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Autore: Chtsara    25/07/2014    52 recensioni
Gardelium, XVII secolo d.C.
~
Un giovane soldato si risveglia su un campo di battaglia, in fin di vita: circondato da migliaia di cadaveri, le sue ferite sono tali da non permettergli nemmeno di alzarsi.
Ma una donna stupenda e misteriosa fa la sua comparsa proponendogli uno scambio di anime: ogni volta che ruberà la purezza di una fanciulla inducendola alla morte, un calice nascosto in una chiesa inizierà a riempirsi di sangue; solo quando ne sarà colmo fino all'orlo, il ragazzo potrà considerarsi un immortale.
Ma cosa succederebbe se qualcuno scoprisse il suo segreto?
Quanto tempo potrebbe restargli se la sua promessa improvvisamente vacillasse?
E quali conseguenze si verificherebbero se per la prima volta iniziasse ad amare?
~
Lo guardò per un millesimo di secondo, negli occhi un invito silenzioso che non avrebbe mai espresso a parole; poi sparì dietro l'angolo di un edificio vicino, sfiorando il muro con una mano.
Doveva averla. Doveva assolutamente essere sua.
Assicurandosi di avere il volto nascosto dalla maschera, seguì la fanciulla con urgenza famelica, la mano all'elsa della spada per usarla se ce ne fosse stato bisogno.
Come l'ultima volta.
Genere: Dark, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
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Una ragazza camminava dall’altro lato della strada, i lunghi boccoli castani riversi sulla schiena coperta da un mantello nero che arrivava fino a terra.
Lo guardò per un millesimo di secondo, fermandosi, negli occhi chiari un invito silenzioso che non avrebbe mai espresso a parole; poi gli diede le spalle e sparì dietro l’angolo di un edificio là vicino, sfiorando il muro a lui visibile con le dita di una mano.
Doveva averla. Doveva assolutamente essere sua.
Assicurandosi di avere ancora il volto ben celato dalla maschera, seguì la fanciulla con un’urgenza quasi famelica, la mano stretta all’elsa della spada nel fodero per usarla in caso ce ne fosse stato bisogno.
Come l’ultima volta.
Girò l’angolo dietro il quale aveva visto scomparire la ragazza senza nome, ansioso di averla tra le braccia e di stringerla a sé con tanta forza da rischiare di toglierle la vita.
Rise di se stesso a quel pensiero, ma il sorriso che gli si era formato tra le labbra si raggelò istantaneamente in un’espressione di puro terrore.
Si ritrovò di fronte ad un vicolo buio tra due palazzi enormi, un posto che probabilmente non aveva mai conosciuto la luce del sole: alcune casse vuote erano state accatastate una sopra l’altra in fondo al muro, in modo disordinato e disinteressato, e solo una finestra dei due edifici era rivolta su quella stradina sottostante.
Ma non fu questo ad immobilizzare il ragazzo.
Sembrava che la fanciulla senza nome si fosse volatilizzata in quello che era a tutti gli effetti un vicolo cieco, senza vie d’uscita.
E lui era rimasto da solo.

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Da tempo aveva perso la percezione del passare dei minuti, delle ore, forse persino dei giorni.
Una spada aveva ferito il suo cavallo e il giovane era caduto miseramente a terra, insieme alle sue speranze e alla gloria a cui tanto aspirava fin da bambino.
Battendo con violenza la testa aveva perso i sensi, mentre la battaglia attorno a lui infuriava portando con sé morte e disperazione e facendo sì che le mogli dei soldati aspettassero invano i mariti che non sarebbero tornati mai più.
Inspirò profondamente con un dolore atroce alle costole e sentì l’odore metallico del sangue pungergli le narici, nonostante il silenzio innaturale che regnava attorno a lui.
Probabilmente era l’unico sopravvissuto del suo esercito, o forse i suoi alleati lo avevano lasciato là, vittoriosi, pensando che la caduta gli fosse stata fatale.
Aprì un occhio con prudenza, sospettando ugualmente di non essere solo, e un sospiro di sollievo e al tempo stesso di raccapriccio si sprigionò dalle sue labbra nell’accorgersi della presenza di innumerevoli cadaveri intorno a lui; il suo cavallo giaceva ai suoi piedi, immobile, gli occhi vitrei e la criniera sporca di un liquido denso e scuro.
