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Autore: Aurelia major    07/09/2008    17 recensioni
Cosa succede quando una persona amabile e amichevole ne incontra una scontrosa e sarcastica ? Guai probabilmente , anche perché c'è chi vuole assolutamente fare amicizia e chi cerca d'impedirglielo a tutti i costi ...
Genere: Romantico, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Dicono che il tempo sia un’astrazione e, in quanto tale,  non ci sia nulla di più relativo e soggettivo del suo scorrere.

Da ciò ne conseguirebbe che calendari, orologi, clessidre, meridiane e simili, altro non sarebbero che  inutili armamentari, giacché passato, presente e futuro costantemente oscillerebbero nell’atto di cogliere e perdere l’attimo all’infinito. Certo, in caso contrario non ci sarebbe vita, né respiro, sbatter d’occhi e palpiti del cuore. Ma allo stesso tempo,  preda di quest’alternanza, il corpo soffre, freme e si contorce sotto la spinta delle fasi generate da quest’incessante divenire.

Una bella contraddizione in termini.

E quasi, quasi la questione potrebbe ridursi ad un banale gioco di parole tra il soffrire o vivere: Soffrire per vivere o vivere per soffrire?

Naturalmente a tutto ciò non si sfugge, a limite si ci può cavillare sopra e dedurne addirittura che il vissuto sia solo un’ipotesi, poiché, esattamente come il tempo, sarebbe strettamente connesso all’individualità. Tanto che le vicende di una persona, o più, si ridurrebbero ad un insieme sconnesso di punti di vista, i quali raramente convergerebbero nella stessa direzione.

Tizio disse, Caio rispose.

Sembra facile. E’ accaduto, è un fatto, ma allo stesso tempo potrebbe non esserlo. Ché ci sarà sempre qualcuno che la racconterà in modo diverso, il quale probabilmente verrà  contraddetto da qualcun altro, che a sua volta verrà smentito da un altro ancora, e ancora e ancora. Sembra facile, ma a pensarlo sotto questa particolare ottica, non lo è più.

Perché tempo e storia s’intersecano, si dividono, per poi tornare a rimescolarsi in tangenti  intricate e inattese, in un gioco d’incastri e nodi che col reale pressoché non avrebbero più nulla a che vedere.

Come la storia di loro due.

Forse la soluzione potrebbe essere semplicemente di lasciarsi vivere, affidandosi alla corrente e prendendo le cose così come vengono, assaporandole fin tanto che durano e tentando di non dolersi troppo quando terminano.

Beh, ad esserne capaci, potrebbe essere un ottimo proposito, ma poi, che ne sarebbe di sogni, desideri e necessità? Senza contare che questi sono solo la punta dell’iceberg di tutto un mondo ancora di variabili quali il caso e l’opportunità, che a loro volta, inevitabilmente, vanno a scontrarsi con la volontà e libero arbitrio.

Proprio come la storia di loro due.

Conflitto mica da poco questo, soprattutto se pendente come una spada di Damocle sulle teste di due diciassettenni, le quali simili considerazioni trascendentali non dovrebbero farne. O perlomeno non a livello conscio.  

Eppure il loro allontanarsi, confondersi, tornare, distanziarsi, per poi ravvilupparsi ancora, non era stata forse la rappresentazione fisica e consumata di tutto questo filosofeggiare?

Naturalmente Haruka non metteva affatto la questione in questi termini, in effetti il suo pensiero si basava perlopiù su basi prosaiche, sebbene l’interrogativo di fondo restasse lo stesso.

Né questo era il meditare di Michiru, quantunque tra le due, fosse quella che per indole e occorrenza fosse portata di più al pensiero teoretico.

Insomma da un lato e dall’altro c’era ormai l’esigenza impellente d’un punto e a capo, perché le ipotesi e le possibilità con le quali si erano baloccate fin lì le avevano sfinite ed era arrivato il momento in cui la vita si doveva necessariamente confrontare col tempo e con la storia.

E, nell’imminenza di questa circostanza a lungo sospirata, le sfumature del loro rapporto parevano ridursi fino a convogliare in un colore unico, ma ancora indefinibile. Sarebbero state pervase da un azzurro terso o dal rosso sangue? Chissà.

Ma a prescindere dall’epilogo a cui sarebbero giunte, comunque a posteriori, trastullandosi nuovamente con tempo e storia, entrambe avrebbero potuto aver sempre qualcos’altro da dire in proposito, proprio perché tempo e storia sono, senza eccezione alcuna, immolabili alla propria personale motivazione e dilatabili a piacimento.    

E a che portata era adesso il futuro, nel momento in cui Michiru si stava adagiando  morbidamente accanto ad Haruka? Lei non ne aveva idea, pur sapendo perfettamente che l’altra avrebbe potuto sottrarglielo imprevedibilmente qualora gliene fosse venuto l’estro. Malgrado ciò era animata da uno spirito incrollabile e cieco, che la faceva protendere nell’atto di afferrarlo con entrambe le mani, mentre la determinazione a tenerlo saldamente finché avesse potuto le dava la forza di non cedere.

Come e quanto si stava trasformando il presente di Haruka ora che la violinista si voltava  a fissarla dopo essersi seduta? Lo ignorava e ignorandolo lo temeva. Giacché la sua ansia era pervasa dalla vorace brama di viverlo e, al contempo, una parte di lei ancora si sforzava di individuare una scappatoia davanti all’ineluttabilità di quel confronto.

E il passato in tutto ciò che parte aveva?

Era il sedimento che avrebbe fatto da base alla loro possibile congiunzione, o il veleno che l’avrebbe irrimediabilmente alterata fino ad farla morire? Pur tuttavia, tutto questo tentennare, non stava già massacrandola sul nascere?

Non sono mai stato un tipo che evitava i tentativi per passare direttamente alle rinunce.

Questo il pensiero ultimo, e rabbioso,  della bionda su quegli interminabili travagli, mentre il gioco di luci creato dalle fiamme dava origine a fuggevoli ombre sui tratti del suo viso. E a questa vista Michiru interiormente tremò, la semioscurità della fiamma guizzante infatti dava ad Haruka l'aspetto di una maschera di pietra. Nella cavità delle sue orbite si poteva scorgere una tenebra che forse non era del tutto dovuta a quel gioco di luce, appariva impenetrabile, un marmo freddo, senza calore o misericordia.

Era ad appena un palmo da lei, così vicina, così dannatamente vicina, eppure ancora una volta lontanissima. Ma stavolta le avrebbe impedito di ritirarsi nel santuario del suo distacco, questa notte non le avrebbe concesso di farsi mettere nuovamente da parte per lasciarla salire sul basamento del piedistallo monumentale che lei, con i suoi stessi atteggiamenti devoti,  le aveva edificato. 

Non era più tempo di strategie e di proponimenti, era arrivato il momento di dare un colpo di spugna definitivo a tutti i sottintesi, le parole non dette, le impressioni su cui s’era interrogata a posteriori. Così d’istinto le buttò le braccia attorno alla vita e la strinse a sé, appoggiandole il volto sulla spalla e chiudendo gli occhi, senza riuscire a dar voce a quel che l’agitava. E stretta nel suo abbraccio Haruka non osò fiatare,  rimase inerte, subendolo passiva, sebbene cominciasse a sentire dalle profondità del suo essere un calore sconosciuto avvolgerla.

Provò ad irrigidirsi per combatterlo, ma per quanto stringesse le mascelle, serrasse i pugni e tendesse i muscoli fino allo spasmo, quella maledetta sensazione non cessava, anzi si amplificava  fino a diventare qualcosa di concreto, nonostante fosse immateriale. Aveva caldo, aveva freddo, voleva e non voleva abbandonarvisi. Come sarebbe stato infinitamente riposante cedere, capitolare finalmente e lasciarsi andare una volta tanto, che male ci sarebbe stato in fondo?

