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Autore: SweetMelany    28/07/2014    0 recensioni
Le strade erano deserte e nessuno avrebbe potuto fare la spia al mio mentore. Eccezion fatta per un giovane. Anche lui mattiniero, si stava dirigendo nella direzione opposta alla mia. Non dovevo agitarmi per così poco. In fondo, proprio come lui, stavo passeggiando e non poteva sapere, e soprattutto dimostrare, quello che ero andata a fare, a quell'ora del mattino. Aveva viso e corpo coperti da un mantello blu oceano. Si notava perfettamente che non era un abitante della cittadella dal materiale di cui era composta la sua cappa: seta. Una stoffa che un semplice abitante non si sarebbe procurato facilmente, o almeno non senza essersi giocato un occhio della testa, quindi doveva far parte della corte. Aveva le spalle larghe, di certo era stato addestrato come tutti gli appartenenti alla sua classe sociale. Mentre camminava teneva il capo chino: un comportamento anomalo, tenendo in considerazione la sua probabile discendenza. Quando gli passai vicino sentii chiaramente un forte profumo di cenere e di muschio fresco.
Un odore del genere poteva provenire solamente da…
Appena quel pensiero mi sfiorò la mente, il giovane si voltò a guardarmi, trafiggendomi con i suoi bellissimi occhi turchesi.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Galvano | Coppie: Gwen/Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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TRE
 
 
 
 
 
Due giorni.
Mi rimaneva una sola notte da trascorrere nella mia casa all’interno della cittadella. Il punto era che non l’avrei fatto, anche se sarebbe stata quella la cosa giusta da fare. No. Non avrei passato la mia ultima notte a rigirarmi nel letto in preda all’ansia. Sein mi aveva già procurato la chiave e questa volta non l’avrei persa di vista.
Qualche ora dopo il crepuscolo, mi diressi per le vie anguste che attraversavano il regno, diretta alle scuderie. Galvano mi aveva augurato la buonanotte, come se fosse un giorno come un altro. La sua indifferenza nei miei confronti mi lasciava spiazzata.
Come al solito, dovetti aspettare che le guardie si dessero il cambio e, una volta trovatami nella Città Alta, iniziai a correre. Mi rimaneva pochissimo tempo a disposizione, pensando che quella sarebbe stata l’ultima notte in cui avrei potuto allenarmi indisturbata. Girai la chiava nella serratura con circospezione e mi richiusi la porta alle spalle. Vi appoggiai la testa e con lo sguardo iniziai a scandagliare la stanza, indecisa su dove cominciare. La mia scelta ricadde su una delle spade all’interno delle teche. Questa, al contrario delle altre, non era mai impolverata. Veniva sempre pulita a dovere da qualcuno che doveva tenere davvero molto a quella lama, tanto da affilarla ogni giorno e facilitandomi il lavoro. Presentava delle increspature sulla superficie liscia che formavano dei simboli arcaici. Non aveva alcun fodero al suo fianco, probabilmente era andato perduto nel corso del tempo, e nessuna didascalia a identificarne il nome. L’impugnatura era ricoperta da un nastro oro di velluto che formava una spirale e sull’elsa vi era incastonata una pietra che identificai come un opale e tutto attorno piccoli brillanti di smeraldi. Per essere un’arma così prestigiosa era conservata nell’armeria insieme a tutte le altre e non riuscivo a spiegarmene la ragione. Era davvero bellissima. Tolsi con cura la teca che la ricopriva e la poggiai delicatamente sul pavimento. Impugnai la spada e trovai strano trovare l’impugnatura tiepida, come se qualcuno l’avesse utilizzata da poco. Sperai con tutto il cuore di non stare diventando paranoica come Galvano. Mettendo da parte le preoccupazioni, iniziai il mio allenamento.
