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Autore: Moonshine Quinn    05/08/2014    1 recensioni
«Sai dove sbaglio io, di principio?» mi chiede. Mi limito a scuotere il capo.
«Credo al colpo di fulmine, Jay, e tu oggi mi hai folgorato» conclude, baciandomi la tempia.
Io arrossisco e lo guardo negli occhi, dopo aver allontanato appena il viso dal suo.
[...]
Uno dei più grandi errori che si possono fare è innamorarsi di una persona senza nemmeno conoscerla, ma ciò può portare ad un'avventura unica e irripetibile, un'avventura chiamata vita.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: G-Dragon, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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COLPO DI FULMINE


 
 
«Fade away... Fade away, fade awaay. Fade away....»
Ed ecco che anche le ultime note della canzone finiscono, e la voce di G-Dragon lentamente svanisce, come il fascio di luce giallognola, un po' malinconica e fioca, che lo illumina. A pensarci bene direi che può sembrare la luna, siccome la luce richiama tutto del satellite. In fondo il palco è allestito come se fosse un luogo all'aperto, di notte, con un piccolo tavolino, una sedia, entrambi neri, che si confondono facilmente con lo sfondo di stoffa, cosparso di piccole luci che sembrano comporre il cielo. Le lampadine non sono poste a ritmo regolare, ma hanno un loro fascino, anche con quel caos. La tela e le stelle sembrano essere state tessute e attaccate da Aracna ed Eris, messe di comune accordo per una volta, in modo da dare vita ad un'opera unica e strabiliante.
Ma a renderlo ancora più bella non sono le varie cornici giganti, tinte di un verde molto scuro, quasi del colore degli aghi di pino, che man mano che si avvicinano al palco si ingrandiscono e, come per le ultime due, si separano, permettendo al cantane di attraversarle tramite il varco che si fa spazio lungo il lato.
No, ciò che rende tutto meraviglioso è proprio G-Dragon. Lui, vestito completamente di nero, elegante, con i capelli argentei sotto la luce fioca e il viso malinconico, dà il tocco perfetto al tutto. La scena e il protagonista sembrano essere un tutt'uno perfetto in quel piccolo teatro tanto che, una volta finita l'esibizione, vedere il leader sparire dietro le quinte risulta quasi... straziante? Come se la perfezione sia stata improvvisamente squarciata, lasciando solo un piccolo brandello di ciò che era all'inizio.
Seguo GD con lo sguardo finché mi è possibile, prima che il buio lo avvolga totalmente. Spero che si giri almeno una volta, ma niente, se ne è andato così, come è arrivato. Sospiro e mi alzo lentamente, uscendo dal mio posto centrale in seconda fila, e seguo la coda che si è creata di fronte a me, composta dalle persone che erano sedute lungo tutta la fila. Procediamo a rilento, e a stento, come se nessuno voglia davvero andarsene, come se qualcuno spera ancora che il cantante esca e ci saluti per bene l'ultima volta, ma niente. È orribile come paragone, ma sembriamo un gruppo di ebrei in fila per entrare nel campo di concentramento di Auschwitz, dritti verso le camere a gas. È proprio vero che il vuoto che ti rimane dentro dopo la fine di un concerto è opprimente e incolmabile, specialmente se per la persona che sei andato a vedere provi qualcosa di indescrivibilmente forte. Eh già... provo qualcosa per G-Dragon, ma riesco a tenerlo sotto controllo. So vivere con i piedi per terra, so che non succederà mai che lui possa uscire con me, una classica ragazza di città, normale e monotona. Nemmeno oggi, che sono venuta ad assistere ad una sua esibizione, sono riuscita a rendermi un po' particolare. No... indosso un semplice vestito nero di cotone e pizzo, con la scollatura a cuore, una fascia di seta che mi passa subito sotto i seni che nasconde la cucitura del punto in cui sono attaccati il bustino e la gonna a ruota, lunga fino a metà coscia, rialzata da del tulle nero. Ai piedi ho delle semplici ballerine nere con un fiocco di nastro che mi circonda la caviglia, anch'esso nero, e che si conclude con un fiocco striminzito.
Per non parlare dei capelli corvini... talmente lunghi e lisci da risultare ingestibili. Ho passato ore davanti allo specchio questa sera per riuscire a fare una bell'acconciatura complicata, anche solo uno chignon, ma nulla, ogni volta delle ciocche scappavano fuori, facendo crollare il tutto, così mi sono limitata a tenerli sciolti sulle spalle e sulla schiena, come ogni giorno, e ho tenuto su un paio di ciocche con una molletta decorata da un ulteriore fiocco. Solo il trucco sembra essere uscito meglio del solito. Uno spesso strato di eye liner circonda i miei occhi a mandorla color cioccolato fondente, facendo apparire il colore dell'iride ancora più scuro di quanto già non sia, quasi nero. Ho deciso di togliere il piercing al naso, quello centrale, perché non sta bene con l'abbigliamento, ma ho scelto di tenere ugualmente quello al labbro. In fondo è solo un anellino nero lucido posto sulla parte inferiore sinistra delle mie labbra. Sta anche bene, siccome mette in risalto la loro carnosità.
Stringo la pochette nera fra le mani e finalmente esco dal corridoio di posti assieme ad altre persone a me parallele. Mi mordo il labbro inferiore, spostandomi una ciocca dietro all'orecchio, contornato da almeno dieci orecchini ad anello, e mi volto, guardando un'ultima volta il palco. Sospiro nuovamente, tristemente, scuotendo piano il capo e osservando l'ultimo posto in cui GD si è poggiato prima di sparire. Rimango per una manciata di secondi a fissare il palco, prima che una ragazza, dall'aria alquanto scazzata, mi spinge via, dicendomi che è inutile rimanere a fissare un po' di legno e della stoffa, tanto il cantante non c'è più e i filmini mentali me li posso fare tranquillamente a casa.
Vorrei risponderle per le rime, ma in realtà non ho nemmeno la forza per muovere un altro passo. La canzone che ha cantato stasera è a dir poco straziante, soprattutto se hai appena litigato con il tuo fidanzato e ti sei lasciata insultare come un cane da lui, per poi sentirti dire “È finita”. In questo momento vorrei fare come CL, ovvero ammazzare il mio ex, ma farei solo il suo gioco. Non andrò nemmeno a cercarlo, non piangerò...
Come un robot scendo le scale, seguendo la folla verso l'uscita, fino a ritrovarmi fuori dal teatro. Deglutisco, stringendo i denti e trattenendo a stento le lacrime che premono contro le mie palpebre chiuse e stravolte. Troppe emozioni in una serata sola, troppe cose che si affollano nel mio cuore in poco tempo, e io troppo debole per metterle in ordine.
Tiro fuori il telefono dalla pochette per guardare l'ora, quando improvvisamente si illumina lo schermo, riportando una scritta “Messaggio da Amore: Giusto, se provi anche solo a cercarmi, ti spezzo l'osso del collo, hai capito? Eliminami dalla tua vita o sarò io ad eliminarti!”
Sblocco il telefono e vado dritta sui messaggi, per rileggere il testo più e più volte, cercando di captare anche il minimo errore, un mio minimo fraintendimento, ma niente. In quell'sms mi ha praticamente minacciata di morte. Lentamente le lacrime cominciano a farsi strada lungo le mie guance, riscaldandomi la pelle tesa e fredda, trascinando assieme a loro anche il trucco.
Con movimenti lenti rimetto via il telefono e mi guardo in giro. Non ho qui abbastanza soldi per prendere un taxi e, malgrado la mia abitazione dista un venti minuti da qui, non ho altra scelta che tornare a casa a piedi. Fa abbastanza freddo, ma camminando sicuramente mi riscalderò, e in più se penso di rimanere lì ad aspettare qualcuno che mi accompagni gentilmente a casa, rischio di morire assiderata, così mi dico che è meglio se mi metto in cammino.