Ché non c’era nulla di sensuale nei loro corpi avvinti,  solo il benessere che può dare l’amore manifesto, veicolato attraverso i gesti. Ciononostante davanti a lei ancora una volta si profilava l’orizzonte sconfinato e libero che aveva vagheggiato dacché la sua personalità aveva cominciato a definirsi. La visone ancora un volta le si presentò così come sempre se l’era figurata, un enorme, illimitato spazio da percorrere a suo piacimento, senza vincoli, dove gli obblighi che frenavano gli altri su di lei non avevano potere. Inutile mentirsi, sapeva bene infatti che la seduzione di questa chimera le aveva, senza eccezione alcuna, condizionato ogni scelta. Ma per la prima volta nella sua paradisiaca illusione s’insinuò un dubbio: procedere senza mappa voleva poter dire anche andare alla deriva? Incedere imperterrita nel suo altero isolamento, era la fuga d’una anima bella o la disfatta di uno spirito arido?

Spalancò gli occhi per lo stupore, per poi richiuderli fino a formare due linee sottili, ostili e  cattive.

“Ame! Sid! Pensò insicura e piena di risentimento. “Perché non mi avete preparato a questo? Vi siete limitate a mostrarmi il vostro vessillo d’indipendenza sbattendovene di tutto ciò! Avreste dovuto dirmi dove termina la libertà e comincia il bisogno! Maledizione, accidenti a voi! Dove finisce l’uno e inizia l’altro?      

Stava per avere moto di stizza, ma subito lo represse, tanto che Michiru neppure se ne accorse. Doveva controllarsi porca vacca! Questa era debolezza e lei non voleva essere debole, loro le avevano insegnato a non essere tale. Eppure le sue gran maestre di vita si erano dimenticate di lasciarle una metafora, un’esperienza qualsiasi che le sarebbe potuta essere utile ora.

Ebbene, forse il tempo concessole per restare ancora cocciutamente attaccata alla loro sfera era giunto al capolinea. Probabilmente, ora che le soglie dell’età adulta si stavano schiudendo davanti a lei, il flessibile legame che fin lì l’aveva posta a metà tra sua madre e Sid, si stava sfilacciando e il loro esempio era destinato a tramontare.

Sono cresciuta ormai e  devo  decidere da sola.

Si disse tentando di farsene una ragione, ciò nonostante una gran tristezza le piombò addosso. Com’è che , sebbene non fossero mai state veramente presenti, quantunque non ne fosse mai dipesa e la loro mancanza non le fosse pesata, nel preciso momento in cui se ne stava distaccando, con la consapevolezza di farlo, sentiva il bisogno quasi concreto di poggiare  la testa sul grembo di Ame e sentire il profumo lieve del sudore di Sid?

E mentre se lo chiedeva, come un lampo, ricordò una conversazione avuta tanto tempo prima proprio con quest’ultima.

 “Non me ne frega niente di lei Sid, amo  Ame, ma posso farne tranquillamente a meno.”

“Non stento a crederlo microbo, ma sai una cosa? Al momento del trapasso c’è una cosa che facciamo tutti, nessuno escluso: gettiamo uno sguardo sull’ignoto e invochiamo nostra madre.”

Perché le tornava in mente adesso? Che Sid non intendesse la morte come trapasso e avesse già tentato di dirle allora che, quando fosse venuto il suo turno, avrebbe provato questo  dolore?

D’impulso levò il capo verso l’alto nell’ultimo, disperato, tentativo di eludere questi pensieri e la stretta con cui Michiru la cingeva. Era in preda all’angoscia e cercava nei meandri di sé stessa l’uscita da questo labirinto di suggestioni.  

Nel punto in cui erano la loggia non era coperta dalla tettoia e la volta celeste si poteva ammirare in tutta la sua smisurata vastità. Haruka, tentando di divagare, pensò che ci si sarebbe potuta tranquillamente perdere e trascorrere tutto il resto della vita nel contemplarla, tanto appariva immensa e infinita.

In questo spazio sono solo un puntino e lei pure. Due nullità se paragonate a tutto questo, eppure potenzialmente capaci di condannarci alla  felicità o ad un tormento altrettanto grandi.

E pensatolo qualcosa di molto simile allo sgomento le franò addosso tutto insieme. Com’è che tutto ad un tratto le stava venendo una gran voglia di piangere? No, non voglia, esigenza piuttosto, la necessità di chi per anni si è privato del conforto delle lacrime perché se ne riteneva incapace, consapevole che cedervi avrebbe mandato in pezzi il nucleo compatto che la sosteneva.

“A che pensi?”

La voce di Michiru era appena un sussurro, ma non insicura. Esattamente come percepiva la sua stretta protettiva, laddove aveva sempre pensato potesse essere opprimente, dal momento che in ogni frangente aveva sentito le braccia altrui come una costrizione, alla stregua di pesanti catene che l’ancorassero a quel posto e a quella persona,  inabissandola dentro sé stessa fino a perdercisi.

“A tante cose Michi.”

Replicò in un soffio affrettandosi a massaggiarsi le palpebre con indice e pollice, perché, nel caso in cui lei avesse notato che aveva gli occhi rossi, l’attribuisse a quello sfregamento.  “A quel che vorrei e non vorrei dirti. A quanto sia strano per me tutto questo e finanche che il cielo è talmente basso stanotte, che ho  l’impressione che alzando un braccio potrei addirittura toccarlo.” 

Detto ciò sembrò acquietarsi, addolcirsi finalmente, tanto che si concesse di abbassare  il volto fino a sfiorarle la fronte col mento appuntito. Ma era solo un momento di tregua, e lo sapeva bene, un attimo di pace che faceva da preludio a quel che ne sarebbe dovuto seguire, ché procrastinare non era più possibile. Solo un minuto, un minuto durante il quale si concesse d’offuscarsi la mente con quei maledetti sogni ad occhi aperti che avevano preso a perseguitarla, e poi avrebbe lasciato che le cose seguissero il loro corso.

Gustò quegli istanti decantandoli come se stesse centellinando un vino prezioso, assaporandone l’assaggio di possibilità che promettevano, ma tenendo sempre ben presente che erano solo abbagli. Tanto che se ne sottrasse prima che la loro insidia raggiungesse l’apice oltre il quale non sarebbe riuscita più a tornare indietro e si risolse a dare avvio a quella conversazione che sempre aveva evitato.

“E tu a cosa pensi?” Disse, con tutt’altro tono di voce rispetto al precedente, per infrangere quel silenzio che pericolosamente stava trasformandosi in malia.

A Michiru bastò questo trascurabile particolare per comprendere all'istante che i baluardi di difesa, che improvvida s’era illusa d’aver finalmente valicato, erano stati nuovamente rizzati. Capì d’essersi  attardata troppo a contemplare da lontano il ponte levatoio aperto e ora, più che in passato, era consapevole dell’inutilità del tentare d’abbattere il muro a colpi d’ariete.

Del resto si era rivelato inefficace tutto con lei, e non tanto per l’ostinazione a negare l’evidenza che l’animava, quanto per l’incertezza con cui lei stessa si era mossa. E a cosa avrebbe giovato spingersi per l’ennesima volta a tentoni nel bosco fitto delle emozioni della bionda? No, una volta per tutte, sarebbe stata sincera. Anche se poteva voler dire allontanarla fino a  correre il rischio di perderla per sempre. Quindi, stancamente, come chi sta per abbandonarsi al moto della corrente inarrestabile, che lo spinge sempre più lontano dalla riva, le rispose:

“Che quanto potrei darti non lo riterrai mai abbastanza. Che mentre tu pensi di poter sfiorare il cielo io, persino ora che ti tengo tra le braccia, ancora dubito di poterti veramente toccare, tanto sei distante.”

