Okay,
lo confesso. Questo è solo un esperimento.
Un capitolo isolato di una fic che devo ancora scrivere. Una prova.
Ecco
perché la storia inizia in medias
res, dando per scontato eventi che sono accaduti solo
nella mia stessa.
Perché
l’ho pubblicata? Per avere un vostro
parere, certa che riuscirete in ogni caso a seguire la vicenda. Questa
è la mia
unica giustificazione: la vicenda a cui si ispira la mia fic
è talmente famosa
da permettermi di catapultarvi così bruscamente
all’interno degli eventi.
La
vicenda è quella di Robin Hood. Con qualche
differenza rispetto alla sua messa in scena nella serie della BBC (di
qui la
mia scelta di OOC).
Solo
qualche nota di introduzione,
prima di lasciarvi alla storia. Robin è tornato dalla Terra
santa dopo sette
anni di guerra ed è diventato un fuorilegge insieme alla
banda che si nasconde
nella foresta di Sherwood. Fin qui tutto normale. Ecco le
novità: Lady Marian
non è la figlia di un ex sceriffo, ma è la cugina
di re Riccardo. All’inizio
della mia versione viene rapita dalla banda di Robin, che la scambia
per una
semplice nobildonna in viaggio verso la corte; per questa ragione si
trova ora prigioniera
nel loro accampamento. Altra novità: tra lei e Robin non
c’è stato solo un vago
sentimento, ma un vero fidanzamento, che lei considera ancora valido e
che per
tutto il tempo che li ha tenuti separati ha sempre onorato. Lui ha
portato con sé in Inghilterra una bellissima principessa
saracena; nessuno sa che tipo di
rapporto esista veramente tra i due. Quando i suoi rapiscono Marian e
la
portano all’accampamento lui finge di non riconoscerla e nega
di essere il
giovane aristocratico che lei sostiene. Spezzandole il cuore.
Va
bene, mi fermo. Altrimenti finisco
con lo scrivere qui in diretta la parte mancante, che ho cercato di
riassumervi.
Che
altro dire? Se vi va di tentare
questa lettura un po’ anomala, vi ringrazio in anticipo!
M.
La
chiave
«Avete
chiesto di me?» domandò Marian con fare ironico,
affacciandosi alla porta della
capanna.
Robin
la osservò con attenzione, fermandosi a considerare quanto
fosse cambiata nel
corso degli anni: aveva lasciato una fanciulla fragile ed insicura per
ritrovare una donna determinata, che sapeva sostenere le sue ragioni e
non
provava timore nel difenderle davanti ad un uomo.
«Devo
restare qui fuori a lungo?» si spazientì la
fanciulla, più per lo sguardo
indagatore a cui era stata sottoposta che per l’attesa.
Robin
andò ad accoglierla alla porta e, fattala entrare, la
richiuse dietro di lei,
bloccandola con due giri di chiave.
La
ragazza sembrò spaventarsi.
«Che
cosa significa?»
Robin
accennò un sorriso, mentre legava la chiave ad un cordino e
se la metteva al
collo.
«Significa
che passeremo un po’ di tempo insieme» rispose
tranquillamente.
Marian
sembrò voler aggiungere qualcosa, ma poi ci
ripensò, limitandosi a fissarlo con
occhi furenti.
«Se
pensate che io me ne resterò qui senza fare
nulla...» iniziò dura.
«Prego,
accomodati» la interruppe Robin indicandole una piccola
poltrona alla sua
destra.
Marian
incrociò le braccia sul petto e diede una rapida occhiata
all’ambiente entro il
quale era prigioniera.
«Be’,
certo ora che siamo soli e che nessuno ci può sentire, ti
sei finalmente deciso
a darmi del tu!» commentò sarcastica.
«Credo che saresti quasi disposto ad
ammettere che mi conosci e che tutto ciò che vado dicendo da
tre settimane a
questa parte è vero».
Robin
lasciò cadere la provocazione e le si avvicinò
porgendole un bicchiere di vino.
«E
a
che cosa dovrei brindare?» si arrabbiò,
rovesciando il vino sul pavimento di
legno. «Al fatto di dover rimanere rinchiusa qui con il
peggior bandito
d’Inghilterra non so bene per quanto tempo e senza conoscere
i motivi di questa
prigionia?»
Robin
riprese il bicchiere dalle mani della ragazza, prima che potesse
lasciarlo
cadere e magari ferirsi. Poi, messolo al sicuro, la invitò
nuovamente a
sedersi.
«Non
accetto nulla da te!» proclamò lei.
«Ti
sto solo consigliando di metterti comoda. Sarà una notte
molto lunga»
«Lunghissima,
se dovrò passarla qui dentro!» ribatté
lei, ma senza muovere un passo.
Robin
aprì il piccolo armadio adagiato in un angolo della
casupola, tirando fuori una
coperta di lana che appoggiò con noncuranza alla poltrona
vicino alla quale
stava, ancora immobile, Marian.
«Farà
freddo quando avrò spento la lampada»
spiegò lui, indicando la coperta.
Marian
si avvicinò a lui di qualche passo, ma poi si
fermò. Sembrò lottare con se
stessa, prima di riprendere a camminare. Dopo qualche istante lo aveva
raggiunto.
«Perché?»
chiese piano, poggiandogli una mano sul braccio e ritraendola subito.
