Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Ricorda la storia  |      
Autore: Lady Vibeke    08/09/2008    24 recensioni
Prendete tre ragazzi che vogliono fare una sopresa ad un loro carissimo amico per il suo specialissimo ventesimo compleanno. Prendete un tourbus fatto per essere usato da rockettari poco più che adolescenti e non da massaie incapaci. Prendete una mezzanotte che si avvicina, ingredienti per torte che non rispondono alle leggi della natura e una padronanza della sottile arte culinaria che rasenta il nulla. Infine, considerate che i tre suddetti ragazzi si chiamano Georg Listing, Bill Kaulitz e Tom Kaulitz, e che il carissimo amico in questione è l'imperturbabile Gustav Schäfer.
Risultato? Meglio non pensarci.
Genere: Commedia, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Nota dell'Autrice: Gustav Klaus Wolfgang Schäfer e Georg Moritz Hagen Listing appartengono ovviamente a me e me sola e a nessun altro, mentre Bill e Tom Kaulitz appartengono liberamente a se stessi (o, volendo, rispettivamente ad Ale e Ali XD).

Oh, come amo sognare…

Passando alla serietà:

Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo.

__________________________________________________________________________________

Dedicata ovviamente a quell'Angelo del Sesso di Gustav, che mi ha fatta innamorare come una ragazzina alla prima cotta.

Grazie di esistere.

________________________________________________________________________

 

There ought to be a time
That we can set aside
To show just how much we love you
And I'm sure you will agree
It couldn't fit more perfectly
Than to have a world party
On the day you came to be
Happy birthday to you
Happy birthday to you
Happy birthday

 

(Stevie Wonder, Happy Birthday)

 

 

***

 

“L’incendio non funzionerà mai.”

“Tornado?”

“Sfortunatamente ci troviamo nell’unico degli Stati Uniti che non ha mai visto tornado.”

“C’è sempre una prima volta.”

“Perché non un’invasione di cavallette?”

“Sì, e magari poi anche l’acqua che diventa sangue… Che idea scema, Bill!”

“Oh, Tom, stai zitto, l’incendio era un’idea anche più scema!”

“Buoni, Kaulitz, buoni, qui la situazione è critica.”

Georg bevve una generosa sorsata di aranciata e posò il bicchiere sul bancone della cucina del bus con fare grave, Bill e Tom ai suoi lati che si guardavano truci, lanciandosi fulmini e saette con gli occhi.

La questione centrale della riunione quasi plenaria dei Tokio Hotel (quasi, poiché il componente mancante era parte integrante dell’Ordine del Giorno) consisteva in una delle piaghe più complesse ed estenuanti che li avesse afflitti negli ultimi anni: il compleanno di Gustav.

Stupire Gustav Schäfer poteva genericamente definirsi una mission impossible a tutti gli effetti – tant’era che ormai da tempo avevano tutti quanti umilmente rinunciato a fargli improvvisate di qualunque tipo – ma, al diavolo, un ventesimo compleanno non era mica cosa da tutti i giorni. Abbandonare la cosiddetta teenage era un evento unico, capitava una sola volta nella vita, e il Gran Consiglio (costituito da Georg, i due Kaulitz e dei David e Benjamin del tutto privi di fede) aveva democraticamente decretato un paio di giorni prima che dovevano assolutamente riuscire a fare in modo che Gustav restasse a bocca aperta davanti alla festa a sorpresa (che di fatto poteva considerarsi ben poco a sorpresa, visto che era un rito piuttosto regolare, trattandosi di una ricorrenza annua ben precisa), e ora, stabilito ciò, restava solamente un minuscolo e quasi trascurabile dettaglio marginale da sistemare: come stupire il festeggiato.

Al momento il punto in discussione era la scusa da usare per tenere Gustav lontano dalla sua stanza di hotel abbastanza a lungo da poter organizzare qualcosa di decente prima del suo rientro.

Non avevano ancora pensato a cosa organizzare, ma quello infondo era solamente un altro dettaglio minuscolo e quasi trascurabile, che si univa ad un terzo dettaglio, altrettanto minuscolo ed ancor più trascurabile: il giorno del compleanno di Gustav sarebbe scattato tra circa venticinque minuti.

“Possiamo fare una festa intercontinentale, con i suoi genitori e sua sorella in videoconferenza!” suggerì Bill, deliziosamente avvolto in un grembiulino rosa tutto volant e pois saltato fuori da chissà dove, mescolando in modo pateticamente moscio il facsimile della copia del ricalco di qualcosa che avrebbe dovuto almeno ricordare un impasto di torta al cioccolato.