Scuoto piano il capo e mi avvio verso l'uscita dei parcheggi, reggendo in mano un lembo della gonna e nell'altra la pochette. Continuo a piangere ininterrottamente, ma me ne infischio. Nessuno mi vede e in più non frega a nessuno se piango o meno, siccome sono problemi miei.
Ringrazio un qualcosa per avermi fatto scegliere di mettere le ballerine al posto delle scarpe con i tacchi, o non avrei resistito cinque minuti!
Accelero il passo, uscendo dai posteggi e girando verso destra, andando verso il centro di Seoul, sulla stessa via in cui c'è il garage sotterraneo del teatro. Ma vi pare che lo so che li c'è un fottuto garage?
Ho gli occhi chiusi a causa del bruciore che procura il trucco negli occhi, e la mente affollata di quesiti e dolore, e l'ultima cosa che sento e vedo è proprio una macchina che arriva dalla mia destra. Sicuramente anche il conducente deve essersi accorto dopo di me, siccome è stato proprio lo scivolare dei copertoni sull'asfalto a due passi di miei piedi a riportarmi sulla terra. Alzo lo sguardo e socchiudo gli occhi, giusto in tempo per vedere due enormi fari bianchi puntarmi ed avvicinarsi troppo velocemente per i miei gusti. Lancio un urlo e faccio un salto indietro, capitando dritta in strada. Mossa sbagliata, siccome proprio in quell'istante un'auto decide di sgommare lungo la via in cui mi trovo e venirmi addosso. Sgrano gli occhi, guardando la vettura avvicinarsi ad una velocità incredibile, e notando nelle manovre di guida della persona al volate chiari segni di ubriachezza. Sta volta non urlo, ma mi limito a lasciare cadere la pochette per terra e a correre sul marciapiede da cui sono scesa, in modo da salvarmi. Faccio uno scatto proprio un attimo prima che la macchina passa esattamente sopra il mio piccolo astuccio, facendo provenire scricchioli sinistri dal contenuto. Mi blocco di scatto, o almeno ci provo, perché vado dritta a sbattere contro a... qualcosa di alto e irremovibile di fronte a me. Ero davvero stata presa così tanto dagli scricchiolii delle mie cose da non essermi accorta di un cartello di fronte a me? Mi allontano traballante, portandomi due mani sul naso e massaggiandomelo appena, per poi scuotere il capo e guardarmi davanti. Ho ancora gli occhi offuscati dalle lacrime e dal trucco, ma comunque lo so distinguere un cartello quando lo vedo e l'affare contro cui sono andata a sbattere, non ha nulla di un cartello. Faccio per strofinarmi gli occhi, quando una mano mi blocca per il polso, abbassandomi poi piano il braccio e lasciandomi andare.
«Volevi proprio andare a sbattere contro qualcosa, eh?» dice una voce maschile, abbastanza profonda, giovane e gentile, con una punta di divertimento.
Sbuffo e lo spingo via, per poi correre a raccogliere la pochette, aprirla e... sbiancare letteralmente. Che il telefono si fosse rotto ci ero arrivata ma le chiavi... di casa... spezzate in due... fatte in metallo... no! Che diavolo era quella macchina? Un trax?
Spalanco la bocca e tiro fuori i rimasugli dei miei oggetti personali dall'astuccio, per poi inginocchiarmi e scuotere il capo.
Bene, devo fare il conto delle cose andate storte oggi? Forse è meglio di no, o la prossima mossa che faccio è andare in stazione e buttarmi sotto un treno.
Singhiozzo silenziosamente, riprendendo a piangere e guardando il mio telefono e le chiavi attraverso il velo di lacrime che offusca la mia vista, per poi chiudere gli occhi e chinare in avanti del tutto il capo.
Il ragazzo di fronte a me si inginocchia a sua volta e mi alza il viso, poggiandomi due dita sotto il mento e asciugandomi una guancia con il pollice, levandomi il calore umido delle lacrime, per poi avvicinarsi e stringermi fra le braccia, in un abbraccio. Rimango leggermente spiazzata da quel gesto, ma ora ho davvero bisogno di un segno d'affetto, e non mi importa chi me lo dia, l'importante è riceverlo. Lo stringo a me a mia volta, sospirando e poggiando il capo sulla sua spalla, lasciando lo spazio a nuove lacrime. Lo sconosciuto alza un braccio e mi accarezza i capelli, per poi sussurrarmi «Sssssh, non piangere piccola»
Come faccio a non piangere? Oggi non me ne va bene una...
«Vieni con me, ti porto a casa» mormora, mentre mi coccola fra le sue braccia. Io scuoto il capo e lo tengo maggiormente stretto a me «N-Non posso entrare. Mi... mi si sono rotte le chiavi»
Lo avverto ridere appena «Ho visto, non preoccuparti. Tutto ciò è successo per colpa mia, dovevo stare più attento. Qualcuno nel tuo palazzo avrà un passe par tout, no? Chiedi a lui le chiavi per entrare a casa e domani mi chiami, in modo che io possa accompagnarti dal ferramenta, okay?»
Annuisco piano, allontanandomi da lui e asciugandomi le ultime tracce delle lacrime misto a make up.
Poggio una mano per terra e mi isso in piedi, facendo forza con il braccio, per poi sistemarmi il vestito e guardare verso i parcheggi, ormai deserti, o quasi. La gente se n'è andata tutta a casa, sono tornati al proprio focolare, dopo aver gustato un fantastico concerto, dopo aver provato molte emozioni, o nessuna. Anche io, come loro, ora dovrei essere sulla via per casa mia, e invece mi trovo ancora qui con uno sconosciuto, dopo aver rotto sia il telefono che le chiavi, tutto perché ho rischiato di essere investita all'incirca due volte.
Sporto lo sguardo verso la macchina del ragazzo di fronte a me e sbianco, ma temo di essere ancora più pallida della vernice che ricopre la carrozzeria della Lamborghini che ho accanto. Sgrano gli occhi e spalanco la bocca, fissando meravigliata quel gioiello di meccanica e ingegneria. È una Lamborghini My Luxury, uno dei modelli del 2012, costosissima e... potentissima! Ma, aspetta un attimo, io quest'auto da qualche parte l'ho già vista, ma dove?
Mi gratto il capo, perplessa, cercando di focalizzare il posto in cui ho già visto un'auto così, ma sembra proprio che io abbia un enorme vuoto di memoria, perché proprio non ho in mente dov... o Cristo! Ora che ci penso bene, non ho ancora guardato in faccia lo sconosciuto e, per la rabbia e che mi annebbiava la mente, non ho nemmeno fatto tanto caso alla sua voce. Non può essere vero. Non è possibile! È ufficiale, tutte le emozioni di questa sera mi hanno dato alla testa e ora sto avendo anche le allucinazioni! Sicuramente è tutto frutto della mia fervida immaginazione, che non vuole lasciarmi un attimo di tregua! Sicuramente adesso riaprirò gli occhi e mi ritroverò sul ciglio della strada, dolorante e fiacca a causa dell'investimento, oppure già in ospedale, che mi stanno portando d'urgenza in sala operatoria, o peggio ancora non aprirò del tutto gli occhi e continuerò a sognare.
Deglutisco rumorosamente e, trattenendo il respiro, alzo lo sguardo verso il viso del ragazzo, per poi portarmi una mano sulla fronte e poggiarmi con l'altra sul cofano dell'auto, per evitare di cadere a causa dell'improvviso giramento di testa. Uff, l'ennesimo calo di pressione, di sicuro. Andiamo, non può mica essere stato il suo sguardo a farmi questo effetto. Non può essere stato lui, perché se è così allora sto messa molto peggio di quanto credessi.