«Sono
stato a Nottingham, oggi» annunciò Robin,
attendendo una reazione; ma poiché la
ragazza non sembrava voler intervenire decise di continuare.
«Ho
visto i preparativi».
Marian
distolse lo sguardo ma rimase in silenzio, scatenando in lui un accesso
di
rabbia così violento da non riuscire a controllarsi, tanto
che si trovò a
gridare, quasi senza riflettere: «Per l’amor del
cielo, Marian! Hai davvero
intenzione di sposare quel sanguinario?!»
La
fanciulla chiuse involontariamente gli occhi di fronte a tanta foga e
si scostò
rapidamente da lui, avvicinandosi alla piccola finestra alle sue
spalle.
Ma
quell’argomento era troppo importante perchè Robin
potesse lasciarlo cadere in
quel modo.
«Vuoi
spiegarmi cosa ti passa per la testa?» insisté.
«Non
vedo perchè dovrei rendere conto a te delle mie faccende
private!» rispose lei,
con la voce che le tremava.
Robin
la afferrò per le spalle, costringendola a guardarlo, ma
quando se la trovò di
fronte riuscì solo a mormorare il suo nome.
«Non
... fare ... così!» intimò la
fanciulla, liberandosi dalla sua stretta. «Sono
stata promessa a Sir Guy più di un anno fa! Ed ora non posso
tirarmi indietro!»
«Il
titolo di Sir non si addice a quell’assassino!»
esclamò Robin, con un tono ed
una luce negli occhi che per la prima volta ricordarono a Marian il
ragazzo che
aveva conosciuto un tempo.
«E’
questo che vuoi diventare,» continuò lui,
«la moglie di un omicida?»
«Parli
proprio tu» lo interruppe Marian, «che in sette
anni della tua gloriosa guerra
chissà quante persone hai ucciso con la tua spada!»
Che
si fosse spinta troppo in là la fanciulla lo capì
non appena si sentì spingere
contro il muro.
«Che
cosa hai detto?!» sibilò Robin a due centimetri
dal suo volto.
«Che
c’è? Pensi di uccidere anche me, ora?»
rispose lei, chiedendosi da dove
venissero quelle parole.
Lui
la fissò stravolto, prima di allontanarsi. Si sedette sul
suo letto,
nascondendo il volto tra le mani. Rimase così per qualche
momento, facendo
pentire amaramente Marian delle sue aspre accuse. In fondo al suo cuore
la
fanciulla sapeva che non potevano essere vere, ma sapeva anche che
avrebbero
ferito Robin. E lei voleva vederlo soffrire: voleva vedere nei suoi
occhi
almeno la minima parte di quel dolore che era stato costantemente
dipinto nei
suoi da quando lo aveva rivisto, poche settimane prima.
Finalmente
il ragazzo sollevò la testa e tornò a guardarla
con un’espressione di così
evidente smarrimento che Marian si sentì stringere il cuore.
«Primo:
io non potrei mai» disse, lasciandosi sfuggire un sospiro
«mai farti del male.
Secondo: io sono stato un soldato e ho eseguito
degli ordini. Ho ucciso altri soldati, è vero. Ma mai degli
innocenti. Sir Guy»
continuò duro «uccide per il piacere di uccidere;
trae gioia dalla visione del
sangue da lui versato. Io non sono così; non lo sono mai
stato. Non ho mai
ceduto all’ira, non ho mai abusato del mio potere o della mia
forza».
Le
parole di Robin erano sincere e Marian lo sapeva. In un certo senso
aveva
sentito la necessità di sentirgliele pronunciare,
perché per un momento aveva
temuto che la guerra avesse cambiato l’animo del ragazzo che
tanti anni prima
aveva amato; dubitando del suo cuore aveva dubitato anche della sua
onestà.
Almeno su questo aspetto era stata rassicurata: Robin non era diventato
un
bruto, anche se aveva smesso di amarla.
Robin
vide che la fanciulla si era pentita di avergli rivolto degli insulti
così
infamanti. Vide le sue guance imporporarsi nonostante il freddo della
notte
invernale e i suoi occhi fissare il pavimento; la vide mordersi le
labbra nel
tentativo di non piangere.
Le
andò vicino, stringendole piano la mano. «Tu lo
sai che non potrei mai farti
del male, vero?» chiese ancora, sollevandole il mento con le
mani. Ciò che vide
furono due occhi velati di lacrime, ma che esprimevano quella fiducia
su cui
Robin aveva da sempre avuto bisogno di contare.
«Non
volevo...» sussurrò Marian tornando a fissare il
pavimento.
Il
ragazzo la fece sedere sulla poltroncina, ove Marian si fece condurre
senza più
opporre resistenza. Si accomodò a sua volta sul bracciolo e
approfittò della
posizione per accarezzarla rapidamente, fingendo di sistemarle i
capelli. Capì
subito di aver commesso un errore perchè la fanciulla fu
scossa da un brivido e
con voce quasi ferma lo pregò di allontanarsi. Saggia
decisione, di sicuro,
perchè Robin aveva sempre trovato molto difficile starle
vicino, ma lo era
ancora di più doverla tenere lontano.
Lentamente
riprese il suo posto sul letto finché, schiarendosi la gola,
riprese a darle
istruzioni per la notte.
«Se
hai bisogno di un po’ di luce non esitare a chiamarmi;
penserò io ad accendere
la lampada. Per qualsiasi cosa io sono qui».
