Melancholia
I tuoi piedi disegnano arabeschi
nella polvere, rivelando il pavimento in economico linoleum. Non ti
piace
quell'appartamento sporco, piccolo, di cui ti vergogni quando vengono i
tuoi "amici".
Stai rannicchiata sotto il letto. La
schiena ti duole a causa del contatto forzato con il termosifone
ricoperto di
vernice verde vomito, scrostata. È l'unico
posto vagamente caldo.
Le tue manine esili sono premute
contro le orecchie, fragili, mentre canticchi una canzoncina di qualche
anno fa,
nel vano tentativo di isolarti dalle voci astiose in soggiorno, che
parlano,
parlano, parlano dei soldi che non ci sono, di come riusciranno ad
arrivare a
fine mese.
Quella stanza non sarà mai
abbastanza calda, per te.
Stai immobile nella
sabbia, Nagi.
Piccola e sola, immersa nella nebbia
placida della lacrime che intorbidiscono i tuoi occhi, nascosta nelle
ombre
invisibili e gravide di tristezza che le persone chiamano "solitudine".
Le tue dita tagliuzzate, coperte di
granelli sottili, lambiscono la testa dell'orsacchiotto di pezza
rammendato,
con un sentore d'affetto.
Gli echi delle risate dei bambini
riverberano nella tua caligine personale e, in quel momento, senti gli
aghi
freddi dell'emarginazione conficcarsi nella schiena.
Nel tuo cuore, percepisci l'invidia,
ma da qualche altra parte, credi di non poterli odiare. Non è colpa
loro se
sono felici. Se vogliono essere felici.
È possibile
odiare e non odiare qualcuno allo stesso tempo?
Il fumo si alza
impalpabile, a
piccole volute morbide e aggraziate, verso il cielo ottobrino sopra la
tua
testa.
Tenti di alzare il braccio per
sfiorarlo, ma senti che l'arto è greve.
Guardando il cielo, ti rendi conto
che sta per piovere e pensi - non senza un briciolo di curiosità - che
ti
piacerebbe, per una volta, camminare sotto la pioggia tiepida senza
preoccuparti
di ombrelli e raffreddori.
Riesci quasi a sentire la voce
irritata di tua madre mentre strepita "Sei fradicia".
Ridi.
Ridi, perché sai che non farai in
tempo a vedere il temporale.
Ridi, perché il tuo corpo fuma
nell'aria gelida.
Ridi, perché l'asfalto oggi sta
bevendo il tuo sangue.
Il ronzio dei macchinari
è
fastidioso, sordo.
Qualche parte del tuo inconscio ode
una sfilza di termini medici sussurrati, mescolati alle voci concitate
delle
infermiere alla macchinetta del caffè, agli stridii allegri di qualche
neonato
e alle imprecazioni di tuo padre, che si domanda se il suo capo gli
pagherà
quel giorno di ferie.
I tuoi genitori hanno un modo strano
di volerti bene, pensi. Il tuo naso avverte l'odore asettico dei
medicinali e
quello acre della morte.
Galleggi nello spazio vuoto della
tua mente, trascinata da una corrente torbida e limacciosa, in cui si
vanno a
mescolare i cocci della tua vita e minuti che non sembrano passare. Mai.
Non posso crederci che alla
fine lo
abbia fatto (L).
Voglio
dire, era da un po' che avevo intenzione di scrivere qualcosa, ma non
avrei mai
immaginato sarebbe stato qualcosa di così altamente depressivo e
qualcosa di
così altamente focalizzato su Chrome. Ultimamente sento una strana
empatia con
lei; sarà mica il tempo che mi sta condizionando?
No,
comunque, ho deciso di darmi alle drabble. Cosa ne pensate? Sono
quattro in
tutto, in ordine cronologico, per ripercorrere un po' la vita di Nagi
pre-Mukuro. Ho riflettuto un po' sul fatto di aggiungerne una quinta
riguardante il suo primo contatto con Mukuro, ma poi ho deciso che
Chrome
doveva essere la regina indiscussa della storia. Cosa ne pensate? Cosa
ne dite
del titolo?
Come al
solito, sarei molto contenta di sentire le vostre opinioni.
A presto.
Kiku