Appena poggio la mano sulla carrozzeria, lui fa uno scatto verso di me e mi sorregge, tenendomi per i fianchi. Sbianco a quel tocco e sento che le mie gambe, lentamente, si fanno sempre più di gelatina, facendo scomparire le ossa e i muscoli che mi sorreggono. La testa non smette un attimo di vorticare, e tutto intorno a me si fa sempre più offuscato e nebbioso. Le palpebre diventano pesanti, fino a diventare due macigni, due blocchi di marmo, che si chiudono con lentezza e pesantezza sui miei occhi, ormai velati. Le gambe decidono che quell'istante è il momento adatto per cedere e il mio cervello dice al resto del corpo che è tempo di svenire, di mettersi in stand-by, ma io non voglio svenire! Io devo essere certa di ciò che ho visto! Devo essere sicura che quel ragazzo non è lui! Sento la sua voce riecheggiare lontana, e chiedermi se sto bene, ma non ho le forze né le capacità di rispondere, così l'unica cosa sensata che esce dalle mie labbra è «S-Sveng...o» poi il buio.
Mi risveglio, dopo non so quanto, seduta su un sedile in pelle nera e lucida, di una macchina a me sconosciuta. Mi muovo appena e mi stropiccio gli occhi, per poi aprirli e osservarmi le mani. Bene, ciò che rimaneva del make up, ora me lo ritrovo tutto sulle mani, pazienza. Sospiro appena e mi porto una mano alle tempie, esaminando il mio stato, siccome so di essere svenuta, anche se non ricordo bene dove e come. Ho la testa che non gira più, i muscoli che funzionano, che sembrano essere tornati al loro posto e la vista nuovamente lucida ma, in compenso, ho la testa che esplode. Non dipende dalla macchina, che non sembra nemmeno viaggiare, o dalla leggera musica in sottofondo, no, sembra dipendere da qualcos'altro, da una sensazione strana, che già prima avevo avvertito, appena sveglia. Chiudo gli occhi, cercando di focalizzare il momento esatto in cui sono svenuta, ma ho un buco tale che a confronto un buco nero sembra piccolo. Temo quasi di aver perso la memoria, ma ogni volta che svengo è così. Basta far passare un paio di minuti e ritorna tutto al suo posto.
Poggio le mani sul sedile e mi tiro su, mettendomi più comoda e dritta contro lo schienale, per poi guardarmi in giro per tutto l'abitacolo dell'auto, fino ad arrivare al conducente, seduto alla mia sinistra, che sembra essere molto concentrato sulla guida in questo momento per accorgersi che mi sono ripresa. Ma non faccio a tempo a finire il pensiero che lentamente il suo sguardo si sposta dall'asfalto della strada, a me e, dopo pochi secondi, ecco che mi regala un tenero sorriso. Il mio cuore fa un triplo salto mortale, prima di prendere a battere all'impazzata e, appena i suoi occhi incontrano i miei, tutti i ricordi ritornano al loro posto.
«Ah, ti sei svegliata. Per fortuna, mi stavo preoccupando» mi dice con gentilezza, ma io non so dove pescare le parole e il coraggio per rispondergli, così mi limito a fissarlo e a deglutire un paio di volte a vuoto.
Lui sorride nuovamente, ma sta volta sembra un sorriso più forzato, triste, e torna a guardare la strada. Io scuoto appena il capo e stringo piano i pugni, per poi guardarlo e schiarirmi la voce, attirando nuovamente la sua attenzione su di me. Effettivamente lo sguardo lo sposta su di me, ma non mi sorride più. Oddio spero di non avergli fatto un torto non rispondendogli prima!
Raccolgo il coraggio a due mani e provo a parlare, ma scopro che la mia voce non è più alta di un sussurro, così deglutisco un'ennesima volta e faccio un respiro.
«I-Io abito a pochi... pochi isolati da qui e... ehm, la strada è... è quella parallela a questa» gli dico.
Ed ecco che un nuovo sorriso gli illumina le labbra. Tiro un leggero sospiro di sollievo, felice di non averlo turbato con il mio strano comportamento e accenno un sorriso a mia volta.
«Non me la sento di lasciarti da sola in queste condizioni. Sei appena svenuta, e se a casa ti capita di riperdere i sensi puoi rischiare di farti male»
Sgrano gli occhi e lo guardo, cercando di capire che cosa ha in mente, ma non ricevendo alcuna risposta, decido di chiedergli «E dove... dove mi porti? Non all'ospedale, non ce n'è bisogno, davvero! Non svengo più!» ma non riesco a trovare altri motivi per farmi lasciare a casa da sola, e in più lo sguardo serio e preoccupato che mi lancia mi fa rimangiare tutto ciò che ho detto.
«Non ti porto in nessun ospedale, vieni a casa mia almeno sarò sicuro che starai bene. Se dovesse succederti qualcosa mi sentirei responsabile, però prima andiamo a mangiare qualcosa, che io, non so te, ho una gran fame, e tu hai bisogno di prendere qualcosa, siccome sei più pallida di un fiocco di neve» mi dice, concludendo il tutto con un bellissimo sorriso. Ad ogni singola parola mi sento sciogliere e sento il cuore battere veloce quanto le ali di un colibrì! Ma non posso accettare, lui ha già tanto da fare di suo, senza che ci sia io a bloccarlo, così, testarda come sono, decido di protestare, ma la mia protesta non sembra per niente convincente.
Così eccoci diretti verso il ristorante giapponese. Mi ha chiesto cosa preferissi mangiare, ma gli avevo risposto che per me era indifferente, che l'importante è mangiare. Così subito mi ha detto che mi avrebbe portato nel suo ristorante preferito... il giapponese. Annuisco, mio malgrado, e acconsento, anche se l'ultima cosa che sopporto è proprio il sushi. Ma non gli dico niente e sorrido,  assecondando la sua idea. Andiamo verso nord, viaggiando per almeno una buona ventina di minuti. Non sembra, ma Seoul è una città davvero grande e, da quello che lui mi ha spiegato, il ristoro è dalla parte opposta rispetto al teatro, perciò ci vuole un po'. Ma non mi spiace stare in auto... in quell'auto, con lui accanto. Sembra tutto troppo bello per essere vero, tanto che ho paura che da un momento all'altro apro gli occhi e mi accorgo che è tutto un sogno. Ma più mi do pizzicotti, più il dolore si fa sentire, più ho la conferma che ogni cosa stia succedendo realmente. Solo una cosa mi sta soffocando... il silenzio! C'è un silenzio di tomba talmente opprimente da diventare quasi assordante. Nemmeno il motore fa rumore, o per lo meno noi non lo sentiamo, per cui il silenzio è più che assoluto. Sposto lo sguardo sull'autoradio e mormoro «P-Posso mettere un po' di musica?» chiedo titubante. Lui annuisce e mi indica il cruscotto.
«Certo! Possiamo ascoltare la radio o, se preferisci, li dentro ci dovrebbero essere un paio di CD, anche se non ricordo quali. Magari compilation di qualche genere» mi risponde sorridendo. Annuisco a mia volta e apro con cautela il cruscotto, come se temessi di romperlo, e ne estraggo tutti i CD che trovo. Un paio, eh?
Li conto velocemente, per poi guardare gli artisti e i titoli degli album. Sono otto album e quattro compilation. Totale 12 CD. Quattro degli otto album sono dei BigBang: Alive, BigBang Vol.1, Remember e Always. Altri due sono di G-Dragon: Heartbreaker e One Of A Kind, mentre gli ultimi due sono: uno delle 2NE1, e l'ultimo di un cantante americano con un nome impronunciabile. Passo in rassegna tutti i titoli, per poi spostare la mia attenzione sulle compilation. Sulle custodie c'è scritto, con l'indelebile, in una calligrafia ordinata e pulita: American's Compilation e Random Music.