«E’
proprio questo il punto» disse Marian, tornando finalmente a
guardarlo. «Perchè
siamo qui? Perchè io
sono qui?»
«Lo
devi alla tua abilità» spiegò Robin con
un sorriso. «Se ti avessi rinchiusa da
qualche altra parte sono quasi sicuro che saresti riuscita a liberarti
e,
testarda come sei, saresti andata diretta a Nottingham a compiere il
più grande
errore della tua vita. Vedi» esclamò ridendo il
ragazzo «in fin dei conti ti ho
salvata!».
Marian
non diede peso a quest’ultima affermazione.
«E
perchè sei così sicuro che non proverò
a scappare anche da qui?»
«In
realtà penso che tenterai; ma come puoi vedere ho preso
tutte le misure
necessarie ad impedire la tua fuga» spiegò,
stringendo tra le mani la chiave
che si era appeso al collo.
«In
fin dei conti» iniziò Marian cauta, «si
tratta solo di sottrarti la chiave».
«Ma
tu sei una fanciulla timorata di Dio» continuò
Robin, prendendola in giro «e so
per certo che non oseresti mai avvicinarti tanto ad un uomo».
«Dimentichi
che probabilmente domani a quest’ora sarò una
donna sposata».
Quest’ultima
frase colpì Robin dritto allo stomaco, con la violenza di un
pugno.
«No,
che non lo sarai!» esclamò dopo averla fissata per
qualche istante a disagio.
«Quant’è vero che non prenderai mai
questa chiave!».
«Non
mi sfidare, Robert» lo avvertì la fanciulla.
«Non posso certo vantare
l’esperienza della tua saracena» disse, mentre le
sue guance si coloravano, «ma
fino alla chiave credo di riuscire ad arrivare».
Robin
la squadrò indispettito.
«Non
ti permetto di parlare così di Jasmine!»
«Oh,
perdonami se ho offeso la tua amante!»
«Tu
non sai niente di questa storia!» ribatté adirato.
«Non parlare di cose che non
conosci!»
«Ne
so abbastanza invece! Forse non conosco i dettagli, ma i miei occhi ci
vedono
bene! Ho visto come ti guarda» esclamò la
fanciulla, rivolgendo il suo sguardo
imbarazzato alla finestra. «E ho visto come ha guardato me,
questa sera, quando
i tuoi uomini mi hanno condotta qui! Posso immaginare in quali angosce
trascorrerà questa notte».
«Smettila!»
si arrabbiò Robin.
«Dovresti
andare a spiegarle che le sue preoccupazioni sono prive di
fondamento» insisté
Marian, cercando di non badare alla stretta allo stomaco che le sue
stesse
parole le avevano procurato, una stretta assai simile a quella del
rimpianto.
«Forse
è il caso che tu ti metta a dormire» la interruppe
Robin, senza guardarla. «La
stanchezza ti fa sragionare».
«Vorrei
solo risparmiare alla tua amata delle inutili sofferenze!»
«Ora
basta, Marian!» sbottò il ragazzo, alzando la
voce. «Sembri gelosa di lei»
aggiunse piano.
«Io
sono gelosa di lei!»
Marian
era scattata in piedi di fronte a quell’affermazione che
Robin si era lasciato
sfuggire.
«Io
ti ho aspettato per sette anni, pregando perchè tu potessi
tornare a casa sano
e salvo!»
«E
così è stato» replicò Robin
asciutto.
«Ma
io pregavo perchè tu tornassi da me!»
Le
parole di Marian rimasero come sospese tra loro, finché il
ragazzo spense la
lampada augurandole la buonanotte con un confuso borbottio.
˜
™
La
notte trascorreva davvero lentamente, proprio come Marian si era
aspettata. Il
sonno sembrava non voler arrivare, costringendola a rimuginare su
quanto era accaduto
durante la serata e sulle parole che lei e Robin si erano scambiati.
Sentirlo
di nuovo pronunciare il suo nome l’aveva turbata: da quando
era giunta al campo
dei fuorilegge e aveva visto in che cosa si era trasformato quello che
un tempo
era stato il suo fidanzato, si era imposta di dimenticare
ciò che c’era stato
tra loro. La gioia provata nel ritrovarlo vivo aveva subito lasciato il
posto
alla delusione di vederlo legato ad un’altra: in quegli anni
in cui erano stati
separati l’aveva più volte immaginato disperso in
territori lontani, ferito o
persino morto; ma mai, neppure nelle sue peggiori fantasie, aveva
ipotizzato
che si fosse dimenticato di lei. Era stata la dolorosa consapevolezza
della
verità a spingerla ad evitarlo, in quei giorni che avevano
passato insieme
nella foresta. Si era quasi convinta di avere la situazione sotto
controllo; di
aver superato lo shock che le aveva provocato il ritrovarlo ed il
tornare a
perderlo, questa volta in maniera definitiva. La solitudine, in cui si
era
rintanata negli ultimi tempi, la riflessione con cui aveva tormentato
la sua
mente, le avevano dato la risposta che cercava ma tutto era stato di
nuovo
messo in discussione dagli avvenimenti di quella sera: proprio quando
si era
finalmente decisa a rinunciare a lui, lo aveva visto preoccuparsi per
lei, temere
che potesse sposare un uomo che lui disprezzava. Era arrivato a
rinchiuderla in
quella capanna pur di impedirle di raggiungere Nottingham in tempo per
la
cerimonia. Ma la cosa peggiore era che quella sera le aveva parlato
come soleva
fare quando erano ragazzini, quando si intendevano alla perfezione e
pensavano
che mai nulla avrebbe potuto separarli. Per la prima volta da quando si
erano
rincontrati, Marian aveva davvero rivisto il suo fidanzato. E ora, a
dirla
tutta, non riusciva a smettere di guardarlo. Giaceva disteso sul suo
letto di
paglia, coperto malamente da una coperta di lana decisamente
più leggera di
quella che aveva offerto a lei. Le voltava le spalle,
cosicché le era
impossibile stabilire se fosse realmente addormentato o se stesse solo
fingendo, attendendo silenziosamente il sorgere del sole. Era la sua
perfetta
immobilità ad insospettirla, ma forse era solo affaticato.