Provò ad alzarsi, ma una fitta alla testa lo indusse a fermarsi all’istante. Cautamente si portò una mano sul cuoio capelluto, circospetto e con un brutto presentimento, e le dita si macchiarono immediatamente di sangue.
Sarebbe morto di lì a breve, reduce di una battaglia che gli stava costando la vita, senza speranza alcuna di tornare nella propria patria e godersi il suo futuro.
Eppure era lì, ancora vivo, parzialmente cosciente e con un dolore insopportabile alle ferite, mentre il sole tramontava e il cielo dava spazio al crepuscolo.
Se era stato Dio a dargli quella possibilità, allora era giusto che lo ringraziasse.
Congiunse le mani e chiuse gli occhi, pregando silenziosamente con il filo di voce che gli era rimasto, i capelli castani immersi nella pozza di sangue che si stava sprigionando dalla testa.
“No, Dio non ti aiuterà”.
Sbarrò gli occhi nel sentire una voce ironica femminile interrompere la sua litania e il silenzio innaturale che solo la morte portava dietro di sé. Gli fu istintivo avvicinare la mano alla spada nel fodero, continuando però a non scorgere nessuno, e per tutta risposta ricevette una risata derisoria.
Una donna gli apparve improvvisamente davanti, china su di lui, e gli scostò le ciocche sporche di sangue dalla fronte.
Era di una bellezza sfolgorante: in quei cinque anni passati nell’esercito non aveva avuto il tempo di concedersi le gioie della vita e dell’amore, per cui non era abituato a dover parlare con donne di simile portata.
Il corpo nascosto da un abito nero e strettissimo in vita, aveva dei lunghi capelli ramati che scendevano in onde morbide su una spalla per poi riversarsi pigramente sulla scollatura audace del seno; occhi verdi come il mare incorniciati da folte ciglia nere lo guardavano con un’espressione a metà tra il divertimento e la commiserazione, mentre labbra rosse e carnose si aprivano per sfoggiare un sorriso carico di sottintesi.
Se si fosse trovato in circostanze diverse e lei gli avesse chiesto di uccidere degli innocenti, lui l’avrebbe accontentata solo per renderla felice.
Era la tipica donna per cui secoli addietro scoppiavano le battaglie più feroci, infuocando le città con la stessa violenza con cui prendeva possesso dei cuori dei soldati innamorati.
“È sciocco pensare che il Signore del Cielo possa scendere ad aiutarti, vero, Lorenzo?”.
Con una parte infinitesimale della mente si chiese come facesse quella donna a conoscere il suo nome, ma il resto della sua attenzione era rivolta alla mano di lei che si protendeva ad accarezzargli il viso con delicatezza.
Le uniche persone a respirare nel raggio di chilometri erano lui e quella donna misteriosa, di una bellezza tale da lasciarlo senza fiato ogni volta che posava lo sguardo sul suo viso: i lineamenti di un angelo innocente e la sua espressione da peccatrice stavano perfino annullando il dolore alla testa che aveva afflitto Lorenzo quando aveva tentato di alzarsi.
Se non fosse morto prima per le ferite, si sarebbe ucciso spontaneamente per fare in modo che il suo volto fosse l’ultima cosa che avrebbe visto in vita.
“Combatto nel nome di Dio, mia signora”, le rispose con voce affannosa, alzando e abbassando il petto con velocità mentre i battiti del suo cuore acceleravano penosamente per lo sforzo. “Se è stato Lui a salvarmi da una morte certa, forse ha dei piani in serbo per me”.
“Sei giovane, molto giovane”, sospirò la donna, portandosi un dito sporco del suo sangue alle labbra con sguardo assorto. “E di conseguenza anche molto ingenuo. Adoro i ragazzi come te, sai?”. Una risata si sprigionò dalle sue labbra, cristallina e perfetta.
Disumana.
“Dovresti fare un patto con me”. Avvicinò il volto al suo, sfiorandogli la punta del naso con il proprio, e sorridendo gli sussurrò: “Dimostrami che la tua anima vale più delle altre e ti permetterò di continuare a vivere”.
Lorenzo, faticando a respirare più di prima per l’eccitazione dovuta alla sua vicinanza e la sensazione di pericolo, rispose con tono malfermo: “Farò tutto ciò che volete, mia signora”.
