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Autore: Salieri    21/07/2014    2 recensioni
Non sempre ci si chiede che cosa accade una volta che il sipario si chiude innanzi ad una storia realmente accaduta. Si pensa solo che gli attori, stanchi ed appagati, vadano a trovare il giusto ristoro dopo il loro sapiente lavoro. Ma... Cos'è che accade quando si spengono le luci che illuminano il palcoscenico, e si riaccendono quelle che illuminano la Storia?
Non è gaudio o letizia quella che voglio infondere, ma solo una visione ancor più drammatica del personaggio di Antonio Salieri, ritratto qui nel suo ultimo vital sospiro.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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L'ultima piuma nera
 
 

Quanti ricordi decoravano il nero passato, quante tragedie ricoprivano le mie iridi castane.. Ma, fintanto che la dolce Sorte non mi aveva strappato la capacità di poter vedere il mondo che luminoso e sorridente mi circondava, avevo ancora la capacità di guardare avanti e di sperare in un -domani- migliore.

 

Pensieri sussurrati dalla fallace mente di un uomo stanco, il quale giaceva in un letto baldanzosamente e nobilmente decorato da fini lenzuola di seta ricamate con fili d'oro, mentre le tende purpuree del baldacchino cadevano pesanti sulla sua figura pallida, privandone il viso di quella poca luce che lieve entrava dalle ampie finestre rivolte verso sud. La luce era più un servizio per i silenti visitatori, i quali, con i loro pesanti abiti in velluto nero, venivano a dare l'ultimo silente ossequio ad un uomo che ormai aveva raggiunto il limite fisico e mentale.
Erano anni che, ormai, la Sorte lo aveva privato della vista e della capacità di poter suonare il proprio amato strumento: era come se il corpo stesse solo decadendo in milioni di frammenti, quasi a voler soddisfare la volontà dell'anima a liberarsi da quell'inutile involucro che in passato aveva solo potuto portare guai. Gli ultimi respiri ormai erano esalati con pesante stanchezza, i polmoni che ormai stavano anche loro cedendo al male incurabile, rendendo quelle ore ancor più strazianti di quanto non fosse stata la vita stessa.
L'artrite aveva reso le mani deformi, impossibili da utilizzare per qualsiasi compito, persino il più banale, rendendo impossibile persino la riproduzione di quattro note che mai avrebbe potuto dimenticare: quattro note che, con rammarico, plagiò, inserendole in quella pomposa composizione che ogni musicista ha il dovere di presentare come passepartout innanzi ai cancelli di San Pietro. Nessuno aveva potuto ancora udire quelle grevi note, né dagli spartiti conservati con quasi ossequiosa sacralità, né da quelli polverosi che sarebbero finiti gettati nel fuoco se non fosse stato per il suo allievo più fedele, Schubert.



“Requiem aeterna,
Dona eis Domine.”


Ogni Requiem ha l'obbligo di iniziare con l'invocazione verso il Divino per la sorte dell'anima del defunto; accordi in minore che debbono intrecciarsi con Osanna e Saluti, riprendendo i testi da Laudi od utilizzando la proforma di ogni Messa: dall'Ave iniziale al Gloria, dal Kyrie al Dies Irae, dalla Lacrimosa al Sanctus, per poi ritornare al tema principale della composizione, e racchiudere quindi il tutto dentro ad un cerchio di pura perfezione.
Ecco cosa era sempre mancato nella sua vita: la Perfezione.
Ma ormai era tardi per rinfacciare i propri errori e per poter anche solo minimamente sperare di tornare indietro. Shakespeare tramite le morbide labbra di Giulietta, ha sostenuto che l'esistenza umana fosse fatta della medesima sostanza cui sono fatti i sogni. Quante volte aveva riletto quelle righe, quante volte aveva cercato di imprimerle nella propria mente, ma vani erano ormai i suoi tentativi di Redenzione! Ormai il marchio della colpa era impresso a fuoco sulla propria anima, pronto a condannarlo alla disperazione eterna.
Ma chi, una volta giunto innanzi all'ultima porta della vita, avrebbe mai potuto urlare di gioia? Chi avrebbe mai potuto accettare con letizia di bere il dolce veleno che si celava nel calice dorato? Cosa avrebbe mai portato un essere umano ad adagiare le proprie stanche labbra ad una fine tanto crudele?
Voltò il capo stanco sul lato sinistro, corrugando la fronte in un vano tentativo di placare il dolore che con la stessa lentezza del fuoco sembrava bruciargli le carni raggrinzite e prive di apparente vita. I pochi presenti attendevano ormai con impazienza che esalasse l'ultimo respiro, in modo da poter aprire la finestra ed urlare al popolo la morte di un così grande Maestro di Cappella. Le persone non attendevano altro che il suo trapasso per poter giudicare le sue composizioni senza dovergli tenere il rispetto che era sempre dovuto ai vivi, e mai tenuto per tutti coloro che ormai hanno oltrepassato i cancelli dorati della morte. Chi avrebbe mai potuto donare rispetto a tutti coloro che, ormai, odono le trombe del Giudizio rimbombare nelle loro orecchie? Sordi davanti ai problemi del mondo, ciechi davanti alle ferite sofferte, freddi davanti all'amore e ai dolori provocati con la propria stessa morte.
I vivi non potrebbero mai perdonare i morti per la loro situazione di fragile stabilità nella quale sono costretti a stare: chi promette ai vivi che vi è davvero un futuro oltre la morte? Chi promette ai vivi che vi è veramente la salvezza oltre una vita colma di sofferenze? Si passano gli anni ad innalzare inni alla “Maestà”, capaci solo di chiedere Salvezza con lamentose litanie, stanche ancor prima di nascere nei pensieri e nella bocca degli invocatori.
Perché gli occhi non gli permettevano di piangere? Perché quelle bende poste sulle cellule morte dei bulbi oculari, lo soffocavano a tal punto da impedirgli persino di versare le ultime lacrime? Forse la Sorte pensava bene che in passato avesse già pianto abbastanza? Oppure voleva solo prendersi ancora più gioco di un vecchio morente ed agonizzante? Quante domande alle quali non sarebbe mai riuscito a trovare risposta. Le labbra screpolate si schiusero e si deformarono per poter fare uscire a fatica un lamento soffocato dalla laringe secca e gonfia.


