Dicono
che il tempo sia un’astrazione e, in quanto tale, non ci sia nulla di
più relativo e soggettivo
del suo scorrere.
Da
ciò ne conseguirebbe che calendari, orologi, clessidre,
meridiane e simili, altro
non sarebbero che inutili
armamentari,
giacché passato, presente e futuro costantemente
oscillerebbero nell’atto di
cogliere e perdere l’attimo all’infinito. Certo, in
caso contrario non ci
sarebbe vita, né respiro, sbatter d’occhi e
palpiti del cuore. Ma allo stesso
tempo, preda di
quest’alternanza, il
corpo soffre, freme e si contorce sotto la spinta delle fasi generate
da quest’incessante
divenire.
Una
bella contraddizione in termini.
E
quasi, quasi la questione potrebbe ridursi ad un banale gioco di parole
tra il soffrire
o vivere: Soffrire per vivere o vivere
per soffrire?
Naturalmente
a tutto ciò non si sfugge, a limite si ci può
cavillare sopra e dedurne addirittura
che il vissuto sia solo un’ipotesi, poiché,
esattamente come il tempo, sarebbe
strettamente connesso all’individualità. Tanto che
le vicende di una persona, o
più, si ridurrebbero ad un insieme sconnesso di punti di
vista, i quali raramente
convergerebbero nella stessa direzione.
Tizio
disse, Caio rispose.
Sembra
facile. E’ accaduto, è un fatto, ma allo stesso
tempo potrebbe non esserlo. Ché
ci sarà sempre qualcuno che la racconterà in modo
diverso, il quale
probabilmente verrà contraddetto
da
qualcun altro, che a sua volta verrà smentito da un altro
ancora, e ancora e
ancora. Sembra facile, ma a pensarlo sotto questa particolare ottica,
non lo è
più.
Perché
tempo e storia s’intersecano, si dividono, per poi tornare a
rimescolarsi in
tangenti intricate
e inattese, in un
gioco d’incastri e nodi che col reale pressoché
non avrebbero più nulla a che
vedere.
Come
la storia di loro due.
Forse
la soluzione potrebbe essere semplicemente di lasciarsi vivere,
affidandosi alla
corrente e prendendo le cose così come vengono,
assaporandole fin tanto che
durano e tentando di non dolersi troppo quando terminano.
Beh,
ad esserne capaci, potrebbe essere un ottimo proposito, ma poi, che ne
sarebbe
di sogni, desideri e necessità? Senza contare che questi
sono solo la punta
dell’iceberg di tutto un mondo ancora di variabili quali il
caso e
l’opportunità, che a loro volta, inevitabilmente,
vanno a scontrarsi con la volontà
e libero arbitrio.
Proprio
come la storia di loro due.
Conflitto
mica da poco questo, soprattutto se pendente come una spada di Damocle
sulle
teste di due diciassettenni, le quali simili considerazioni
trascendentali non
dovrebbero farne. O perlomeno non a livello conscio.
Eppure
il loro allontanarsi, confondersi, tornare, distanziarsi, per poi
ravvilupparsi
ancora, non era stata forse la rappresentazione fisica e consumata di
tutto
questo filosofeggiare?
Naturalmente
Haruka non metteva affatto la questione in questi termini, in effetti
il suo
pensiero si basava perlopiù su basi prosaiche, sebbene
l’interrogativo di fondo
restasse lo stesso.
Né
questo era il meditare di Michiru, quantunque tra le due, fosse quella
che per
indole e occorrenza fosse portata di più al pensiero
teoretico.
Insomma
da un lato e dall’altro c’era ormai
l’esigenza impellente d’un punto e a capo,
perché le ipotesi e le possibilità con le quali
si erano baloccate fin lì le
avevano sfinite ed era arrivato il momento in cui la vita si doveva
necessariamente confrontare col tempo e con la storia.
E,
nell’imminenza di questa circostanza a lungo sospirata, le
sfumature del loro
rapporto parevano ridursi fino a convogliare in un colore unico, ma
ancora indefinibile.
Sarebbero state pervase da un azzurro terso o dal rosso sangue?
Chissà.
Ma
a prescindere dall’epilogo a cui sarebbero giunte, comunque a
posteriori, trastullandosi
nuovamente con tempo e storia, entrambe avrebbero potuto aver sempre
qualcos’altro
da dire in proposito, proprio perché tempo e storia sono,
senza eccezione alcuna,
immolabili alla propria personale motivazione e dilatabili a
piacimento.
E
a che portata era adesso il futuro, nel momento in cui Michiru si stava
adagiando morbidamente
accanto ad Haruka?
Lei non ne aveva idea, pur sapendo perfettamente che l’altra
avrebbe potuto
sottrarglielo imprevedibilmente qualora gliene fosse venuto
l’estro. Malgrado
ciò era animata da uno spirito incrollabile e cieco, che la
faceva protendere
nell’atto di afferrarlo con entrambe le mani, mentre la
determinazione a
tenerlo saldamente finché avesse potuto le dava la forza di
non cedere.
Come
e quanto si stava trasformando il presente di Haruka ora che la
violinista si
voltava a fissarla
dopo essersi seduta?
Lo ignorava e ignorandolo lo temeva. Giacché la sua ansia
era pervasa dalla
vorace brama di viverlo e, al contempo, una parte di lei ancora si
sforzava di
individuare una scappatoia davanti
all’ineluttabilità di quel confronto.
E
il passato in tutto ciò che parte aveva?
Era
il sedimento che avrebbe fatto da base alla loro possibile
congiunzione, o il
veleno che l’avrebbe irrimediabilmente alterata fino ad farla
morire? Pur
tuttavia, tutto questo tentennare, non stava già
massacrandola sul nascere?
Non
sono mai stato un tipo che evitava
i tentativi per passare direttamente alle rinunce.
Questo
il pensiero ultimo, e rabbioso, della
bionda su quegli interminabili travagli, mentre il gioco di luci creato
dalle fiamme
dava origine a fuggevoli ombre sui tratti del suo viso. E a questa
vista Michiru
interiormente tremò, la semioscurità della fiamma
guizzante infatti dava ad
Haruka l'aspetto di una maschera di pietra. Nella cavità
delle sue orbite si
poteva scorgere una tenebra che forse non era del tutto dovuta a quel
gioco di
luce, appariva impenetrabile, un marmo freddo, senza calore o
misericordia.
Era
ad appena un palmo da lei, così vicina, così
dannatamente vicina, eppure ancora
una volta lontanissima. Ma stavolta le avrebbe impedito di ritirarsi
nel
santuario del suo distacco, questa notte non le avrebbe concesso di
farsi
mettere nuovamente da parte per lasciarla salire sul basamento del
piedistallo
monumentale che lei, con i suoi stessi atteggiamenti devoti, le aveva edificato.
Non
era più tempo di strategie e di proponimenti, era arrivato
il momento di dare
un colpo di spugna definitivo a tutti i sottintesi, le parole non
dette, le
impressioni su cui s’era interrogata a posteriori.
Così d’istinto le buttò le
braccia attorno alla vita e la strinse a sé, appoggiandole
il volto sulla
spalla e chiudendo gli occhi, senza riuscire a dar voce a quel che
l’agitava. E
stretta nel suo abbraccio Haruka non osò fiatare, rimase inerte, subendolo
passiva, sebbene
cominciasse a sentire dalle profondità del suo essere un
calore sconosciuto
avvolgerla.
Provò
ad irrigidirsi per combatterlo, ma per quanto stringesse le mascelle,
serrasse
i pugni e tendesse i muscoli fino allo spasmo, quella maledetta
sensazione non
cessava, anzi si amplificava fino
a
diventare qualcosa di concreto, nonostante fosse immateriale. Aveva
caldo,
aveva freddo, voleva e non voleva abbandonarvisi. Come sarebbe stato
infinitamente riposante cedere, capitolare finalmente e lasciarsi
andare una
volta tanto, che male ci sarebbe stato in fondo?