Nello sguardo della donna passò un lampo di malizia e soddisfazione, poi una mano salì ad accarezzargli il collo. “Rendi impure delle ragazze vergini e fa’ in modo che muoiano di propria mano invocando il tuo nome come loro ultima parola: ad ogni sacrificio, un calice dorato custodito fra le mani di una statua nella navata laterale della chiesa di Santa Maria di Magdala si riempirà di una goccia di sangue; quando il calice ne sarà colmo fino all’orlo, diventerai un immortale. Solo in questo modo potrai dimostrarmi il tuo valore”.
Il giovane ascoltò attentamente le sue spiegazioni, faticando a credere di avere davvero una seconda possibilità, finché un dubbio non gli si parò davanti e lo lasciò senza fiato. “In quanto tempo dovrò riuscirci?”.
La donna scosse la testa e lo fissò con la sua solita aria divertita. “Nessun tempo massimo. Avrai soltanto un limite di due mesi tra una morte e l’altra: superandolo, morirai”.
“Ma, mia signora, non riesco neanche a muovermi”, mormorò Lorenzo, guardandola dritto nei suoi grandi occhi verdi per evidenziare l’ovvio. Se avesse ritentato di alzarsi probabilmente sarebbe morto dissanguato e le costole, del resto, a malapena gli permettevano di respirare.
“Questo lo credi tu”, rise lei, e per un attimo Lorenzo ebbe la netta sensazione che il cimitero attorno a loro non fosse più tanto sgradevole. “E smettila di chiamarmi mia signora, non sono così vecchia”.
“Come vi chiamate?”, le chiese, desiderando ardentemente di conoscere il suo nome come se saperlo potesse rassicurarlo che, prima o poi, si sarebbero rivisti.
“Madeleine”. Gli rivolse un sorriso malizioso, semplicemente magnifico, e aggiunse: “Buona fortuna, Lorenzo”.
Ma, prima che il ragazzo potesse chiedere ulteriori spiegazioni, era già sparita, con la stessa velocità con cui gli era apparsa. E se fosse stato solo un sogno?
Per averne la conferma il giovane mosse una gamba, poi l’altra, in quel che pensava fosse un goffo tentativo di rialzarsi dovuto al dolore che di lì a poco lo avrebbe sicuramente assalito.
Si sbagliava.
La ferita alla testa si era rimarginata, riusciva a respirare normalmente e i muscoli pulsavano sotto l’armatura. Fu al limite della sorpresa quando vide il suo destriero alzarsi da terra con un nitrito e avvicinarsi a lui per lasciarlo salire in groppa.
Con la spada assicurata al fianco, saltò in sella e galoppò in direzione della città di Gardelium, lasciandosi alle spalle il campo di battaglia e i cadaveri infiniti dei soldati.
 
Arrivò a notte inoltrata mentre il mondo intorno a lui era immerso nel sonno più profondo e la prima domanda che si pose riguardava il suo alloggio notturno.
Era cresciuto senza una figura paterna, morto in battaglia come stava per succedere anche a lui, e sua madre si era presa cura del suo bambino fino a quando una febbre non l’aveva strappata via dalle sue braccia, non troppi anni prima; da quel momento si era dato da fare per imparare a badare a se stesso e, dopo aver finalmente raggiunto l’età minima per entrare nell’esercito, si era allenato duramente e si era arruolato per dare un senso alla sua vita.
Non aveva più una casa da parecchio tempo, ormai, e passare la notte in qualche locanda avrebbe richiesto denaro che lui non possedeva.
Perlomeno, non ancora.
Quand’era piccolo giravano voci su una donna triste e sola, rimasta vedova di un ricco mercante qualche decennio prima; si diceva abitasse in una villa su una collina non molto distante dal centro della città, passando le sue giornate a prendersi cura del suo giardino e a piangere sul letto in cui il marito aveva esalato l’ultimo respiro.
Era passato abbastanza tempo per essere pronta ad un nuovo amore?
Lorenzo portò il cavallo in un luogo apparentemente dimenticato dall’intera Gardelium e da Dio stesso, al limite della città e colmo di piante di tutti i tipi; si sforzò per intravedere al buio le foglie lunghe e spesse dell’albero la cui linfa densa e velenosa era stata utile ad innumerevoli soldati durante le imboscate, in modo da uccidere quanti più uomini possibili senza che se ne rendessero conto; era una riserva speciale per l’esercito di Gardelium e gli spuntò un sorriso nel ripensare ai momenti in cui era venuto là con altri suoi compagni.
