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Autore: _Lith_    24/07/2014    2 recensioni
Molti sono stati gli alchimisti che hanno tentato di creare Homunculus .
Un Homunculus è una creatura artificiale, derivata dall'unione del corpo di un umano, trattato precedentemente con sostanze alchemiche di cui il Siero è la base, e di un’anima errante ...
Questa però non è la storia di un alchimista qualsiasi...
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Homunculus*


"Ed Ella, morendo per la seconda volta, non si lamentò; e di che cosa avrebbe infatti dovuto lagnarsi se non d'essere troppo amata?"


1527


 

lWgdnQGPregare gli Dei, vecchie o nuovi, non è mai servito a nulla. Sin dal principio ho imparato ad associare la parola "Divinità" con "capriccio".

Desiderare tutto quello che non si possiede o non si può più possedere. A qualsiasi costo. Con qualsiasi mezzo.
Vecchie leggende raccontano di un tempo ormai lontano. Un tempo in cui il dimenticato Prometeo diede vita agli esseri umani. Ma essi erano soltanto un diversivo per gli dei. Giocattoli da assoggettare e da schiacciare, da dimenticare quando ormai divenuti troppo vecchi.
A cosa serve un servo quando si possiede il potere di plasmare il mondo intero?
Capriccio..
"Ma non siamo divenuti capricciosi anche noi?" col passare dei secoli non abbiamo anche noi uomini iniziato a bramare ogni cosa? Siamo stati creati ad immagine e somiglianza delle divinità. Perché aspettarsi qualcosa di diverso?

Poggio una mano sul gigantesco alambicco che si erge davanti a me eclissando l'immagine di ogni altra cosa nella stanza.
Da quanto tempo sono rinchiuso qui? Mesi...Forse anni. Sì...Anni.
Il vetro è caldo come il liquido bruno che al suo interno ribolle. I fumi sprigionati riempiono l'aria di esalazioni macabre alle quali non do più importanza.
Resisterò.
"Puoi sentirmi? Resisterò questa volta..."
Ma tu non mi rispondi ancora.

Alchimia. Gli uomini hanno dato questo nome alla nuova arte da loro istituita come mezzo per avvicinarsi il più possibile al potere divino. Hanno impiegato secoli di pratica e magia proibita per riuscirci. A praticarla tuttavia sono solo in pochi.
Si fanno chiamare alchimisti, ma per una sorta di gelosia intramontabile, coloro che non sono in grado di padroneggiarla additano costoro come mostri o come pazzi. Non come divinità.
Siamo in un mondo diverso da quello che conoscevamo un tempo. Un mondo più complesso.
Non c'è più spazio per le divinità, ma solo per i mostri.

"Per questo sono diventato un mostro di questa nuova arte..."
Solo per te.
Quanti cicli abbiamo affrontato? Ne ho perso il conto. Ma per quale scherzo del destino i nostri devono sempre separarsi in modo così crudele?
Perché devo mantenere i ricordi di tutte le vite passate se non posso raccontarteli?
Non rispondi...

Fu un uomo che si faceva chiamare Paracelso a parlarmi per la prima volta degli Homunculus. Credevo che l'alchimia permettesse all'uomo soltanto di ottenere più oro o una vita più lunga, ma a quanto pareva mi sbagliavo.
L' Homunculus, secondo Paracelso, era l'apice dell'arte dell'alchimia. L'ultimo passo da compiere prima di poter essere considerati davvero divinità.
Un uomo creato da un uomo.
Ero disgustato dalle storie sul sangue umano e sul ventre equino ma, stregato dall'entusiasmo febbrile che leggevo negli occhi dello scienziato, rimasi ad ascoltare.
Mi spiegò dettagliatamente il modo in cui dar vita ad un essere umano di dimensioni ridotte da asservire, ma vedendo che il mio interesse stava calando mi parlò anche di un nuovo esperimento che avrebbe voluto provare.
L'inserimento di un'anima nel corpo di un defunto. Lo ascoltai sempre più disgustato. Quell'esperimento comportava una più alta dose di follia.
Mi congedai dallo scienziato.
Non fece in tempo a sperimentare questa sua ultima teoria, morì nel 1514. Ed io giurai che non avrei mai avuto nulla a che fare con quelle pratiche.

Poi un giorno. Ti uccisi.