Concluse triste, quasi rassegnata, ma poi, molto deliberatamente, Michiru levò una mano ad accarezzarle adagio i capelli sulla nuca, per poi scendere altrettanto piano a lambirle la mascella, attardandovisi.  Infine le prese la mano ed intrecciò le sue dita snelle a quelle inerti e fredde dell’altra.

“Ti tocco, tuttavia non basta ad avvicinarmi a te.” Sussurrò abbassando il capo di proposito, in modo che le ciocche dalla fronte le cadessero come un sipario a coprirne l’espressione affranta del volto.

“E pensi che lo faccia apposta, vero?” Replicò Haruka piano, sebbene una netta asprezza le trapelasse dalla voce. Non si azzardava a muoversi d’un millimetro, ma quelle affermazioni le stavano scatenando una rabbia intensa in corpo.

E ti pareva che alla fine non era colpa mia! Pensò sentendosi defraudata di un qualcosa che non sapeva definire, ma che stava scatenando in lei una reazione preoccupante.

“No, ora non più.”

Ribatté la violinista tornando a guardarla dritto negli occhi e Haruka si chiese perché per un attimo le fosse parso d’intravedere nel volto dell’altra un’amara ironia. Ma non ebbe il tempo di spiegarselo, perché nuovamente Michiru le stava parlando e lei scoprì inaspettatamente d’aver sete delle sue parole.

 “Eppure Haruka negli angoli bui delle case, nell’ignoto che ci aspetta dietro la curva di una strada che non conosciamo, nella solitudine di queste stesse selve e nelle profondità dell’acqua dove il sole non arriva, vive qualcosa che non si vede e non si tocca… non è cattiva, ma si ciba e cresce del timore che si ha di lei…  e a volte tu sei così.”

“Ti stai fottendo dalla paura eh?”

L’interruppe incapace di ascoltare il resto, intuendo appieno, alla luce di quanto le aveva appena detto, da cosa scaturisse quel senso d’abbandono che provava. Ma non ebbe l’agio di scagliarle addosso la lava incandescente della sua delusione, poiché l’altra fu più rapida.

“No Haruka, tu hai paura.”

Ribatté dura, velenosa quanto possa arrivare ad esserlo un innocente, un’anima incapace di far del male, che viene improvvisamente accusata d’un sacrilegio che sarebbe stata lontana persino dal concepire. Era ingiusto, profondamente scorretto da parte sua tentare di rivolersela su lei addossandole il crimine delle sue stesse fobie. E non l’avrebbe tollerato.

“E di cosa?”

Le ringhiò scattando in piedi. E il suo fu un movimento repentino dovuto in ugual misura all’esigenza di staccarsi dal suo calore, ma anche dall’allarme inconscio che lo sguardo fiammeggiante dell’altra le aveva messo addosso. Aveva alzato la cresta sì, ma per reazione, poiché aveva capito di aver osato troppo stavolta, anche se non era stata sua intenzione ferirla così a fondo. Ma come si può spiegare la reazione sdegnata e disperata di chi si sente rifiutato?

Ehi imbecille, è questo che volevi no?

Sì… o no? Ma porca puttana!

“Perché non me lo dici tu Haruka ?”

Interruppe il suo monologo interiore Michiru avanzando di tre passi finché non le si parò di fronte. E così la bionda si ritrovò con le spalle al muro, dietro di lei c’era la balaustra che la separava dall’abisso e davanti uno medesimo, ma molto più pericoloso del baratro che aveva alle terga. E allora non scelse consapevolmente, ma si lasciò andare, o sarebbe più giusto dire che le parole troppo a lungo taciute presero il sopravvento? Ad ogni modo, con la dirompenza di una forza che non si poteva trattenere oltre,  sbottò.

“Io non so neppure di che stiamo parlando! Buio, sensazioni ancestrali, acqua, sole! Ma che accidenti vuoi dire? Parla chiaro Michiru, cosa cerchi? Che vuoi da me?”

“Cosa vuoi tu piuttosto?”

Insorse l’altra con una veemenza tale che ad Haruka parve s’ingigantisse fino ad occupare tutto il suo campo visivo. Non vedeva altro che lei, tentò d’arretrare, ma non poteva e si sentì vulnerabile da ogni lato.

“E’ una resa o una dichiarazione d’amore che t’aspetti?” Continuò puntandole contro il volto esasperato di chi si gioca il tutto per tutto. “Dimmelo Haruka, vuoi sentirti dire che t’amo? Oppure preferisci che ti dica che da quando ho posato gli occhi per la prima volta su di te non trovo più pace?”

Continuò irrefrenabile, incurante ormai di quel che stava dicendo e di quanto poteva provocare. “Credevo di essere felice, pensavo d’aver abbastanza, invece ho scoperto che finché non potrò amarti come voglio non lo sarò!” S’interruppe momentaneamente ansimante, sopraffatta dalle sue stesse emozioni, ma poi concluse: “E’ sufficiente questo, oppure devo prostrarmi ai tuoi piedi e implorare una briciola del tuo affetto?”

Qualcun altro al posto di Haruka avrebbe capitolato a questo punto, non foss’altro per comprensione, per darle modo di riaversi, ché davvero non si riconosceva in quel momento la ragazza che Michiru era sempre stata. O perlomeno avrebbe tentato la via della calma, della conciliazione. Ma dopo l’iniziale sbigottimento, la reazione della bionda fu totalmente opposta. Non ci pensò affatto a tentare di sedare quella bufera, tutt’altro, e le rovesciò addosso quel che aveva nel gozzo fin da quando aveva iniziato ad intuire che i trasporti della violinista non erano più solo amichevoli. A questo punto tanto valeva dirglielo a chiare lettere.  

“Cazzate, CAZZATE! Tu credi di amarmi, tu credi di essere innamorata di me, quand’invece sei infatuata di un’idea!”

Sbraitò spezzando tutti i vincoli che fin lì si era autoimposta, massì che aveva da perdere ormai?  A questo punto se ne sbatteva se così facendo si metteva a nudo innanzi ad un’altra persona. Ché purtroppo questa poteva essere fraintesa persino come una confessione, ma non gliene importava più nulla, poiché era il sacrosanto grido di rivalsa di chi si sente preso per i fondelli dalle altrui lusinghe e non ci sta. Era ora di piantarla con questa sceneggiata platonica!

E, presa nel vortice della sua stessa rabbia, non si accorse neppure di star muovendosi, tanto che il suo avanzare le portò dalla terrazza all’interno, facendo sì che le loro posizioni fossero invertite,  adesso era Michiru ad aver le vie di fuga bloccate, davanti a lei un’intimidatoria Haruka, dietro il tavolo su cui disegnava abitualmente. 

“E la colpa è mia, cosa credi?”

Continuò quest’ultima determinata a vuotare il sacco, allo scopo ultimo di toglierle qualsiasi velleità su quelle infondate promesse d’amore. “All’inizio mi piaceva giocare con te, era un tira e molla stuzzicante, e chi lo nega? Avrei dovuto frenarti allora lo so, ma non credevo si arrivasse a questo, mica ti facevo così cretina! Perché tu ti sei lasciata prendere la mano Michiru e tutto perché apparentemente ti sembro un uomo! Ed è di quella idea che tu sei innamorata. Ma io non ti permetterò di rovinarmi per una fantasia!”