Nello scorgere la forma particolare delle foglie che stava cercando, vi si avvicinò rapidamente e riempì la boccetta che gli avevano dato quando si era arruolato con la linfa che sporgeva dal tronco.
Dopo aver tappato prudentemente il piccolo contenitore, lo nascose in una tasca interna del mantello, risalì in groppa al suo destriero e partì verso l’abitazione della vedova triste.
 
“Siete giovane, Lorenzo. Quanti anni avete?”.
“Venti, mia signora”. Gli venne da sorridere al pensiero dello sguardo che Madeleine gli aveva rivolto poche ore prima nel sentire quell’epiteto, ma riuscì a contenersi e rigirò il tè nella tazzina con un gesto distratto della mano.
“Un ragazzo giovane, sì, e anche molto bello”.
Lorenzo alzò lo sguardo verso la donna e le sorrise.
Non era stato difficile intrufolarsi in casa sua, con l’armatura sporca di sangue e gli occhi stanchi e imploranti, il tipico soldato che chiede vitto e alloggio dopo una lunga giornata passata in battaglia.
Al maggiordomo era quasi venuto un infarto nel vederlo in quelle condizioni, ma per fortuna la padrona di casa era nei paraggi e lo aveva invitato ad accomodarsi e a passare la notte nelle stanze degli ospiti per trovare il necessario riposo; Lorenzo non se l’era fatto ripetere due volte e aveva accettato.
La donna doveva avere circa quarant’anni, ma le chiome raccolte in una crocchia elaborata erano di un bianco tale da far rabbrividire il ragazzo; doveva essere rimasta vedova da giovane e da quel momento in poi aveva iniziato a consumarsi per colpa delle lacrime e della depressione, proprio come si diceva in giro.
“Anche mio marito aveva gli occhi scuri, forse un po’ più chiari dei vostri”, notò lei con uno sguardo assente sul volto, l’ombra di un sorriso che le ammorbidiva le labbra.
Nonostante le rughe precoci e i capelli bianchi, dava l’impressione di essere stata una donna molto bella durante gli anni della sua giovinezza: occhi cristallini accompagnavano una bocca rosea e delicata, la fronte parzialmente nascosta da qualche ricciolo che era sfuggito all’elaborata acconciatura, una voce ormai sottile messa a dura prova dai singhiozzi di dolore.
“Mi lusingate paragonandomi a vostro marito, signora Addison, ma sono solo un povero soldato che combatte per l’amore verso la propria patria”, rispose Lorenzo con un’umiltà di cui non si credeva capace.
Voleva colpire il cuore di una donna ricca come lei? Il primo passo da compiere era mostrarsi tutt’altro che altezzoso e irrispettoso: i bravi ragazzi riscuotevano da sempre un successo notevole nell’animo delle signore di una certa età, soprattutto se avevano sofferto per amore.
Gli occhi della donna si inumidirono di lacrime e si affrettò ad abbassare lo sguardo dalla vergogna. “Oh, no, in quanto guerriero siete molto più coraggioso di mio marito”.
Lorenzo bevve un sorso del tè che aveva davanti, senza staccare gli occhi dai suoi, e aspettò pazientemente che continuasse.
“Ma se n’è andato troppo presto...”.
Ed ecco la frase che voleva.
Il ragazzo lasciò la tazza di tè e le si inginocchiò davanti, prendendole con delicatezza una mano fra le sue. “Permettetemi di rendervi felice come ha fatto lui: una donna che ospita in casa propria un povero soldato merita tutto l’amore che questi può riservarle”.
La signora Addison alzò gli occhi su di lui, ancora colmi di lacrime, e gli strinse le mani con un debole sorriso. “Siete troppo giovane, non potreste mai amare una vedova come me”.
“Vi sposerò, se necessario, pur di manifestarvi quel che provo per voi”.
Si sentì improvvisamente un bugiardo ed ebbe la netta sensazione che la donna non avrebbe creduto a nessuna delle sue parole, ma il suo povero cuore ferito la induceva a fidarsi del primo uomo che, dopo decenni, le stava confessando i propri sentimenti.
Non gli rispose. Liberò la mano stretta fra le sue e gli gettò le braccia al collo.
 
Il matrimonio si svolse in tutta fretta – sotto l’insistenza di Lorenzo – qualche giorno dopo nella cappella accanto alla villa, presenziato da un anziano prete che li dichiarò marito e moglie dopo le varie promesse di sostegno e di amore.
