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Autore: alicerovai    02/08/2014    6 recensioni
Cosa è successo dopo tanti anni passati, a Duckburg?
Le cose sono rimaste uguali, o il tempo ha fatto il suo dovere?
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'aria fresca del mattino era sempre piacevole, ma quando ero in città non ci facevo caso più di tanto.

D'altronde mi ero abituata da ormai molti mesi alla vita di campagna, perciò tutto mi sembrava decisamente più freddo. I grattacieli nuovi mi facevano ricordare le vecchie villette che anni prima si trovavano al loro posto, abbattute una dopo l'altra. Adesso si ergevano quei mostri luccicanti e freddi come il ghiaccio, lasciando poco spazio persino al cielo e alle sue nuvole. Le persone si vedevano raramente in giro. Le più affezionate alla vecchia Duckburg avevano lasciato la città e si erano rintanate nella campagna vicina. I giovani invece, vedendo prospettive di lavoro, avevano messo su famiglia e si erano stabiliti soprattutto in quei grattacieli. Ma sembravano aver perso tutto il calore ed erano completamente presi dal lavoro. Erano ricchi, ma anche infelici. Questa più o meno era la nuova Duckburg.

Io, in quel momento, non ero che una nota stonata in tutto quel nuovo mondo moderno. Ma non ero venuta lì per tornarci. Ci venivo ogni settimana, e sempre e solo per lo stesso motivo, che non era certo godermi la città, di cui non era rimasto nulla, almeno per me e per i miei ricordi. Ogni tanto incrociavo qualcuno per la strada, ma sembravano non vedermi nemmeno, sebbene si vedesse chiaramente che non facevo parte né di quel mondo né di quell'epoca. Indossavo un vestito blu, vecchio di almeno dieci anni, ma che nonostante questo continuava a piacermi come quando lo avevo comprato, proprio in quella città che ora non riconoscevo, in una delle vie del centro. Avevo raccolto i capelli ormai sul grigio in una crocchia alta, e quella volta mi ero pure messa degli orecchini, per non so quale tardo momento di vanità.

Era un martedì noioso e uguale agli altri, e non vedevo l'ora di tornare nella mia casa di campagna. Ma il mio compito settimanale mi manteneva comunque attiva e decisa a compierlo, come sempre.

Non avevo orologi con me, ma dalla luce intuii che dovevano essere circa le 8:00.

La mia meta, al momento, era l'unica fioraia rimasta per quelle vie. Era una donna anziana ma tenace, che conoscevo da ben prima di lasciare la città. Ormai anche lei e il suo negozio avevano i minuti contati, ma non mi piaceva pensarci; era tutto ciò che rimaneva della mia Duckburg, l'unico legame col passato che mi era concesso.

Mentre camminavo, il sole riuscì a fare capolino fra le alte mura di vetro dei grattacieli e a illuminare quel poco di verde che era rimasto, ristretti spazi verdi e misere aiuole.

Guardavo ammirata quei rari fili d'erba illuminati dalla luce del sole, e una lacrima di nostalgia quasi mi scivolò via.

 

 

 

«Non c'è niente da fare, sei proprio un cuore di pietra! Me ne vado! »

Quella volta aveva davvero passato il segno. Sentivo la rabbia che mi ribolliva in tutte le membra.

«Aspetta, dannazione! »

Mi fermai. Mi aveva sorpresa il suo tono, stranamente diverso dal normale. Lo guardai, aspettando.

Lui sbuffò, e mi voltò le spalle, incrociando le mani dietro la schiena e volgendo lo sguardo verso la piccola e unica finestra dell'ufficio.

« Quel parco » esordì, poi sospirò. « se proprio ci tieni lo farò sistemare. »

Mi stupii.