Il perché, poi, quel supposto impasto al cioccolato avesse una strana ed inquietante colorazione rossastra, nessuno lo voleva sapere.

“L’idea è buona,” disse Tom, eccedendo di sarcasmo nelle stesse quantità con cui stava eccedendo di cannella nella sottospecie di cemento beige che tentava di spacciare per glassa. “Li offri tu i duemila euro che spenderemmo per tenere aperta la comunicazione per qualche oretta?”

La matura risposta di Bill fu un’amorevole carezza fraterna condita con pastella collosa dal nauseabondo odore di fragola, causandogli una crisi isterica.

“Bill,” fece Georg con una smorfia di disgusto. “Che diavolo ci hai messo lì dentro? Doveva sapere di cioccolato!”

Bill sfoggiò uno dei suoi collaudati sguardi da angelo senza colpe e peccati:

“Vi ricordate quel bellissimo colorante alimentare rosso che avevo visto al supermercato?”

“Quello che ti avevamo severamente vietato di comprare?” chiese Tom, già sapendo quanto fosse inutile una simile domanda.

“Sì,” disse Bill serafico. “Ho pensato che con il cioccolato fondente nero e la glassa bianca, mancava solamente il rosso per avere i colori Tokio Hotel!”

Georg si passò una mano sul viso con la stessa pazienza forzata di chi aveva a che fare con un imbecille.

“Bill quella cosa di che colore ti sembra?”

“Rosa.”

“Ricordami da quando in qua il rosa fa parte del set di colori-tema dei Tokio Hotel.”

Bill si limitò a fare spallucce e tornare al proprio lavoro.

“Faremo cambiare il rosso con il rosa,” disse, e con una mano si lisciò addosso il grembiulino, sorridendo raggiante. “Mi dona, vero?”

Tom e Georg si guardarono senza trovare le parole. Bill era incredibile: qualunque fosse la situazione, era in grado di fare diventare il tutto rapidamente Bill-centrico.

“Sei un amore, Billa.” Lo assecondò Tom, e Bill gli fece un gestaccio.

“Basta, voi due!” Georg cercò di ammansirli, tenendoli indietro con le braccia. “Gustav a momenti torna dal cinema e noi siamo ancora in alto mare! Domani possiamo inventarci qualcosa, ma, cazzo, avete voluto fare questa maledetta torta e adesso la facciamo!”

Non appena finì di dirlo, tutti e tre i loro sguardi caddero sul disastro monumentale al loro cospetto, che più che un’accozzaglia di stoviglie ed utensili sudici, pareva un campo di battaglia che aveva mietuto molte migliaia vittime.

L’idea della torta, nemmeno a dirlo, era stata di Bill. Georg e Tom avrebbero dovuto sapere che portarlo a fare la spesa avrebbe rappresentato una catastrofe dai danni incalcolabili, ma i capricci di Bill erano un’arma potente ed invincibile, pertanto erano stati costretti alla resa incondizionata e a trascinarselo dietro. Quello che avevano ottenuto, partendo da un pronostico di mezz’oretta scarsa per comprare qualche bottiglia di cocacola e un paio di schifezze malsane, era un’ora e mezza di corse estatiche tra uno scaffale e l’altro accompagnate da gridolini entusiasti ed un paio di carrelli riempiti fino all’orlo di roba che Tom aveva efficacemente definito “cagate”. Tra quella montagna di roba, Bill ci aveva infilato l’occorrente per preparare una torta, la cui ricetta era riportata sul retro della confezione di preparato per glassa istantanea a cui stava lavorando Tom.

“Secondo voi è questo l’aspetto di un bianco d’uovo montato a neve?” domandò Georg, rigirando nella terrina il ributtante liquame bianco lattiginoso. Gliene era finito un po’ addosso, ma anche lui, come Tom, si era categoricamente rifiutato di abbassarsi ad indossare un grembiule, così Tom aveva scelto di legarsi al collo un asciugamano da cucina a scacchi rossi e bianchi, mentre lui aveva preferito evitare di sporcare inutilmente qualche cosa e si era semplicemente sbarazzato della maglietta, rimanendo a torso nudo.

“Tu stai usando una forchetta, ma qui dice che per montare a neve gli albumi bisogna usare una frusta.” Lesse Tom sulla confezione. I tre si guardarono straniti.