La donna, che finalmente poté essere chiamata semplicemente Beatrice dallo sposino, sembrava aver riacquisito almeno in parte la vitalità che l’aveva accompagnata due decenni prima; guardava Lorenzo con una devozione tale da indurlo a pensare che lo considerasse una sorta di reincarnazione del marito, finché non ne ebbe la conferma sentendola rivolgersi a lui con lo stesso nome del signore defunto. Ovviamente si era trattata di una distrazione e Lorenzo aveva avuto abbastanza tatto da non farglielo notare, presa com’era a riempirlo di carezze e promesse smielate.
Ma si sentiva soffocare.
Doveva esserle grato per tutto quel che gli aveva concesso, senza contare che – dopo il matrimonio – tutti i beni di Beatrice erano passati nelle sue mani, come voleva la legge.
Eppure sentiva un qualcosa pulsare all’altezza dei fianchi, nella stessa tasca del mantello in cui aveva nascosto la boccetta con la linfa velenosa, e la voglia di sentirsi libero a volte era tanto forte da incitarlo a colpire con un pugnale la sua povera moglie nel bel mezzo della notte.
Ma la prima persona che avrebbero accusato sarebbe stato proprio lui e non poteva finire di essere incarcerato in un momento del genere, ad un passo dalla ricchezza e dalla vita eterna.
Perciò si offrì di accompagnarla ad una battuta di caccia nonostante il tempo invernale, per poi servirle un rinfresco subito dopo essere tornati a casa.
Assicurandosi di darle perfettamente le spalle, versò rapidamente una piccola parte della linfa velenosa nella tazza di tè della moglie e, rimettendosi il contenitore nella tasca, si girò nella sua direzione con un sorriso.
Beatrice si era accomodata su una poltrona accanto al fuoco, stretta in una coperta dopo essersi concessa un’escursione con quel tempo gelido, e prese la tazzina che Lorenzo le porgeva con le guance rosse e un timido sorriso.
Il ragazzo cominciò a bere accavallando le gambe e sperando che gli effetti della linfa velenosa fossero lenti a causa della sua decisione di versarne poca.
La reazione non fu immediata, per fortuna: passò una notte prima che Beatrice cominciasse a manifestare una forte tosse accompagnata da saliva intrisa di sangue.
Il dottore di famiglia corse a visitarla, mentre Lorenzo restava al suo capezzale stringendole una mano con sguardo disperato e al tempo stesso di pietra, attento ad ogni singola reazione della moglie per ricoprire al meglio il ruolo del marito modello.
Il medico, com’era logico aspettarsi, non riuscì a fare una diagnosi: l’unica cosa che sembrò dare una spiegazione al tutto fu la battuta di caccia che avevano fatto il giorno precedente con una temperatura tanto bassa, a tal punto da indebolire le difese immunitarie della donna la cui salute era già cagionevole dalla morte del marito.
“Lorenzo”.
Il giovane sollevò lo sguardo dalle coperte e fissò la donna dritto negli occhi, tentando di assumere l’espressione più addolorata di cui fosse capace.
Il dottore si congedò con un inchino formale e lasciò marito e moglie da soli, forse per permettere ad entrambi di scambiarsi le loro ultime parole d’amore.
Beatrice strinse debolmente le mani di Lorenzo e con una fatica evidente alzò il volto nella sua direzione. “Mi hai dato la forza di amare di nuovo, mi hai permesso per la prima volta di sfuggire alle pene dovute alla morte di mio marito, seppur per breve tempo. Mi hai concesso di assaporare il futuro che avremmo potuto trascorrere insieme, lontani da un passato che mi ha strappato brutalmente gli anni più belli della mia vita”.
La sua voce era flebile, a malapena udibile, ma Lorenzo non fece fatica a cogliere ogni singola parola da lei pronunciata.
Ciò che lo preoccupò maggiormente, però, fu l’assenza di commiserazione o di sensi di colpa: aveva causato la morte di una donna che aveva sofferto per decenni prima di innamorarsi di nuovo, prima di provare dei sentimenti genuini per qualcuno che in un secondo momento avrebbe tentato di ucciderla per appropriarsi della sua ricchezza.
Lo scambio con Madeleine gli era costato l’umanità? Poteva affermare con sicurezza di non essere cambiato nell’anima?