Stanca
di tutte quelle supposizioni decise di andare a controllare. Cercando
di non
far scricchiolare le assi del pavimento si avvicinò a lui a
piccoli passi;
fermatasi ad ascoltare il suo respiro lo trovò assolutamente
regolare: dunque
in fin dei conti almeno lui quella notte sarebbe riuscito a riposare.
E
poi la vide. La chiave. Ne poteva
scorgere la sagoma al di sotto della camicia con cui Robin provava a
ripararsi
dal freddo della notte. Le sarebbe bastato allungare una mano e avrebbe
potuto
uscire di lì; avrebbe potuto voltare pagina , ricominciare
la sua vita, come si
era ripromessa di fare. E si sa che le promesse fatte a se stessi
valgono di
più di quelle fatte agli altri, anche quando questi
‘altri’ sono le persone a
cui teniamo di più. Le tornò alla mente, mentre
studiava il modo di recuperare
la chiave, una notte di luna piena di tanti anni prima, quando un
Robert senza
la barba le aveva confessato il suo amore e le aveva chiesto di
sposarlo.
Ricordò di come avesse accolto le sue parole serie con una
risata, anche se
erano tutto ciò che stava aspettando da mesi.
Ripensò allo stupore di lui nel
sentirla prendere tempo. Che cosa dovevano aspettare? Le aveva chiesto.
Di
diventare più adulti, aveva risposto lei. Forse Marian non
ricambiava i suoi
sentimenti? No, non era quello. Solo non si sentiva pronta per un passo
così importante:
erano poco più che bambini e avevano tanto tempo davanti a
loro. Ma poi tempo
non ce n’era stato. Le crociate, la guerra, si erano portate
via tanta parte
della loro giovinezza e di quell’amore che Marian si era
sforzata di tenere in
vita da sola, anche quando tutti coloro che le stavano attorno la
giudicavano
un’ingenua. Ora sapeva che loro avevano ragione e lei torto.
Che per far durare
il sentimento sono necessarie due persone e che tre sono decisamente
troppe.
Guardò il volto di Robin e immaginò per un
istante cosa sarebbe potuto essere
di loro se lei avesse accettato di sposarlo subito, in quella notte di
luna
piena. Forse lui non sarebbe mai partito. Forse non l’avrebbe
scordata tanto
facilmente. O forse sì: forse neppure un voto pronunciato
davanti a Dio avrebbe
potuto impedirgli di tradirla. Per quanto assurdo potesse sembrare,
quest’ultima ipotesi le procurò un grande
sollievo: non si può giocare con il
passato immaginando che una risposta, un gesto bastino a cambiare il
presente.
Nessuno può sapere che cosa sarebbe accaduto se... e nessuno
dovrebbe
chiederselo, concluse Marian.
Tornò
a guardare la chiave e si disse che le sarebbero bastati un
po’ di coraggio e
una mano ferma per recuperarla. Sulla sua mano se la sentiva di poter
contare.
Gettò un rapido sguardo al volto di Robin: non si lamentava,
ma il suo sonno
non sembrava tranquillo. I muscoli del collo erano contratti e le
labbra
tremavano di tanto in tanto. Quanto doveva aver sofferto lontano da
casa! Una
donna come lei, abituata alla bella vita di palazzo, non sarebbe mai
riuscita neanche
ad immaginarlo. Si rimproverò di nuovo e con maggior
decisione per le ingiurie
che gli aveva scagliato contro poco prima e si vergognò nel
constatare come la
gelosia la potesse rendere così ingiusta.
Allungò
una mano ma la vide tremare non appena le sue dita sfiorarono il
tessuto ruvido
della camicia di Robin. Fece un respiro profondo e riprovò,
ma dovette presto
arrendersi di fronte alla sua debolezza: se lui si fosse svegliato
improvvisamente come avrebbe reagito di fronte al suo tentativo di
fuga?
L’avrebbe punita? Marian scosse la testa, ritraendo
definitivamente la mano:
non era solo questo. Ciò che più la spaventava
era... perché doveva essere così
stupida?! Pensò, arrabbiandosi con se stessa. Come poteva
pensare di sposare un
uomo che praticamente non conosceva, quando le era impossibile anche
solo
toccarne uno che portava dentro al suo cuore da quando era bambina?
Sapeva che
con Sir Guy sarebbe stato più semplice, perché di
lui non le era mai importato
un granché. Robert invece aveva rappresentato tutto il suo
mondo per così tanto
tempo.
Si
avvicinò alla finestra per respirare un po’
dell’aria fresca della notte, ma
quella risultò talmente gelida da mozzarle il respiro.