Ché
non c’era nulla di sensuale nei loro corpi avvinti, solo il benessere che
può dare l’amore
manifesto, veicolato attraverso i gesti. Ciononostante davanti a lei
ancora una
volta si profilava l’orizzonte sconfinato e libero che aveva
vagheggiato dacché
la sua personalità aveva cominciato a definirsi. La visone
ancora un volta le
si presentò così come sempre se l’era
figurata, un enorme, illimitato spazio da
percorrere a suo piacimento, senza vincoli, dove gli obblighi che
frenavano gli
altri su di lei non avevano potere. Inutile mentirsi, sapeva bene
infatti che la
seduzione di questa chimera le aveva, senza eccezione alcuna,
condizionato ogni
scelta. Ma per la prima volta nella sua paradisiaca illusione
s’insinuò un
dubbio: procedere senza mappa voleva poter dire anche andare alla
deriva?
Incedere imperterrita nel suo altero isolamento, era la fuga
d’una anima bella
o la disfatta di uno spirito arido?
Spalancò
gli occhi per lo stupore, per poi richiuderli fino a formare due linee
sottili,
ostili e cattive.
“Ame!
Sid! Pensò insicura e piena di risentimento. “Perché non mi avete
preparato a questo? Vi
siete limitate a mostrarmi il vostro vessillo d’indipendenza
sbattendovene di
tutto ciò! Avreste dovuto dirmi dove termina la
libertà e comincia il bisogno!
Maledizione, accidenti a voi! Dove finisce l’uno e inizia
l’altro?
Stava
per avere moto di stizza, ma subito lo represse, tanto che Michiru
neppure se
ne accorse. Doveva controllarsi porca vacca! Questa era debolezza e lei
non
voleva essere debole, loro le avevano insegnato a non essere tale.
Eppure le
sue gran maestre di vita si erano dimenticate di lasciarle una
metafora, un’esperienza
qualsiasi che le sarebbe potuta essere utile ora.
Ebbene,
forse il tempo concessole per restare ancora cocciutamente attaccata
alla loro
sfera era giunto al capolinea. Probabilmente, ora che le soglie
dell’età adulta
si stavano schiudendo davanti a lei, il flessibile legame che fin
lì l’aveva
posta a metà tra sua madre e Sid, si stava sfilacciando e il
loro esempio era
destinato a tramontare.
Sono
cresciuta ormai e devo
decidere da sola.
Si
disse tentando di farsene una ragione, ciò nonostante una
gran tristezza le
piombò addosso. Com’è che , sebbene non
fossero mai state veramente presenti,
quantunque non ne fosse mai dipesa e la loro mancanza non le fosse
pesata, nel
preciso momento in cui se ne stava distaccando, con la consapevolezza
di farlo,
sentiva il bisogno quasi concreto di poggiare
la testa sul grembo di Ame e sentire il profumo lieve del
sudore di Sid?
E
mentre se lo chiedeva, come un lampo, ricordò una
conversazione avuta tanto
tempo prima proprio con
quest’ultima.
“Non
me ne frega niente di lei Sid, amo Ame,
ma posso farne tranquillamente a meno.”
“Non
stento a crederlo microbo, ma sai
una cosa? Al momento del trapasso c’è una cosa che
facciamo tutti, nessuno
escluso: gettiamo uno sguardo sull’ignoto e invochiamo nostra
madre.”
Perché
le tornava in mente adesso? Che Sid non intendesse la morte come
trapasso e
avesse già tentato di dirle allora che, quando fosse venuto
il suo turno, avrebbe
provato questo dolore?
D’impulso
levò il capo verso l’alto nell’ultimo,
disperato, tentativo di eludere questi
pensieri e la stretta con cui Michiru la cingeva. Era in preda
all’angoscia e cercava
nei meandri di sé stessa l’uscita da questo
labirinto di suggestioni.
Nel
punto in cui erano la loggia non era coperta dalla tettoia e la volta
celeste
si poteva ammirare in tutta la sua smisurata vastità.
Haruka, tentando di
divagare, pensò che ci si sarebbe potuta tranquillamente
perdere e trascorrere
tutto il resto della vita nel contemplarla, tanto appariva immensa e
infinita.
In
questo spazio sono solo un puntino e
lei pure. Due nullità se paragonate a tutto questo, eppure
potenzialmente
capaci di condannarci alla felicità
o ad
un tormento altrettanto grandi.
E
pensatolo qualcosa di molto simile allo sgomento le franò
addosso tutto insieme.
Com’è che tutto ad un tratto le stava venendo una
gran voglia di piangere? No, non
voglia, esigenza piuttosto, la
necessità di chi per anni si è privato del
conforto delle lacrime perché se ne
riteneva incapace, consapevole che cedervi avrebbe mandato in pezzi il
nucleo
compatto che la sosteneva.
“A
che pensi?”
La
voce di Michiru era appena un sussurro, ma non insicura. Esattamente
come
percepiva la sua stretta protettiva, laddove aveva sempre pensato
potesse
essere opprimente, dal momento che in ogni frangente aveva sentito le
braccia
altrui come una costrizione, alla stregua di pesanti catene che
l’ancorassero a
quel posto e a quella persona, inabissandola
dentro sé stessa fino a perdercisi.
“A
tante cose Michi.”
Replicò
in un soffio affrettandosi a massaggiarsi le palpebre con indice e
pollice,
perché, nel caso in cui lei avesse notato che aveva gli
occhi rossi, l’attribuisse
a quello sfregamento. “A
quel che vorrei
e non vorrei dirti. A quanto sia strano per me tutto questo e finanche
che il
cielo è talmente basso stanotte, che ho
l’impressione che alzando un braccio potrei
addirittura toccarlo.”
Detto
ciò sembrò acquietarsi, addolcirsi finalmente,
tanto che si concesse di
abbassare il volto
fino a sfiorarle la
fronte col mento appuntito. Ma era solo un momento di tregua, e lo
sapeva bene,
un attimo di pace che faceva da preludio a quel che ne sarebbe dovuto
seguire,
ché procrastinare non era più possibile. Solo un
minuto, un minuto durante il
quale si concesse d’offuscarsi la mente con quei maledetti
sogni ad occhi
aperti che avevano preso a perseguitarla, e poi avrebbe lasciato che le
cose
seguissero il loro corso.
Gustò
quegli istanti decantandoli come se stesse centellinando un vino
prezioso,
assaporandone l’assaggio di possibilità che
promettevano, ma tenendo sempre ben
presente che erano solo abbagli. Tanto che se ne sottrasse prima che la
loro
insidia raggiungesse l’apice oltre il quale non sarebbe
riuscita più a tornare
indietro e si risolse a dare avvio a quella conversazione che sempre
aveva
evitato.
“E
tu a cosa pensi?” Disse, con tutt’altro tono di
voce rispetto al precedente,
per infrangere quel silenzio che pericolosamente stava trasformandosi
in malia.
A
Michiru bastò questo trascurabile particolare per
comprendere all'istante che i
baluardi di difesa, che improvvida s’era illusa
d’aver finalmente valicato,
erano stati nuovamente rizzati. Capì d’essersi attardata troppo a
contemplare da lontano il
ponte levatoio aperto e ora, più che in passato, era
consapevole dell’inutilità
del tentare d’abbattere il muro a colpi d’ariete.
Del
resto si era rivelato inefficace tutto con lei, e non tanto per
l’ostinazione a
negare l’evidenza che l’animava, quanto per
l’incertezza con cui lei stessa si
era mossa. E a cosa avrebbe giovato spingersi per l’ennesima
volta a tentoni
nel bosco fitto delle emozioni della bionda? No, una volta per tutte,
sarebbe
stata sincera. Anche se poteva voler dire allontanarla fino a correre il rischio di
perderla per sempre. Quindi,
stancamente, come chi sta per abbandonarsi al moto della corrente
inarrestabile, che lo spinge sempre più lontano dalla riva,
le rispose:
“Che
quanto potrei darti non lo riterrai mai abbastanza. Che mentre tu pensi
di
poter sfiorare il cielo io, persino ora che ti tengo tra le braccia,
ancora
dubito di poterti veramente toccare, tanto sei distante.”