Aceto, datemi dell'aceto.”


Pensava, ma non riusciva a pronunciare alcun suono se non quei lugubri rantolii che ricoprivano la stanza nera. I presenti bisbigliavano, vi era qualcuno che addirittura piangeva. Ma chi era che piangeva? Era un suono sempre più vicino al proprio corpo, la voce di un fanciullo che stava vedendo il proprio maestro e mentore cedere tra le pallide mani della Nera Mietitrice. Un suono tanto cristallino, quanto lo era stata la sua risata.
Ennesimo rantolio, questa volta più lugubre, pesante, colmo di dolore e di disperazione; voleva solo che gli togliessero quelle bende da davanti gli inutili bulbi oculari. Voleva vedere il ragazzo che stava piangendo inginocchiato al proprio capezzale, voleva rivederne i tratti, il sorriso. Voleva rivederlo per l'ultima volta prima di sprofondare nell'Eterno Sonno, o la propria anima non avrebbe mai riposato in pace. Iniziò a dimenarsi, per quanto gli fosse impossibile data l'immobilità del corpo del tutto divorato dal male della paralisi.


Toglietemele! Vi prego, toglietemele!


Pensò disperato, tentando di dirigere le mani presso il proprio viso, mentre le deboli braccia, un tempo robuste e possenti, tentavano di esaudire l'ultimo e disperato desiderio del proprio padrone, prima di perdere completamente l'utilità terrena. Il tremore iniziò a diffondersi, le labbra iniziarono a divenire cianotiche, il respiro mancava sempre più, così come l'ossigeno necessario per far funzionare un cuore tanto trafitto quanto dilaniato dalle sventure della vita. Ma non gli importava l'aria: il singhiozzo si era fatto sempre più persistente, doveva farlo placare. Perché i morti non dovrebbero soffrire per i vivi.
Finalmente riuscì a spostare la benda, gli occhi ormai in cancrena non avrebbero mai potuto vedere il mondo che li circondava, eppure, riuscivano a vedere quel ragazzo che, disperato scuoteva la testa, accompagnato da un angelo dalle grandi ali nere.
Il moribondo sorrise. Sorrise a se stesso, allungando la mano verso l'immagine del giovane Mozart che, in lacrime, tentava ancora di fermare il cupo Mietitore. Il vecchio stanco scosse la testa, quasi a voler pregare il giovane di lasciare il Destino compiersi, e lasciare punire l'Assassino per mezzo delle proprie stesse mani ormai inutilizzate.


« Kyrie... Eleyson! »


Espirò, con strazio, uniche parole che il decadente fisico gli permise di pronunciare, prima che l'anima abbandonasse definitivamente il corpo, lasciandone nient'altro che un involucro vuoto, simbolo dell'effimera resistenza delle “cose terrene”.

 

 

 

 

 

 

 

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Note dell'autrice.

Se siete arrivati sin qui.. Ahimè, avete avuto proprio un bel coraggio.
Ma non voglio perdermi in eventuali chiacchiere. Ringrazio ThanatoseHypnos per il magnifico Banner!
E..non penso di avere null'altro da aggiungere. Ulteriori ringraziamenti, e sarei ancora più grata se mi forniste una vostra idea della storia (oltre il già noto fatto che mi ha portato via un pezzo di anima..o di maroni).

C. with love.

   
 
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