Sorrido ed estraggo la compilation “Random Music”, per poi mettere via di nuovo tutti i CD nello scompartimento e chiudere lo sportello. Apro la custodia e faccio per inserire il CD nella radio, ma mi rendo conto che non ho la più pallida idea di come si faccia a metterlo, siccome la fessura non c'è! Rimango bloccata per almeno quindici buoni secondi davanti al lettore, prima che il ragazzo accanto a me si accorge che non so come far partire quel dannato aggeggio. Lo sento ridacchiare appena e, adagio, va ad allungare una mano verso lo stereo. Clicca un pulsante su di esso e la parte frontale si apre, lasciando scoperto il mangia CD nero, illuminato attorno di rosso. Aspetto che tolga la mano, per poi inserire il CD e richiudere manualmente lo sportello. Poggio la custodia sulle mie gambe, e mi guardo di fronte, aspettando che la musica riempi l'abitacolo.
Ed ecco che le prime note cominciano a decorare il silenzio, tirandomi finalmente via da quello stato di apnea e imbarazzo, e facendomi rilassare.
Ci metto un attimo per capire di che canzone si tratta, siccome la band che l'ha composta non la seguo molto bene, ma non appena una voce dice “Warrior is back” ecco che li riconosco. I B.A.P. Rimango sinceramente sorpresa dallo sentire quella voce provenire dal suo CD, così alzo lo sguardo verso di lui e inarco un sopracciglio.
«A-Ascolti i B.A.P?» chiedo perplessa. Lui annuisce e accenna un sorriso, per poi rispondermi «Sono un gruppo molto giovane, ma hanno talento, sento che faranno strada» conclude.
Annuisco appena e sposto lo sguardo sulla strada di fronte a noi, ascoltando la musica dei sei giovani talenti e dicendo al mio cuore di rallentare i battiti. Ed è che così passiamo il viaggio.
Ho la mente che viaggia talmente lontano da non farmi accorgere nemmeno lo spegnersi della musica.
Ad un certo punto sento qualcosa sfiorarmi il braccio, e per poco non faccio un salto per lo spavento, temendo che fosse un qualche insetto o cose varie, ma non è nulla di ciò, è semplicemente la sua mano che mi sta accarezzando delicatamente, per richiamare la mia attenzione. Lo vedo sorridermi e farmi segno di uscire dall'auto, per poi dirmi che siamo arrivati a destinazione. Annuisco piano, ancora con il cuore che pompa all'impazzata, a causa dell'emozione e dei brividi che mi procurano il contatto della sua pelle contro la mia. Deglutisco il più silenziosamente possibile e mi accingo ad uscire dalla vettura, che pare essere troppo comoda per volermi lasciare. I sedili in pelle mi tengono imprigionata li, senza via di fuga, ma ho comunque fame, e voglia di passare una fantastica serata con lui, così metto i piedi fuori dall'auto ed esco. Ci troviamo in un parcheggio sotterraneo, un autosilo, mezzo vuoto, con le luci al neon poco luminose e le pareti troppo scure, anche un po' rovinate dal tempo e dall'umidità, oltre che lo smog prodotto dai tubi di scappamento delle automobili. Mi volto verso di lui, mentre chiudo delicatamente la portiera, e lo aspetto. Sta prendendo delle cose e mettendo altre nel cruscotto, evidentemente cose di valore o comunque importanti, perciò è meglio che stiano al coperto. Finito di sistemare gli ultimi oggetti nel nascondiglio, posto in una specie di cassettino segreto, mimetizzato nel cruscotto, si alza, chiude la porta, e mi guarda di rimando, sorridendo, per poi chiudere l'auto e venire verso di me. Una volta arrivato vicino mi porge un braccio e io, sorpresa da quel gesto, rimango per almeno cinque buoni secondi a fissarlo, per poi scuotere piano il capo e prenderlo a braccetto. Che bella sensazione, stare così vicino a lui, con lui è tutto così... così... così magico!
Ci incamminiamo verso l'uscita, così, stretti l'uno all'altra. Il parcheggio non è tanto in basso rispetto alla strada, perciò non ci tocca fare tante scale e, una volta fuori, capisco che eravamo proprio sotto il ristorante. Non appena lo vedo capisco anche di che ristorante si tratta! Mi volto verso di lui e lo guardo sorpresa, per poi dirgli, cercando inutilmente di mascherare l'immenso stupore che trapela dalla mia voce.
«M-Ma siamo al... Takahzuma Restaurant! Q-Qui... qui non puoi entrare a meno che non riservi con largo anticipo! C-Come... come faremo a cenare?» chiedo, guardandolo dritto negli occhi, anche se ciò mi pare estremamente difficile. Ma l'unica risposta che ricevo è un bellissimo e favoloso sorriso, accompagnato da un occhiolino. Lo guardo confusa, ma non mi resta fare altro che seguirlo e assecondarlo, in fondo è pur sempre lui, di per se non...
Entriamo nell'atrio dell'enorme e rinomato ristorante, decorato tutto di bianco, rosa e nero. Le pareti sono tutte ricoperte da della carta da parati elaboratissima, decorata con tantissimi piccoli fiori di ciliegio e, sparsi qua e là, si fanno strada un paio di dragoni con le squame leggermente tinte di un blu cielo talmente chiaro da sembrare quasi trasparente. Sulla parete dietro alla ricezione, c'è una complicata scritta e, da quel poco di giapponese che ho studiato, riesco a capire su per giù che si tratta di una poesia dedicata ai draghi e alla loro saggezza leggendaria. Il bancone di legno chiaro, probabilmente di ciliegio, è posto al centro della parete alla nostra destra, e dietro ad esso c'è un ragazzo alto all'incirca un metro e settanta, che ci guarda con uno sguardo misto tra sorpresa e felicità. Si allontana appena dal suo posto e si inchina, per poi farci segno di avvicinarci. Lui si incammina e, con estrema gentilezza, mi tira a sé, facendo sí che lo segua lungo tutto il parquet di legno chiaro. Io ubbidisco e cammino di fianco a lui, abbassando lo sguardo per l'imbarazzo e passandomi una mano sugli occhi, per vedere quanto make-up mi rimane, ma noto con sollievo che ormai sono struccata, perciò, almeno per quello, evito una qualche figuraccia.
Arriviamo fino davanti all'uomo e lo salutiamo in giapponese, sfoderando un inchino perfettamente sincronizzato, che viene ricambiato con un sorriso, seguito da un «Signor Kwon! Che piacere vederla!» esclama entusiasmato.
JiYong sorride e mi stringe di poco a sé «Il piacere è mio. Avete qualche posto libero sta sera?» gli chiede lui.
L'ometto si mette a frugare nell'enorme libro, per poi grattarsi il capo con la punta della matita.
«Il suo posto, quello che tiene riservato tutto l'anno, come sempre» ci avvisa lui. JiYong si inchina, ringraziando e si avvia verso il suo posto, seguito a ruota da me, che continuo a tenere lo sguardo rivolto verso il basso, temendo che magari qualcuno mi riconosca. Attraversiamo tutto il locale, facendo slalom fra i vari tavoli doppi e le tavolate composte da almeno un decina di persone, fino ad arrivare al posto più nell'angolo del locale. È posizionato esattamente nel punto il cui le due vetrate che compongono i muri del ristorante si incontrano. Il tavolo, quadrato e piuttosto grande, poggia su due lati contro le finestre, facendo sparire la tovaglietta in seta rossa dietro di essi, mentre ai lati opposti ci sono due sedie in velluto rosso, con già la tavola apparecchiata e i menù pronti. Dietro di noi vengono chiusi i paraventi, donando a quel posto un non so che di intimo. Mi volto e guardo con attenzione i disegni ricamati con fili d'oro e argento lungo tutta la trama della stoffa di seta. Sono delle fantastiche riproduzioni di paesaggi incantati e fiabeschi, tipici del Giappone e, come di consueto, spuntano anche dei draghi rossi o blu. Apro appena la bocca, sorpresa dal meraviglioso posto e alzo lo sguardo, osservando che sopra di noi non c'è alcuna lampada, ma noto con piacere che le luci intense di Seoul, abbastanza potenti, riescono ad illuminarci lievemente, malgrado siamo abbastanza lontani dal centro. Sono incantata da tutto ciò, e non mi resta altro che esclamare un sincero «Wow».