L’avvertì gratificandola d’un occhiata tremenda, ovvero lo sguardo innamorato di chi  sospetta di star facendo una gran puttanata. E, se Michiru fosse stata un tantino più navigata, immediatamente l’avrebbe capito e ne avrebbe approfittato per colpirla nel momento in cui era più esposta. Ma non lo fece, tuttavia la reazione che ebbe sortì lo stesso effetto d’una medesima più smaliziata.

“Non uscirtene con queste stronzate Haruka, non azzardarti!” L’ammonì infiammandosi ulteriormente, toccata com’era stata in quel che sentiva più sacro, inviolabile. Tutto aveva sopportato fin qui, ma questo era decisamente troppo, non le avrebbe lasciato calpestare perfino l’autenticità dei suoi sentimenti, questo mai!

”Tira fuori il coraggio e piuttosto dimmi che non provi lo stesso per me. Questo posso accettarlo, ma non sbattermi in faccia questi finti riguardi! Non provare a giocare con mio cuore, l’hai già fatto e fa troppo male perché io ti lasci continuare solo per compiacere il tuo orgoglio!”

“Ma che diavolo stai dicendo?! Il mio orgoglio? Il tuo piuttosto!”

Ribatté sopraffacendola con l’impeto della voce e con l’imponenza fisica. E, senza rendersi conto di quanto faceva, l’afferrò per le spalle, finché non le fece arrovesciare il capo e i due volti non si trovarono che ad un palmo di distanza. Quindi proseguì imperterrita, fregandosene altamente se con le bordate di quanto andava dicendole stava demolendo, pezzo dopo pezzo, quanto si era ripromessa più volte di preservare. E se stava facendole del male scuotendola a quel modo, meglio ancora. Avrebbe pareggiato in parte i conti.

“Già, la talentuosa pittrice, l’invincibile nuotatrice, la grande musicista, aveva trovato un osso troppo duro! Talmente duro che neppure lei riusciva a rosicare!” Sibilò sarcastica col tono d’un imbonitore e, ogni qualifica, l’aveva sottolineata con uno sbatacchio tale da farle battere i denti. “Una bella sfida per un fenomeno come te, non è vero?”

Chiese corrosiva scuotendola nuovamente per sollecitarne una reazione, ma se s’attendeva terrore o sgomento, non ne trovò negli occhi dell’altra. Anzi, quello che vide fu un furore talmente intenso che la obbligò a calcare ulteriormente la mano.

“E il fatto che mi atteggiassi e mi vestissi come un ragazzo non ha fatto che pungolarti finché non ti sei convinta di quello che non esiste!”

“Bastarda!”

Con una manata energica Michiru si liberò da quella stretta e, se Haruka fosse stata meno imponente di quel che era,  quel colpo avrebbe potuto mandarla a sbattere contro il caminetto. Invece se la cavò con tre passi indietro, i quali comunque non le servirono a ripararsi dal vampa cocente delle affermazioni che ne seguirono, né le furono utili a ripararsi dalle unghie curatissime che le lasciarono altrettanti segni brucianti sul dorso della mano. Cominciarono a sanguinare, ma nessuna delle due parve farci caso.

“Questo non c’entra niente idiota e lo sai benissimo! Ma naturalmente devi sempre assecondare la negatività, perché se non fai l’infame non ti senti soddisfatta e sei convinta che la stessa bassezza animi tutto il resto dell’umanità!”

“Sai che ti dico Michi?” La sfidò usando volutamente quel diminutivo confidenziale, mentre tentava, senza farsi vedere, di tamponarsi lo stillicidio che quella zampata da tigre le aveva causato. Faceva un male caino, ma non le avrebbe certo dato la soddisfazione di dirglielo.

“E se mi mettessi una bella gonna a pieghe, una camicetta tutta merletti, mi conciassi come una bamboccia quale tu sei e ti portassi davanti ai tuoi pari, avresti il coraggio d’affermare d’amarmi come dici?” 

La provocò buttando sul tavolo l’ennesima beffa, ma tale non era, in quanto si trattava piuttosto dell’inattesa ammissione del dubbio principe che le dava il tormento da tempo.  “Scommettiamo Michiru? Io sono sicura che non me l’infileresti mai la lingua in bocca così conciata!”   

“Ah, sei in cerca di certezze Haruka? Vuoi confutazione?”

Chiese ghignando, finalmente s’era accorta dell’olocausto che l’altra tentava disperatamente di nascondere e ne fu malignamente lieta. Sperò con tutto il cuore d’averla graffiata in modo tale da lasciarle una cicatrice, per una vanesia come lei non ci sarebbe potuta essere punizione peggiore! Ad ogni modo non era il caso di gingillarsi troppo, sua maestà aspettava una risposta. E poi, se la conosceva bene, e sotto questo punto di vista pareva proprio di sì, per orgoglio Haruka non si sarebbe mai rimangiata la parola data, e sai che vendetta sublime sarebbe stata costringerla ad una simile sceneggiata?

Come la più volgare delle  entraîneuse ti voglio portare a spasso per Tokyo!  Pensò animata dall’amor proprio offeso e da un genuino spirito punitivo, dopodichè serissima aggiunse:

“Perché se è questo che vai cercando allora non hai che da dirlo. Io non ho nessun problema. Qualora ti levasse ogni dubbio, sono pronta a farlo. Decidi pure dove, quando e davanti a chi!”  

Si offrì persuasiva, facendosi sotto insinuante, completamente dimentica del furore che fin qui l’aveva animata. Allo stesso modo la proposta indecente parve sedare Haruka, la quale, solo adesso cominciava a presentire cosa le sarebbe toccato a causa delle sue incaute asserzioni. La rabbia le si volatilizzò dal volto per lasciare il posto ad una perplessità preoccupata e il consueto sopracciglio fece capolino innalzandosi come un ago barometrico quando la pressione va su, sempre più in alto.

“Lo dici solo perché sai che è una provocazione!” Buttò lì incapace di dire altro.

“E certo, figuriamoci se per me ti vestiresti come una bamboccia!” Le rinfacciò Michiru con petulanza.

“Qua non si sta parlando di moda accidenti a te!”

Protestò stranita, si sentiva esattamente come un uomo che tutte le domeniche se ne va allo stadio piuttosto che portare la consorte al cinema. Come se quell’assurda pretesa fosse cosa buona e giusta e l’accondiscendervi fosse stata una testimonianza risolutiva! E infatti la violinista reagì esattamente come se lo fosse, come se il punto gravitasse attorno al fatto che indossasse o no le sottane per amor suo.

“Infatti, qua non si sta parlando di niente! Perché mi hai fatto scapicollare fin qui se avevi intenzione di comportarti come una mocciosa?”

“IO?”

Sbraitò basita da tutta quella situazione. Da non crederci, dal dramma erano passate direttamente alla farsa e tanti saluti al pathos. Una bagattella, ecco cos’erano diventati i suoi sentimenti! Quasi, quasi si sarebbe messa a piangere davvero.

“La ragazzina arrogante che crede di saper tutto sei tu, invece non sai niente di me!” Protestò con un tono così bizzoso da sentirsi ridicola nel momento stesso in cui lo diceva. 

“Credi? E allora guarda!” Replicò Michiru afferrando una manciata di fogli a caso tra quelli sparsi sul suo piano di lavoro.

“Qui!” Affermò mettendole sotto il naso il primo della pila. “Questa è la tua faccia quando pensi a chissà cosa e sorridi credendo che nessuno ti veda! Qui!” Ripeté passando al successivo disegno e sbattendoglielo in faccia. “Ti riconosci? E’ quando mi guardi come se fossi mezza matta e ti viene un sopracciglio che sembra una squadretta! Qui!” Continuò mentre l’altra fissava a bocca aperta, contemporaneamente, sia l’autrice che le sue opere. “Quando dormi come una troglodita e ciononostante sembri un angioletto! Devo continuare Haruka? Guarda che ne ho per un bel pezzo di tuoi ritratti!”