Concluse
triste, quasi rassegnata, ma poi, molto deliberatamente, Michiru
levò una mano ad
accarezzarle adagio i capelli sulla nuca, per poi scendere altrettanto
piano a
lambirle la mascella, attardandovisi.
Infine le prese la mano ed intrecciò le sue
dita snelle a quelle inerti
e fredde dell’altra.
“Ti
tocco, tuttavia non basta ad avvicinarmi a te.”
Sussurrò abbassando il capo di
proposito, in modo che le ciocche dalla fronte le cadessero come un
sipario a
coprirne l’espressione affranta del volto.
“E
pensi che lo faccia apposta, vero?” Replicò Haruka
piano, sebbene una netta
asprezza le trapelasse dalla voce. Non si azzardava a muoversi
d’un millimetro,
ma quelle affermazioni le stavano scatenando una rabbia intensa in
corpo.
E
ti pareva che alla fine non era colpa
mia! Pensò sentendosi defraudata di
un qualcosa che non sapeva definire, ma che stava scatenando in lei una
reazione preoccupante.
“No,
ora non più.”
Ribatté
la violinista tornando a guardarla dritto negli occhi e Haruka si
chiese perché
per un attimo le fosse parso d’intravedere nel volto
dell’altra un’amara
ironia. Ma non ebbe il tempo di spiegarselo, perché
nuovamente Michiru le stava
parlando e lei scoprì inaspettatamente d’aver sete
delle sue parole.
“Eppure Haruka
negli angoli bui delle case,
nell’ignoto che ci aspetta dietro la curva di una strada che
non conosciamo,
nella solitudine di queste stesse selve e nelle profondità
dell’acqua dove il
sole non arriva, vive qualcosa che non si vede e non si
tocca… non è cattiva,
ma si ciba e cresce del timore che si ha di lei… e a volte tu sei
così.”
“Ti
stai fottendo dalla paura eh?”
L’interruppe
incapace di ascoltare il resto, intuendo appieno, alla luce di quanto
le aveva
appena detto, da cosa scaturisse quel senso d’abbandono che
provava. Ma non
ebbe l’agio di scagliarle addosso la lava incandescente della
sua delusione,
poiché l’altra fu più rapida.
“No
Haruka, tu hai paura.”
Ribatté
dura, velenosa quanto possa arrivare ad esserlo un innocente,
un’anima incapace
di far del male, che viene improvvisamente accusata d’un
sacrilegio che sarebbe
stata lontana persino dal concepire. Era ingiusto, profondamente
scorretto da
parte sua tentare di rivolersela su lei addossandole il crimine delle
sue
stesse fobie. E non l’avrebbe tollerato.
“E
di cosa?”
Le
ringhiò scattando in piedi. E il suo fu un movimento
repentino dovuto in ugual
misura all’esigenza di staccarsi dal suo calore, ma anche
dall’allarme
inconscio che lo sguardo fiammeggiante dell’altra le aveva
messo addosso. Aveva
alzato la cresta sì, ma per reazione, poiché
aveva capito di aver osato troppo stavolta,
anche se non era stata sua intenzione ferirla così a fondo.
Ma come si può
spiegare la reazione sdegnata e disperata di chi si sente rifiutato?
Ehi
imbecille, è questo che volevi no?
Sì…
o no? Ma porca puttana!
“Perché
non me lo dici tu Haruka ?”
Interruppe
il suo monologo interiore Michiru avanzando di tre passi
finché non le si parò
di fronte. E così la bionda si ritrovò con le
spalle al muro, dietro di lei c’era
la balaustra che la separava dall’abisso e davanti uno
medesimo, ma molto più
pericoloso del baratro che aveva alle terga. E allora non scelse
consapevolmente, ma si lasciò andare, o sarebbe
più giusto dire che le parole
troppo a lungo taciute presero il sopravvento? Ad ogni modo, con la
dirompenza
di una forza che non si poteva trattenere oltre,
sbottò.
“Io
non so neppure di che stiamo parlando! Buio, sensazioni ancestrali,
acqua,
sole! Ma che accidenti vuoi dire? Parla chiaro Michiru, cosa cerchi?
Che vuoi
da me?”
“Cosa
vuoi tu piuttosto?”
Insorse
l’altra con una veemenza tale che ad Haruka parve
s’ingigantisse fino ad
occupare tutto il suo campo visivo. Non vedeva altro che lei,
tentò d’arretrare,
ma non poteva e si sentì vulnerabile da ogni lato.
“E’
una resa o una dichiarazione d’amore che
t’aspetti?” Continuò puntandole contro
il volto esasperato di chi si gioca il tutto per tutto.
“Dimmelo Haruka, vuoi
sentirti dire che t’amo? Oppure preferisci che ti dica che da
quando ho posato
gli occhi per la prima volta su di te non trovo più
pace?”
Continuò
irrefrenabile, incurante ormai di quel che stava dicendo e di quanto
poteva provocare.
“Credevo di essere felice, pensavo d’aver
abbastanza, invece ho scoperto che
finché non potrò amarti come voglio non lo
sarò!” S’interruppe momentaneamente
ansimante, sopraffatta dalle sue stesse emozioni, ma poi concluse:
“E’
sufficiente questo, oppure devo prostrarmi ai tuoi piedi e implorare
una
briciola del tuo affetto?”
Qualcun
altro al posto di Haruka avrebbe capitolato a questo punto, non
foss’altro per
comprensione, per darle modo di riaversi, ché davvero non si
riconosceva in
quel momento la ragazza che Michiru era sempre stata. O perlomeno
avrebbe
tentato la via della calma, della conciliazione. Ma dopo
l’iniziale
sbigottimento, la reazione della bionda fu totalmente opposta. Non ci
pensò affatto
a tentare di sedare quella bufera, tutt’altro, e le
rovesciò addosso quel che
aveva nel gozzo fin da quando aveva iniziato ad intuire che i trasporti
della
violinista non erano più solo amichevoli. A questo punto
tanto valeva dirglielo
a chiare lettere.
“Cazzate,
CAZZATE! Tu credi di amarmi, tu credi di essere innamorata di me,
quand’invece
sei infatuata di un’idea!”
Sbraitò
spezzando tutti i vincoli che fin lì si era autoimposta,
massì che aveva da
perdere ormai? A
questo punto se ne
sbatteva se così facendo si metteva a nudo innanzi ad
un’altra persona. Ché
purtroppo questa poteva essere fraintesa persino come una confessione,
ma non
gliene importava più nulla, poiché era il
sacrosanto grido di rivalsa di chi si
sente preso per i fondelli dalle altrui lusinghe e non ci sta. Era ora
di
piantarla con questa sceneggiata platonica!
E,
presa nel vortice della sua stessa rabbia, non si accorse neppure di
star
muovendosi, tanto che il suo avanzare le portò dalla
terrazza all’interno,
facendo sì che le loro posizioni fossero invertite, adesso era Michiru ad aver
le vie di fuga
bloccate, davanti a lei un’intimidatoria Haruka, dietro il
tavolo su cui
disegnava abitualmente.
“E
la colpa è mia, cosa credi?”
Continuò
quest’ultima determinata a vuotare il sacco, allo scopo
ultimo di toglierle
qualsiasi velleità su quelle infondate promesse
d’amore. “All’inizio mi piaceva
giocare con te, era un tira e molla stuzzicante, e chi lo nega? Avrei
dovuto
frenarti allora lo so, ma non credevo si arrivasse a questo, mica ti
facevo
così cretina! Perché tu ti sei lasciata prendere
la mano Michiru e tutto perché
apparentemente ti sembro un uomo! Ed è di quella idea che tu
sei innamorata. Ma
io non ti permetterò di rovinarmi per una
fantasia!”
L’avvertì
gratificandola d’un occhiata tremenda, ovvero lo sguardo
innamorato di chi sospetta
di star facendo una gran puttanata. E,
se Michiru fosse stata un tantino più navigata,
immediatamente l’avrebbe capito
e ne avrebbe approfittato per colpirla nel momento in cui era
più esposta. Ma
non lo fece, tuttavia la reazione che ebbe sortì lo stesso
effetto d’una
medesima più smaliziata.