Quella situazione era nuova, per tutti e due. Stavolta non si trattava di cioccolatini mangiati e ringraziamenti non ricevuti, o torte tirate malamente dietro insieme a urla. Ero venuta al deposito perché mi ero indignata alla sola vista dell'abbandono totale del parco poco lontano da casa mia. Un motivo del tutto morale e biologico. Non c'entrava nulla la mia speranza per il suo amore. Mi ero schifata, ed eccomi lì. Sapendo che il parco lo aveva fatto costruire lui anni prima, era a lui che mi ero rivolta. Non ci aveva speso più niente, come in tutto del resto, ma quello proprio non riuscivo a sopportarlo. Da piccola ci venivo spesso con la mia famiglia, era come se avesse sfregiato i miei ricordi con la sua avarizia.

Adesso continuava a guardare fuori dalla finestra, assorto nei suoi pensieri.

« Sai, in fondo a questa città ci tengo anche io » aggiunse dopo alcuni secondi. « Sono stato il primo a vederla nascere. Anno dopo anno, casa su casa, famiglia su famiglia. In un certo senso, me ne sento responsabile, anche se ufficialmente non sono io quello che se ne occupa. Di case ne ho avute tante, ma questa, per adesso, è l'ultima che ho, e anche quella che ho avuto più a lungo » sorrise, malinconico. «Non vedo perché dovrei esserle indifferente. Ho lasciato tante cose incompiute lungo la mia vita, questa è l'unica completa al momento. E me la tengo stretta. »

Mentre parlava, lentamente mi ero avvicinata. Mi stupiva sentirlo parlare così di quella città, e dire quelle cose a me! Mi sentii lusingata, e felice, in un certo senso. Erano i suoi pensieri, e me li aveva appena comunicati.

Erano pensieri malinconici. Ma al momento, troppo lusingata, non me ne accorsi. Col tempo, compresi che probabilmente guardando fuori dalla finestra immaginava un'altra casa, un altro posto, un'altra persona con cui parlare. Di tutta la sua vita, io ero solo una delle ultime cose venute. Come Duckburg, per lui in un certo senso significavo qualcosa, ma non abbastanza da renderlo felice come avrebbe potuto essere anni prima.

Fortunatamente, ero troppo felice della sua considerazione per accorgermene.

 

 

 

 

Continuai a camminare, e arrivai infine al negozio. Era aperto da poco, visto che la donna stava ancora spostando i fiori dall'interno all'esterno. Davano un tocco di colore a quel grigio circostante. Appena mi vide, sorrise calorosamente.

« Signora Brigitta! » esclamò. Sorrisi anch'io, mi faceva davvero piacere vederla.

« Buongiorno. Avrei bisogno dei soliti fiori, se non le spiace »

La donna mi invitò a entrare, chiedendomi come stavo. Le risposi che andavo avanti come sempre e poi ricambiai la domanda, mentre mi selezionava il solito mazzetto di fiori. Prima di rispondere, sorrise e scosse la testa.

« Come vuole che si vada...! Dei vecchi negozi di questo quartiere ormai ci sono rimasta solo io. E le persone che vengono a comprare questi bei fiori ormai sono davvero poche. La gente adesso, per comodità, usa spesso i fiori di plastica. Sa, sono tutti sempre al lavoro e non hanno tempo per cambiarli come fa sempre lei! »

Il pensiero dei fiori di plastica mi fece uscire una smorfia di disgusto. Li avevo sempre trovati orribili e privi di calore.

« Dovrebbero essere tutti come lei, e non lo dico perché certamente ne ricaverei un guadagno. Fiori a parte, questi giovani di oggi sembrano perdere minuto dopo minuto la gioia di vivere. »

Afferrai il mazzolino e lo tenni stretto. Guardai quei fiori, ancora bagnati e così freschi di vita da farmi commuovere.

Poi sorrisi ancora e guardai la donna. Era invecchiata, senza dubbio, ogni settimana sembrava avere un anno di più. Ma il suo sguardo era sempre vivace e sveglio, e questo mi rincuorava.

Pagai, la salutai con affetto e uscii dal negozio.