 
 
Passarono parecchie ore e avevo già usato la gran parte di spade e scudi per esercitarmi a dovere. Almeno la mia mente si era svuotare e il pensiero del trasloco imminente sembrava solo un avvenimento lontano anni luce. Quando terminai, riposi con cautela ogni arma al loro posto, assicurandomi che fossero nella stessa posizione del mio arrivo. Le ammirai un’ultima volta e, infine, mi diressi verso l’uscita con la chiave tenuta in tasca. Stavo per aprire la porta, quando un rumore sospetto attirò la mia attenzione: un cigolio. Anzi, diversi cigolii. Non ci volle molto che un volto comparì in seguito a quei suoni.
Si trattava di un ragazzo. Capelli mori con morbidi ricci ribelli e delinearne il volto; occhi marrone castagna; carnagione bronzea; spalle larghe e petto massiccio. Conoscevo fin troppo bene quel viso. L’avevo visto un migliaio di volte percorrere le strade della cittadella, in testa a un reggimento di guardie, sempre a cavallo, con la spada tenuta al fianco e un’aria fiera e orgogliosa che traspariva da tutti i pori. Avevo davanti il Capo della Guardia, l’unico che possedesse una copia della chiave di Sein.
Il mio corpo non rispondeva ai comandi, troppo terrorizzato, e non sapevo se scappare voltandogli le spalle o se iniziare a scusarmi. Dopotutto gli sarebbe bastato poco per riuscire a rintracciarmi, era necessario solo chiedere in giro e poi controllare di persona. Il mio problema era sempre stato quello di sentirmi invincibile, di non aver avuto paura di essere scoperta.
Feci a malapena un passo indietro, con le ginocchia che tremavano violentemente, che lui mi parlò. – Aspetta, non te ne andare -. La sua voce era molto calda e profonda, assolutamente stupenda e autoritaria. In fondo, era abituato a dare ordini ai suoi sottoposti e di farsi ubbidire. Dovevo darmi una controllata e pensare a un piano per scappare. Era ovvio che volesse consegnarmi seduta stante al principe o forse al Re.
Le sue parole, invece di tranquillizzarmi, non fecero che incoraggiarmi a una fuga veloce e istantanea. E così feci.
Non mi preoccupai nemmeno di richiudere la porta, mentre dietro mi rimbombava l’eco della sua voce che gridava parole incomprensibili. Non m’importava, che mi seguisse o mi denunciasse in ogni caso io sarei stata tra le mura del castello entro ventiquattr’ore, l’ultimo posto in cui sarebbe venuto a cercarmi. Per la prima volta, fui grata a Galvano e Agnes di avermi trovato un impiego del genere.
Corsi più svelta che potei, la destinazione era irrilevante, l’essenziale era allontanarsi.
 
 
Adesso avevo due prerogative. Oltre a essere prudente e svolgere con eccellenza il mio lavoro, come Agnes e Galvano mi avevano già raccomandato un centinaio di volte, vi si aggiungeva essere discreti e il non farsi notare. Dopo l’inaspettato incontro di ieri notte era vitale che non mi facessi riconoscere se non volevo finire nelle segrete, imprigionata per metà della mia vita.
I bagagli erano già sulla soglia, pronti per essere trasportati. Non mi restava altro che partire alla volta del castello. E in quel caso sarebbe stato per un periodo di tempo maggiore rispetto agli altri. Agnes mi aveva procurato un vestito di cotone grezzo che mi ero già preoccupata di indossare. Non aveva ricami di alcun tipo, era molto umile anche per una serva del mio rango, ma il Re era stato chiaro: vestiti assolutamente monotoni e incolori per chi lavora a palazzo. Era di un avorio sbiadito, tendente al crema, e presentava una scollatura a barchetta. In vita e a metà spalla vi era legata una cintura marron, come per sottolineare la nostra posizione di servitù. Le maniche erano attillare alle braccia, mentre la gonna era a ruota e arrivava alle caviglie. Solo le principesse potevano avere vestiti attillati e che le coprivano i piedi. Non potevo nemmeno indossare i miei stivaletti, avrebbero richiamato l’attenzione degli altri e solo le dame di corte potevano indossare calzature col tacco, che questo fosse grosso o a spillo. Agnes aveva pensato anche a questo: aveva barattato a mia insaputa gli stivali con un paio di scarpe piatte, assolutamente orribili, che s’intonavano perfettamente al mio abbigliamento e allo stesso tempo anonime.