G-Dragon si volta verso di me e allunga una mano verso la mia, per poi stringermela delicatamente, richiamando la mia attenzione. Lo vedo sorridermi e chiedermi «Ti piace?»
Leggermente imbarazzata, annuisco e mi mordo il labbro inferiore. Non sono mai stata in questo posto e ricordo che, quando con i miei genitori, da piccolina, passavo davanti a questo locale, mi immaginavo come fosse l'interno, e sognavo spesso di andarci, ed ora il sogno è diventato realtà. Due sogni sono reali ora come ora.
«È... È un posto fantastico!» dico, inciampando appena nelle parole.
«Sono felice che ti piaccia, e ti stupirai anche nell'assaporare le delizie che servono in questo posto» mi dice.
Oh, non ho dubbi che siano buonissime, insomma... quando deve valere un ristorante per far sí che tu riservi un tavolo tutto l'anno? Insomma...
Ma sono pensieri inespressi, così mi limito semplicemente ad annuire e a guardare fuori dalle vetrate.
Ad un certo punto entra un cameriere, con due menù sottobraccio e delle candele nella mano destra. Si avvicina al tavolo e le posa sul tavolo, formando un cerchio, per poi prendere un accendino nero e accenderle tutte. Fatto ciò ci porge i menù e si inchina, uscendo e lasciandoci soli, chiudendo nuovamente i paraventi. G-Dragon non dà nemmeno un'occhiata alle offerte del ristorante, si limita solo a spostare la carta e metterla nella parte libera del tavolo, al contrario di me che la apro e comincio a guardarci dentro, sbiancando per i prezzi. Sono veramente delle cifre esorbitanti, e dubito fortemente di riuscire anche solo a mangiare due pezzi di sushi, ma in realtà non è esattamente di quello ciò di cui vorrei saziarmi. Faccio scorrere le pagine, fino ad arrivare alle zuppe e minestre, alla ricerca del ramen e, quando finalmente lo trovo, chiudo il tutto, sospirando e mettendolo accanto a quello di GD.
«Qualcosa non va?» mi chiede lui, inarcando un sopracciglio e guardandomi preoccupato. Io scuoto il capo e ricambio il suo sguardo, corrugando appena la fronte.
«N-No... nulla... solo che, ecco... non penso di potermi permettere nulla di ciò che la cucina offre» deglutisco, abbassando lo sguardo. A differenza sua, io non ho così tanti soldi e, da quanto so, anche solo stare in quel posto costa molto, anche senza consumare nulla.
Con la coda dell'occhio lo intravvedo sorridere, prima di posare una mano sulla mia e stringermela appena.
«Non devi preoccuparti. Con ciò che hai passato sta sera, come minimo hai bisogno di mangiare qualcosa di nutriente, senza pensare troppo ai costi. Offro io» e conclude tutto con uno dei suoi meravigliosi sorrisi. Lo guardo, sentendo mancare l'aria e la terra sotto i piedi, ma faccio del mio meglio per non darlo a vedere, e mi limito a scuotere il capo. Lo so che i fondi non gli mancano ma, ugualmente, non voglio pesargli, non voglio fargli spendere più del necessario, e glielo dico, ma lui mi tranquillizza, dicendomi che non ci sono problemi e che mi offre la cena con molto piacere. Faccio per ribattere, quando ritorna il cameriere, pronto per prendere le ordinazioni. Lascio che sia G-Dragon a parlare per primo, sperando che si possa comandare anche in coreano e non solo parlando giapponese e, per fortuna, le parole che escono dalle sue labbra sono in perfetto coreano.
«Del ramen, per favore, e da bere... un the verde. Tu cosa prendi?» mi chiede poi, rivolgendo il viso nella mia direzione.
Arrossisco appena, guardando il cameriere.
«P-Prenderei anche io del ramen, per piacere e... un the verde, grazie» dico. L'ometto, vestito come un pinguino e alto poco più di un metro e sessanta, si inchina e sparisce nuovamente dietro i paraventi.
Sposto lo sguardo sulle nostre mani, che nel frattempo si sono intrecciate assieme, e arrossisco. Un vortice d'emozioni si abbatte sul mio cuore, e ci manca poco che vado in iper ventilazione, ma decido che voglio trattenermi. Non voglio essere come le altre fan, che non fanno altro che urlare, piangere e nascondersi da lui. No, voglio che almeno di questa serata, che almeno di me si ricorderà nel futuro.
Passiamo l'attesa a parlare di cose normali, di cose che anche lui, pur essendo una star, fa tutti i giorni. Ridiamo, scherziamo e condividiamo esperienze e pensieri. Noto una cosa molto piacevole, ma è lui a dar voce ai miei pensieri, dicendomi «Abbiamo molte cose in comune ma... non so ancora il tuo nome».
Oddio è vero! Sorrido imbarazzata e faccio un cenno con il capo, come inchino.
«Scusa, hai ragione. Mi presento, sono Lee JayHa» dico con una punta di vergogna. Lui sgrana gli occhi per un piccolo istante, prima di sorridermi e farmi i complimenti per il bel nome. Ringrazio, sentendo che lentamente le mie guance stanno prendendo lo stesso colore della tovaglietta. Stare con lui, così vicino, così a stretto contatto, mi manda in cancrena ogni cellula del cervello, e mi fa diventare rossa quanto un peperone, eppure lui continua a guardarmi, quasi sognante. So di non avere un bellissimo aspetto, soprattutto ora che il trucco è completamente sparito, ma non sembra importargli, anzi, dà anche l'aria di uno che vuole conoscermi, ed effettivamente...
«Quanti anni hai?» mi chiede.
«Fra poco faccio i ventitré».
«E, ehm... scusa, non voglio farlo risultare un interrogatorio ma mi piacerebbe conoscerti» mi dice, abbassando appena lo sguardo, come un cucciolo che si sente in colpa, dopo che ha fatto un enorme danno. Sorrido in automatico e gli accarezzo il dorso della mano.
«T-Tranquillo, chiedi pure» balbetto appena.
«Che fai nella vita? Cioè... per vivere...».
«Sono una parrucchiera».
Improvvisamente il suo sguardo si illumina e mi guarda sorridendo. Lo sapevo, quando si parla di capelli questo non capisce più nulla. Una cosa che lo contraddistingue è il suo continuo mutamento di colori e di tagli ma, a essere sincera, sta da dio con qualsiasi cosa.
Detto il mio lavoro, ecco che cominciamo a parlare animatamente su tutto ciò che concerne tinte, tagli, tendenze e cose varie. Parliamo soprattutto dei suoi formidabili capelli che, malgrado tutte le decolorazioni e tutte le tinte, sono ancora morbidi come seta. Lo prego di svelarmi il trucco per tenerli sempre così belli, anche se so benissimo anche io come fa, ma un non-so-cosa dentro di me vuole avere la conferma da lui.
«Li taglio spesso» risponde, stringendosi nelle spalle e confermando così la mia teoria.
Annuisco e faccio per parlare, quando finalmente arriva la nostra cena. Questa volta a servirci è una ragazza, vestita con il chimono e truccata come una Geisha. Le vesti, colorate di rosa e blu, sono tenute assieme da una fascia nera stretta attorno alla vita. Ha i capelli neri stretti in uno chignon ordinato e pulito e, da esso, spuntano due bacchette nere, che lo decorano.
La ragazza si inchina e ci porge i piatti con dentro il ramen, ancora bollente, e ci augura buon appetito, per poi lasciarci soli ma, prima di andar via, rivolge un tenero sorriso a G-Dragon, che ricambia.