“Intende proprio la frusta che penso io?” chiese Bill, gli occhi sgranati ed una striscia di pastella rosa sulla guancia destra.

“Beh, conoscete altri tipi di frusta?” fece Tom con ovvietà.

Gli altri due scossero impotentemente la testa e tornarono a fissare gli albumi, che giacevano miseri e schiumosi sul fondo della ciotola, pieni di bollicine scoppiettanti e grumi sospetti.

“Che schifo!” fu il nauseato commento unanime che si levò dalle loro bocche contratte.

“No, ragazzi, così non va,” sbuffò Tom, sbattendo il cucchiaio di legno nel mezzo della glassa che stava mescolando, la quale era ormai sorprendentemente simile ad un mucchio di argilla quasi rappresa. “Di questo passo Gustav si ricorderà di questa data come il suo compleanno più deludente e disgustoso.”

“E appiccicoso.” Aggiunse Bill, leccandosi elegantemente le dita una per una con un’espressione di pura delizia.

“Ok,” Tom si fece avanti verso l’impasto abbandonato da Bill, prese la terrina tra le mani impiastricciate di glassa marroncina e ne studiò incerto il contenuto. “Direi di provare a mettere tutto nel forno e vedere cosa succede.”

Guardò Georg in cerca di appoggio, le guance attraversate da ditate di pastella rosa firmate Bill Kaulitz che lo facevano assomigliare ad un gatto con i baffi storti.

“E sia,” approvò Georg, non senza esitazione. Dopotutto, non era certo che quel forno fosse mai stato usato per scopi diversi dallo scongelamento di alimenti precotti. “Incrociamo le dita. Se saltiamo in aria, sarà stato a fin di bene.”

Bill si piantò sdegnosamente le mani sui fianchi.

“Sì, proprio un bel titolone scoop per le prime pagine: Bill Kaulitz muore in un’esplosione di glassa mentre tenta la preparazione di una torta.” Enunciò con un’enfasi teatrale, il volto contratto dalla partecipazione emotiva.

Tom scoccò una rapida occhiata a Georg e si accigliò.

“E noi due chi siamo, scusa?” protestò.

Bill gli rispose con un gesto incurante.

“Elementi scenografici secondari.”

“E Gustav visse felice e contento, ereditando tutti i diritti d’autore del gruppo.” Completò Georg ironico, coronando il già macabro quadretto accennato da Bill.

“Come se gliene fregasse qualcosa dei soldi…” commentò Tom. “Basta dargli una panchina all’aperto e quattro chiacchiere rilassate ed è felice.”

Bill si portò le mani sul cuore.

“Che bello dev’essere sapersi accontentare di così poco.” Sospirò sognante.

“Già, un’emozione che a te resterà ignota per l’eternità.”

“Ma senti chi parla!”

“Allora,” li interruppe Georg, presagendo una potenziale degenerazione della situazione. “Vogliamo infornare questo disgusto d’alta pasticceria e vedere cosa capita?”

Gli altri due si scagliarono un ultimo sguardo truce, ma poi annuirono.

Nessuno di loro avrebbe mai creduto che fare un misero dolce potesse essere un’operazione così complicata.

La parte più difficile fu capire che cosa intendesse la ricetta quando diceva di “imburrare la teglia prima di versare il composto”, visto che:

1)      il tourbus, nonostante fosse provvisto di ogni genere di amenità tecnologica all’avanguardia, non possedeva alcunché di rassomigliante ad una teglia come quella raffigurata sulla scatola;

2)      ma il burro non andava dentro all’impasto?;

3)      Bill si ostinava a sostenere che “imburrare” era un oscuro termine tecnico culinario molto ingannevole di cui non avrebbero mai compreso il reale significato;

Dopo estenuanti fatiche e diverbi concernenti le varie tecniche di infornamento della cosa più simile ad una teglia che erano riusciti a rinvenire (ossia la vaschetta di alluminio del pollo arrosto che avevano divorato a pranzo, accuratamente lavata prima del riciclo) e venti estenuanti minuti di cottura, i ragazzi fissavano lo sportello del forno elettrico con la fronte corrugata dalla perplessità, domandandosi se quella crosticina secca che si stava formando lungo i bordi della vaschetta fosse normale, visto soprattutto che la cosiddetta “torta” non accennava a lievitare.

“Non dovrebbe gonfiarsi e diventare voluminosa e soffice?” domandò Georg stranito, mentre la tirava fuori: aveva un aspetto duro e davvero poco invitante per uno stomaco umano. “Non dovevamo mettere il lievito?”