Il mio vestiario era l’ultimo dei miei problemi, comunque, così decisi di non dare troppo peso alla faccenda e di concentrarmi sui miei obiettivi. Mi armai della sacca, che poteva considerarsi un bagaglio da viaggio, e – dopo aver salutato Galvano con un saluto veloce, Agnes con un bacio sulla guancia e una leggera stretta al volo, Sein con un pugno sulla spalla e Jaclyn con un abbraccio più caloroso – m’incamminai verso la mia futura dimora.
 
 
Una serva, che identificai poi come Madama Gilbert, m’indicò con fare affrettato e consegnandomi le chiavi, la mia stanza. Feci a malapena in tempo a poggiare il bagaglio che lei subito mi accompagnò davanti a un’imponente porta, ai piani superiori.
- Qui alloggia il principe Alden – annunciò velocemente. – Entra e presentati al tuo signore – aggiunse, dandomi una leggera spinta in quella direzione.
Bussai, intimidita, e sperai con tutto il cuore che lui non ci fosse.
Madama Gilbert, nel frattempo, si era dileguata. Capii subito che mi avrebbe reso la vita un inferno in terra, senza perdere un momento per lasciarmi respirare.
- Avanti -. Mi ridestai sentendo una voce provenire da dietro la porta in mogano. Mi feci coraggio e girai l’inferriata che la teneva chiusa. Quando vi ci affacciai notai che al suo interno vi erano più stanze e calcolai che il tutto doveva essere grande almeno il doppio della mia intera vecchia dimora. Davanti a me si estendeva una tavolata, anch’essa di un legno pregiato, apparecchiata di un cesto di frutta e, seduto su una delle sedie, vi era un giovane. Doveva trattarsi del principe, il mio signore. Stava rigirando tra le mani un foglio di pergamena alquanto interessante, visto che non mi degnava nemmeno di un attenzione. Che non mi avesse sentito entrare? No, impossibile, mi aveva detto di entrare. Ma decisi comunque di schiarirmi la gola.
A quel punto alzò leggermente la testa, ma senza distogliere lo sguardo dal foglio, come se fosse stato un incoraggiamento a continuare la sua azione mattutina.
- Mio signore - feci un largo inchino. Agnes mi aveva istruito a eseguirli senza commettere errori, prima di partire. Dato che lui si ostinava a ignorarmi, decisi di aumentare la mia audacia.
- Sono la sua nuova domestica, il mio nome è… - gli rivolsi la parola senza essere stata interpellata, ma m’interruppe prima di riuscire a finire la frase.
- So benissimo chi siete voi -. Solo quando disse questo si decise ad alzare gli occhi e a guardarmi in faccia. Solo una volta nella vita mi era capitato di vederne di così meravigliosi ed era stato recentemente a quel momento.
- Ma avete fatto bene a passare di qui. Sono trascorsi molti giorni da quando Eldwyn se n’è andato e il lavoro da svolgere è tanto. Spero che ne sarete all’altezza – disse in tono di sfida. Si stava riferendo al lavoro che avevo da svolgere o a se stesso? Pensava che non fossi in grado di svolgere poche mansioni? Pensava di mettermi paura con questi avvertimenti? Sperava in un mio cedimento?
- Tuttavia, ci vorrà del tempo prima che mi possa fidare di voi e mi auguro che non mi deludiate – aggiunse. E detto questo, mi fece un elenco delle faccende che avrei dovuto sbrigare.