Abitavo nelle campagne solitarie, lontano dalle strade malsane del cuore della città. La ragazza era una semplice lavandaia di qualche signorotto per bene. La vidi china sul catino pieno d'acqua lungo il fiume quando il sole stava ormai per iniziare la sua discesa. Era tardi e sembrava avere fretta.
Quando si voltò a guardarmi, per aver sentito i miei passi sul sentiero, il mio cuore si fermò per un secondo.
Eri tu.
Lei aveva i tuoi occhi, i tuoi capelli, il tuo viso, la morbida forma delle tue labbra, la tua voce, il tuo copro.
Era la prima volta che ti rincontravo in un nuovo ciclo.
Indietreggiò quando mi vide avvicinarmi. Capii che non mi riconoscevi. Mentre io avevo conservato le mie memorie, le tue si erano riformate.
Oh divinità crudeli e meschine!
Il tuo spirito non c'era, surclassato solo dalla lavandaia, che si mise ad urlare quando la chiamai col tuo nome e tentai di baciarla, ma nessuno poteva sentirla. Si dimenò come una belva, quando ormai spaventata, tentai di calmarla stringendola a me e tenendole una mano premuta sulla bocca.
Poi lei mi guardò con odio ed aveva i tuoi occhi. Non potevo sopportare che i tuoi occhi mi guardassero con odio...
Quegli occhi sono l'ultima cosa che ricordo prima dell'oblio.
Quando riacquistai la lucidità il suo corpo giaceva inerme ai miei piedi con gli occhi sbarrati.
Le mie mani tremavano. tremavano per quello che avevano appena fatto su quell'esile collo.
In quel momento seppi esattamente cosa fare. Nessuno mi aveva visto. Avvolsi il corpo nel mio mantello e lo sollevai in spalla.
Raggiunsi la mia casa solitaria e con cura trasportai il corpo all'interno. Fui molto attento, era come se ti stringessi fra le mie braccia amore mio.
Ti adagiai sul mio unico tavolo da lavoro. Gli occhi erano ancora aperti ma in essi non vidi più né odio e né amore.
Non c'era più nulla.
Feci un nuovo giuramento a me stesso infrangendo quello che avevo fatto in precedenza. Giurai che avrei colmato quel nulla, ma questa volta a tornare saresti stata tu, e non la lavandaia.
"Un giorno ti riporterò da me amore mio..."
Non importava il prezzo. Grazie alla conoscenza degli uomini avevo trovato finalmente una via.
Non mi importavano le vite che recidevo per procurarti il sangue necessario per tenerti al caldo.
E mentre studiavo formule arcane per i riti necessari, il tuo sguardo vuoto non mi abbandonava mai. Sembravi attendere attraverso il vetro. Sospesa nel siero e nel sangue che rigenerava la vita in te.
Ti avrei avuto indietro, con i tuoi ricordo.
Ma non ti volevo né più bella, né più saggia e accorta, né più buona con me.
Volevo semplicemente te, ma ti avrei fatta più forte di prima, così che nessuno sarebbe riuscito a strangolarti in riva ad un fiume, né veleni avrebbero intaccato la tua linfa vitale.

"Ed ora che il momento è arrivato mi chiedo se mi perdonerai..."


Afferrò la leva di metallo e tiro per far ruotare il piano inclinato al quale è fissata la tua bara di vetro e la porto in posizione orizzontale. La parte superiore è sigillata da un coperchio metallico con la valvola che usavo per il ricambio dei fluidi. La apro e lascio semplicemente che essi fuoriescano e che l'alambicco si svuoti rapidamente. Un lago rosso si allarga sotto i miei piedi ma non importa. Attraverso il vetro vedo il tuo corpo nudo emergere candido e pulito nonostante tutto.
Rimuovo completamente il coperchio facendolo cadere per terra con un tonfo sordo e poi delicatamente ti afferro per le spalle.
Sono anni ormai che non sfioro la tua pelle. Da quando ti ho chiusa nell'alambicco.
Sei completamente asciutta ma non mi stupisco.
Ti stringo a me per poco e poi ti adagio sul letto candido che ho preparato per te.
"Spero che non mi odierai per quello che sto per farti."
Afferro uno stiletto d'argento e con estrema precisione incido lievi solchi sul tuo seno sinistro. Sul tuo cuore. Il sangue zampilla fuori dalle ferite come se tu fossi già viva.
Terminato il deplorevole compito il tuo corpo è lievemente deturpato. Un serpente rosso sangue gioca sul tuo seno mentre si morde la coda.
L'Uroboros.**
Il simbolo della vita che finisce e ricomincia.
Poi inizio.
Invoco il tuo nome e quello di divinità alle quali nessuno dovrebbe mai rivolgersi. Decanto formule che ho studiato fino a notte fonda con gli occhi rossi per la fatica. Chiedo loro di riportarti indietro da me com'eri un tempo, così che io possa nuovamente tornare a suonare per te nelle giornate di sole.
Vedo piccole fiammelle blu sollevarsi dal tuo seno e cauterizzare l'incisione. Poi arriva il buio e i miei occhi non vedono più nulla. Tremo per la paura di non rivederti ma poi lentamente la vista ritorna.
Incontro i tuoi occhi che cercano i miei. Non sono più vuoti, né colmi d'odio.
C'è amore!
"Sei qui!"
Annuisci con la testa sul cuscino incoronata dalla seta dei tuoi capelli.
Temo che tutto sia solo un sogno ad occhi aperti. Il mio cuore non reggerebbe alla delusione.
Ma tu sorridi mesta.
Sei tornata davvero.
"Amore mio!" cado in ginocchio sopraffatto dalla felicità e stringo le tue mani calde portandole alle labbra. Le bacio nuovamente dopo quasi un'eternità di separazione.
"Mia anima, mio amore!" Continuo a ripetere e grosse lacrime bagnano le mie guance e le tue mani. Ma tu ti sollevi e stringi il mio volto fra di esse sollevandolo verso di te. Con un dito asciughi le lacrime prima che il sale possa bruciarmi e poi mi baci.
Ho sognato il tuo bacio per centinaia di vite umane. Per più di quanto anche un dio possa sopportare.
"Mia Euridice!"
Ripeto il tuo nome un migliaio di volte e un migliaio di volte ti bacio e ti lasci baciare.
Non una di più.
Arresti la mia foga e torni a guardarmi negli occhi. Sei silenziosa. Non hai ancora parlato, me ne rendo conto solo adesso.
Vorrei che pronunciassi il mio nome. Ma mi poggi un dito sulle labbra zittendomi. Poi una lacrima solitaria riga il tuo volto. Rossa come il sangue.
Le tue mani scivolano giù sul mio collo ed iniziano a stringere.
Ti ho fatta forte amore mio.