Devo ammettere che il fatto di parlare di giovani in quanto persona di una certa età mi infastidiva non poco. Da come avevo vissuto si poteva dedurre facilmente che ero una persona piuttosto attenta al proprio aspetto fisico, nonostante la poca bellezza, e che teneva di conseguenza a non far vedere troppo l'inevitabile invecchiamento. Sentirmi vecchia non mi piaceva, ma il tempo passa per tutti, inesorabilmente.

Il tempo, già.

Quei fiori che avevo in mano sarebbero durati giusto per una settimana, quella dopo ne avrei presi altri e così via. Avevo deciso di agire così fintanto che riuscivo a muovermi in auto dalla campagna alla città. Il giorno che non avrei potuto, mi sarei arresa, forse. L'idea di arrendermi non mi è mai andata a genio più di tanto.

 

Il sole ormai era uscito del tutto. Nonostante i grattacieli, era riuscito a riscaldare un po' tutti noi. La gente camminava indifferente a quella bellissima giornata di sole. Molti avevano gli occhiali da sole, altri cominciavano già a cercare l'ombra. Ero davvero l'unica che non smetteva mai di sorprendersi per una bella giornata di sole? Magari alla maggioranza di loro potevo sembrare all'antica, magari lo ero davvero, ma perché non esserlo? Cosa vuol dire essere all'antica? Rimanere attaccati a qualcosa di vecchio e insensato? Certo il sole sarà vecchio, ma non insensato; è ciò che ci dà vita, dunque perché disprezzarlo? Non capivo perché corressero così avanti e indietro, senza fermarsi un attimo ad ammirarlo. Mi venne in mente una frase dannatamente vera, una vera e propria verità: “non ci rende mai conto fino in fondo del valore vero delle cose o delle persone finché non le si hanno perse”.

 

 

 

 

 

«Che cosa stai facendo? »

Sussultai. Alla finestra era affacciata Daisy, che mi fissava con un misto di stupore e orrore.

Non mi restò che rispondere, anche se era evidente quello che stavo facendo, e lei lo sapeva bene.

« Faccio le valigie. Mi trasferisco. » risposi con il tono più piatto che riuscii a trovare, anche se l'emozione mi fece tremare la voce.

Mi aspettai una qualche risposta ma non arrivò niente. Mi voltai per accertarmi che fosse sempre lì, ed era lì, con uno sguardo indecifrabile. Sembrava volesse bruciare la valigia con gli occhi, o forse erano solo lacrime.

«Perché?» chiese dopo una lunga lotta interiore. Penso che sapesse già tutto, ma non accettava quel silenzio.

«Non c'è più nulla qui, per me. Me ne vado in campagna » chiusi lentamente la valigia, e rimasi ferma lì dov'ero. Non osavo guardarla.

«Come...Perché? Cosa... » farfugliava, e la cosa mi stupì. Sembrava lottare per non piangere, e mi sentii tremendamente in colpa. Aveva già pianto abbastanza, ma come avrei potuto continuare a vivere lì? Mi avvicinai a lei, cercando di prenderle le mani, ma si rifiutò.

«Perché vuoi partire?» chiese rabbiosa, le lacrime avevano cominciato a scorrere inesorabili. «Questa è la tua città, io sono tua amica, siamo tutti ancora qui! Solo perché... » deglutì «...lo zio è morto tu te ne vuoi andare e lasciarci, lasciarmi? »

In un'altra occasione sicuramente si sarebbe arrabbiata e avrebbe avuto la forza di scaraventare la valigia fuori dalla finestra, se fosse stata lì. Ma la Daisy che avevo davanti aveva buttato fuori solo tutta la sua disperazione, e non era in grado di combattere. Stava enfatizzando, almeno così credetti, ma oggi penso piuttosto che stesse davvero male. Le avevo aggravato il dolore, ma ne avevo tanto anche io dentro, e forse con la partenza speravo di alleviarlo. Ma avevo anche altre cose da dire, e le dissi.