 
 
Finii in tarda serata e in tutto quel tempo Madama Gilbert non si era fatta viva. Sapeva sicuramente che il principe mi avrebbe affidato subito una serie di compiti. Che bastarda…
Avevo comunque eseguito la maggior parte delle cose elencate nella lista e potevo ritenermi soddisfatta. Sperai che lo stesso valesse per il principe, dato che mi ero occupata del lavoro arretrato di un intera settimana. Avevo fatto il bucato, cambiato le tende, lavato i pavimenti, rifatto il letto e scelto lenzuola nuove. Stavo riportando i vestiti piegati e stirati nelle stanze del mio signore, quando mi resi conto di un piccolo particolare: mi ero persa. Ed era tutta colpa di Madama Gilbert, accidenti! Aveva camminato così in fretta che era già stato difficile starle dietro e non mi aveva nemmeno fatto fare un giro per il castello. Non mi aveva nemmeno fornito una mappa, quella strega. Come se non bastasse, i corridoio di palazzo si somigliavano in maniera incredibile. Se ero fortunata sarei incappata in un sorvegliante che vegliava il via vai di persone che vi circolavano. Girai a destra, speranzosa, e incappai non in una semplice guardai, ma nel Capo in questione, l’unica persona al mondo che mi ero ripromessa di evitare. Accidenti…
Riuscii a vederlo di striscio, dato che avevo il viso coperto dagli indumenti che tenevo tra le braccia, e sperai che anche la sua visuale fosse limitata. Portava dei pantaloni di lino neri e una maglia beige che metteva in risalto i muscoli sodi e possenti. Sembrava un’altra persona di quando portava l’armatura e l’elmo. Gli passai davanti.
Lui si guardò bene dal travolgermi e fu abbastanza agile dal fare un passo indietro appena in tempo prima che lo travolgessi.
- Oh scusate – si affrettò a dire, anche se in realtà ero stata io a voltare all’improvviso. Feci un inchino affrettato in risposta.
- Siete nuova del castello? – chiese prendendomi alla sprovvista.
- Come? – non potei fare a meno di domandare.
- Siete la nuova serva del principe Alden, giusto? -. Notai che alla cinta non portava alcuna spada. Lui interpretò il mio silenzio come un assenso.
- Come avete fatto a capirlo? –. Potevo rivolgergli la parola, dopotutto non avevo parlato con lui l’ultima volta. Sentii una risata sommessa seguire il mio quesito.
- Non lo sapevo, veramente. L’ho intuito vedendo cosa stavate portando -. Quindi era un acuto osservatore. Interessante… avrei dovuto guardarmene in futuro.
- Ah, le stanze del vostro signore sono nella direzione opposta – aggiunse, sempre sorridendo. Lo divertiva così tanto vedermi in difficoltà? O erano le serve in generale a farlo ridere in quel modo? In ogni caso, già lo detestavo. Un Cavaliere non si sarebbe mai permesso di deridere così un signora.
Mi affrettai a fare un veloce e sbadato inchino di commiato, prima che le parole di rabbia che volevo tanto pronunciare mi sgorgassero fuori, in preda alla furia. Mi voltai a mi avviai nella direzione che mi aveva suggerito, sperando non si trattasse di un tranello o di uno scherzo di cattivo gusto.
Fortunatamente non era una menzogna. Con mio grande sollievo riuscii a ritrovare le stanze del mio signore. Sospinsi lentamente la porta che era rimasta socchiusa e decisi di entrare, non sapendo come annunciarmi. E se avesse avuto qualcosa da ridire sul mio comportamento, doveva solo provarci. Mi ero preoccupata inutilmente, visto che lui non c’era. Probabilmente si era diretto a cena, dato che era piuttosto tardi. E la prova era il mio stomaco che aveva iniziato a brontolare da quando avevo attraversato il corridoio semi deserto. Sarei sprofondata dalla vergogna se il Capo della Guardia mi avesse sorpreso in quelle condizioni. Non ne conoscevo la ragione, ma non volevo che mi trovasse debole. Volevo che non pensasse che io ero come le altre serve.
