraziato!
Per chi è arrivato fino a qui, regalo questa piccola variazione del manga, non avendo saputo resistere alla somma utilità di Gareki.
A presto con un'altra storia!


Asanolight


   
 
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