Guardo la delizia che mi è stata offerta e comincio a leccarmi le labbra, pregustando l'ottimo sapore. Prendo le bacchette e le immergo nella minestra, per poi afferrare un paio di spaghetti di soia e tirarli su. Soffio un po' per raffreddarli e me li porto alla bocca, prima che lui mi fermi e mi faccia abbassare le bacchette. Prende un po' dei suoi spaghetti e me li porge, dopo averli raffreddati un po'. Sorrido e mi sporgo, per far sí che mi imbocchi. G-Dragon tira fuori le bacchette dalla mia bocca, mentre mi guarda sorridente, aspettando di vedere la mia reazione. Mastico per bene quella delizia e ingoio, per poi inumidirmi le labbra ed esclamare un sincero “Che buono!”
E con quella esclamazione diamo ufficialmente inizio alla cena. Non parliamo molto, siccome siamo troppo impegnati ad assaporare il delizioso piatto tipicamente giapponese, ma comunque ci scambiamo occhiate e sorrisi. Stare con lui è favoloso, tanto che il disastro che è successo prima sembra essere solo un ricordo lontano, una cosa a cui, in questo momento, non voglio nemmeno pensare. So per certo che se ripercorressi i ricordi, la perfezione di questo momento verrebbe sicuramente rovinata, per cui... adesso il mio motto è Carpe Diem!
La cena procede bene, con il silenzio che parla per noi e gli sguardi che collegano le nostre menti. Dopo il ramen abbiamo deciso di prendere anche il dessert. Io ordino un gelato al cocco e lui un tartufato al cioccolato, anche se dalla faccia che fa, direi che non lo ha mai mangiato. Lo prende per curiosità, per assaggiare qualcosa di nuovo.
Finito pure quello, mi scuso con GD e mi assento un attimo, per andare in bagno, che si trova all'incirca dall'altra parte del ristorante rispetto a dove siamo noi.
Serpeggio goffamente fra i tavoli cercando di raggiungere il più in fretta possibile il bagno, evitando gli sguardi di tutti, evitando di essere riconosciuta. Se una delle mie amiche si trova qui a mangiare qualcosa e mi trova con G-Dragon, sicuro, a casa tutta intera non ci arrivo.
Mi fiondo verso il bagno delle donne e, una volta entrata, mi chiudo a porta alle spalle, respirando affannosamente. Non so esattamente che mi stia prendendo, ma almeno adesso posso andare in iper ventilazione senza fare figure troppo... oscene. Sento il cuore che comincia a battere in maniera veloce e irregolare, e il respiro comincia a farsi corto. Dovrei sedermi e nascondere il viso in mezzo alle ginocchia per smettere, per tornare alla regolarità, invece mi aggrappo al lavandino e guardo il mio riflesso nell'enorme specchio che ricopre tutta la parete di fronte alle porte dei bagni. Mi picchietto piano la fronte, sgridandomi.
“Stupida! Stupida! Stupida! Riprenditi!” ma, ovviamente, ciò non funziona, per cui apro l'acqua gelida e mi bagno ripetutamente il viso, lavando via quel rossore e, in qualche modo, calmandomi.
Mi sistemo bene il vestito e mi guardo i capelli con aria critica. Ora come ora non sembrano essere troppo in disordine, ma non sono comunque più ordinati come quando sono uscita dal teatro.
Me li pettino velocemente con le dita, lisciando ciò che già liscio è di sua natura, e faccio un veloce giro su me stessa. Okay, mi sento più pulita.
Lentamente, mi avvio verso l'uscita, allungo la mano per  aprire la porta quando...
La porta si spalanca di fronte a me, così sono costretta a fare un salto indietro, per evitare di ritrovarmi cinque chili di legno in faccia e un naso rotto. Faccio per dire due parole alla ragazza davanti a me quando la vedo in viso. Sbianco.
«Jay! Ciao!» mi saluta.
«Y-YôngSuk... c-che ci fai qui?» chiedo, indietreggiando. Lei si stringe nelle spalle ed entra, chiudendo la porta.
«Oh, nulla, sono qui con una persona... importante, e tu tesoro?» soppesa l'ultima parola, con disprezzo e superiorità.
Deglutisco e scuoto il capo «Io? Nulla... sono... sono venuta qui a mangiare dopo... dopo una riunione di lavoro» mento spudoratamente.
Kim YôngSuk... una ragazza che non mi è mai andata giù, una di quelle persone che preferiresti evitare, o non conoscere del tutto piuttosto che passarci anche un solo minuto nella stessa stanza, e purtroppo io e lei abbiamo passato quattro anni assieme all'apprendistato. Una ragazza viziata, oca, spocchiosa, figlia di ricchi e criticona, oltre che egocentrica e stronza. Nessuno la sopporta, e nessuno la sopporterà. Conosco bene la gente come lei, che non fa altro che ripetere “Tu non sai di chi sono figlia, trattami bene” oppure “Lo farò sapere a mio padre” o ancora “Piegati al mio cospetto, essere inferiore”. Okay, forse l'ultima no, ma il suo atteggiamento esprime esattamente quello.
Abbiamo frequentato la stessa scuola, e anche lí la storia era la medesima. Se non prendeva una bella nota, ecco che subito cominciava a frignare, o a minacciare i professori, affinché le dessero  pieni voti. È passata solo grazie alla potenza del suo paparino, un tipo alto, robusto e dal viso con i tratti molto freddi e asciutti. Semplicemente a guardarlo ti spaventi, e penso che sia arrivato al “potere” sfruttando principalmente quella caratteristica. Ad essere sinceri, la figlia, dal padre, non aveva preso altro che l'istinto di comandare, cosa che a nessuno andava bene. Perfino la sua amica, una ragazza della sua età, che frequentava la scuola d'arte, alla fine si era stufata e l'aveva mandata al diavolo. Meglio tralasciare i dettagli di come aveva reagito YôngSuk, basti sapere che aveva urlato e imposto alla ragazza di tornare da lei, che senza la sua presenza sarebbe rimasta solo una povera sfigata che nessuno in vita sua avrebbe voluto, che senza di lei non era nulla, come tutti gli altri, ma la ragazza si era limitata ad ascoltarla e, una volta finita la scena isterica, aveva alzato il dito medio e se n'era andata.
E io, che da brava ragazza, finita la scuola, mi sono impegnata per evitarla, ora me la trovo davanti, mentre si ritocca l'ombretto e il fard.
Sbuffo, scuotendo il capo. Quanta pena.
«Ti è saltato in mente di venire qui all'ultimo, con gli spiccioli che hai come stipendio? Caramellina, la cosa mi pare molto improbabile» aggiunge acida e con il tono da persona superiore.
Sento i nervi a fior di pelle, e capisco che sto per innervosirmi, per risponderle per le rime, ma mi limito ad una scrollata di spalle e ad un “Evidentemente la fortuna ha baciato me sta sera”, prima di dirigermi verso la porta. Ma lei evidentemente non si accontenta e mi prende per un braccio, tirandomi a sé. Sono più bassa di lei di almeno dieci centimetri, ma so che di cervello la batto, per cui perdere la calma sarebbe fare il suo stesso gioco, e non ci sto alle sue regole. Se bisogna giocare, si gioca come dico io.
«Che vuoi?» le chiedo, guardandola negli occhi circondati da troppo ombretto. YôngSuk ride e stringe maggiormente la presa sul mio braccio.
«Sapere la verità. Come fai ad essere qui? A malapena papà riesce ad entrarci, figuriamoci una come te!»
Stringo i pugni, in maniera impercettibile, e chiudo gli occhi, inspirando profondamente. Vuole la verità? Tanto vale spalmargliela in faccia.
«Sono qui con una persona assai più importate del tuo caro papà, che ora mi attende al tavolo. Ti sarei molto grata se mi lasciassi andare» sposto lo sguardo verso la porta, sperando nel più profondo che mi lasci andare adesso, senza troppe cerimonie, ma lei, finché non le dico la persona con cui sono uscita, sarebbe capace di inchiodarmi in quel bagno e aspettare, giusto per sapere che lei è uscita con gente più importante.