Mettendo da parte queste fantasticherie cominciai a riordinare gli abiti nell’armadio, e già che c’ero, controllai quelli che vi erano dentro. Se mi avesse sorpresa a curiosare potevo giustificarmi dicendo che stavo riordinando il disordine che vi aleggiava ormai da due settimane. Volevo scoprire una volta per tutte se era lui il ragazzo che avevo incrociato per le strade deserte della Cittadella, la mattina preso, una settimana fa. Gli occhi erano i suoi, ne ero certa. Perlustrai da cima a fondo il guardaroba del principe, ma della mantella blu non c’era traccia. Che mi fossi sbagliata in partenza? Dovevo considerare anche altri dettagli oltre a quegli splendidi occhi turchesi. Ora che ci riflettevo, i capelli erano più chiari, le spalle più larghe e i lineamenti del viso più marcati. Possibile che esistesse una persona tanto simile ad Alden?
Dopo aver finito di rimettere in ordine il disastro che avevo creato, mi ero avviata verso la mia camera. Sarebbe stato strano dormire in un altro letto e soprattutto senza il russare di Galvano come ninnananna. A quel pensiero mi fiorì sulle labbra un lieve sorriso. Chissà se in quel momento lui stava sentendo la mia mancanza esattamente come io sentivo la sua. Lo stomaco intanto non aveva smesso di emettere dei suoni gutturali per niente flebili e così decisi di cambiare destinazione a metà strada, sperando di non perdermi una seconda volta. Ero diretta alle cucina e arrivarci doveva essere abbastanza semplice per me, dato che ci avevo passato gran parte del tempo a svolgere le faccende quando ancora abitavo nella Cittadella. Le mie supposizioni furono esatte e le cuoche furono felici di rivedermi e mi diedero con piacere una pietanza abbondante che io fui lieta di accettare. Erano già state informate del mio trasferimento da Agnes.
Una volta terminato il pasto ed essermi riempita la pancia, mi avviai all’uscita. Loro di nuovo mi salutarono calorosamente, congratulandosi per la mia “promozione”. Almeno qualcuno era felice di questo.
 
 
Le torce, sorrette da un cerchio di rame attaccato al muro da un chiodo, erano state accese mentre io ero a cena. Il suono delle campane confermò i miei dubbi riguardo alla tarda ora. La temperatura stava calando, la prossima volta mi sarei portata dietro uno scialle.
Avevo così poca voglia di ritornare in quella buia camera che era diventata la mia casa, che stavo camminando a passo lento e svogliato. Avevo raggomitolato le braccia intorno al corpo, cercando di generare maggiore calore e guardavo distratta il pavimento, contando ogni mio passo. Intorno a me era come se fosse tutto bloccato, immobile, come se il tempo stesso si fosse fermato. Percepivo una conversazione non molto distante, ma decisi di ignorarla pensando che fossero due guardie intente a discutere della propria giornata. Così tenni lo sguardo basso mentre un ragazzo, uno dei due partecipanti alla conversazione, mi passava affianco. Non vidi di chi si trattava, ma sicuramente non era uno dei controllori che stanziavano i corridoio, dato che non aveva prodotto lo stridio tipico delle armature, mentre si incamminava velocemente in una direzione a me ignota. E non avrebbe avuto l’autorizzazione di lasciare la sua postazione senza essere congedato da qualcuno. Il suo passaggio lasciò la scia di un odore a me familiare: muschio, con qualche accenno di erba bruciata. Sapevo da dove proveniva e anche da chi, senza alzare gli occhi. Mi voltai comunque, troppo tardi per intercettare il giovane che avevo incontrato già una volta nelle stesse circostante di rientrare nella mia dimora, e per avere la conferma dei miei sospetti. Lui, ovviamente, non mi aveva riconosciuta. E come poteva, dato che ero vestita in un modo completamente diverso? Per lui, probabilmente, ero stata solo una ragazza che passava di lì per caso, in una parola: insignificante. Come del resto avrebbe pensato un qualunque cittadino. Ma era meglio così, mi consolai. Se mi avesse considerato una testimone del suo passaggio, sarei stata coinvolta in un mare di guai. Un uomo accusato di entrare nella foresta di Dwair veniva punito severamente. Una donna veniva giustiziata a morte.