Scostandosi rapidamente
ebbe modo di notare che la capanna di Jasmine era ancora illuminata;
neppure
lei dunque riusciva a dormire. Probabilmente stava pensando a quale
pericolo
poteva correre il suo Robin costretto a trascorrere una notte intera
tra le
braccia di un’altra. Certo la verità era molto
diversa dall’immaginazione e
Jasmine se ne sarebbe rallegrata se solo avesse potuto saperlo. Marian
fu
sopraffatta dalla rabbia; pensare a ciò che la sua rivale
sarebbe stata in
grado di fare, se posta nella sua stessa situazione, le diede il
coraggio
necessario per prendere l’iniziativa. Rifletté con
lucidità per qualche secondo
su ciò di cui aveva bisogno per portare a termine il suo
piano con successo e
considerò in particolare la necessità di
assicurarsi che Robin fosse veramente
addormentato. Il sonno di un guerriero braccato, si sa, è
sempre troppo
leggero, mentre quello di un innamorato è difficile da
disturbare, sopratutto
quando costui lo condivide con la persona amata. Esaminò la
faccenda con
maggiore attenzione e poi decise di tentare: se avesse avuto fortuna
avrebbe
potuto liberarsi e conoscere i veri sentimenti di Robert con una sola
mossa.
Si
avvicinò pertanto allo specchio e si sciolse i capelli,
ravvivandoli
all’altezza delle spalle dove formavano dei morbidi boccoli;
allentò il laccio
che tratteneva la sua vestaglia da notte, aumentando la scollatura, ma
una
rapida occhiata allo specchio la fece arrossire e dubitare della sua
forza.
Chiuse gli occhi e respirò di nuovo, stringendo i pugni.
Scostò i capelli e
tornò a stringere il laccio, finché le spalle
furono nuovamente coperte.
Si
diresse verso il piccolo armadio e aprì rumorosamente le due
ante facendo
cadere sul pavimento le poche cose che esso conteneva: una paio di
pentole di
rame rimbalzarono sulle assi di legno.
«Che
c’è, Marian?» chiese subito Robin con
voce squillante.
«Ho
freddo» mormorò lei «Cercavo qualcosa
per coprirmi».
«Prendi
la mia coperta!»
Il
ragazzo gliela porse subito, ma Marian rifiutò.
«Non
posso accettare. Ti congeleresti» disse.
«Ho
dormito in condizioni peggiori».
Accidenti!
Pensò la fanciulla. La stupida cavalleria di Robert
rischiava di mandare a
monte tutti i suoi piani.
«Comunque
non risolverebbe il problema; è troppo leggera».
Gettò
un’occhiata casuale al letto del ragazzo e cercando di
nascondere il suo viso
dai raggi della luna che filtravano dalla finestra lo guardò
dritto negli
occhi. «Potremmo...»
«No!»
Robin
aveva capito dove voleva arrivare e sembrava irremovibile.
«Vuoi
forse che muoia assiderata?» si arrabbiò lei,
tirandosi sempre più in ombra.
«Tu sarai anche abituato ai disagi, ma io sono una signora! E
lo sai che ho
sempre odiato il freddo!».
«Marian
... io non posso, capisci?»
Robin
si passò sconsolato una mano sul volto. «Non
posso» ripeté.
«Non
ti darò fastidio!» assicurò Marian, che
aveva deciso di giocare pesante. «Ti
lascerò dormire!»
«Come
pensi che potrei dormire?!»
Robin
misurava a grandi passi la ristretta superficie della capanna, mentre
la
fanciulla lo osservava quasi divertita.
«No»
disse ancora.
«Non
vedo di cosa ti preoccupi. Non hai nulla da temere da me e, come mi hai
ben
dimostrato da quando sono giunta qui, neppure io ho nulla da temere da
te».
Robin
si lasciò sfuggire una risata isterica.
«Non
sono bella neppure la metà di Jasmine» disse
infine Marian, a voce sempre più
bassa. «Te ne sarai accorto anche tu. Dunque non ho nulla da
temere».
Robert
la guardò per la prima volta e la costrinse ad avvicinarsi
alla luce.
«Hai
gli occhi lucidi» mormorò.
«E’
per via del freddo».
Dopo
un po’ il ragazzo riprese a parlare; la sua espressione
rimaneva dubbiosa, ma
la sua voce sembrava sicura.
«Sono
quasi certo che sia un errore madornale, ma non posso lasciare che ti
congeli».
I
due si fissarono per un lungo istante, poi Marian annuì
lentamente.
«Senti,
so che non lo farai, ma non provare a sfiorarmi. Io domani mi
sposo».
«E
invece no» assicurò Robin, finalmente risoluto. Si
scostò per farle posto
vicino a lui. Marian lo raggiunse cercando di mantenere saldi i suoi
passi,
lottando con tutte le sue forze per non tremare.
«Hai
freddo davvero!» esclamò d’un tratto
Robin, mentre lei sistemava sul letto
anche la sua coperta pesante.
«Scusa,
che idea ti eri fatto?» sbottò Marian.
Per
un qualche motivo quest’ultima affermazione, che avrebbe
potuto far precipitare
la situazione, finì invece col risolverla: i due ragazzi si
fissarono per un
istante e poi scoppiarono insieme in una calorosa risata, che
allentò almeno
per un momento tutta la tensione che si era creata quella sera.