«No, non è solo per lui. Resterei qui se mi sentissi sempre a casa, anche senza lui. In fondo per me non ha mai nutrito altro che affetto, ma no, non è questo, Daisy. Questa città non è più come prima. Hanno cominciato a smantellare tutte le villette, la gente va via. Duckburg non è più la piccola cittadina provinciale, adesso è una vera e propria metropoli, al passo coi tempi e in corsa con le altre città. I giovani vengono qui, e io non sono giovane. Non so se riuscirei a rimanere qui ancora un altro giorno. Cerca di capirmi » ma vidi che non aveva alcuna intenzione di farlo. Ogni ragionamento logico le pareva assurdo, come succede quando si è arrabbiati o disperati per qualcosa. Non ci sono spiegazioni. C'è solo la volontà di voler cambiare le cose.

«Non puoi farlo » disse soltanto, come se non avessi detto niente.

«Mi dispiace, ma lo farò. La fattoria di Elvira è disabitata da anni. Ho intenzione di usarla come residence, e come abitazione, è abbastanza grande. Almeno mi renderò utile per qualcuno. Mi sono già messa d'accordo con Filo. Se vuoi, ci puoi aiutare. In due non ce la facciamo.»

Daisy ancora piangeva. Poi sembrò ritornare in sé, si asciugò le lacrime e mi guardò.

«È così che vuoi passare il resto della tua vita, allora? » chiese sinceramente interessata dopo un po'.

Annuii. Sembrò raccogliere le idee.

«Non so che dirti. Non voglio che tu vada via, ma quello che vuoi fare è bello ed ha senso. E poi non è tanto lontano da qui. Può darsi che venga ad aiutarti, ogni tanto. Prima però devo stare dietro a Donald, è così addolorato.»

Mi si riempì il cuore di gioia. Poche volte mi sono sentita così felice in tutta la mia vita. La abbracciai e la strinsi forte, forse anche troppo, visto che emise un debole “ahi”. Ma ero felice. Lo sembrava anche lei.

Forse, dopo tanti anni, qualcosa andava per il verso giusto.

 

 

 

 

Ed eccomi arrivata. Due grosse quercie erano l'ingresso per il cimitero di Duckburg. Lo attraversai tutto, nel solito rituale. Ciò che cercavo io era in fondo a sinistra, oltrepassate svariate tombe.

Quando Scrooge morì, tutta la città per più settimane rimase ferma. Sembrava, finalmente, che i suoi cittadini gli avessero portato quel rispetto che aveva meritato sin dal primo giorno in cui fece costruire il deposito, sulla collina più alta della città. Quando era in vita spesso lo avevano odiato, a volte ignorato, per un senso di ingratitudine che nemmeno loro riuscivano a comprendere fino in fondo. Quando aveva spirato, ormai vecchio e stanco, gli avevano reso omaggio. Non credo che a lui sarebbe mai importato, ma a me -a noi tutti- sì. Di errori ne aveva fatti tanti, di difetti ne aveva altrettanti, ma aveva un grande pregio, poco comune: l'onestà. Un valore che, se qualcuno lo avesse messo in evidenza quando era in vita, sarebbe stato contestato per settimane. Eppure, a fin dei conti, era proprio così. Perché non si tratta di affari quando si tratta dell'onestà di Scrooge, o del lavoro, o del denaro: si tratta del suo essere un umano, una persona in carne ed ossa, che ha sofferto, che ha gioito, che ha fatto del male, certo, ma che ha amato, e che è stato amato. Come tutti noi, ma con qualcosa di più: una vita piena, vissuta fino all'ultima goccia, con le sue scelte e con le sue sofferenze e che, mio malgrado, non ho mai avuto il piacere di condividere con lui, né certo con altri, perché una vita così, diciamocelo, può essere solo sua, di Scrooge McDuck.