Sollevo il mio amato ormai privo di vita e lo adagio sul letto accanto a me. Ancora una volta ha fatto tutto il possibile per salvarmi ma ha lasciato che la follia lo consumasse.
Poggio ancora le mie labbra sulle sue. "Ti perdono Orfeo..."
Non c'è altra via per stare insieme. Afferro lo stiletto d'argento da lui dimenticato e trafiggo la testa del serpente sul mio seno.
Caronte ci aspetta entrambi adesso.



Conclusioni: Ho letto di recente (da qualche parte non ricordo dove) la frase "Ogni anima dopo la morte del corpo compie un ciclo di cento anni e ritorna in vita in un nuovo corpo. Per poi morire nuovamente e riattendere nuovamente cento anni) Ho immaginato che l'anima del protagonista avesse attraversato innumerevoli cicli fino a giungere nell'epoca da me prescelta. Un'epoca in cui gli si presentava davanti agli occhi un nuovo modo per aggirare la morte.





ED ECCO GLI SPIEGONI ASSURDI

*Homunculus:
Un Homunculus è una creatura artificiale, derivata dall'unione del corpo di un umano, trattato precedentemente con sostanze alchemiche di cui il Siero è la base, e di un’anima errante per l’iperuranio(L'Iperuranio è un concetto proprio di Platone espresso nel Fedro.
Secondo Platone l'Iperuranio è quella zona al di là del cielo (da cui il nome) dove risiedono le idee. Dunque l'iperuranio è quel mondo oltre la volta celeste che è sempre esistito in cui vi sono le idee immutabili e perfette, raggiungibile solo dall'intelletto, non tangibile dagli enti terreni e corruttibili. È importante notare che nella visione classica la volta celeste rappresentasse il limite estremo del luogo fisico: la definizione di "oltre la volta celeste", dunque, porta l'iperuranio in una dimensione metafisica, aspaziale ed atemporale e, dunque, puramente spirituale.).
Da questa unione il corpo riprende vita, senza avere ricordi delle vita precedente. Particolarità di ogni Homunculus è che la sua personalità, ed i suoi poteri, non è dettata dall’anima ospitata, ma bensì dal corpo che la ospita, da ciò ne deriva che per ottenere un Homunculus con dati poteri e date attitudini caratteriali, non conterà se l’anima che vi si lega sia stata di un pio padre francescano o di un pluriomicida, ma essi deriveranno dal trattamento alchemico che il corpo avrà ricevuto. Un homunculus ha capacità, fuori dall’ordinario umano, quali aumentare a dismisura la propria forza, mutare il proprio aspetto, assorbire gli oggetti che lo circondano, rendendoli parte integrante del proprio corpo, od altro genere di capacità, tutte derivate dal suo legame con il siero e dalle sue conoscenze in ambito alchemico.
Sembra che il primo a parlarne sia stato il celebre medico svizzero Paracelso (1493-1514), il cui vero nome era Philipp Theophrast von Hohenheim, che ci ha lasciato una ricetta in proposito. Il punto di partenza era il seme dell'uomo, imputridito per quaranta giorni in un alambicco al calore del ventre equino. Il piccolo fanciullino in questo modo generato doveva poi essere nutrito con l'arcano del sangue umano per quaranta settimane. Al termine si sarebbe formato un vero e proprio fanciullino, completo e perfetto, ma soltanto molto più piccolo.
per un riassunoto veloce: http://prezi.com/cmzvug2aj7bs/lalchimia-e-gli-homunculus/
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** Uroboros: serpente rosso che mangia la sua stessa coda simbolo della rinascita



 

   
 
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