“Ma è possibile che tu sia così ignorante?” si intromise Bill, scuotendo altezzosamente la testa. “Lo sanno tutti che il lievito va messo come ultima cosa.”

Tom sollevò scetticamente un sopracciglio.

“Cioè dovremmo versare quella polverina sopra la torta?”

“Esatto,” annuì Bill con aria saccente. “La copriamo bene con un bello strato omogeneo di polvere bianca, come fanno in TV.”

Georg si portò pazientemente una mano alla fronte, volgendo gli occhi al cielo con la sensazione di avere a che fare con uno che non aveva la più pallida idea di che cosa fosse il mondo reale.

“Bill,” sospirò. “Quello è zucchero a velo, non lievito!”

L’espressione saputa di Bill si affievolì rapidamente.

“Ah. Beh, fa lo stesso, il lievito va per ultimo.”

“Se lo dici tu,” fece Georg, affatto persuaso. “In ogni caso… Ora come la togliamo la torta da qui dentro?”

“Facile,” disse prontamente Bill. “Tagliamo l’alluminio!”

“E poi dove la mettiamo?” domandò Tom.

“Su un piatto, no?” replicò Bill in tono pratico.

Le facce di Tom e Georg trasudavano tetra e rassegnata incredulità.

“Bill, guarda bene questa cosa,” gli disse Georg, mostrandogli la teglia ancora bollente. “La vedi la sua forma?”

“Alla perfezione.”

“Che forma ha?”

“Rettangolare.”

“Molto bene,” si complimentò Georg. “E che forma hanno i piatti?”

“Rotonda.”

“Grandioso. Ora, recupera tutte le tue scarse nozioni di geometria elementare e rifletti un secondo: come facciamo a mettere una torta rettangolare su un piatto rotondo?”

“Oh, che sottigliezze!” si lagnò Bill, per niente toccato. “La tagliuzziamo un po’ per arrotondarla, cosa ci vorrà mai?”

Osservarono tutti e tre il monoblocco brunito, così solido che probabilmente nemmeno una motosega sarebbe riuscita a fargli cambiare forma, e alla fine scrollarono le spalle.

“Proviamo,” si arrese Georg. “Al massimo copriamo i danni con la glassa.”

Aveva già preso un coltello per cercare di tagliare via qualche angolo, quando una schiarita di gola di Tom fece voltare lui e Bill:

“Ragazzi, abbiamo un problema.”

A Georg stava per venire da piangere.

“Un altro?!”

Tom annuì gravemente.

“Sì. La glassa si è cementificata.”

“Come sarebbe a dire?”

“È dura come il marmo.” Spiegò Tom, e così dicendo, afferrò il cucchiaio che era immerso nella citata glassa e lo sollevò, trascinandosi dietro tutta la ciotola come se si fosse trattato di un'unica cosa.

“Che cazzo di composto chimico ti è venuto fuori?” esclamò Bill, inorridito. “Doveva essere zucchero fluido, non un sedimento calcareo!”

“E io che ne so?” si difese Tom, agitando il cucchiaio, e con esso tutto il resto. “Ha fatto tutto da sola, io mi sono limitato a mescolare!”

Bill, per la verità, si stava divertendo un mondo. Era raro che avessero occasione di pasticciare così, senza la supervisione strettamente limitante di qualche manager o guardia del corpo (che comunque se ne stavano a pochi metri dal bus a sbevazzare in tutta calma).

Ok, la cucina era un disastro e non sarebbe mai venuta pulita nemmeno a lavarla con l’acido, ma in compenso se la stavano proprio spassando. Gli dispiaceva soltanto che mancasse Gustav, ma si ripromise che avrebbero presto fatto qualcosa di simile per il compleanno di Benjamin, che sarebbe stato il mese prossimo.

“Ehm,” Tom sventolò una mano per attirare la loro attenzione. “Non vorrei sembrare monotono, ma… Abbiamo un altro problema.”

Georg era sicuro che fosse un buon momento per suicidarsi con onore.

“Cos’altro c’è?”

Tom picchiettò le proprie nocche sulla superficie della torta.

“Questa roba è anche più pietrificata della glassa.”

“Merda.”

“Nessun problema,” Bill si fece avanti, tirandosi su le maniche. “Qualcuno ha uno scalpello?”

“Sì, Bill, sempre in tasca!” rispose Tom, esasperato.