“Non
uscirtene con queste stronzate Haruka, non azzardarti!”
L’ammonì infiammandosi
ulteriormente, toccata com’era stata in quel che sentiva
più sacro,
inviolabile. Tutto aveva sopportato fin qui, ma questo era decisamente
troppo,
non le avrebbe lasciato calpestare perfino
l’autenticità dei suoi sentimenti,
questo mai!
”Tira
fuori il coraggio e piuttosto dimmi che non provi lo stesso per me.
Questo posso
accettarlo, ma non sbattermi in faccia questi finti riguardi! Non
provare a
giocare con mio cuore, l’hai già fatto e fa troppo
male perché io ti lasci
continuare solo per compiacere il tuo orgoglio!”
“Ma
che diavolo stai dicendo?! Il mio orgoglio? Il tuo
piuttosto!”
Ribatté
sopraffacendola con l’impeto della voce e con
l’imponenza fisica. E, senza
rendersi conto di quanto faceva, l’afferrò per le
spalle, finché non le fece
arrovesciare il capo e i due volti non si trovarono che ad un palmo di
distanza.
Quindi proseguì imperterrita, fregandosene altamente se con
le bordate di quanto
andava dicendole stava demolendo, pezzo dopo pezzo, quanto si era
ripromessa
più volte di preservare. E se stava facendole del male
scuotendola a quel modo,
meglio ancora. Avrebbe pareggiato in parte i conti.
“Già,
la talentuosa pittrice, l’invincibile nuotatrice, la grande
musicista, aveva
trovato un osso troppo duro! Talmente duro che neppure lei riusciva a
rosicare!”
Sibilò sarcastica col tono d’un imbonitore e, ogni
qualifica, l’aveva
sottolineata con uno sbatacchio tale da farle battere i denti.
“Una bella sfida
per un fenomeno come te, non è vero?”
Chiese
corrosiva scuotendola nuovamente per sollecitarne una reazione, ma se
s’attendeva terrore o sgomento, non ne trovò negli
occhi dell’altra. Anzi,
quello che vide fu un furore talmente intenso che la obbligò
a calcare
ulteriormente la mano.
“E
il fatto che mi atteggiassi e mi vestissi come un ragazzo non ha fatto
che
pungolarti finché non ti sei convinta di quello che non
esiste!”
“Bastarda!”
Con
una manata energica Michiru si liberò da quella stretta e,
se Haruka fosse
stata meno imponente di quel che era, quel
colpo avrebbe potuto mandarla a sbattere contro il caminetto. Invece se
la cavò
con tre passi indietro, i quali comunque non le servirono a ripararsi
dal vampa
cocente delle affermazioni che ne seguirono, né le furono
utili a ripararsi
dalle unghie curatissime che le lasciarono altrettanti segni brucianti
sul dorso
della mano. Cominciarono a sanguinare, ma nessuna delle due parve farci
caso.
“Questo
non c’entra niente idiota e lo sai benissimo! Ma naturalmente
devi sempre
assecondare la negatività, perché se non fai
l’infame non ti senti soddisfatta
e sei convinta che la stessa bassezza animi tutto il resto
dell’umanità!”
“Sai
che ti dico Michi?” La sfidò usando volutamente
quel diminutivo confidenziale,
mentre tentava, senza farsi vedere, di tamponarsi lo stillicidio che
quella
zampata da tigre le aveva causato. Faceva un male caino, ma non le
avrebbe
certo dato la soddisfazione di dirglielo.
“E
se mi mettessi una bella gonna a pieghe, una camicetta tutta merletti,
mi
conciassi come una bamboccia quale tu sei e ti portassi davanti ai tuoi
pari,
avresti il coraggio d’affermare d’amarmi come
dici?”
La
provocò buttando sul tavolo l’ennesima beffa, ma
tale non era, in quanto si
trattava piuttosto dell’inattesa ammissione del dubbio
principe che le dava il
tormento da tempo. “Scommettiamo
Michiru? Io sono sicura che non me l’infileresti mai la
lingua in bocca così
conciata!”
“Ah,
sei in cerca di certezze Haruka? Vuoi confutazione?”
Chiese
ghignando, finalmente s’era accorta dell’olocausto
che l’altra tentava
disperatamente di nascondere e ne fu malignamente lieta.
Sperò con tutto il
cuore d’averla graffiata in modo tale da lasciarle una
cicatrice, per una
vanesia come lei non ci sarebbe potuta essere punizione peggiore! Ad
ogni modo
non era il caso di gingillarsi troppo, sua maestà aspettava
una risposta. E
poi, se la conosceva bene, e sotto questo punto di vista pareva proprio
di sì,
per orgoglio Haruka non si sarebbe mai rimangiata la parola data, e sai
che
vendetta sublime sarebbe stata costringerla ad una simile sceneggiata?
Come
la più volgare delle entraîneuse ti
voglio portare a spasso per Tokyo! Pensò
animata dall’amor
proprio offeso e da un genuino spirito punitivo, dopodichè
serissima aggiunse:
“Perché
se è questo che vai cercando allora non hai che da dirlo. Io
non ho nessun
problema. Qualora ti levasse ogni dubbio, sono pronta a farlo. Decidi
pure
dove, quando e davanti a chi!”
Si
offrì persuasiva, facendosi sotto insinuante, completamente
dimentica del
furore che fin qui l’aveva animata. Allo stesso modo la
proposta indecente
parve sedare Haruka, la quale, solo adesso cominciava a presentire cosa
le sarebbe
toccato a causa delle sue incaute asserzioni. La rabbia le si
volatilizzò dal
volto per lasciare il posto ad una perplessità preoccupata e
il consueto sopracciglio
fece capolino innalzandosi come un ago barometrico quando la pressione
va su,
sempre più in alto.
“Lo
dici solo perché sai che è una
provocazione!” Buttò lì incapace di
dire altro.
“E
certo, figuriamoci se per me ti vestiresti come una
bamboccia!” Le rinfacciò
Michiru con petulanza.
“Qua
non si sta parlando di moda accidenti a te!”
Protestò
stranita, si sentiva esattamente come un uomo che tutte le domeniche se
ne va
allo stadio piuttosto che portare la consorte al cinema. Come se
quell’assurda
pretesa fosse cosa buona e giusta e l’accondiscendervi fosse
stata una
testimonianza risolutiva! E infatti la violinista reagì
esattamente come se lo
fosse, come se il punto gravitasse attorno al fatto che indossasse o no
le
sottane per amor suo.
“Infatti,
qua non si sta parlando di niente! Perché mi hai fatto
scapicollare fin qui se
avevi intenzione di comportarti come una mocciosa?”
“IO?”
Sbraitò
basita da tutta quella situazione. Da non crederci, dal dramma erano
passate
direttamente alla farsa e tanti saluti al pathos. Una bagattella, ecco
cos’erano diventati i suoi sentimenti! Quasi, quasi si
sarebbe messa a piangere
davvero.
“La
ragazzina arrogante che crede di saper tutto sei tu, invece non sai
niente di
me!” Protestò con un tono così bizzoso
da sentirsi ridicola nel momento stesso
in cui lo diceva.
“Credi?
E allora guarda!” Replicò Michiru afferrando una
manciata di fogli a caso tra
quelli sparsi sul suo piano di lavoro.
“Qui!”
Affermò mettendole sotto il naso il primo della pila.
“Questa è la tua faccia
quando pensi a chissà cosa e sorridi credendo che nessuno ti
veda! Qui!” Ripeté
passando al successivo disegno e sbattendoglielo in faccia.
“Ti riconosci? E’
quando mi guardi come se fossi mezza matta e ti viene un sopracciglio
che
sembra una squadretta! Qui!” Continuò mentre
l’altra fissava a bocca aperta,
contemporaneamente, sia l’autrice che le sue opere.
“Quando dormi come una
troglodita e ciononostante sembri un angioletto! Devo continuare
Haruka? Guarda
che ne ho per un bel pezzo di tuoi ritratti!”