«Guarda
che io mi fido» disse ancora Marian quando, infilandosi sotto
le coperte, si
sentì mancare il coraggio.
«E
fai male» ammise lui, con un tono ancora mezzo divertito,
portandole un braccio
attorno alle spalle con una naturalezza che li sorprese entrambi.
«Attento,
Robin Hood»
Robert
sorrise nel sentirsi chiamare con il suo nuovo nome, che fino a quel
momento
Marian aveva accuratamente evitato di pronunciare.
«Milady»
Il
ragazzo le poggiò un rapido bacio sulla fronte, augurandole
la buona notte e
per un attimo tutto tornò come prima della guerra.
«Robert!»
esclamò la fanciulla, avvertendo una insolita sensazione di
pericolo. «Forse
abbiamo sba...» ma lui la strinse a sé,
costringendola a tacere. Quando si
arrischiò a guardarlo negli occhi vide che il suo sguardo
era tornato a
splendere e cosa peggiore, non sembrava particolarmente propenso ad
udire le
sue proteste.
«Forse
abbiamo esagerato» provò ancora, cercando di
allontanarsi un po’ da lui.
«Che
c’é? Ora senti caldo?»
scherzò lui, riportandola al suo posto.
«Così
mi soffochi!»
Marian
si divincolò dalla sua presa, spingendo con entrambe le
braccia contro il suo petto,
fino a quando lo sentì mugugnare di dolore.
«Non
pensavo di essere così forte» disse, fermandosi
subito.
«E’
una vecchia ferita» spiegò Robin con un sorriso.
«Una
ferita di guerra, vero?»
Il
ragazzo annuì, sotto gli occhi seri della damigella.
«Posso...»
iniziò quella titubante, «posso vederla?»
Robert
la fissò con uno sguardo che per un attimo le fece
accelerare i battiti del
cuore.
«Non
fraintendere» spiegò subito.
«E’ solo che per anni mi sono chiesta che genere
di pericoli tu abbia dovuto affrontare; che cosa ti abbia tenuto tanto
lontano
da casa tua...»
Il
ragazzo si mise a sedere e si tolse lentamente la camicia rivelando un
torace
segnato da numerose cicatrici. Gli occhi di Marian si riempirono
immediatamente
di lacrime, che neppure provò a trattenere, sapendo in
partenza che sarebbe
stato inutile.
«Dio!»
esclamò infatti commossa e insieme arrabbiata
.«Quanto hai sofferto!»
Robert
la abbracciò e le sussurrò qualche parola
all’orecchio per farla calmare. Le
disse che ora era tutto finito e che in fin dei conti doveva
ringraziare Dio
perchè era ancora vivo.
Fu
quando sentì la propria guancia premere contro qualcosa di
freddo e metallico
che Marian ricordò il suo obiettivo. Ora la chiave era
lì davanti a lei, più
vicina che mai, eppure per un istante l’aveva praticamente
dimenticata.
Le
braccia di Robert la circondarono, facendola stendere insieme a lui sul
pagliericcio
che fungeva da materasso.
«Ora
è meglio se dormiamo» disse lui a malincuore.
La
fanciulla si limitò a fare un cenno con il capo
perchè di parlare proprio non
se la sentiva.
Pochi
minuti più tardi sentì la testa di Robert
poggiarsi sulla sua spalla con tutto
il suo peso. Si era addormentato. Marian si voltò verso di
lui e gli sfilò la
chiave senza troppe difficoltà. La tenne stretta tra le mani
a lungo prima di
decidersi ad alzarsi. Rivolse un ultimo sguardo al volto sereno del suo
amato
prima di partire, sicura com’era di dirgli addio per sempre.
Fu tentata di
posargli un bacio sulla guancia, ma si trattenne temendo di svegliarlo.
Gli
sistemò invece la coperta, che aveva scostato scendendo dal
letto.
Si
domandò un’ultima volta se fosse sicura di quanto
stava facendo e per l’ultima
volta si rispose di sì. Quello che era accaduto quella sera
non cambiava le
cose: forse Robert provava ancora qualcosa per lei, ma rimaneva un
fuorilegge,
un uomo senza futuro. Era ricercato in tutta Inghilterra e dopo sette
lunghissimi
anni di angosce, Marian sapeva di non poter sostenere altre
preoccupazioni:
sapeva di non poterlo guardare ogni giorno temendo che quella fosse
l’ultima
volta che lo vedeva. Non voleva più soffrire, proprio
perchè aveva già sofferto
troppo.
Si
diresse alla porta senza più voltarsi verso di lui,
mordendosi il labbro per
non permettere alle lacrime di scendere. Infilò la chiave
nella toppa ma non
riuscì a farla girare. Provò di nuovo ma ottenne
solo un lugubre scricchiolio.
Sentì il pavimento cedere lievemente sotto i suoi piedi e
non le rimase che
abbassare la testa, mentre qualcuno le afferrava un braccio.
«Che
cosa volevi fare?»
La
voce di Robin schioccò con la rapidità di una
frusta.
Marian
rivolse un ultimo sguardo sconsolato alla porta e lasciò
cadere la chiave sul
pavimento.
«Questa
non serve a nulla, vero?» domandò, conoscendo in
anticipo la risposta.
«Non
è questo il punto!»
Robin
era furioso: i suoi occhi dardeggiavano, cercando insistentemente
quelli della
ragazza, che però continuava a ritrarli.
«Non
ci posso credere!» esclamò infine Marian.