“Se lo avessi, lo userei contro di te.” Si aggiunse Georg, che cominciava a sentirsi esausto come nessun concerto era riuscito a ridurlo.

“E se facessimo finta che è stato intenzionale?” suggerì Bill, gli occhi che gli brillavano. “Gli facciamo una festa a tema sulla pietra, stile Flintstones!”

Tom fece del proprio meglio per tenere la propria mandibola al proprio posto, benché la voglia di lasciarla cadere liberamente fosse piuttosto forte.

Georg, invece, visto che ormai si era toccato il fondo di ogni senso del decoro e della decenza e perso anche l’ultimo briciolo di dignità virile, decise che era giunto il momento di fare fuori Bill una volta per tutte, quindi si voltò verso Tom e gli allungò una mano aperta.

“Wilma, dammi la clava.”

Con un rumore secco, Tom staccò il cucchiaio di legno dalla massa di glassa.

“Ammazzi Betty?” domandò a Georg, porgendogli l’arma.

“Sì.”

“Fai pure.”

Georg brandì il cucchiaio contro Bill e questi arretrò orripilato.

“Non osare avvicinarti con quel coso sudicio!” strillò. “Lontano da me, Hagen!”

Georg rise.

“In confronto a te, questo cucchiaio è immacolato, Bill!”

“Ah sì?” fece Bill con un sorrisino sornione. “Staremo a vedere!”

Senza dare a Georg il tempo di reagire, Bill affondò una mano nella sostanza melmosa che avrebbe dovuto essere albume montato a neve (il quale comunque avrebbe dovuto trovarsi dentro alla torta, e non certo ancora lì fuori) e ne afferrò un’abbondante manciata, scagliandola contro all’amico. Il liquame spumoso si andò a schiantare contro il petto nudo di Georg con uno splash, e lui rimase immobile a fissarsi mentre l’albume gli colava lentamente lungo gli addominali, dirigendosi verso i pantaloni. Quando risollevò esterrefatto lo sguardo, Bill temette per la propria vita.

“Sei una diva morta, Betty Kaulitz!”

“Hai cominciato tu!” pigolò Bill, facendosi piccolo piccolo in un angolo.

“E io metterò fine a tutto, a partire dalla tua vita!” ruggì Georg, fingendosi furioso, riempiendosi un pugno di albume semimontato.

Con uno strilletto acutissimo, Bill zompettò rapidamente alle spalle di Tom, facendosi scudo con lui.

“Tomi, salvami!” lo implorò.

Tom cercò di scrollarsi di dosso il fratello, ma Bill si era attaccato a lui con le sue dita dalla morsa letale e non lo mollava.

“Lasciatemi fuori da questa sto…”

Splash.

Il lancio di Georg che doveva essere diretto a Bill colpì Tom in pieno viso, impiastricciandogli anche i capelli e buona parte del grosso fazzoletto che si era legato al collo, mentre un urletto isterico di Bill, che gli si era prontamente rannicchiato dietro, faceva da sottofondo.

“Vaffanculo!” imprecò Tom, mentre la bianca fanghiglia gli colava ovunque. “Che cazzo c’entravo io?!”

“Tu c’entri sempre qualcosa.” Sghignazzò Georg, subito imitato da Bill.

“Va bene, questa te la se proprio cercata, Moritz!” sbottò Tom, e con un balzo felino arraffò la terrina con gli albumi, preparandosi a colpire.

“Tom, non ti azzardare!”

Tom sogghignò beffardo.

“Oh sì!”

“Oh no!”

“Oh sì!”

“Tom, ti avverto…”

Splash.

Per un attimo tutti si domandarono che cosa fosse stato colpito al posto di Georg, che si era abbassato giusto in tempo per scansare il lancio a tradimento di Tom. Rimasero immobili tutti e tre per un istante e si fissarono, poi i loro sguardi si voltarono lentamente verso la porta, dove individuarono la tragicomica figura di Gustav, fermo impalato con una scatola bianca in mano, la faccia grondante di densa schiuma.

“Ehm… Ciao, Gusti.” Mormorò Bill, grattandosi la nuca.

Gustav non si mosse, se non per passarsi una mano sul viso e liberarsi la vista, poi li squadrò uno ad uno con un’espressione indecifrabile. I tre fecero per dire qualcosa, ma lui li precedette:

“Pensate che lo voglia sapere?”

Georg sorrise, sforzandosi di non ridere.

“No, credo proprio di no.”