“Ma porca puttana e da dove esce sta galleria di pose?” Non poté far a meno di chiederle frastornata, perché davvero era inspiegabile tutto ciò.

“Dall’ignoto, visto che sono diventata un’esperta di furti espressivi!” Replicò tagliente inalberando un broncio che, se la situazione ormai non fosse stata a metà tra il grottesco e il serio, un sogghigno fetente sarebbe sorto ad illuminare i tratti della bionda. Nobilmente Haruka resistette, sospettava infatti che, nel caso gli avesse dato libero corso, si sarebbe ritrovata un altro sfregio da medicarsi addosso. 

“Ma tu, sei così presa da te stessa che non te ne sei accorta, mai.”

Il disappunto che grondava quest’affermazione tolse ad Haruka qualsiasi velleità ironica, ché così era manifesta la disillusione che aveva generato con la sua incuranza, che le venne voglia di andare a nascondersi. Ma come era potuto succedere, com’era stato possibile che avesse ignorato quell’attenzione costante, quello sguardo amorevolmente concentrato addosso?

“Ho sempre cullato la speranza che fosse solo una finta, che non ne parlassi perché sei una testarda irriducibile.” Continuò  Michiru fuorviata da quell’apparente indifferenza. “Invece non solo ti è sfuggito del tutto, ma ora stai anche lì, lì per montare un casino esagerato sulla cosa. E non azzardarti a negarlo, perché per te qualsiasi pretesto è buono per negare spudoratamente e per mettermi in croce!”

L’accusò puntandole contro l’indice accusatore. Beh, non che avesse tutti i torti in effetti, ma in questo caso si sbagliava e di grosso pure. Al contrario, questa faccenda la stava facendo vergognare da morire e, come con tutte le cose che la mettevano in imbarazzo, non sapeva proprio come venirne fuori. Provò ad usare un registro intenzionalmente ragionevole.

“Senti, se hai intenzione di litigare dimmelo, così la piantiamo subito, non ho affatto voglia d’impelagarmi in una discussione che non porta a niente.”

“Noi stiamo già litigando Haruka!”

Ecco che le sue lodevoli intenzioni finivano direttamente nel gabinetto, a quanto pare il suo assennato invito alla calma era passato indenne sulla testa dell’altra.

“Ma non ti riesce proprio di capire? Le ho provate tutte con te, con la calma, con leggerezza, tremendamente seria, spudorata, ma niente. Tu segui una musica completamente diversa e non c’è verso di unire la mia partitura alla tua. Ma perché, perché credi sempre che io voglia sopraffarti? Cosa ti fa pensare che volutamente ti opprimerei fino ad annullarti? Ormai l’ho capito sai, è questo il problema.”

“Tu vuoi sapere il perché?” Sospirò buttandosi a peso morto sulla poltrona.

Che stanchezza mio dio! Un duello infinito il loro, tanti giri di valzer e infine erano di nuovo punto e a capo. Ma allora non era un valzer, era un minuetto. Del resto, fin qui, non avevano progredito Michiru tre passi in avanti e lei stessa tre passi indietro per mantenere la giusta distanza?

“Sì e non ti chiederò altro, giuro.” Promise sedendogli di fronte e appoggiandosi stancamente una mano sugli occhi, ché la lotta travagliata fin qui condotta l’aveva inaridita, fiaccata fino all’inverosimile con la dirompente esplosione di quei vuoti verbali.

“Okay Michi, se è questo quello che vuoi.”

S’arrese e nel suo atteggiamento corporeo per la prima volta Michiru non ravvisò i soliti atteggiamenti di chiusura. Le braccia giacevano inerti, quand’invece le aveva sempre incrociate e il mento non era alzato e proteso in avanti, bensì declinava sul lato, mostrandole tutta la curva della mandibola.  

“Ma c’è un impegno che esigo.” L’avvertì prima di aprire quell’ultima dannata porta. “Ti dirò tutto, ma qualunque cosa accada, non pentirtene. Indietro non si torna, chiaro?”

“Te lo prometto, non te ne vorrò, succeda quel che succeda.” Le rispose con fermezza.

Sì era disposta ad assumersi quell’onere, sebbene intuisse che in questo modo l’altra stava scaricando tutta sulle sue spalle la responsabilità di ciò che eventualmente ne sarebbe conseguito. Malgrado ciò sapeva che non era dovuto alla precisa intenzione di pararsi le spalle, piuttosto al radicato malinteso che Haruka aveva nei confronti dei suoi stessi sentimenti. Insomma se glieli stava presentando come se fossero il terzo segreto di Fatima era sol perché continuava a considerarli come un fardello e non una gioia.

“E ti prego di non interrompermi, che già così è molto difficile. Figuriamoci se cominci con la tua solita sfilza di domande scomode.“

Dopo questa premessa si prese qualche minuto per riflettere, come se fosse sola in quella stanza e non ci fosse un’altra persona che trepidante ne aspettasse le spiegazioni. E mordicchiandosi le labbra andava alla ricerca del modo opportuno di esprimersi, ma capì che non ce n’erano di più o meno idonei e le toccava inoltrarsi in mare aperto senza mappa.

“Che posso dire?” Cominciò incredula di star facendolo per davvero. “Io vivevo tranquilla prima che m’incrociassi il cammino. Mi pascevo nella mia solitudine e non chiedevo nulla alla vita, poiché mi sembrava di avere tutto.” Ghignò, ma era una smorfia disillusa, anzi triste. “I miei sogni, le mie future rivalse mi assorbivano tanto che non c’era posto per nient’altro. Bastavo a me stessa.” Fece una pausa chiudendo gli occhi, il cui sguardo fin lì aveva indugiato altrove. Poi la guardò diritto in faccia e rabbiosa andò avanti:

“Ma tu, lo sai che significa scoprire di punto in bianco di avere delle esigenze?” Non attese risposta e tirando una botta al bracciolo della poltrona l’accusò. “No che non lo sai! Te ne stavi lì bella, bella a pizzicare le corde di quel dannato violino e intanto io scoprivo la necessità. Come se al posto delle corde stessi pizzicando i miei tendini, al punto che mi veniva voglia di gridare!”

Incapace di star seduta di scatto s’alzò e cominciò un andirivieni che ben s’appaiava alla veemenza con cui proseguì nella sua invettiva. 

“Tu non sai, non puoi sapere, eri così calma e pacifica! Ma io no, e non solo per quello che stava accadendo, quanto per quell’immobilità costante. Ogni santo giorno sembrava che presto sarebbe successo qualcosa, ma poi restava tutto uguale!”

Arrivata davanti al piano su cui erano sparsi i suoi ritratti s’interruppe nuovamente. Ne prese uno in mano osservandolo attentamente, come se non riconoscesse in quei tratti i propri. Lo ributtò nel mucchio con un gesto di rifiuto, trovandone intollerabile la vista e si costrinse a continuare.

“Ci sono stati giorni che avrei pagato qualsiasi cifra perché qualcosa l’infrangesse, perché riuscissi a capire che diavolo stava succedendomi. E sopratutto cosa ti passasse per la testa quando mi guardavi, quando mi parlavi con quella maledetta adorazione stampata sul volto.”  