«Con. Chi. Sei. Uscita?!» mi chiede fissandomi con quegli occhi da vipera.
«Tanto a te che frega?!» esplodo. «Cos'è? Una volta che sono uscita con lui vuoi uscirci anche tu? Eh? Spiegamelo, su! Non ti va bene che io esca con G-Dragon e tu no?!»
Cazz.... ho parlato troppo. Mi porto automaticamente una mano alla bocca e sgrano gli occhi.
Lei sorride trionfante e mi lascia andare il braccio, per poi portarsi delle ciocche dietro alle spalle e riprendere a struccarsi.
«Ah cara mia, sei talmente disperata che devi perfino inventarti certe scuse? Ah, immaginati un po' se uno come G-Dragon...» enfatizza il nome con un gesto teatrale della mano «... una star mondiale, esce con una come... te» e conclude il tutto con un orribile sguardo da superiore e un tono di voce disgustato.
Senza dire una parola, mi volto e me ne vado il più lontano possibile da quella persona. Non voglio più vederla, nemmeno per sbaglio, e meno rimango in quel bagno, meglio è.
Scivolo di nuovo fra i tavoli, fino a raggiungere quello del leader, ma noto che il paravento è leggermente scostato così, cauta, mi avvicino senza farmi vedere troppo e sbircio oltre la stoffa. Dietro alla barriera creata con i draghi ricamati, c'è la cameriera vicina a GD che stanno parlando abbastanza animatamente. Da quel poco che vedo, sta gesticolando come una forsennata e, ogni tanto, indica fuori, verso i bagni. Deglutisco e aguzzo l'orecchio. Avrò forse fatto arrabbiare una fidanzata molto gelosa? Spero con tutto il cuore di no.
«Chi è?! Chi è quella ragazza, JiYong?!» gli chiede con voce stridula, mentre lui la guarda impotente e con le mani alzate. Evidentemente non sa come reagire o non può reagire. Dovrei entrare e calmarla? Forse ma, come si sa, la curiosità è donna, così continuo ad origliare, ignorando gli sguardi delle persone accanto a me.
«Non puoi uscire con gente così, che non ha nulla da offrirti! Io! Io ero e sono la scelta migliore, lo sai benissimo anche tu!» aggiunge lei con voce strozzata, mentre tenta di cacciare indietro le lacrime.
Vedo G-Dragon che fa per parlarle ma decido che non voglio più sentire nulla, non mi serve altro per capire. Ho fatto incazzare e distrutto il cuore ad una ragazza che non aveva nessun diritto di soffrire. Insomma, ciò che ha detto era per difendere il suo amore, e non la posso biasimare. In fondo chi non si arrabbierebbe nel vedere una ragazza sconosciuta entrare nel ristorante in cui lavori a braccetto con il tuo fidanzato?
Esco di corsa dal ristorante, trattenendo le lacrime e ignorando il saluto del ragazzo nell'atrio. Nascondo il viso fra le mani e corro in strada, lasciando libero sfogo alle mie emozioni. Mi sento in pieno diritto di piangere con tutto quello che mi è successo sta sera, e in più che speravo di ottenere da lui? È stato gentile e in pena per me, nient'altro. Devo smettere di sognare e cominciare a vivere con i piedi per terra, perché se continuo così rischio l'autodistruzione. Mi asciugo le guance e mi incammino a passo svelto nella direzione di casa mia, anche se ormai so che si trova a circa un'ora dal ristorante. Di nuovo... non mi importa, l'importante ora è che arrivi il prima possibile a casa, sperando che il custode sia ancora sveglio, e farmi dare le chiavi di riserva. Non ho nemmeno i soldi per un taxi, come nemmeno il telefono. Sono completamente isolata, e nessuno verrà a cercarmi. Ormai mi tocca arrendermi.
Il freddo della notte comincia a farsi sentire ma, non avendo nulla per coprirmi, non mi rimane altro che portarmi le mani sulle braccia e strofinarle, nella speranza che qualcosa cambi, ma ho il corpo talmente freddo che pare tutto inutile. Continuo a camminare ugualmente, guardando fissa a terra e contando i passi, i secondi, i minuti che trascorrono, sperando di arrivare presto a casa. Ma ogni passo che faccio, rallento di almeno mezzo secondo, fino a che non mi trovo ferma, sul ciglio della strada, stretta fra le braccia e con il corpo in preda a piccoli spasmi dovuti al freddo, che sembra esseri inserito nelle mie vene. Guardo verso il cielo stellato, ma leggermente velato, e mi ritrovo a sentire una calda lacrima scivolarmi lungo lo zigomo. Vorrei tanto sapere l'ora ma, non essendo un marinaio o una navigatrice, le stelle non aiutano molto. Ipotizzo che, su per giù, è mezzanotte, la una al più tardi, ma mi sembra di aver perso anche la cognizione del tempo. Sospiro e mi guardo attorno, cercando un posto su cui sedermi, un muretto, un marciapiede una... ecco! Una panchina! Ho le gambe a pezzi e ho bisogno di riposarmi un attimo, così mi avvio verso l'unica, solitaria panchina a me visibile.
Mi siedo, rannicchiandomi su me stessa e nascondendo il viso fra le ginocchia. Ho sonno, sia fisicamente che mentalmente, e un riposino veloce prima di tornare a casa non costa nulla, anzi, mi fa solo guadagnare forze. Con le gambe così dolenti e le vene ghiacciate non durerei molto, perciò è meglio che riposo. Solo cinque minuti... solo....
«JayHa? Jay?? JayHa ti prego rispondi! Oddio, sei freddissima! Ma che ti è saltato in mente? Perché te ne sei andata? Ho fatto qualcosa di male? JayHa ti prego rispondi!»
C-Chi? Chi mi chiama? Dai, stavo dormendo... che vuoi scocciatore? Non vedi che stavo dormendo?
Socchiudo un occhio e cerco di guardarmi attorno, ma lo richiudo subito, infastidita da un potente bagliore. Faccio per portarmi una mano sul viso, quando noto che i mie muscoli non rispondono ai comandi. Li sento rigidi ed estranei, come se appartenessero ad un'altra persona, e sembrano quasi.... morti. No, dai... non è possibile, non prendiamoci in giro.
Mi sforzo e apro entrambi gli occhi, ma questa volta non c'è nessuna luce a disturbarmi, solo un fantastico viso contornato da capelli angelici color argento. Due occhi castani mi guardano preoccupati, e sono vicini, tanto vicini... ad un tratto sento una voce sussurrare «N-non farlo mai più, intesi?»
G-Dragon...
Vorrei alzarmi, mettermi seduta e abbracciarlo, ma a malapena riesco a respirare.
«Non ti sforzare, ora si va a casa» mi dice con tono dolce ma molto triste. Dalla voce deduco che abbia appena finito di piangere... ma piangere per chi? Per cosa? Perché? Io non sono altro che una sconosciuta per lui, una delle tante fan che ha avuto l'onore di passare una serata con lui, e... oddio! La sua ragazza non l'avrà mica lasciato per colpa mia, vero?! No! Non posso aver davvero spezzato un amore così bello! No, sono un mostro! Che... «Che cosa ho fatto?» riesco a sussurrare piano, con le labbra leggermente dischiuse. GD accenna un sorriso e mi prende in braccio, delicatamente, attento a non farmi male, trattandomi come si tratta una rosa appena colta, per poi avviarsi verso la sua auto. A fatica apre la porta del passeggero e mi fa sedere sul sedile, coprendomi poi con una coperta di lana e richiudendo la portiera. Lo seguo con lo sguardo, mentre fa il giro della vettura per raggiungere il posto di guida.