“Ma
porca puttana e da dove esce sta galleria di pose?” Non
poté far a meno di
chiederle frastornata, perché davvero era inspiegabile tutto
ciò.
“Dall’ignoto,
visto che sono diventata un’esperta di furti
espressivi!” Replicò tagliente
inalberando un broncio che, se la situazione ormai non fosse stata a
metà tra
il grottesco e il serio, un sogghigno fetente sarebbe sorto ad
illuminare i
tratti della bionda. Nobilmente Haruka resistette, sospettava infatti
che, nel
caso gli avesse dato libero corso, si sarebbe ritrovata un altro
sfregio da
medicarsi addosso.
“Ma
tu, sei così presa da te stessa che non te ne sei accorta,
mai.”
Il
disappunto che grondava quest’affermazione tolse ad Haruka
qualsiasi velleità
ironica, ché così era manifesta la disillusione
che aveva generato con la sua
incuranza, che le venne voglia di andare a nascondersi. Ma come era
potuto
succedere, com’era stato possibile che avesse ignorato
quell’attenzione
costante, quello sguardo amorevolmente concentrato addosso?
“Ho
sempre cullato la speranza che fosse solo una finta, che non ne
parlassi perché
sei una testarda irriducibile.” Continuò Michiru fuorviata da
quell’apparente
indifferenza. “Invece non solo ti è sfuggito del
tutto, ma ora stai anche lì,
lì per montare un casino esagerato sulla cosa. E non
azzardarti a negarlo, perché
per te qualsiasi pretesto è buono per negare spudoratamente
e per mettermi in
croce!”
L’accusò
puntandole contro l’indice accusatore. Beh, non che avesse
tutti i torti in
effetti, ma in questo caso si sbagliava e di grosso pure. Al contrario,
questa
faccenda la stava facendo vergognare da morire e, come con tutte le
cose che la
mettevano in imbarazzo, non sapeva proprio come venirne fuori.
Provò ad usare
un registro intenzionalmente ragionevole.
“Senti,
se hai intenzione di litigare dimmelo, così la piantiamo
subito, non ho affatto
voglia d’impelagarmi in una discussione che non porta a
niente.”
“Noi
stiamo già litigando Haruka!”
Ecco
che le sue lodevoli intenzioni finivano direttamente nel gabinetto, a
quanto
pare il suo assennato invito alla calma era passato indenne sulla testa
dell’altra.
“Ma
non ti riesce proprio di capire? Le ho provate tutte con te, con la
calma, con
leggerezza, tremendamente seria, spudorata, ma niente. Tu segui una
musica
completamente diversa e non c’è verso di unire la
mia partitura alla tua. Ma
perché, perché credi sempre che io voglia
sopraffarti? Cosa ti fa pensare che
volutamente ti opprimerei fino ad annullarti? Ormai l’ho
capito sai, è questo
il problema.”
“Tu
vuoi sapere il perché?” Sospirò
buttandosi a peso morto sulla poltrona.
Che
stanchezza mio dio! Un duello infinito il loro, tanti giri di valzer e
infine
erano di nuovo punto e a capo. Ma allora non era un valzer, era un
minuetto.
Del resto, fin qui, non avevano progredito Michiru tre passi in avanti
e lei
stessa tre passi indietro per mantenere la giusta distanza?
“Sì
e non ti chiederò altro, giuro.” Promise
sedendogli di fronte e appoggiandosi
stancamente una mano sugli occhi, ché la lotta travagliata
fin qui condotta
l’aveva inaridita, fiaccata fino all’inverosimile
con la dirompente esplosione
di quei vuoti verbali.
“Okay
Michi, se è questo quello che vuoi.”
S’arrese
e nel suo atteggiamento corporeo per la prima volta Michiru non
ravvisò i
soliti atteggiamenti di chiusura. Le braccia giacevano inerti,
quand’invece le
aveva sempre incrociate e il mento non era alzato e proteso in avanti,
bensì
declinava sul lato, mostrandole tutta la curva della mandibola.
“Ma
c’è un impegno che esigo.”
L’avvertì prima di aprire quell’ultima
dannata
porta. “Ti dirò tutto, ma qualunque cosa accada,
non pentirtene. Indietro non
si torna, chiaro?”
“Te
lo prometto, non te ne vorrò, succeda quel che
succeda.” Le rispose con
fermezza.
Sì
era disposta ad assumersi quell’onere, sebbene intuisse che
in questo modo
l’altra stava scaricando tutta sulle sue spalle la
responsabilità di ciò che
eventualmente ne sarebbe conseguito. Malgrado ciò sapeva che
non era dovuto
alla precisa intenzione di pararsi le spalle, piuttosto al radicato
malinteso
che Haruka aveva nei confronti dei suoi stessi sentimenti. Insomma se
glieli
stava presentando come se fossero il terzo segreto di Fatima era sol
perché
continuava a considerarli come un fardello e non una gioia.
“E
ti prego di non interrompermi, che già così
è molto difficile. Figuriamoci se
cominci con la tua solita sfilza di domande scomode.“
Dopo
questa premessa si prese qualche minuto per riflettere, come se fosse
sola in
quella stanza e non ci fosse un’altra persona che trepidante
ne aspettasse le
spiegazioni. E mordicchiandosi le labbra andava alla ricerca del modo
opportuno
di esprimersi, ma capì che non ce n’erano di
più o meno idonei e le toccava
inoltrarsi in mare aperto senza mappa.
“Che
posso dire?” Cominciò incredula di star facendolo
per davvero. “Io vivevo
tranquilla prima che m’incrociassi il cammino. Mi pascevo
nella mia solitudine
e non chiedevo nulla alla vita, poiché mi sembrava di avere
tutto.” Ghignò, ma
era una smorfia disillusa, anzi triste. “I miei sogni, le mie
future rivalse mi
assorbivano tanto che non c’era posto per
nient’altro. Bastavo a me stessa.” Fece
una pausa chiudendo gli occhi, il cui sguardo fin lì aveva
indugiato altrove.
Poi la guardò diritto in faccia e rabbiosa andò
avanti:
“Ma
tu, lo sai che significa scoprire di punto in bianco di avere delle
esigenze?”
Non attese risposta e tirando una botta al bracciolo della poltrona
l’accusò.
“No che non lo sai! Te ne stavi lì bella, bella a
pizzicare le corde di quel
dannato violino e intanto io scoprivo la necessità. Come se
al posto delle
corde stessi pizzicando i miei tendini, al punto che mi veniva voglia
di gridare!”
Incapace
di star seduta di scatto s’alzò e
cominciò un andirivieni che ben s’appaiava
alla veemenza con cui proseguì nella sua invettiva.
“Tu
non sai, non puoi sapere, eri così calma e pacifica! Ma io
no, e non solo per
quello che stava accadendo, quanto per
quell’immobilità costante. Ogni santo
giorno sembrava che presto sarebbe successo qualcosa, ma poi restava
tutto
uguale!”
Arrivata
davanti al piano su cui erano sparsi i suoi ritratti
s’interruppe nuovamente.
Ne prese uno in mano osservandolo attentamente, come se non
riconoscesse in
quei tratti i propri. Lo ributtò nel mucchio con un gesto di
rifiuto,
trovandone intollerabile la vista e si costrinse a continuare.
“Ci
sono stati giorni che avrei pagato qualsiasi cifra perché
qualcosa l’infrangesse,
perché riuscissi a capire che diavolo stava succedendomi. E
sopratutto cosa ti
passasse per la testa quando mi guardavi, quando mi parlavi con quella
maledetta adorazione stampata sul volto.”
Alzò
le braccia in un gesto d’impotenza che rese perfettamente
l’idea di quanto
intendeva dire. Poi, quasi ad interpretare la caricatura di
sé stessa, recitò
interrogativa: E sempre di più a chiedermi è
come penso? O mi sto ingannando? Cosa avrà voluto dire?