Sia lui che Bill e Tom stavano cercando di frapporsi tra la visuale di Gustav e il macello di stoviglie ed ingredienti vari ed eventuali che si erano lasciati dietro, ma quello era il genere di trucchetto che avrebbe funzionato con Bill, non di certo con un tipo sveglio come Gustav.

“Cos’è successo qui dentro?” domandò infatti quest’ultimo, guardandosi intorno smarrito, passando in rassegna incrostazioni sospette di pastelle varie, montagne di ciotole grondanti delle più svariate cose e strati di polvere di farina, per tornare infine su loro tre e le loro numerose macchie. “Mi sono perso la terza guerra mondiale?”

“Io ve l’avevo detto che ci sgamava!” bisbigliò Bill imbronciato. Tom e Georg gli sferrarono due gomitate disinvolte.

“Zitto, cretino!”

Era già abbastanza imbarazzante farsi trovare immersi fino al collo nel caos assoluto, chi mezzo nudo, chi infagottato in un atroce grembiulino rosa e chi con un mezzo lenzuolo legato al collo, senza aggiungerci anche il fatto che la persona per cui era stato specificatamente tirato in ballo tutto quel disastro era appena stata resa partecipe della loro miserrima disfatta. Per di più, aveva anche una bella porzione di schifezza appiccicosa ben spalmata sulla faccia.

Per il suo primo quarto d’ora da ventenne, doveva essere piuttosto sconfortante.

“Ragazzi,” Gustav si avvicinò, lasciando la scatola sul tavolo. “Chi ci avete massacrato, qui dentro?” Guardò interrogativamente prima Bill, poi Tom ed infine Georg. “Chi meritava tanta crudeltà?”

I tre assunsero un’aria afflitta e colpevole, sospirando mogi.

“Tu.” Confessò Bill alla fine, strofinando la punta di un piede sul pavimento, le mani affondate nelle tasche della felpa.

Gustav sbatté le palpebre confuso.

“Io?”

“Beh, ecco…” Tom si mordicchiò il labbro inferiore. “Insomma, stavamo cercando di fare una cosa… Sai…”

No, Gustav non sapeva, ma ora aveva quasi paura di scoprire come stavano le cose. Il tourbous, così conciato ed imbrattato, faceva spavento, e loro tre non erano messi poi tanto meglio. E poi… Era veramente un grembiulino rosa quello che Bill aveva addosso? E da dove diavolo era saltato fuori?

Per l’appunto, preferiva non sapere.

“Oh, al diavolo,” sbuffò Georg, sollevando arrendevolmente la braccia. “Stavamo tentando di farti una torta.”

Gustav sbatté nuovamente le palpebre.

“Una torta.”

“Sì.”

“E dove sarebbe questa torta?”

Georg, Bill e Tom non fecero altro che puntare gli indici verso la vaschetta contenente la lastra di granito che avrebbe dovuto rappresentare una torta. Gustav la occhieggiò con diffidenza da lontano, senza osare avvicinarsi, e annuì solennemente.

“E voi avete combinato tutto questo casino mentre io ero al cinema?”

“Sì.”

“Per me.”

Tre teste annuirono colpevoli.

“E il risultato è…” Gustav sfiorò dubbiosamente la superficie secca e rugosa della cosa. “Questo.”

Loro annuirono ancora.

“Capisco.” Disse allora lui, comprensivo. Con una mano si tolse il cappellino che ancora portava e con l’altra finì di ripulirsi il viso dallo strato di albumi flaccidi. Li studiò uno per uno impassibile, e loro si chiesero fino a che punto fosse deprimente avere degli amici tanto incapaci, ma poi le labbra di Gustav ebbero un impercettibile movimento, e poi, tutt’un tratto, si spalancarono in uno dei sorrisi più luminosi e raggianti che si fossero mai visti.

“Beh, sono commosso.”

I suoi occhi scuri brillavano divertiti, lucidi ed anche più sorridenti della sua bocca.

“Davvero?” fece Tom, sbalordito.

“Davvero.” Confermò Gustav, contento.

“Ma… Abbiamo combinato un disastro!” mormorò Bill, affranto, il cuore che quasi gli faceva male per la delusione. “Fa tutto schifosamente schifo, non abbiamo concluso un bel niente… E siamo anche stati colti in flagrante!”

Gustav rise sommessamente, scuotendo lentamente il capo.

“Mi avreste mai detto di tutta questa impresa titanica, se aveste fatto in tempo a pulire?”

“Certo che no!” esclamò Tom.