«Mi hai ingannata!»
«Io non ci posso credere!»
gridò Robin. «Tu
mi hai ingannato!»
I
due giovani si fissarono per un lungo istante, fino a quando Marian non
chinò
il capo, cercando di far sbollire la rabbia e la delusione per il
misero fallimento
del suo tentativo di fuga.
«Io
pensavo...» iniziò Robin, ma poi si
fermò scuotendo la testa. «Tutto quello che
volevi era la chiave!»
I
suoi occhi la fissavano increduli, facendole avvertire in maniera acuta
il
proprio senso di colpa.
«Mi
hai fatto credere che...» riprese lui, ma fu nuovamente
costretto a fermarsi.
«Già, che cosa volevi farmi credere?»
«Io
non lo so che cosa tu avessi bisogno di credere»
iniziò cauta Marian.
«Sei
stata bugiarda e disonesta! Io non ti riconosco
più!»
Calò
tra di loro un silenzio scomodo, difficile da superare con le parole
che, a
quanto pareva, continuavano a peggiorare la situazione.
«Tu
hai volutamente giocato con i miei sentimenti!» la
rimproverò un ultima volta
il ragazzo.
«Quali
sentimenti, Robert?» chiese Marian, dopo un istante di
riflessione, facendo
trasalire il ragazzo. «Quelli che ti ostini a negare con
tutte le tue forze da
quando ci siamo ritrovati?»
«Erano
finte anche le tue lacrime?» insisté Robin.
«Le
mie lacrime erano vere!» esplose la fanciulla «Come
tutte quelle che ho versato
negli ultimi sette anni!»
«Tu
mi hai ingannato!» ribatté cocciuto.
«Sì,
ti ho ingannato!» esclamò alla fine la ragazza
esasperata. «Ti ho volutamente
ingannato, perchè tutto ciò che desideravo era
andarmene di qui! Ma almeno»
continuò, impedendogli di rispondere «io non ti ho
ferito!»
Robert
la squadrò accigliato.
«Ma
certo! Dimenticavo che tu sei l’unica a possedere un
cuore!»
«Forse
no, ma sono sicuramente l’unica che lo sa ascoltare! Io non
mi nascondo dietro
una infedele d’oltremare!»
«Ti
ho già detto che non voglio sentirti parlare in questo
modo!»
«Se
ti dà tanto fastidio la verità, perché
non mi lasci andare? Perchè non ti
liberi di me?»
Robert
la fissò per un lungo istante, ma poi decise di non
risponderle. Avrebbe dovuto
rivelare troppo: spiegarle le ragioni del suo comportamento sarebbe
stata la
mossa più facile e gli avrebbe sicuramente procurato il
perdono della
fanciulla. Marian lo avrebbe rimproverato per essere stato uno stupido
e con
tutta probabilità avrebbe ribadito il legame che li aveva
tenuti uniti anche
quando la vita li aveva allontanati e avrebbe deciso di rimanere con
lui.
Vedendola ora brillare illuminata dai raggi argentei della luna, Robert
capì
che quello era tutto ciò che desiderava; ma un istante dopo
biasimò la sua
debolezza, ripetendosi quel proposito che era divenuto una regola da
quando era
tornato in Inghilterra: pensare al bene della donna che amava
più della sua
vita.
«Se
tu ci tenessi un poco a me...» riprese Marian, senza sapere
che era appena
riuscita a leggere nei suoi pensieri.
«Farei
esattamente ciò che sto facendo ora!»
Robin
parlò senza pensare, lasciando uscire una frase che lo
avrebbe perseguitato per
tutte le settimane seguenti.
«Che
vuoi dire?» chiese infatti la fanciulla.
«Niente!»
Marian
si sforzò di mantenere la calma, dal momento che credeva di
essere vicina ad
ottenere la confessione che aspettava da tanto tempo.
«Sei
preoccupato per quanto potrebbe capitarmi, se decidessi di rimanere al
tuo
fianco?»
Robin
taceva ostinato, fuggendo lo sguardo acceso di Marian che gli si era
fatta
vicina.
«Ho
sofferto tanto quando ti sapevo lontano da me, esposto a
così tanti pericoli»
disse lei, senza permettergli di interromperla «e ho sofferto
ancora di più
quando ho visto ciò che eri diventato al tuo ritorno; quando
ho capito come
avevi intenzione di impiegare l’esperienza che avevi
accumulato durante sette
anni di guerra. Per questo volevo fuggire. Solo per questo ho rubato la
chiave.
Pensavo che fosse meglio per me starti lontana... ma
sbagliavo».
Nell’udire
quelle ultime parole, Robin fu quasi costretto ad alzare gli occhi e
ciò che
vide non gli piacque per niente: la scelta finale sarebbe toccata a
lui, ma il
giovane dubitava di possedere la forza necessaria per prendere la
decisione
giusta.
«Marian,
ti supplico...»
«Solo
ora capisco quanto mi stessi sbagliando!» esclamò
la fanciulla, senza badare
alle sue proteste. Era bastata quella mezza ammissione da parte del
ragazzo per
farle completamente abbandonare ogni precauzione. Tutti i suoi piani di
fuga
furono cancellati in un baleno, lasciando il posto a più
rischiosi ma dolci
progetti per il futuro.
«Io
pensavo di doverti lasciare, perché altrimenti avrei
sofferto di nuovo, ma solo
ora capisco che soffrirei comunque, se mi separassi da te!»