Quell’abbraccio che
cazzo significa?! Dannazione,
credevo
di essere fatta di pietra e invece mi stavo scoprendo una maledetta
spugna! E
più tu dilagavi, più io mi gonfiavo e
così il mio cuore! Mai avrei pensato di
poter soffrire così tanto…”
A
sentire questo Michiru fece per aprire bocca ma , sebbene non la stesse
guardando direttamente, le fece segno di restare zitta. Non doveva
fermarla
adesso, se l’avesse fatto non sarebbe più stata in
grado di andare avanti. Non
si può interrompere un suicida mentre conta i barbiturici
che gli occorreranno,
sennò non avrà più il nerbo di andare
fino in fondo. Per questo ora doveva
necessariamente sguazzare nelle sue miserie se voleva uscirne una volta
e per
sempre. Per cui, perché non toccare il punto più
basso? Era giunto il momento di
parlarle persino di quel vergognoso sentimento verde, quello che meno
di ogni
altro tollerava.
“In
più ero invidiosa marcia di te, di quelli che ti stavano
intorno e di tutto ciò
che facevi e del quale non ero partecipe… che
schifo!” Berciò prima di dirigere
i suoi passi sulla veranda. Giunta davanti al parapetto
poggiò le palme sul
corrimano, chinò il capo e, nel tentativo di contenere
quell’abbondanza copiosa
di emozioni che rischiavano di sotterrarla, i muscoli delle spalle le
si ingrossarono
visibilmente.
Prudentemente
Michiru rimase dov’era, conscia che l’altra si
stava preparando all’ennesima
rivelazione e che quei preamboli le erano necessari per lo sforzo che
stava
compiendo. La
bionda sbuffò stentando a
mascherare la collera per quell’umiliazione cui la violinista
l’aveva costretta
e s’affrettò a riprendere, nella speranza che quel
supplizio finisse presto.
“Eppure
continuavo a negare che potesse essere amore, ed è giusto!
Perché io non ne sono
capace. Ma soprattutto perché era mia indiscutibile
convinzione che nessuno avrebbe
potuto farmi perdere la testa. E meno
che mai una ragazzina che fin lì avevo giudicato
insignificante!”
Di
questa sortita chiunque altro se ne sarebbe adontato, ma non Michiru,
che si
limitò a sorriderne come un matematico a cui gli tornano
tutti i conti. Fin qui
s’era impedita con molta fermezza di avere qualsivoglia
reazione a quanto
andava via, via udendo, ma l’insofferenza malcelata di una
simile dichiarazione
esprimeva molto più di quanto la sua autrice avesse voluto
manifestare.
Oh
Haruka, proprio tu non ti rendi
conto che meno moltiplicato per sé stesso produce
più!
Pensò
intenerita, possibile che fosse a tal punto sconvolta da dimenticare un
concetto così elementare? E per questo Michiru si
lasciò sfuggire quel
sorrisetto e scosse il capo, ché quella lamentela suonava ai
suoi orecchi come
la più lieta delle melodie. Ma guai a farglielo capire, per
cui si ricompose
immediatamente e tornò a prestare attenzione a quanto stava
accadendo intorno a
lei. Non molto per la verità, la bionda era tornata alla sua
poltrona preferita
e aveva preso a giocare col koboloi col quale era solita gingillarsi
e pareva che non volesse aggiungere altro. Da dove venisse quello
scacciapensieri non era difficile intuirlo, probabilmente doveva essere una regalia di Ame. Oppure
era di
quell’altra? L’unica volta che era entrata nella
camera da letto che qui
occupava la bionda infatti, subito la sua attenzione era stata
catturata dalla
foto incorniciata di quella donna, ma non aveva mai avuto il coraggio
di
chiederle chi fosse e perché non gliene avesse mai parlato.
Però ora, chissà
perché, si convinse che quel rosario, che instancabile
Haruka stava scorrendo,
come se cercasse nei suoi grani le risposte che da sola non trovava, non potesse essere altro
che un suo lascito.
Ad
ogni modo si erano arenate, doveva parlare lei ora? O semplicemente
sollecitarla con un gesto, un incoraggiamento qualsiasi? Mio dio,
sbagliare
adesso avrebbe prodotto più danni di uno tsunami.
Stava
ancora dibattendosi tra le varie possibilità, quando
s’accorse che l’altra la
stava squadrando con un cipiglio piuttosto truce.
“Cosa?”
Chiese con la medesima cautela di chi stia camminando sulle uova.
“Niente,
mi chiedevo se avessi finito di fare i tuoi comodi. In caso
affermativo, vorrei
concludere, ché dopo c’ho un appuntamento
urgente!” Fece tagliente e
visibilmente spazientita.
“Guarda
che sei tu che ti sei interrotta.” Le fece notare con estrema
pacatezza.
“E
certo, per darti l’agio di ridermi in faccia
comodamente!” Affermò
ricominciando a prendere giri.
“Non
ridevo di te.” Pazientemente Michiru tentò di
riportala in carreggiata.
“E
allora di chi? Porca puttana, pensavi ai fatti tuoi, neanche mi stavi
ad
ascoltare!”
“Non
è vero e lo sai. Per favore continua.” La
pregò accorata senza vergognarsi di
poter apparire implorante, ché se fosse stato soltanto
quello il prezzo, da un
pezzo l’avrebbe supplicata.
Tale
atteggiamento parve disorientarla, farle perdere parte della carica
eversiva
che le aveva proiettato addosso fino a quel momento. Provò
più di una volta a
parlare e riprendere il filo da dove s’era interrotta, ma
come apriva la bocca
per farlo, così la vista dell’abbattimento
dell’altra neutralizzava
immediatamente i suoi strali.
Accidenti,
non ce la faccio a vederla
così!
“Ti
viene difficile senza opposizione eh?” La
sollecitò la violinista interpretando
le sue espressioni con una chiarezza impressionante. Già,
davanti alla
mansuetudine la bionda non sapeva proprio che pesci pigliare. Per cui
si
risolse a domandarle quanto da tempo si era riproposta, ma che non
aveva mai
trovato la fermezza di chiederle.
“C’è
una cosa che ho bisogno di sapere Haruka, e credo che momento migliore
di
questo non ci sia. Dimmi la verità, lo provocasti ad arte il
nostro litigio,
vero?”
“Già.”
Ammise
allargando le braccia come per giustificarsene, poiché se
era arrivata a capire
questo, allora era inutile continuare con quella commedia. Via, senza
rete! A
che pro non spiattellarle tutto?
“Sì,
ma non l’avevo pianificato, se ti riferivi a questo. Stavi
diventando
pericolosa, troppo, per
cui quel
pomeriggio, appena cominciasti ad usare quel tono tronfio, ne
approfittai per
portare la conversazione dove volevo io. Non che avessi bisogno
d’un pretesto
per andarmene o mandarti affanculo, sia chiaro. Ma se ti avessi
lasciato
pensare che era stata tutta colpa tua, beh, sarebbe stato tutto molto
più
semplice.”
“Non
fa una piega Haruka. Ed è commovente l’analisi
approfondita delle emozioni che
ti ha portata ad applicare sulla mia pelle il principio di azione e
reazione!”
Il
sarcasmo umiliato cui grondava questa constatazione della violinista
parve
farla contrarre su sé stessa. La bionda infatti
annuì incapace di respingere
l’implicita accusa. Aveva ragione da vendere, ma
c’era dell’altro da dire a
proposito, non per spiegarsi, perché tanto ormai ogni difesa
sarebbe stata vana,
quanto per superare questo impasse e arrivare al nocciolo della
questione.
“Sì,
sono stata una carogna, e chi lo nega? Ma ti posso assicurare che il
sollievo
provato è stato di breve durata. Non sai quanto mi sono
sentita mortificata
quando ho capito che era stato del tutto inutile. In sostanza i miei
sentimenti
continuavano a crescere come se non mi fossi affatto mossa da
lì. Mi
sono riempita le giornate con mille
impegni, ma credi che sia servito? Te lo dico io, non è
servito ad un cazzo. Il
pensiero mi sbatteva sempre allo stesso posto e pure quando cercavo di
metterci
un argine, sostituendolo con qualcosa d’altro, era sempre a
te che tornava. Ho
passato notti e notti insonni a cercare di dominarmi, stringendo i
denti e
dimenandomi nel letto come un’indemoniata. E quando poi
infine la stanchezza
aveva la meglio, persino i miei sogni mi tradivano e c’eri
tu, sempre, che
m’abbracciavi e mi tenevi stretta a te… Setsuna
crede di essere un genio di
tattica, ma la verità, quella che mi sono sempre taciuta
fino a che non me ne
sono venuta qui a pensarci sopra con la reale intenzione di farlo,
è che mi ha
solo porto la scusa che cercavo da tempo per tornare sui miei
passi.”
