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Autore: MagicRat    25/07/2014    3 recensioni
"Ripensò alle numerose case dove aveva abitato. Di alcune conservava solo una vaga memoria, appartamenti che aveva condiviso per brevi periodo con alcuni amici.
Ad altre invece era più affezionato e le collegava a particolari ricordi"
Genere: Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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A ripensarci adesso era quasi ironico. Quasi. Aveva trascorso gran parte delle sue notti in camere d’albergo, e anche all’inizio della sua carriera, quando la qualità delle stanze che si poteva permettere era molto bassa, gli era sempre bastato suonare qualche nota con la sua chitarra per rendere tutto più accogliente*. Poi aveva finalmente trovato il coraggio di comprare quella casa, giusto in tempo per rendersi conto di aver sbagliato tutto il resto e quindi ricominciare ad evitarla. Strinse più forte il volante ed alzò il volume della radio, come a voler reprimere la strana sensazione - un misto di imbarazzo ed eccitazione -  che provava ogni volta che pensava che in fondo passare tutto quel tempo in alberghi lontani da casa era stato di grande aiuto per lui e Patti.
 
 
“No.”
Mettere la sveglia alle 9.00 di mattina per cercare di recuperare un ritmo di vita più umano era sembrata una buona idea a tutti e due. Ora, invece, con poche ore di sonno e una considerevole dose di alcol alle spalle, sembrava solo una trovata molto stupida.
“No.” Patti allungò un braccio per mettere fine a quel suono fastidioso, mentre al suo fianco Bruce borbottava la sua approvazione e sprofondava ancora di più sotto le coperte. Richiuse gli occhi con l’intenzione di dormire ancora per qualche minuto, ma poi si ricordò dell’aereo che avrebbero dovuto prendere entro poche ore per tornare a casa, per una delle pause tra un concerto e l’altro. Restò a fissare il soffitto, indecisa fra il morbido letto e l’acqua della doccia. Il mal di testa che iniziava a farsi insistente le fece scegliere l’ultima delle due. Si alzò e in bagno si infilò sotto il getto d’acqua fresca.
Intanto Bruce riemerse stiracchiandosi dalle lenzuola. Con gli occhi ancora chiusi tastò il materasso alla sua sinistra e lo trovò tiepido ma vuoto. Socchiuse gli occhi e cercò Patti nella stanza, senza trovarla. Si sollevò sui gomiti e in quel momento sentì lo scroscio dell’acqua provenire dal bagno. Ricadde sulla schiena e massaggiò gli occhi stanchi. Come aveva fatti Patti pochi minuti prima anche lui, appena fu in grado di concentrarsi su qualcosa, pensò che quel pomeriggio dovevano tornare a casa e ricordò con sorprendente chiarezza quello che successo l’ultima volta che vi aveva fatto ritorno. Rivide sé stesso fermo nel soggiorno ad ascoltare con cura ogni più piccolo rumore per essere sicuro di essere solo. Era andato a rifugiarsi nella stanza adibita a piccolo studio di registrazione, ma non aveva toccato né le chitarre né i dischi sparpagliati sui vari scaffali. Si era seduto nel silenzio con tantissimi pensieri che gli correvano in testa, senza riuscire a svilupparli in modo chiaro e compiuto. Gli afferrava