“Peccato,” replicò Gustav, raccogliendo con un dito della pastella che era rimasta attaccata alla parete. “Perché è la cosa più patetica e malriuscita che qualcuno abbia mai fatto per me,” Vide le loro facce farsi cupe e frustrate, ma lui sorrise di nuovo. “E anche la più bella, devo dire.”

Esterrefatti ed increduli, i tre grandi pasticceri lo fissarono ammutoliti.

Stava davvero dicendo che apprezzava quel disumano orrore?

“Oh, a proposito!” saltò su Bill improvvisamente, come se avesse preso la scossa. In due saltelli raggiunse Gustav e, con uno sorrisone abbagliante, lo avvolse tra le proprie braccia, stringendolo forte. “Buon compleanno, Gusti!”

Nonostante un po’ gli mancasse il fiato, Gustav ricambiò l’abbraccio fin troppo affettuoso e diede un paio di pacche amichevoli alla schiena ossuta di Bill, il quale si decise a lasciarlo andare solo quando Tom gli ricordò che non esisteva solo lui.

“Auguri, Gustav.” Gli disse Tom, afferrandogli una mano e incontrandolo con una spallata in un saluto molto hip hop, poi fu il turno di Georg.

“Non vorrai abbracciarmi anche tu, vero?” disse Gustav, arretrando, le mani protese in avanti.

Georg lo guardò ferito.

“Perché no?”

“Primo, sei nudo.”

“Sono a torso nudo!”

“Secondo,” proseguì Gustav, ridendosela sotto i baffi. “Il tuo scultoreo torso nudo è cosparso di qualcosa che mi sembra fin troppo simile a della colla.”

A quel punto Georg, la cui pazienza era andata già esaurita da un pezzo, se ne fregò degli scrupoli di Gustav (visto che tanto era già sporco anche lui) e se lo stritolò in un bell’abbraccio energico, trasferendo quasi tutto ciò che aveva addossò a sé sulla sua maglietta pulita.

“Auguri, amico.” Gli disse con affetto, ricordando che la prima volta che gli aveva augurato un buon compleanno era stato ormai più di dieci lunghi anni prima.

Quando si separarono ed anche Gustav fu più o meno sporco quanto gli altri, ci fu una pausa di silenzio, durante la quale tutti quanti si fermarono a contemplare il desolante spettacolo di quella che una volta era stata la cucina del tourbus, e che ora invece sarebbe diventata la ragione per cui tre dei Tokio Hotel sarebbero stati condannati a delle vomitevoli pulizie forzate.

Ma quello sarebbe accaduto un’altra volta, un altro giorno, perché adesso avevano qualcosa di più importante da fare.

“Bene,” esordì Gustav allegramente, sfregandosi le mani. “Se non avete nulla in contrario, io taglierei la torta.”

Georg, Tom e Bill sussultarono terrorizzati.

“Non vorrai mica mangiare quell’obbrobrio e morire il giorno del tuo ventesimo compleanno!”

“A dire la verità sono passato in pasticceria, prima di rientrare…”

Lo guardarono dirigersi verso la scatola bianca con cui era entrato, che avevano completamente rimosso, ed aprirla con un semplice gesto, scoprendo un’invintantissima torta alla panna con succulente decorazioni di cioccolato e zucchero. Era semplice e abbastanza grossa, non aveva scritte o altro, ma ingolosiva solo a vedersi.

“Su, recuperate piatti, forchette e coltelli,” li esortò Gustav. “Fuori c’è una cassa di champagne che ci aspetta, sempre ammesso che non la abbiano già bevuta tutta.”

Dopo un attimo di esitazione, Bill tolse senza sforzo i piatti di plastica dal ripiano più alto della credenza, Tom invece prese le forchette e i coltelli, mentre Georg si occupò di tovaglioli e bicchieri.

“Ah, Gustav, che cosa faremmo senza di te?” sospirò Bill sorridente, gli occhi avidamente puntati sulla torta.

Gustav rise.

“Sareste persi, e probabilmente morti di fame.” Scherzò.

“Non saremmo qui.” Asserì Georg con un sorriso che non tradiva il suo tono serio.

Gustav si concesse un momento per dare un ultimo sguardo allo stato di calamità in cui versava la cucina e poi si volse verso i suoi tre amici, indaffarati a spartirsi le cose da portare fuori per festeggiare con il resto della troupe.

Erano dei casinisti imbranati e chiassosi, a volte davvero insopportabili, ma come si poteva non adorarli quando ci si trovava di fronte ad un simile fiasco gastronomico, fatto però con tante buone intenzioni?