Alzò le braccia in un gesto d’impotenza che rese perfettamente l’idea di quanto intendeva dire. Poi, quasi ad interpretare la caricatura di sé stessa, recitò interrogativa: E sempre di più a chiedermi è come penso? O mi sto ingannando? Cosa avrà voluto dire? Quell’abbraccio che cazzo significa?!  Dannazione, credevo di essere fatta di pietra e invece mi stavo scoprendo una maledetta spugna! E più tu dilagavi, più io mi gonfiavo e così il mio cuore! Mai avrei pensato di poter soffrire così tanto…”

A sentire questo Michiru fece per aprire bocca ma , sebbene non la stesse guardando direttamente, le fece segno di restare zitta. Non doveva fermarla adesso, se l’avesse fatto non sarebbe più stata in grado di andare avanti. Non si può interrompere un suicida mentre conta i barbiturici che gli occorreranno, sennò non avrà più il nerbo di andare fino in fondo. Per questo ora doveva necessariamente sguazzare nelle sue miserie se voleva uscirne una volta e per sempre. Per cui, perché non toccare il punto più basso? Era giunto il momento di parlarle persino di quel vergognoso sentimento verde, quello che meno di ogni altro tollerava.

“In più ero invidiosa marcia di te, di quelli che ti stavano intorno e di tutto ciò che facevi e del quale non ero partecipe… che schifo!” Berciò prima di dirigere i suoi passi sulla veranda. Giunta davanti al parapetto poggiò le palme sul corrimano, chinò il capo e, nel tentativo di contenere quell’abbondanza copiosa di emozioni che rischiavano di sotterrarla, i muscoli delle spalle le si ingrossarono visibilmente.

Prudentemente Michiru rimase dov’era, conscia che l’altra si stava preparando all’ennesima rivelazione e che quei preamboli le erano necessari per lo sforzo che stava compiendo.  La bionda sbuffò stentando a mascherare la collera per quell’umiliazione cui la violinista l’aveva costretta e s’affrettò a riprendere, nella speranza che quel supplizio finisse presto.

“Eppure continuavo a negare che potesse essere amore, ed è giusto! Perché io non ne sono capace. Ma soprattutto perché era mia indiscutibile convinzione che nessuno  avrebbe potuto farmi perdere la testa. E meno che mai una ragazzina che fin lì avevo giudicato insignificante!”

Di questa sortita chiunque altro se ne sarebbe adontato, ma non Michiru, che si limitò a sorriderne come un matematico a cui gli tornano tutti i conti. Fin qui s’era impedita con molta fermezza di avere qualsivoglia reazione a quanto andava via, via udendo, ma l’insofferenza malcelata di una simile dichiarazione esprimeva molto più di quanto la sua autrice avesse voluto manifestare.

Oh Haruka, proprio tu non ti rendi conto che meno moltiplicato per sé stesso produce più!

Pensò intenerita, possibile che fosse a tal punto sconvolta da dimenticare un concetto così elementare? E per questo Michiru si lasciò sfuggire quel sorrisetto e scosse il capo, ché quella lamentela suonava ai suoi orecchi come la più lieta delle melodie. Ma guai a farglielo capire, per cui si ricompose immediatamente e tornò a prestare attenzione a quanto stava accadendo intorno a lei. Non molto per la verità, la bionda era tornata alla sua poltrona preferita e aveva preso a giocare col  koboloi col quale era solita gingillarsi e pareva che non volesse aggiungere altro. Da dove venisse quello scacciapensieri non era difficile intuirlo, probabilmente doveva essere  una regalia di Ame. Oppure era di quell’altra? L’unica volta che era entrata nella camera da letto che qui occupava la bionda infatti, subito la sua attenzione era stata catturata dalla foto incorniciata di quella donna, ma non aveva mai avuto il coraggio di chiederle chi fosse e perché non gliene avesse mai parlato. Però ora, chissà perché, si convinse che quel rosario, che instancabile Haruka stava scorrendo, come se cercasse nei suoi grani le risposte che da sola non trovava,  non potesse essere altro che un suo lascito.

Ad ogni modo si erano arenate, doveva parlare lei ora? O semplicemente sollecitarla con un gesto, un incoraggiamento qualsiasi? Mio dio, sbagliare adesso avrebbe prodotto più danni di uno tsunami.

Stava ancora dibattendosi tra le varie possibilità, quando s’accorse che l’altra la stava squadrando con un cipiglio piuttosto truce.

“Cosa?” Chiese con la medesima cautela di chi stia camminando sulle uova.

“Niente, mi chiedevo se avessi finito di fare i tuoi comodi. In caso affermativo, vorrei concludere, ché dopo c’ho un appuntamento urgente!” Fece tagliente e visibilmente spazientita.  

“Guarda che sei tu che ti sei interrotta.” Le fece notare con estrema pacatezza.

“E certo, per darti l’agio di ridermi in faccia comodamente!” Affermò ricominciando a prendere giri.

“Non ridevo di te.” Pazientemente Michiru tentò di riportala in carreggiata.

“E allora di chi? Porca puttana, pensavi ai fatti tuoi, neanche mi stavi ad ascoltare!”

“Non è vero e lo sai. Per favore continua.” La pregò accorata senza vergognarsi di poter apparire implorante, ché se fosse stato soltanto quello il prezzo, da un pezzo l’avrebbe supplicata.

Tale atteggiamento parve disorientarla, farle perdere parte della carica eversiva che le aveva proiettato addosso fino a quel momento. Provò più di una volta a parlare e riprendere il filo da dove s’era interrotta, ma come apriva la bocca per farlo, così la vista dell’abbattimento dell’altra neutralizzava immediatamente i suoi strali.

Accidenti, non ce la faccio a vederla così!

“Ti viene difficile senza opposizione eh?” La sollecitò la violinista interpretando le sue espressioni con una chiarezza impressionante. Già, davanti alla mansuetudine la bionda non sapeva proprio che pesci pigliare. Per cui si risolse a domandarle quanto da tempo si era riproposta, ma che non aveva mai trovato la fermezza di chiederle.

“C’è una cosa che ho bisogno di sapere Haruka, e credo che momento migliore di questo non ci sia. Dimmi la verità, lo provocasti ad arte il nostro litigio, vero?”

“Già.”

Ammise allargando le braccia come per giustificarsene, poiché se era arrivata a capire questo, allora era inutile continuare con quella commedia. Via, senza rete! A che pro non spiattellarle tutto?

“Sì, ma non l’avevo pianificato, se ti riferivi a questo. Stavi diventando pericolosa, troppo,  per cui quel pomeriggio, appena cominciasti ad usare quel tono tronfio, ne approfittai per portare la conversazione dove volevo io. Non che avessi bisogno d’un pretesto per andarmene o mandarti affanculo, sia chiaro. Ma se ti avessi lasciato pensare che era stata tutta colpa tua, beh, sarebbe stato tutto molto più semplice.”

“Non fa una piega Haruka. Ed è commovente l’analisi approfondita delle emozioni che ti ha portata ad applicare sulla mia pelle il principio di azione e reazione!”

Il sarcasmo umiliato cui grondava questa constatazione della violinista parve farla contrarre su sé stessa. La bionda infatti annuì incapace di respingere l’implicita accusa. Aveva ragione da vendere, ma c’era dell’altro da dire a proposito, non per spiegarsi, perché tanto ormai ogni difesa sarebbe stata vana, quanto per superare questo impasse e arrivare al nocciolo della questione.

“Sì, sono stata una carogna, e chi lo nega? Ma ti posso assicurare che il sollievo provato è stato di breve durata. Non sai quanto mi sono sentita mortificata quando ho capito che era stato del tutto inutile. In sostanza i miei sentimenti continuavano a crescere come se non mi fossi affatto mossa da lì.  Mi sono riempita le giornate con mille impegni, ma credi che sia servito? Te lo dico io, non è servito ad un cazzo. Il pensiero mi sbatteva sempre allo stesso posto e pure quando cercavo di metterci un argine, sostituendolo con qualcosa d’altro, era sempre a te che tornava. Ho passato notti e notti insonni a cercare di dominarmi, stringendo i denti e dimenandomi nel letto come un’indemoniata. E quando poi infine la stanchezza aveva la meglio, persino i miei sogni mi tradivano e c’eri tu, sempre, che m’abbracciavi e mi tenevi stretta a te… Setsuna crede di essere un genio di tattica, ma la verità, quella che mi sono sempre taciuta fino a che non me ne sono venuta qui a pensarci sopra con la reale intenzione di farlo, è che mi ha solo porto la scusa che cercavo da tempo per tornare sui miei passi.”