La
fanciulla sorrise, stringendogli le mani.
«Se
i tuoi sentimenti sono quelli di un tempo...»
«Marian!»
«...proprio
come hai dimostrato stasera, allora il mio posto è accanto a
te. E non c’è
nulla che possa farmi paura».
«Ma
non capisci?» si arrabbiò il ragazzo, riuscendo
finalmente a farla tacere.
«I
nostri sentimenti possono essere simili a quelli di allora»
iniziò, trascurando
l’occhiataccia che Marian gli gettò dopo avergli
sentito pronunciare quel
ridicolo aggettivo «ma siamo noi ad essere
cambiati!»
La
damigella lo fissò senza capire.
«Marian,
tu sei diventata una splendida donna di corte, abituata agli agi che si
confanno ad una dama del tuo rango e della tua educazione. Riusciresti
davvero
ad accontentarti della vita che ti potrei offrire io nei
boschi?»
«Non
dirmi che è questo il vero problema!» lo
rimproverò acre la fanciulla, rimanendo
in attesa della verità.
«Infatti».
Lo
sguardo di Robin si fece duro, quando riprese a spiegarle le ragioni
che lo
obbligavano a respingerla.
«Tu
non condividi la mia causa. Non posso vivere con una persona convinta
che io metta
a repentaglio la mia vita senza motivo. Non posso amare chi non
riconosce
l’importanza di ciò che io e i miei uomini stiamo
facendo per l’Inghilterra».
«Mi
stai dicendo che dovrei ritenerti un eroe per potermi assicurare il tuo
affetto?»
chiese Marian incredula.
«Dovresti
almeno sforzarti di non considerarmi un bandito!»
«E’
la mia benedizione quello che cerchi?» si arrabbiò
la fanciulla. «Non mi
importa chi sei o che cosa rappresenti! Io voglio un marito, non un
paladino!»
«Non
mi aspetto che tu capisca» riprese Robin agitato.
«Tu sei nobile; e sei una
donna».
«E
tu sei uno stupido!»
Gli
occhi di Marian si posarono su di lui colmi di indignazione.
«Anche
tu sei nobile, o ti bastano un arco e qualche foglia verde per
dimenticare chi
sei?»
«Io
sono Robin Hood!»
«Tu
sei Sir Robert di Loxley!»
«Quell’uomo
non esiste più, devi mettertelo in testa!»
«Come
posso farlo proprio ora che ho finalmente rivisto il ragazzo di cui mi
sono
innamorata?».
«L’uomo
di cui ti sei innamorata non c’è
più» ribadì Robin.
«E’
qui di fronte a me, invece!»
Robert
chiuse gli occhi e si affacciò alla finestra, sperando che
la brezza fredda
della notte potesse rinfrescargli le idee. Quella conversazione avrebbe
potuto
durare in eterno, senza che nessuno dei due retrocedesse mai dalle
proprie
posizioni. Marian rivendicava i diritti di una donna innamorata,
risvegliando
in lui sentimenti teneri che credeva di aver dimenticato durante quei
lunghi
anni di atrocità ed orrori. Ma non poteva cedere alle
lusinghe di una vita
dolce, da trascorrere con lei, sapendo in quali sofferenze viveva la
sua gente.
Troppe persone avevano bisogno di lui e Robin avrebbe accolto il loro
grido di
aiuto, anche se questo significava rinunciare a Marian.
«Sta
succedendo quello che è accaduto sette anni fa»
disse piano la fanciulla, quasi
parlando a se stessa. «Mi stai per dire che il tuo senso del
dovere ti spinge a
lasciarmi»
Robert
abbassò lo sguardo, per non essere costretto a rivelarle
che, ancora una volta,
aveva ragione.
«Scegli
la gloria, di nuovo!» esclamò lei amaramente.
«Quale
gloria?» ripeté il giovane, impallidendo.
Possibile che Marian avesse frainteso
sino a quel punto le sue intenzioni? «Quale
gloria?» chiese di nuovo.
«Ed
io che ero gelosa di quella poveretta!» replicò
Marian, pensando a Jasmine. «Non
c’è posto per alcuna donna nella tua vita,
perchè essa è tutta occupata dal tuo
egoistico bisogno di autocelebrazione».
«Pensi
davvero che io voglia solo mettermi in mostra?»
«Non
so cosa tu voglia fare ora, ma questo era certamente alla
sommità dei tuoi
desideri sette anni fa!»
Robert
fu ad un passo dal confessarle che il motivo per cui aveva accettato di
seguire
il re nella crociata era solo quello di rendersi degno di lei, ma si
trattenne.
«Se
questo è ciò che pensi, allora qualunque mio
sentimento nei tuoi confronti
andrebbe sprecato».
Marian
assunse una espressione addolorata di fronte a quell’ultimo
commento, ma presto
la mortificazione lasciò il posto alla collera.
«Tu
non te la meriti una come me»
Robert
trasalì, nell’udire la più cupa delle
sue paure prendere forma nelle parole
della fanciulla.
I
due giovani si fissarono per alcuni istanti, muti nella difesa della
propria
verità, rifiutando di scendere a patti con l’altro.
Finalmente Robin tornò a coricarsi, lasciando Marian a rimuginare sulla gravità delle offese che si erano nuovamente scambiati.
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Intanto, un grazie in anticipo a tutti coloro che leggerarnno!
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