Gustav non smetteva mai di ringraziare un’entità indefinita per la fortuna che aveva ad avere degli amici così, completamente idioti ed altrettanto grandiosi.

Se fosse stato un tipo sentimentale, li avrebbe stretti a sé tutti e tre insieme e si sarebbe concesso una sviolinata tipo “Vi voglio bene”, ma quella era una cosa da Bill, non da Gustav, e in ogni caso non serviva che dicesse niente.

Loro lo sapevano.

“Allora, usciamo?” esclamò Tom impaziente. “Voglio mangiare!”

“Ok, ok!”

Gustav si voltò, la torta in mano, e fece per aprire la porta, ma Bill scattò in avanti, bloccandolo.

“Aspetta, solo una cosa!”

Rimasero tutti a guardare mentre Bill allungava il suo dito lungo e sottile e lo faceva scorrere sopra alla panna, raccogliendone discrete quantità. Solo quando ebbe finito fu tutto più chiaro.

Buon compleanno Gustav!

“Ecco fatto,” disse Bill, leccandosi via la panna dal dito tutto compiaciuto. “Adesso sì che possiamo andare.”

“Qualcuno lo vuole?” chiese Tom, mentre scendevano dal bus. “Ve lo regalo. Anzi, vi pago per tenervelo!”

“No, grazie,” rispose Georg. “Ma se lo incarti, possiamo rifilarlo a Gustav!”

“Oh, ma che pensiero adorabile!” osservò Gustav. “Ma se volessi un animaletto domestico, credo che preferirei una sanguisuga.”

“Hey!” protestò Bill, offeso.

Tutti gli altri scoppiarono in una fragorosa risata, e nel frattempo la piccola folla costituita dalla troupe lo accolse con un applauso caloroso.

A Gustav non piaceva essere al centro dell’attenzione, ma ogni anno, una volta all’anno, si godeva la sua serata da star, al riparo da riflettori ed obiettivi, e si lasciava coccolare senza farsi troppi problemi. Quest’anno, poi, sembrava tutto ancora più speciale, e non era perché avevano sfondato anche negli Stati Uniti, o perché la sera prima avevano vinto il premio come Best New Artist ai Video Music Awards 2008 e i ragazzi avevano voluto che fosse lui a tenerlo, né per le migliaia di lettere e regali che erano arrivati per lui alla Universal da ogni angolo del mondo, ma semplicemente perché gli sembrava che fosse tutto molto più semplice e spontaneo delle solite feste nei localoni più in della città di turno.

Posò la torta sul tavolo che era stato montato appositamente per la festicciola e prese il coltello che Georg gli porgeva, pronto a tagliarla, ma non prima di aver riletto per l’ultima volta la frase che Bill vi aveva pasticciato sopra.

Buon compleanno Gustav!

Una frase trita e ritrita, una torta comprata in pasticceria, un gruppo di amici pronti a brindare per il festeggiato… Era incredibile come la banalità potesse essere perfetta, certe volte.

“Allora,” esclamò, affondando la punta del coltello. “Chi vuole la prima fetta?”

“Io, io!” rispose subito Bill, precipitandosi con il proprio piatto.

I presenti risero, alcuni così forte da piegarsi su se stessi.

Era bello che, nonostante gli anni passassero inesorabili, certe cose non cambiassero mai.

 

_______________________________________________________________

 

A/N: Beh, è il ventesimo compleanno di una delle creature più stupende che abbiano mai popolato quest’universo, perciò mi pare il minimo aver scritto questa storia come regalo un po’ atipico (che fra l’altro non riceverà mai, ma lo amo lo stesso). Non è una ff impegnata, nel senso che è stata scritta a cuor leggero con il solo scopo di far sbizzarrire questi tre adorabili disastri e dare al meraviglioso Gud (_Princess_ la sa lunga, ragazze mie) qualcosa di cui sorridere, visto che i suoi sorrisi sono rari come null’altro. Faccio notare che, per esigenze di copione, mi sono permessa di anticipare i VMAs di 24 ore, ma non importa, l’importante è che abbiano vinto e che io abbia vinto un bel po’ di scommesse! XD

Un augurio immenso e un abbraccio caloroso (oh, non lo mollerò mai più!) al biondo più favoloso del mondo e un grazie a voi cari lettori e, spero, recensitori. ^^

   
 
Leggi le 24 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: Lady Vibeke