È di questo che mi sono sempre dispiaciuta: di averlo conosciuto tardi. Il mio destino è stato quello di conoscerlo a cinquanta anni, quando lui ne aveva ben di più, e quindi con una vita già vissuta. Chissà cosa gli sembravo, rispetto a tutto quello che aveva conosciuto ben prima! Un misero pallore in mezzo a così tanta luce, forse. Qualcosa da compatire, rispettare, amare, ignorare. Non saprei dire. E io, lo posso giurare, l'ho sempre amato, in ogni singolo attimo della mia vita. Nonostante tutto, non ho potuto resistergli, e fino all'ultimo attimo, fino all'ultimo mio respiro lo amerò, mio malgrado. Lui era, per me, come un lampo di luce. Quell'unico lampo di luce di tutta la mia vita. Perché lo ammiravo, per quello che era, per quello che è ancora, anche se nei miei ricordi.

 

Posai i fiori sulla tomba. Feci scorrere lo sguardo sul marmo bianco, e sorrisi tristemente. C'erano delle parole incise, su cui tutte le volte amavo soffermarmi: fortuna favet fortibus. Il suo motto. E, in fondo, molto più piccole, le parole “con amore, Goldie”. Eh, già. La tomba l'aveva fatta costruire e pagata tutta lei, così come il funerale. Era anche venuta, e la ricordavo bene, con i capelli grigi color argento, gli occhi azzurro cielo e il vestito di seta nero. Mi ricorderò per sempre il suo triste sorriso e il suo sguardo pieno d'amore, mentre osservava la bara venire calata giù sotto terra, e poi, una volta ricoperto tutto di terra, mentre il prete benediceva, la sua lacrima silenziosa, e nient'altro. Ecco una delle tante cose su cui io non ho mai avuto la benché minima speranza, eppure, eccomi qua.

Accanto ai miei fiori ce n'erano altri. Mi chiesi se fossero di parenti, o di cittadini, o di Goldie stessa, che ero certa ormai da tempo mandasse periodicamente dei fiori per lui.

Sospirai, sorrisi, e poi mi voltai. Anche questa volta, avevo fatto il mio dovere.

Adesso la fattoria mi attendeva. Un caldo abbraccio da parte dei parenti che ormai si erano trasferiti quasi tutti nei dintorni, creando la mia nuova famiglia, mi aspettava.

 

 

 

 

 

 

 

Adesso sono felice. Non ho nessun motivo per non esserlo. Alla fine, ho trovato quello che cercavo, anche se avanti negli anni. In fondo, è la stessa famiglia che ha accudito Scrooge, quella che adesso accudisce me.

 

A proposito di Goldie, ora che ci penso, potremmo invitarla. L'ultima volta che l'abbiamo vista è stata un anno fa, sarebbe ora di invitarla a venire, non credete?

Io credo di sì.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed eccomi qua! Pensate, avevo detto che non avrei scritto più nulla, ma ho trovato l'ispirazione. Incredibile.

Be', non la farò tanto lunga. Non so quanto tempo fosse passato dall'ultima volta che ho scritto qualcosa in questo fandom, ma devo dire che mi mancava. Una OS ogni tanto ci vuole, per spezzare la monotonia, no?

Chissà perché poi mi è venuto di scrivere di Brigitta. Forse perché molti mesi fa avevo iniziato una storia con lei e Goldie e non l'ho mai finita.

Comunque, eccovela qui. Che dite, è troppo triste? Ho cercato di non farla finire male. Non sono una pessimista, mi piacciono i sentimenti ma alla fine sono per risolvere le cose. A meno che non mi prenda un attacco grave, certo.

Questa comunque è tutta dal punto di vista di Brigitta. Non l'ho mai disprezzata, nonostante sia chiaro che Scrooge amava Goldie e nessun altro. Però lei era un di più... Una donna (papera?) innamorata. Non è mica un delitto innamorarsi, no?

Okay, credo di aver detto abbastanza! Ci ho messo un po' per scriverla e sono cotta. Leggetevela, e se vi va, recensite. Dai che non fa male. ;)

Ok, non so se dire “a presto”, perché sono abbastanza imprevedibile, ma chissà...

 

  
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