Ecco l’aveva detto e non era morta, né Michiru sembrava particolarmente sorpresa. Si limitava a fissarla di tralice con gli occhi semichiusi, valutandola e soppesando le sue parole, come se non fosse ancora pronta a scoprire il suo gioco e attendesse la sua successiva mossa. Poteva biasimarla? Chiaramente no, era l’identica tattica da lei stessa usata fin dal primo momento nei suoi confronti, e dava frutto. Quindi non c’era nulla su cui sindacare. Toccava ancora a lei parlare, spiegarsi, aprirsi e poi, eventualmente, avrebbe potuto protestare per il fatto che se ne stesse in agguato ad aspettarla in riva al fosso.

“Ora probabilmente ti starai chiedendo perché montai quel teatrino sull’Albatros… già, perché? Perché non riuscivo a sopportare, così come non lo sopporto adesso, che tu abbia tanto potere su di me. E’ inammissibile, non posso essere in balia di un’altra persona a tal punto, altrimenti la me stessa che ho creduto di conoscere fino ad ora  non esiste e mi sono cullata per diciassette anni nell’illusione d’essere quella che non sono. E porca puttana Michi, mi piacevo, ero più che soddisfatta di me! E invece che scopro? Che quella che rideva delle romanticherie, sospira alla luna! Che quando non ci sei anche l’aneddoto più divertente è senza senso, che la musica non ha più colore, l’agonismo mi lascia indifferente e le attività di tutti i giorni sono utili solo nella speranza di stancarmi al punto da dormire qualche ora di sonno agitato la notte!”

Sbottò infuriata, alzandosi e andandosene fuori al terrazzo, come se la vista dell’altra le fosse intollerabile. Michiru si trattenne dal seguirla, doveva riflettere poiché, la serie di rivelazioni, culminate in quell’eccesso di rabbia nerissimo, appena udite le diedero finalmente la definita cognizione dell’estensione del tormento dell’altra. Haruka non respingeva lei, no, la bionda rigettava la portata stessa dell’amore che nutriva. E Michiru solo ora che veniva fatta partecipe di questi intimi strazi, cominciava ad afferrarne la profondità e il paradosso.

Forte di questa convinzione non ebbe più remore, a passo lento e silenzioso la raggiunse e si attardò a fissarne la schiena rigida, ché Haruka le dava ostinatamente le spalle e se ne stava con entrambe le braccia appoggiate al pilastro della loggia. Guardava nel buio ma non vedeva né capiva nulla, attendeva e basta.

Adesso o mai più, pensò la violinista intuendo che una volta calato il silenzio Haruka non ne avrebbe mai più riparlato. Ed era esattamente in questo preciso momento che doveva sapere che veniva ricambiata allo stesso modo, sennò sarebbe andata di là di ogni limite. Un’oltre che la violinista temeva moltissimo, perché ora che aveva inteso quanto precedentemente sfuggiva ad ogni comprensione, le riusciva facilissimo immaginarsi quel che l’altra aveva intenzione di fare. Probabilmente l’avrebbe portata in una terra di nessuno dove avrebbe tentato d’oggettivizzare ogni sentimento, finché non si fosse persuasa di esserne indifferente, fino a chiudersi di nuovo nella sua torre d’avorio e allontanarla definitivamente.  

E così come a bordo dell’Albatros l’aveva cinta in quella stretta muta, altrettanto fece adesso. Solo che stavolta non lasciò che rimanesse voltata, né che l’emozione l’impedisse di agire. La fece girare nel cerchio delle sue braccia e Haruka non oppose resistenza neppure quando le passò le braccia intorno al collo e si avvicinò tanto che le loro labbra si sfiorarono quando quest’ultima fece riudire la propria voce.

“Sì Michiru, tu mi fai paura. Mi terrorizzi perché  hai il potere di disgiungermi dalla parte di me che è più forte. A causa tua mi sento esposta e vulnerabile a tremare di freddo. E tutto ciò è deleterio. Credimi, fino a qualche giorno fa ancora mi cullavo alla lusinghiera idea che il mio sfuggirti risiedesse nel ben più nobile motivo di non volerti ferire. Ma visto che stiamo parlando fuori dai denti, la verità è che ho solo tentato di proteggere me stessa, perché tu mi annacqui il sangue e mi svergogni alla luce di quanto sono stata e di quanto voglio continuare ad essere!”

Concluse prendendole il volto tra le mani e tenendolo con forza, come se nonostante quanto avesse appena detto, non riuscisse a lasciarla andare. Ma doveva farsi forza, doveva rialzarsi, doveva assolutamente risalire sul suo maledetto piedistallo!  Quindi disse quanto andava detto.

“E’ tutto, tirane le tue debite conclusioni.”

Per tutta risposta Michiru annullò la residua distanza che separava le loro bocche e cominciò a baciarla con trasporto. La bionda avrebbe voluto protestare, allontanarla, ma quelle labbra che accarezzavano le sue le fecero perdere completamente la cognizione tra quanto s’imponeva di volere e quel che davvero desiderava. Divenne tutto cenere nel vento e, senza neppure rendersi conto di quanto stava facendo, la compresse in una stretta incontenibile e, da vittima che era di quel bacio, ne divenne la dominatrice. Quante volte aveva vagheggiato come sarebbe stato? Ebbene, l’immaginazione non aveva nulla a che fare con la realtà, poiché aveva sempre pensato che dolcezza e passione non potessero coesistere, invece le labbra di Michiru le stavano dando entrambe. Inoltre, generalmente era lei che conduceva, ma adesso si ritrovava ad essere a prendere e dare con la stessa intensità, ché la brama dell’altra era identica alla sua, mentre quest’amplesso labiale non aveva nulla in comune con nessun’altro sperimentato prima.

Era l’odore del pane appena sfornato, un girotondo in un campo di girasoli, una sonata di pianoforte al chiaro di luna, l’abbandonarsi del corpo dopo una lotta estenuante, il pensiero che si annulla nella percezione di essere esattamente dove si è sempre voluto. E il vertice sembrava non arrivare mai.

Scombussolata si staccò per prendere fiato e nello zaffiro degli occhi dell’altra vide rispecchiarsi esattamente quanto sentiva agitarsi nel suo intimo. Pareva proprio infatti che anch’essa ne fosse stata travolta. Eppure in quella vampata che le aveva avvinte aveva nettamente percepito quanto fosse profondo quel che quella ragazzina covava dentro di sé. Passione sì, indubbiamente, ma non solo la spinta istintiva della sensualità, era calore di sentimento. Un amore viscerale che non si nutriva di giri di parole come il suo, ma che si amplificava e cresceva attraverso i fatti, gli sguardi, i gesti e in tutta la cadenza dei momenti che insieme le avevano viste protagoniste.

In un lampo ne passò al setaccio i momenti cruciali e quanti le erano parsi senza importanza,  e allora capì e dovette chinare il capo. A questo punto non era solo il suo di cuore a costringerlo, dal primo momento c’era stato pure quello di Michiru che aveva manovrato fino a questa sua resa.

“Mi sa che son bella che fottuta!” Esclamò tendendole la mano.

“Sai una cosa Haruka?” Fece Michiru afferrandola e andando, senza tanti complimenti, ad appollaiarsi tra le sue braccia. “Non troverò mai più nessuno che mi parli d’amore come te.”