“Vedo in te l’uomo che un tempo era stato mio marito, reincarni la sua gentilezza e la sua generosità”, continuò Beatrice, chiudendo gli occhi per lo sforzo. “Hai un cuore grande, Lorenzo: non fare come me, non piangere per la mia morte più del dovuto; sei ancora giovane, goditi il futuro che Dio ti ha concesso. Trova qualche altra donna da amare, non sprecare la tua vita come ho fatto io”.
Se solo avesse saputo che i suoi consigli coincidevano con le intenzioni che Lorenzo aveva prima ancora di sposarla...
Non trovò frasi adatte per risponderle in modo adeguato e lasciò che Beatrice liberasse le sue ultime parole senza nemmeno osare interromperla.
Ma il petto della donna smise improvvisamente di muoversi. E lei non parlò più.
 
La consapevolezza di essere libero attenuò l’insicurezza che la morte di Beatrice portava con sé e per la prima volta Lorenzo non ebbe la più pallida idea di cosa fare: crescendo nelle vesti di un soldato, era abituato a pensare rapidamente alle sue prossime mosse seguendo un istinto che il più delle volte si dimostrava infallibile per la sua sopravvivenza.
Ma ora era diventato uno degli uomini più ricchi di Gardelium e il suo futuro si stendeva davanti a lui come un immenso prato senza mari o montagne nei paraggi a cingere i suoi confini.
Eppure si sbagliava: se si fosse spinto troppo in là, alla fine del prato avrebbe trovato un dirupo.
E lui sarebbe morto.
La donna misteriosa e bellissima era stata chiara sul limite di tempo fra una morte e l’altra e quella appena avvenuta all’interno delle mura della sua nuova villa non aveva avuto alcuna importanza: sua moglie non era vergine e non era nemmeno deceduta invocando il suo nome.
Lorenzo si prese la testa fra le mani, immerso in una poltrona accanto al fuoco, e iniziò a chiedersi come fosse possibile strappare la purezza di una ragazza e farla innamorare di lui, a tal punto da indurla a suicidarsi in suo onore e pronunciare: “Lorenzo” come ultima parola.
Il tutto ripetuto ogni due mesi, finché il calice nella chiesa di Santa Maria di Magdala non si fosse riempito rendendo il ragazzo un immortale.
Erano già passate due settimane dalla morte di Beatrice e l’urgenza si faceva sentire nella sempre più frequente stanchezza che colpiva Lorenzo quando meno se lo aspettava: più tempo passava, più si sentiva debole.
Ordinò ad un valletto di avvisare lo stalliere per preparare il suo cavallo e si alzò per andare a cambiarsi d’abito e indossare una maschera per precauzione: quella notte sarebbe uscito, non avrebbe perso altri giorni inutili dentro la villa a bearsi della sua nuova vita.
Poi un pensiero lo colpì proprio mentre saliva in groppa al suo destriero, improvviso come uno schiaffo e piacevole come una carezza.
Rendi impure delle ragazze vergini e fa’ in modo che muoiano di propria mano invocando il tuo nome come loro ultima parola.
Di propria mano.
Un sorriso si distese sul suo volto catturando la curiosità dello stalliere, il quale però si limitò con discrezione a rivolgergli un inchino formale e ad indietreggiare di un passo con un’occhiata sospettosa.
Lorenzo diede un colpo di tacco al cavallo e uscì nella notte con la boccetta non ancora completamente vuota dimenticata da tempo nel mantello.
 
Entrò mascherato in una locanda affollata con la tasca del mantello leggermente più pesante: avrebbe trovato lì la sua prima vittima, doveva solo scegliere la ragazza più adatta.
A quell’ora della notte non era inusuale coprirsi il volto con una maschera e per fortuna si rese conto di non essere l’unico: un tripudio di vestiti colorati lo circondava, visi parzialmente nascosti che ospitavano sorrisi maliziosi, bicchieri colmi di vino fra le dita lunghe e affusolate di giovani innamorati che sussurravano parole dolci a fanciulle dalle gote rosse e occhi luminosi.
A quell’immagine Lorenzo si sentì irrimediabilmente solo e si fece largo fra i clienti per andare ad accomodarsi ad un tavolo vuoto al centro della sala, sperando in quel modo di avere una visione abbastanza dettagliata delle donne presenti intorno a lui.
Ordinò una semplice bottiglia di vino rosso ad una cameriera, deciso a non sprecare quell’uscita concedendosi una cena che avrebbe potuto avere benissimo in un altro momento.