Ecco
l’aveva detto e non era morta, né Michiru sembrava
particolarmente sorpresa. Si
limitava a fissarla di tralice con gli occhi semichiusi, valutandola e
soppesando le sue parole, come se non fosse ancora pronta a scoprire il
suo
gioco e attendesse la sua successiva mossa. Poteva biasimarla?
Chiaramente no,
era l’identica tattica da lei stessa usata fin dal primo
momento nei suoi
confronti, e dava frutto. Quindi non c’era nulla su cui
sindacare. Toccava
ancora a lei parlare, spiegarsi, aprirsi
e poi, eventualmente, avrebbe potuto protestare per il fatto che se ne
stesse
in agguato ad aspettarla in riva al fosso.
“Ora
probabilmente ti starai chiedendo perché montai quel
teatrino sull’Albatros…
già, perché? Perché non riuscivo a
sopportare, così come non lo sopporto
adesso, che tu abbia tanto potere su di me. E’ inammissibile,
non posso essere
in balia di un’altra persona a tal punto, altrimenti la me
stessa che ho
creduto di conoscere fino ad ora non
esiste e mi sono cullata per diciassette anni nell’illusione
d’essere quella
che non sono. E porca puttana Michi, mi piacevo, ero più che
soddisfatta di me!
E invece che scopro? Che quella che rideva delle romanticherie, sospira
alla
luna! Che quando non ci sei anche l’aneddoto più
divertente è senza senso, che la
musica non ha più colore, l’agonismo mi lascia
indifferente e le attività di
tutti i giorni sono utili solo nella speranza di stancarmi al punto da
dormire
qualche ora di sonno agitato la notte!”
Sbottò
infuriata, alzandosi e andandosene fuori al terrazzo, come se la vista
dell’altra
le fosse intollerabile. Michiru si trattenne dal seguirla, doveva
riflettere
poiché, la serie di rivelazioni, culminate in
quell’eccesso di rabbia nerissimo,
appena udite le diedero finalmente la definita cognizione
dell’estensione del
tormento dell’altra. Haruka non respingeva lei, no, la bionda
rigettava la
portata stessa dell’amore che nutriva. E Michiru solo ora che
veniva fatta
partecipe di questi intimi strazi, cominciava ad afferrarne la
profondità e il
paradosso.
Forte
di questa convinzione non ebbe più remore, a passo lento e
silenzioso la
raggiunse e si attardò a fissarne la schiena rigida,
ché Haruka le dava
ostinatamente le spalle e se ne stava con entrambe le braccia
appoggiate al
pilastro della loggia. Guardava nel buio ma non vedeva né
capiva nulla,
attendeva e basta.
Adesso
o mai più, pensò la violinista intuendo che una
volta calato il silenzio Haruka
non ne avrebbe mai più riparlato. Ed era esattamente in
questo preciso momento che
doveva sapere che veniva ricambiata allo stesso modo, sennò
sarebbe andata di
là di ogni limite. Un’oltre che la violinista
temeva moltissimo, perché ora che
aveva inteso quanto precedentemente sfuggiva ad ogni comprensione, le
riusciva
facilissimo immaginarsi quel che l’altra aveva intenzione di
fare.
Probabilmente l’avrebbe portata in una terra di nessuno dove
avrebbe tentato d’oggettivizzare
ogni sentimento, finché non si fosse persuasa di esserne
indifferente, fino a
chiudersi di nuovo nella sua torre d’avorio e allontanarla
definitivamente.
E
così come a bordo dell’Albatros l’aveva
cinta in quella stretta muta,
altrettanto fece adesso. Solo che stavolta non lasciò che
rimanesse voltata, né
che l’emozione l’impedisse di agire. La fece girare
nel cerchio delle sue
braccia e Haruka non oppose resistenza neppure quando le
passò le braccia
intorno al collo e si avvicinò tanto che le loro labbra si
sfiorarono quando
quest’ultima fece riudire la propria voce.
“Sì
Michiru, tu mi fai paura. Mi terrorizzi perché hai il potere di
disgiungermi dalla parte di
me che è più forte. A causa tua mi sento esposta
e vulnerabile a tremare di
freddo. E tutto ciò è deleterio. Credimi, fino a
qualche giorno fa ancora mi
cullavo alla lusinghiera idea che il mio sfuggirti risiedesse nel ben
più nobile
motivo di non volerti ferire. Ma visto che stiamo parlando fuori dai
denti, la
verità è che ho solo tentato di proteggere me
stessa, perché tu mi annacqui il
sangue e mi svergogni alla luce di quanto sono stata e di quanto voglio
continuare ad essere!”
Concluse
prendendole il volto tra le mani e tenendolo con forza, come se
nonostante
quanto avesse appena detto, non riuscisse a lasciarla andare. Ma doveva
farsi
forza, doveva rialzarsi, doveva assolutamente risalire sul suo
maledetto piedistallo!
Quindi disse quanto
andava detto.
“E’
tutto, tirane le tue debite conclusioni.”
Per
tutta risposta Michiru annullò la residua distanza che
separava le loro bocche
e cominciò a baciarla con trasporto. La bionda avrebbe
voluto protestare,
allontanarla, ma quelle labbra che accarezzavano le sue le fecero
perdere completamente
la cognizione tra quanto s’imponeva di volere e quel che
davvero desiderava. Divenne
tutto cenere nel vento e, senza neppure rendersi conto di quanto stava
facendo,
la compresse in una stretta incontenibile e, da vittima che era di quel
bacio,
ne divenne la dominatrice. Quante volte aveva vagheggiato come sarebbe
stato?
Ebbene, l’immaginazione non aveva nulla a che fare con la
realtà, poiché aveva
sempre pensato che dolcezza e passione non potessero coesistere, invece
le
labbra di Michiru le stavano dando entrambe. Inoltre, generalmente era
lei che
conduceva, ma adesso si ritrovava ad essere a prendere e dare con la
stessa
intensità, ché la brama dell’altra era
identica alla sua, mentre quest’amplesso
labiale non aveva nulla in comune con nessun’altro
sperimentato prima.
Era
l’odore del pane appena sfornato, un girotondo in un campo di
girasoli, una
sonata di pianoforte al chiaro di luna, l’abbandonarsi del
corpo dopo una lotta
estenuante, il pensiero che si annulla nella percezione di essere
esattamente
dove si è sempre voluto. E il vertice sembrava non arrivare
mai.
Scombussolata
si staccò per prendere fiato e nello zaffiro degli occhi
dell’altra vide
rispecchiarsi esattamente quanto sentiva agitarsi nel suo intimo.
Pareva
proprio infatti che anch’essa ne fosse stata travolta. Eppure
in quella vampata
che le aveva avvinte aveva nettamente percepito quanto fosse profondo
quel che
quella ragazzina covava dentro di sé. Passione
sì, indubbiamente, ma non solo
la spinta istintiva della sensualità, era calore di
sentimento. Un amore
viscerale che non si nutriva di giri di parole come il suo, ma che si
amplificava
e cresceva attraverso i fatti, gli sguardi, i gesti e in tutta la
cadenza dei
momenti che insieme le avevano viste protagoniste.
In
un lampo ne passò al setaccio i momenti cruciali e quanti le
erano parsi senza
importanza, e
allora capì e dovette
chinare il capo. A questo punto non era solo il suo di cuore a
costringerlo,
dal primo momento c’era stato pure quello di Michiru che
aveva manovrato fino a
questa sua resa.
“Mi
sa che son bella che fottuta!” Esclamò tendendole
la mano.