Mi ero chiesta più di una volta che cosa si nascondeva all’interno di quelle selve buie, che cosa si celava da meritare di essere sanzionato se anche solo veniva nominata. In questo modo però avevo scoperto che il misterioso ragazzo faceva parte della corte ed era un buon inizio per evitarlo. Era un sollievo avere la conferma che non si trattava del mio signore. Nel frattempo, mi ero nuovamente incamminata. Passai davanti alla guardia che aveva avuto quell’accesa discussione col ragazzo e cercai di assumere un atteggiamento indifferente. Sperai che l’uomo non pensasse che vessi origliato, anche perché era la mia parola contro la sua.
Dovevo essere sembrata poco convincete, perché il tizio nascosto sotto l’armatura mi fermò non appena gli passai davanti. Gli lanciai degli sguardi che lasciavano intendere il mio risentimento e sperai si sentisse almeno un poco in colpa per aver fermato una fanciulla.
- Scusate damigella, siete nuova del palazzo? – domandò intimidito. Un comportamento strano, visto che uno dei suoi compiti era di infondere coraggio. Ah, no. Mi sbagliavo, quello era il compito dei Cavalieri. Dimenticavo che le guardie erano lo pseudonimo di quei nobili che una volta mantenevano l’ordine tra la gente. Pensare che furono sostituiti da questa sottospecie di persone mi faceva salire il sangue alla testa, ma cercai di non farci caso. Mi limitai a rispondere, tentando di non far uscire i sentimenti che occupavano il mio cuore turbato.
- Ehm, sì – ammisi. Non sapevo cos’altro aggiungere, dopotutto non apparteneva alla corte. E nemmeno un inchino sarebbe stato opportuno. – Perché? – aggiunsi in un impeto di spavalderia. Dopotutto, non poteva aspettarsi che avrei risposto senza porgli qualche domanda in merito alla sua.
Lui si tolse l’elmo, un gesto che mi stupì molto. Mi guardò intensamente negli occhi e disse: - Non vi ho mai visto all’interno di queste mura. In più stiamo cercando una persona. Una ragazza – specificò. Quelle parole mi spiazzarono. Trattenni il fiato involontariamente.
- Come mai? -. Pregai con tutta me stessa che non pensasse fossi una sconsiderata che non riesce a stare al suo posto.
- Sono questioni private. Non sono tenuto a risponderle – rispose. Lo immaginavo. Una frase precaria, come si addiceva a una guardia senza cervello, in fondo. Probabilmente non l’avevano riferito neanche lui, supposi.
- Sì, certamente – dissi educata, sperando di recuperare qualche punto. Poi mi venne un’idea.  – Potete descrivermela? Forse potrei riconoscerla, se la incontro, e nel caso verrei subito a riferirvelo. O magari è una mia amica, una vicina di casa – sa, io provengo dalla Cittadella e lì ci conosciamo tutti – mi giustificai, speranzosa. La guardia ci rifletté, si accarezzò la mandibola ricoperta da una barba incolta e alla fine, quando sembrò prendere una decisione, mi osservò con i suoi occhi ambrati.
- D’accordo, proverò a fidarmi -. In silenzio, esultai.
Annuii decisa e riconoscente, pronta ad ascoltare la descrizione della donna.
- Fate attenzione, non è difficile notarla e non passa inosservata. Possiede lunghi capelli corvini, aggrovigliati in morbidi ricci dai riflessi castani e non li porta legati in una crocchia, quindi non è una serva. Ha occhi marroni, è di statura media e non indossa un vestito, ma capi che si addicono più a un uomo. Ti suona familiare? -. Eccome: ero io. Fortunatamente in quel momento avevo i capelli acconciati e il mio abbigliamento era esattamente il contrario di quello descritto.
In quell’istante però milioni di domande mi affollavano la mente. Qualcuno stava indagando e chiedendo informazioni sul mio conto in giro, per trovarmi. E i maggiori sospettati e candidati rimanevano due: il Capo della Guardia e il misterioso ragazzo dagli occhi azzurri. Non mi restava che schierarmi con uno di essi, anche se il gioco l’avrei stabilito io. E a mie spese.
 
   
 
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