Si portò il bicchiere colmo alle labbra e ne sorseggiò il contenuto senza staccare gli occhi da una ragazza bionda seduta in fondo alla sala: lo sguardo curioso accompagnava un sorriso eccitato e guance arrossate, finché Lorenzo non notò il motivo di tale felicità seduto di fronte a lei; l’uomo in questione le prese una mano e se la portò alle labbra, sorridendo a sua volta, e le strinse le dita mentre la fanciulla si concedeva un risolino che le illuminò ulteriormente il volto.
Sul viso di Lorenzo si dipinse un’autentica espressione di disgusto e cominciò a girare il vino all’interno del bicchiere con dei movimenti ormai esperti del polso.
Distolse lo sguardo, infastidito, e per un breve momento lo posò sulla cameriera che lo aveva servito poco prima: era una ragazza sui venticinque anni, l’espressione evidentemente annoiata, i capelli neri raccolti in una coda improvvisata e un grembiule che metteva in risalto la sua vita piccola.
Poi Lorenzo notò i suoi occhi vispi e capì che una donna che lavorava in una locanda non avrebbe mai potuto farsi ingannare facilmente bevendo del veleno senza nutrire sospetti.
Distolse ancora una volta lo sguardo e si riempì di nuovo il bicchiere di vino.
Se doveva fare tutta quella fatica per sei volte all’anno, tanto valeva aprire un bordello.
Quell’idea lo fece sorridere all’istante, pensando al divertimento che ne sarebbe conseguito; ma dubitava che in quel caso avrebbe avuto a che fare con ragazze vergini, perciò ricominciò a scandagliare la sala con attenzione.
Proprio in quel momento entrò una ragazza vestita di rosso, i capelli castani legati in una treccia che le ricadeva su una spalla e gli occhi scuri sorridenti mentre parlava con un paio di sue amiche accanto a lei.
Lorenzo riuscì a resistere a malapena all’impulso di alzarsi e correrle incontro, intravedendo sul suo viso un’innocente giovinezza che non era ancora stata macchiata dai piaceri della carne; le giovani di buona famiglia avevano l’abitudine di rimanere vergini fino al matrimonio, come la Chiesa imponeva, e l’eleganza dei suoi gesti gli fece intuire la sua natura aristocratica.
La sua prima vittima sarebbe stata una donna di alta classe.
La guardò cenare con le amiche senza spostarsi dal suo tavolo, mentre il suono delle risate e di sedie spostate sovrastava tutto il resto: la ragazza castana mangiava con grazia e lentezza, concedendosi di tanto in tanto delle risatine alle frasi che le sue coetanee pronunciavano, e Lorenzo allontanò da sé la bottiglia di vino per paura di cedere alla tentazione e perdere di vista il suo obiettivo.
Poi la cameriera sparecchiò il loro tavolo e le ragazze rimasero sedute a chiacchierare, per nulla intenzionate a tornare a casa a quell’ora assurda della notte.
Lorenzo si chiese come sarebbe stata la sua vita da adolescente e da giovane uomo se non si fosse arruolato nell’esercito e una vaga soddisfazione gli illuminò lo sguardo: non doveva preoccuparsi del passato perché, se solo avesse compiuto il proprio dovere, sarebbe vissuto per sempre.
Quindi si alzò, deciso, e percorse la poca distanza che lo separava dalla ragazza con la treccia.
Il chiacchiericcio che si sprigionava dal loro tavolo si interruppe quando queste alzarono lo sguardo su Lorenzo, accorgendosi di non essere più sole.
Il giovane si esibì in un inchino formale che mise in risalto la sua eleganza appena acquisita, poi si rialzò e guardò dritto negli occhi la ragazza dal vestito rosso.
“Buonasera, signore”.
Le tre fanciulle si alzarono dai propri posti e ricambiarono l’inchino, ma non osarono aprir bocca; lo sguardo di Lorenzo continuava ad indugiare sul volto della sua prima e futura vittima, desideroso di renderla sua quella stessa notte.
Per poi ucciderla.
Probabilmente sentendosi osservata, la ragazza cercò di intravedere dietro la maschera un volto conosciuto, ma il giovane la bloccò con una risata e le chiese: “Come vi chiamate?”.
“Megan”, gli rispose, stringendogli con un sorriso appena accennato la mano che le porgeva.
“Posso offrirvi da bere, Megan?”.

  
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