Detto ciò cominciò a ridacchiare senza riuscire a fermarsi più. E tutte le sue intenzioni romantiche andarono a farsi benedire. Haruka ghignò a dispetto di tutta quella situazione. Eh sì, proprio come aveva supposto, dal dramma erano passate alla commedia. Poco male, non pretendeva voti solenni, però accidenti a lei, poteva dirglielo che l’amava, no?   

“Amore?” Ribatté indispettita. “Richiama i cani razza di presuntuosa, questa non era affatto una dichiarazione!”

“Ah no?” Buttò lì maliziosa e, anche se non ne aveva affatto voglia, se ne staccò e le si parò innanzi con le mani suoi fianchi.

“Beh potrei anche essermi sbagliata, considerato che tu dici tutto e il contrario di tutto. C’è da rimbecillirsi in effetti, visto che a quanto pare non puoi fare a meno di me, ma nel frattempo te ne senti sputtanata. Sul serio Haruka, sei una schizoide alla prova dei fatti, anche perché hai omesso abilmente di chiarire la natura dei tuoi sentimenti al di là delle ossessioni, per cui mi chiedo se il tuo non sia un caso di osmosi o peggio. Ma dopotutto non credo che tu mi abbia fatto venire qui allo scopo di forzarti al ricovero in una clinica per malattie mentali, altrimenti avresti chiamato Setsuna no? E allora cuore mio, perché non mi dici tutto fino in fondo? In fin dei conti se hai preteso quella chiosa un motivo ci sarà.”

“E pensare che sono io quella che passa per infame! Vuoi vedermi sputare bile eh?”

“Non meno di quanta me ne hai fatta sputare a me tesoro.”

“Sta bene, allora sappi che ho fatto domanda per essere ammessa al MIT dopo il diploma, il che vuol dire che neppure tra un anno me ne ritornerò negli Stati Uniti. Che mi dici adesso amore mio?”

“Che hai fatto benissimo, che un cervello matematico di prim’ordine come il tuo è giusto che aspiri all’eccellenza. Hai in previsione anche un ingaggio in formula Nasdaq?”

“E questo è quanto? Cioè non te ne frega una mazza che me ne vada? Porca vacca Michiru ma fammi capire, stiamo insieme o cosa?”

“Certo che sì, oppure credi che stessi scherzando prima?”

“Spero bene di no. E allora come la mettiamo? A me solo l’idea della separazione fa male da morire, mi getta nello sconforto, non riesco neppure a pensarci porca vacca!  E tu invece te ne esci col contratto automobilistico? E nel caso che vuoi, la provvigione?!”

 “No, figurati, chiedevo visto che per quanto mi riguarda allo stesso tempo è molto probabile che vada a studiare all’accademia delle belle arti di Parigi, in contemporanea ad un mio più che presumibile ingresso Ecòle dell’Operà.”

“Pure?! Mammina ha lavorato bene in questi mesi eh? Chissà quanti pantaloni ha dovuto sfilare per arrivarci!”

“Tu lascia stare mia madre e pensa a te che ti calzavi la figlia del padrone!”

“Se mi calzavo la figlia del padrone non era per far carriera ma per evitare di saltare addosso a te! E neanche un grazie ho ricevuto!”

“Oh allora grazie tante Haruka per esserti immolata all’altare del sacrificio per me! E dimmi un po’, casomai adesso mi levassi tutto di dosso che faresti? Organizzeresti un’orgia seduta stante?!”

“Che è, una proposta?”

“Sì aspetta e spera!”

“Ma che accidenti stiamo dicendo qui? Si presume che una che sta con me non se ne va in Francia a suonare i piattini!”

“Neppure in America a fare brum brum su una carriola a 200 all’ora Haruka. Ma, come giustamente mi facevi notare durante il tuo logorroico monologo, io non posso annullare la tua vita, e neppure tu la mia. Ma che ti ami è incontestabile e non cambierà. Certo, l’idea della lontananza non piace neppure a me, cosa credi? Però sono convinta che ce la faremo, potrà mai essere peggio di quel che abbiamo combinato nell’ultimo anno? Io non penso.”

“Non mettere limiti alla provvidenza! E poi con quella testa dura che ti ritrovi, non oso proprio immaginare quel che potrebbe succedere…”

“Scenate, telefonate intercontinentali, pianti, maledizioni e felici ricongiungimenti probabilmente. Tutte cose che, bolletta del telefono a parte, potrebbero succedere pure se non ci muovessimo da Tokyo. E ci sono ancora dodici mesi da vivere assieme, come due rette parallele,  prima che tutto questo si concretizzi. Credimi Haruka amore mio, a me il futuro non spaventa affatto.”

“Neppure a me, ma noto che le mie lezioni di geometria non ti sono servite ad una mazza Michi. Mi duole dirtelo tesoro, ma debbo ricordarti che due rette parallele non s’incontrano mai, e onestamente come paragone non mi piace per niente!”

“Siamo a cavallo Haruka, non ti prenderanno mai al Mit, preparati a venire a Parigi con me e a girare in bicicletta col basco in testa e la baguette sotto il braccio.”

“Cosa?!”

“Ehi genio Einstein ha dimostrato che l’universo è curvo e di conseguenza le rette parallele sono destinate ad incontrarsi.”

“Mi sa che hai ragione. Però se somigliano giusto un tanto a noi, non si salutano neppure!”

 

 

 

 

                                                            ……………

 

“Allora ci muoviamo o no? E’ mezz’ora che aspetto accidenti a te!”

“Haruka ma è mai possibile che neppure al bagno mi fai stare tranquilla? Fammi fare la doccia in santa pace.”

“Sei lì dentro da due ore, vuoi che vada in mezzo alla natura per fare quel che devo fare?!”

“Sbraita quanto ti pare, tanto non ti faccio entrare.”

“E capirai, sono dieci anni che ti conosco, tutto quel che c’era da vedere ormai l’ho visto!”

“Ne sei proprio sicura?”

“Certo...”

“Allora entra!”

“Mio dio che ninfomane, ma in testa c’hai sempre la stessa cosa?!”

 

 

 

Fine

 

 

 

 

 N.d.A.

 

A mio padre, con tutto l’amore e l’ammirazione che gli porto.

Una lastra di marmo non potrà mai separarci, sarai sempre con me papà.

 

Aurelia

 

 

 

Finalmente ce l’ho fatta, anche se disperavo di riuscirci vista la piega presa dalle cose negli ultimi mesi.

Dunque, innanzi tutto i ringraziamenti a chi mi ha seguito, e commentato, fin dall’inizio e a chi si è aggiunto strada facendo. A voi tutti la mia imperitura riconoscenza per i complimenti, i commenti salaci, gl’incoraggiamenti e tutte le parole cui ho fatto tesoro a livello personale e migliorativo. In quanto che, da un certo punto in poi, ho molto fidato sulle vostre reazioni per perfezionare quanto andavo scrivendo. Un grazie speciale al Thartaruka Fan Club (l’ho scritto bene?) alla sua presidentessa e a tutti i suoi membri, ché se la storia ha avuto un lieto fine è solo perché poi non avrei sopportato le vostre lamentele!

Non mi dilungo oltre, giacché non voglio assolutamente che questa nota a piè pagina rischi di sembrare una autocelebrazione, salvo che per sottolineare di nuovo l’epigrafe di cui sopra. Ché lo sforzo creativo e quanto ne è derivato è dedicato con immenso amore, e la certezza che non li dimenticherò mai, a due persone che non ci sono più.

Bene, per il momento è tutto, e spero che l’epilogo non vi abbia deluso.

 

 

   
 
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