“Sai
una cosa Haruka?” Fece Michiru afferrandola e andando, senza
tanti complimenti,
ad appollaiarsi tra le sue braccia. “Non troverò
mai più nessuno che mi parli
d’amore come te.”
Detto
ciò cominciò a ridacchiare senza riuscire a
fermarsi più. E tutte le sue
intenzioni romantiche andarono a farsi benedire. Haruka
ghignò a dispetto di
tutta quella situazione. Eh sì, proprio come aveva supposto,
dal dramma erano
passate alla commedia. Poco male, non pretendeva voti solenni,
però accidenti a
lei, poteva dirglielo che l’amava, no?
“Amore?”
Ribatté indispettita. “Richiama i cani razza di
presuntuosa, questa non era
affatto una dichiarazione!”
“Ah
no?” Buttò lì maliziosa e, anche se non
ne aveva affatto voglia, se ne staccò e
le si parò innanzi con le mani suoi fianchi.
“Beh
potrei anche essermi sbagliata, considerato che tu dici tutto e il
contrario di
tutto. C’è da rimbecillirsi in effetti, visto che
a quanto pare non puoi fare a
meno di me, ma nel frattempo te ne senti sputtanata. Sul serio Haruka,
sei una
schizoide alla prova dei fatti, anche perché hai omesso
abilmente di chiarire
la natura dei tuoi sentimenti al di là delle ossessioni, per
cui mi chiedo se
il tuo non sia un caso di osmosi o peggio. Ma dopotutto non credo che
tu mi
abbia fatto venire qui allo scopo di forzarti al ricovero in una
clinica per
malattie mentali, altrimenti avresti chiamato Setsuna no? E allora
cuore mio,
perché non mi dici tutto fino in fondo? In fin dei conti se
hai preteso quella
chiosa un motivo ci sarà.”
“E
pensare che sono io quella che passa per infame! Vuoi vedermi sputare
bile eh?”
“Non
meno di quanta me ne hai fatta sputare a me tesoro.”
“Sta
bene, allora sappi che ho fatto domanda per essere ammessa al MIT dopo
il
diploma, il che vuol dire che neppure tra un anno me ne
ritornerò negli Stati
Uniti. Che mi dici adesso amore mio?”
“Che
hai fatto benissimo, che un cervello matematico di
prim’ordine come il tuo è
giusto che aspiri all’eccellenza. Hai in previsione anche un
ingaggio in
formula Nasdaq?”
“E
questo è quanto? Cioè non te ne frega una mazza
che me ne vada? Porca vacca
Michiru ma fammi capire, stiamo insieme o cosa?”
“Certo
che sì, oppure credi che stessi scherzando prima?”
“Spero
bene di no. E allora come la mettiamo? A me solo l’idea della
separazione fa male
da morire, mi getta nello sconforto, non riesco neppure a pensarci
porca vacca! E tu
invece te ne esci col contratto
automobilistico? E nel caso che vuoi, la provvigione?!”
“No, figurati,
chiedevo visto che per quanto
mi riguarda allo stesso tempo è molto probabile che vada a
studiare
all’accademia delle belle arti di Parigi, in contemporanea ad
un mio più che
presumibile ingresso Ecòle
dell’Operà.”
“Pure?!
Mammina ha lavorato bene in questi mesi eh? Chissà quanti
pantaloni ha dovuto
sfilare per arrivarci!”
“Tu
lascia stare mia madre e pensa a te che ti calzavi la figlia del
padrone!”
“Se
mi calzavo la figlia del padrone non era per far carriera ma per
evitare di
saltare addosso a te! E neanche un grazie ho ricevuto!”
“Oh
allora grazie tante Haruka per esserti immolata all’altare
del sacrificio per
me! E dimmi un po’, casomai adesso mi levassi tutto di dosso
che faresti?
Organizzeresti un’orgia seduta stante?!”
“Che
è, una proposta?”
“Sì
aspetta e spera!”
“Ma
che accidenti stiamo dicendo qui? Si presume che una che sta con me non
se ne
va in Francia a suonare i piattini!”
“Neppure
in America a fare brum brum su una
carriola a 200 all’ora Haruka. Ma, come giustamente mi facevi
notare durante il
tuo logorroico monologo, io non posso annullare la tua vita, e neppure
tu la
mia. Ma che ti ami è incontestabile e non
cambierà. Certo, l’idea della
lontananza non piace neppure a me, cosa credi? Però sono
convinta che ce la
faremo, potrà mai essere peggio di quel che abbiamo
combinato nell’ultimo anno?
Io non penso.”
“Non
mettere limiti alla provvidenza! E poi con quella testa dura che ti
ritrovi,
non oso proprio immaginare quel che potrebbe
succedere…”
“Scenate,
telefonate intercontinentali, pianti, maledizioni e felici
ricongiungimenti
probabilmente. Tutte cose che, bolletta del telefono a parte,
potrebbero
succedere pure se non ci muovessimo da Tokyo. E ci sono ancora dodici
mesi da
vivere assieme, come due rette parallele, prima
che tutto questo si concretizzi. Credimi
Haruka amore mio, a me il futuro non spaventa affatto.”
“Neppure
a me, ma noto che le mie lezioni di geometria non ti sono servite ad
una mazza
Michi. Mi duole dirtelo tesoro, ma debbo ricordarti che due rette
parallele non
s’incontrano mai, e onestamente come paragone non mi piace
per niente!”
“Siamo
a cavallo Haruka, non ti prenderanno mai al Mit, preparati a venire a
Parigi
con me e a girare in bicicletta col basco in testa e la baguette sotto
il
braccio.”
“Cosa?!”
“Ehi
genio Einstein ha dimostrato che l’universo è
curvo e di conseguenza le rette parallele
sono destinate ad incontrarsi.”
“Mi
sa che hai ragione. Però se somigliano giusto un tanto a
noi, non si salutano
neppure!”
……………
“Allora
ci muoviamo o no? E’ mezz’ora
che aspetto accidenti a te!”
“Haruka
ma è mai possibile che neppure
al bagno mi fai stare tranquilla? Fammi fare la doccia in santa
pace.”
“Sei
lì dentro da due ore, vuoi che
vada in mezzo alla natura per fare quel che devo fare?!”
“Sbraita
quanto ti pare, tanto non ti
faccio entrare.”
“E
capirai, sono dieci anni che ti
conosco, tutto quel che c’era da vedere ormai l’ho
visto!”
“Ne
sei proprio sicura?”
“Certo...”
“Allora
entra!”
“Mio
dio che ninfomane, ma in testa c’hai
sempre la stessa cosa?!”
Fine
N.d.A.
A
mio padre, con tutto l’amore e l’ammirazione
che gli porto.
Una
lastra di marmo non potrà mai
separarci, sarai sempre con me papà.
Aurelia
Finalmente
ce l’ho fatta, anche se disperavo di riuscirci vista la piega
presa dalle cose
negli ultimi mesi.
Dunque,
innanzi tutto i ringraziamenti a chi mi ha seguito, e commentato, fin
dall’inizio
e a chi si è aggiunto strada facendo. A voi tutti la mia
imperitura
riconoscenza per i complimenti, i commenti salaci,
gl’incoraggiamenti e tutte
le parole cui ho fatto tesoro a livello personale e migliorativo. In
quanto
che, da un certo punto in poi, ho molto fidato sulle vostre reazioni
per perfezionare
quanto andavo scrivendo. Un grazie speciale al Thartaruka Fan Club
(l’ho
scritto bene?) alla sua presidentessa e a tutti i suoi membri,
ché se la storia
ha avuto un lieto fine è solo perché poi non
avrei sopportato le vostre
lamentele!
Non
mi dilungo oltre, giacché non voglio assolutamente che
questa nota a piè pagina
rischi di sembrare una autocelebrazione, salvo che per sottolineare di
nuovo l’epigrafe
di cui sopra. Ché lo sforzo creativo e quanto ne
è derivato è dedicato con
immenso amore, e la certezza che non li dimenticherò mai, a
due persone che non
ci sono più.
Bene,
per il momento è tutto, e spero che l’epilogo non
vi abbia deluso.