Accenno un sorriso, guardando la sua bellezza sovrumana e rimango a fissarlo finché non si trova  al suo posto, con la cintura allacciata e le mani posizionate sul volante alle dieci e dieci. Non appena il suo sguardo si posa su di me, chiudo gli occhi, stringendomi piano nella morbida coperta ma lui, invece di partire, posa una mano sulla mia fronte e mi scosta alcune ciocche.
«Vuoi sapere che hai fatto? Mi hai fatto morire di preoccupazione ben due volte oggi» mi dice, e avverto che sorride mentre lo fa.
A quelle parole scuoto il capo e socchiudo gli occhi, giusto per guardarlo in viso, mentre dico quella terribile verità, che forse lui è il primo a non voler sentire.
«N-No... prima... stavi piangendo. I-Io non volevo, giuro! Vai da quella ragazza e dille che è tutto un malinteso, dille che io non...» ma non riesco a finire la frase che l'indice di lui si posa delicatamente sulle mie labbra, facendomi zittire.
«Intendi per Min? Non devi preoccuparti, è solo una ragazza che... beh, non ha accettato la nostra separazione, avvenuta più di un anno fa, e farebbe di tutto per tornare assieme a me. È pazza, fidati. Troppo possessiva e isterica» mi spiega, sospirando alla fine, come se il ricordo di lei così gli faccia male. Probabilmente prima di mettersi con lui, Min era una ragazza semplice, normale, magari anche simpatica, ma non appena G-Dragon le aveva chiesto di mettersi assieme, ecco che qualcosa ha fatto click nel suo cervello, rivelando la sua vera natura.
Mi nascondo un po' sotto la coperta, imbarazzata e pentita per aver toccato quel tasto, ma lui interpreta diversamente quel gesto, e accende l'aria condizionata calda al massimo. In un paio di minuti tutto l'abitacolo si riscalda e io mi ritrovo quasi a fare le fusa per il piacere. Le dita stanno cominciando a scongelarsi, così come il sangue e le lacrime.
Mi asciugo furtivamente le guance e lo guardo, per poi mormorare «Dove stiamo andando?»
«A casa mia. Stavi per andare in ipotermia, e se non fosse stato per il giovane all'entrata che mi ha avvisato che sei uscita correndo, con il viso rigato dalle lacrime, probabilmente su quella panchina ci saresti rimasta fino ai giorni seguenti, ma con gli occhi chiusi. Mi spieghi che ti è saltato in mente, JayHa?»
Mi stringo nella coperta e ci nascondo il viso, mugugnando un qualcosa di incomprensibile, o almeno all'apparenza, perché GD pare capire tutto perfettamente, tanto che frena bruscamente e accosta sul marciapiede. Si volta verso di me e mi guarda dritta negli occhi.
«Pensavi che... io e Min... davvero?»
 Annuisco piano, guardando il cambio.
«Credevo che eravate fidanzati, e quando l'ho sentita ho temuto di aver creato un bel casino, così me ne sono andata... pensando che era meglio se ti lasciassi solo e...»
«Pensavi che... JayHa, sono innamorato, è vero, ma non di Min, e ti ho spiegato il motivo. Stai tranquilla e, soprattutto, non fare più cavolate, okay? Me lo prometti?» mi chiede, alzandomi il viso. Io deglutisco e annuisco piano.
«Promesso»
È innamorato... Non so perché, ma quelle parole sono... sono state peggio che una pugnalata nel cuore. Io... Io che continuo a sperare... io che continuo a sognare... ecco cosa mi merito, uno schiaffo puro e semplice dalla realtà.
Mi mordo il labbro inferiore e mi rannicchio sotto la coperta, voltando lo sguardo dalla parte opposta del conducente. So che se lo guardo di nuovo scoppio a piangere, e non mi pare proprio il caso. Basta, ho già pianto più che a sufficienza di fronte a lui. Basta piangere, basta sognare, basta, basta e basta!
E con questa voce nella testa cado in un sonno leggero ma sempre sull'attenti. So solo che gli occhi mi si sono chiusi in automatico e hanno lasciato spazio al buio, ad un buio silenzioso e triste.
Stringo un pugno e tolgo le scarpe, mettendo i piedi sul sedile e rannicchiandomi. Non sono esattamente comoda, ma almeno so che così mi riscaldo più velocemente. Passo più o meno tutto il viaggio tra sogno e realtà, tra una curva e l'altra mi sveglio, e guardo verso GD, come per constatare che tutto ciò sia davvero reale e, ogni volta, eccolo lí, con lo sguardo rivolto verso la strada, attento e vigile. Non sembra stanco, malgrado abbia sulle spalle una giornata faticosa e stressante, ma ciò è tutta una maschera, questa è la forza di G-Dragon, quella di apparire perfetto, padrone della situazione, in ogni momento. Ma JiYong? Il ragazzo che sta dietro a quella maschera... quando apparirà? Me lo chiedo spesso, ma non trovo mai la risposta, anche se sembro ad un passo da essa, questa sempre mi sfugge così, per un po', lascio perdere.
La macchina si ferma lentamente, apro gli occhi e mi guardo attorno, immaginandomi già di vedere le luci del garage, ma tutto ciò che si apre davanti a me è un fantastico cielo stellato e uno spicchio di luna solitaria. Mi spingo leggermente in avanti e guardo il cielo, meravigliata. Vedere così tante stelle a Seoul è molto raro, siccome l'inquinamento luminoso è tale che perfino la luna si fatica a vedere.
Sempre con lo sguardo rivolto verso l'alto, apro la porta ed esco dall'auto, camminando per un paio di metri, prima di fermarmi e voltarmi verso GD, che nel frattempo si è girato verso di me e si è poggiato con disinvoltura alla carrozzeria. Mi avvicino a lui, accennando un sorriso e mi inchino, ringraziandolo di tutto ciò che ha fatto per me questa sera ma, poco dopo essermi rialzata, lui mi prende per le spalle e mi tira a sé, facendo combaciare i nostri corpi. Per il terrore di cadergli addosso, gli poggio entrambe le mani sul torace, il suo cuore che batte a pochi centimetri dal mio. Sento il viso andare a fuoco, ma il suo respiro sulla mia pelle mi raffredda le guance, e mi fa sentire in paradiso. Accenno un sorriso e lo guardo negli occhi, passandogli le braccia attorno il collo e stringendolo maggiormente a me, seguita da lui, che fa passare le sue attorno alla mia vita. Avvampo leggermente e avvicino il mio viso al suo ma, all'ultimo, lui cambia direzione e porta le proprie labbra vicino al mio orecchio, per poi sussurrare «Sai dove sbaglio io, di principio?» mi chiede. Mi limito a scuotere il capo.
«Credo al colpo di fulmine, Jay, e tu oggi mi hai folgorato» conclude, baciandomi la tempia.
Io arrossisco e lo guardo negli occhi, dopo aver allontanato appena il viso dal suo.
“JayHa, sono innamorato, è vero, ma non di Min”
Ora ha tutto senso... ora è chiaro... ora capisco...
Sorrido e mi getto su di lui, precipitando sulle sue labbra e lo bacio con passione, una passione travolgente, che prende in ostaggio sia me che lui. Un bacio, da solo, semplice, veloce, ma puro. Un bacio che dà inizio alla mia nuova vita.
Quello che è diventato, per me e JiYong, il bacio.
 
Uno dei più grandi errori che si possono fare è innamorarsi di una persona senza nemmeno conoscerla, ma ciò può portare ad un'avventura unica e irripetibile, un'avventura chiamata vita. 






Io... mi sento un po' randomica qui in fondo, in realtà... rovino la bellissima coppia, no?
È buffo ricordare come è nata questa ff... era un compito di scuola che mi aveva dato la professoressa di italiano, dicendomi che non scrivevo abbastanza. Mi ha dato carta bianca, e così le ho spalmato in faccia 14 pagine di testo muahahahahha ho vinto :3


okay, la pianto di pirloneggiare e vi saluto. Ciauuuuuuuu

Moonshine Quinn

 
   
 
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