per un attimo e li perdeva subito dopo. Per un po’ era stato come camminare su una superficie molto instabile, che minacciava di spezzarsi da un momento all’altro e lui si arrabbiava con tutti, perché aveva fatto fatica a renderla sicura, cazzo, aveva fatto davvero tanta fatica. Poi si era spezzata definitivamente e lui era rimasto a guardarla andare in frantumi senza provare più rabbia, solo uno stranissimo senso di sollievo. Quando aveva sentito l’auto entrare in garage si era alzato ed era uscito dalla stanza per andarle incontro, rendendosi conto che non si ricordava più una singola parola del discorso che si era preparato, ma in fondo non era importante perché non avevano più molto da dirsi.
Ora , disteso sul letto, pensò che quella volta non avevano neanche litigato. E pensò che entro poche ore doveva prendere un aereo per tornare a casa, ma lui una casa dove andare in realtà non ce l’aveva.
Patti uscì dal bagno strofinandosi i capelli con un asciugamano bianco. Restò ferma sulla porta a guardarlo.
“Che visione affascinante.”
“Vero?” Bruce sbadigliò “Vieni qui” con la mano picchiettò il bordo del materasso.
“Solo se prima ti lavi.”
“Non credo di avere la forza di arrivare fino al bagno.” Continuava a battere ritmicamente la mano.
“Lo sai che questa è la mia camera? Potrei chiamare la reception e dire che c’è un tizio nudo nel mio letto e non mi vuole lasciare in pace.”
Lui corrugò la fronte e sporse in fuori le labbra, fingendosi offeso. “Però questa notte non ti sei lamentata della mia presenza.”
“No?” Patti si avvicino al letto.
“No. Per niente. E quelli della reception ti direbbero che sei fortunata ad avere me, nudo, nel tuo letto. Dovresti approfittarne.”
“Hai ragione. Sono una donna molto fortunata.”
Bruce si stava sporgendo verso di lei per abbracciarla, ma Patti non gli lasciò il tempo. Prese il bicchiere di acqua appoggiato sul comodino e glielo svuotò in faccia. Lui si bloccò con un’espressione di puro stupore sul viso, come se non riuscisse a capire quello che era appena successo e Patti rideva con una mano davanti alla bocca. Si sentì afferrare i fianchi e trascinare sul letto, dove Bruce la bloccò con il peso del suo corpo. Lasciò gocciolare un po’ d’acqua dai suoi capelli sul viso della donna.
“Sono abbastanza pulito adesso?”
Lei circondo i suoi fianchi con le gambe “No. E sai di Tequila.”
“È una fortuna. Ieri mi è sembrato di capire che apprezzi molto questa bevanda.” Iniziò ad armeggiare con la cintura dell’accappatoio che indossava Patti. “Come si toglie questo affare?” finalmente riuscì a disfare il nodo, si chinò per baciarle la spalla e mentre risaliva verso il collo le accarezzava fianchi a gambe. Aspettò fino a quando sentì le dita di Patti fra i suoi capelli sulla nuca, allora si divincolò dalle gambe della donna e si alzò dal letto.
“Bruce!”
“Si?” cercò di simulare lo sguardo più innocente di cui era capace.
“Cosa hai intenzione di fare?”
“La doccia, tesoro. Hai appena detto che non sono pulito.”
“Torna qui.” Aveva ricominciato a ridere.
“Sei sicura?”
“Si.” Lo circondò nuovamente con le gambe, in una presa più salda questa volta, anche se non ce ne fu bisogno.
 
Nell’aereo regnava il silenzio. Ogni tanto passava una hostess per riempire le tazze e i bicchieri di chi era rimasto sveglio, ma in molti si erano addormentati, ancora stanchi a causa della festa fatta la sera precedente. Bruce era tra quelli che si erano arresi al sonno. Aveva appoggiato la testa alla spalla di Patti e non si era più mosso, limitandosi a mormorare qualcosa durante una lieve turbolenza senza neanche aprire gli occhi. A causa del peso del corpo le impediva qualsiasi movimento del braccio destro, così una delle poche cose che riusciva a fare era guardare le nuvole scorrere sotto l’aereo.
Dall’altra parte del corridoio Clarence dormiva con le mani intrecciate sullo stomaco. Riusciva a mantenere un aspetto in qualche modo regale anche nel sonno, al contrario di Bruce che le aveva appena abbracciato il braccio.
Patti sospirò e pensò a quello che era successo l’ultima volta che avevano fatto ritorno a casa. Si erano salutati in aeroporto e Bruce non si era più fatto sentire per giorni interi, lasciandola da sola a cercare di formulare tutte le spiegazioni possibili per quell’insolito silenzio. Un pomeriggio era seduta a guardare un film di cui non ricordava il titolo e a mangiare gelato direttamente dal barattolo quando era squillato il telefono.
“Sei a casa?” le aveva chiesto Bruce. Nessun saluto, nessun “sono io”, niente di niente. Ovviamente lei aveva risposto di si, certo che era a casa, ma non era riuscita ad aggiungere altro. Lui aveva solo detto “Aspettami, arrivo.” Per poi riattaccare. Così lei si era rassegnata a quello strano comportamento e aveva iniziato ad aspettare, facendo la stima approssimativa del tempo che avrebbe impiegato Bruce ad arrivare. Solo che il campanello aveva suonato dopo neanche dieci minuti e quando era andata ad aprire se l’era ritrovato davanti.
“Ciao.” Si comportava come se il teletrasporto fosse ormai di uso comune.
“Come hai fatto…?” Lui non l’aveva neanche sentita.
“È gelato quello? Crema e cioccolato?” aveva chiesto invece di rispondere alla sua domanda.
“Nocciola e fragola.” Era rimasta a guardarlo mentre le prendeva di mano il barattolo e si riempiva la bocca con due generose cucchiaiate. Sentiva la pazienza abbandonarla poco a poco.
“Bruce, al telefono ti sei forse dimenticato di dirmi qualcosa? Ad esempio che stavi chiamando dal bar qui vicino?”
“Potrei essermi dimenticato di dirtelo, si. Hai ragione.” Si era pulito la bocca sul dorso della mano e le aveva restituito il gelato.
“Sei stato giorni interi senza farti sentire e adesso ti presenti qui di colpo?” aveva alzato la voce e se ne era pentita non appena si era accorta che sul viso di Bruce era scomparsa qualsiasi traccia di quella falsa allegria. Aveva iniziato a capire quello che era successo e lui, a conferma delle sue ipotesi, aveva detto solo “Io e Julianne abbiamo parlato. Non mi andava di stare in quella casa.”
L’hostess la riportò alla realtà, per dirle che le manovre di atterraggio erano iniziate e lei doveva allacciarsi la cintura. Indicò divertita Bruce e sparì lungo il corridoio.
Diversi minuti dopo scesero nel parcheggio dell’aeroporto, dove si trovava l’auto di Bruce. Nessuno degli altri ragazzi aveva fatto commenti o battute vedendoli andare via insieme. Ormai erano abituati e la cosa non creava fastidio a nessuno.
“New York o le meraviglie del Jersey?” chiese Bruce mettendo in moto.
“Serve chiederlo?” rispose Patti.
Percorsero alcuni chilometri della New Jersey Turnpike, lasciandosi alle spalle fabbriche e acque fangose, finché non raggiunsero l’uscita che portava a una delle tante cittadine sulla costa. La stagione estiva non era ancora iniziata e trovare un albergo libero risultò molto facile. Ne scelsero uno vicino alla spiaggia, con la camera che si affacciava sull’oceano. Non c’era nessuno sulla sabbia gialla, solo un vecchio signore con il suo cane.
Si sistemarono sulle poltroncine che trovarono in terrazza e Bruce pensò che non era poi tanto diverso da quando evitava di ritornare a casa dopo aver suonato per giorni interi quando era ancora ragazzo. Si girò verso Patti e lei gli sorrise, riavviandosi all’indietro una ciocca di capelli, un gesto che per qualche motivo lo faceva stare bene. Non avevano niente da fare, così restarono a guardare il ritmo ipnotico delle onde.
 
 
Il traffico era scarso e Bruce si concesse la piccola distrazione di continuare a pensare ancora un po’ a quel pomeriggio, fino a quando non si accorse che era più tardi di quanto pensasse. Patti ormai doveva essere tornata a casa. Schiacciò l’acceleratore e l’auto schizzò in avanti.
 
*Questa frase è una citazione del libro “Nativo americano, la voce folk di Bruce Springsteen” di Marina Petrillo.
 
______________
 
Ehilà, gente!
Is there anybody alive out there?(chiese quella che non aggiornava da secoli :D). Comunque ecco qui l’ennesimo capitolo Bruce / Patti, spero di non avervi annoiato troppo. Inutile dire che come mio solito ho ricontrollato molto velocemente, quindi se trovarete qualche errore e me lo segnalate mi fate un favore.
E spero di leggere presto qualche nuovo capitolo delle altre storie, che sono decisamente meglio di questa roba qua.
  
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