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Autore: RainbowCar    05/08/2014    1 recensioni
FF di approfondimento in merito alla mia storia "DA: The evil's blood" , tuttavia è indipendente e fruibile anche da sola.
"...Quando era diventato così patetico? Proprio lui, l’assassino spietato che trovava poetico uccidere, che ne aveva fatto un’arte, adesso si ritrovava nella spiacevole situazione di vittima, stretto tra due mani gentili ma allo stesso tempo crudeli. Che stringevano sempre più intorno al suo collo, impedendogli di respirare..."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zevran Arainai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aveva facilmente manomesso la serratura ed era entrato nella sua stanza, celato agli occhi di tutti.
Il re non c’era. Per l’ennesima volta aveva lasciato la sua regina da sola durante una notte fredda e scura.
Lei era nel suo letto, addormentata. Bellissima. Come sempre.
Zevran quella notte l’aveva passata quasi tutta in piedi, dietro quella porta, avendo cura di nascondersi ogni qualvolta passava una guardia, indeciso se entrare o meno.
Lei tormentava tutte le sue notti ormai, e quella notte in particolare, non riusciva a trovare sollievo da solo, né in compagnia di qualcun altro. Il suo tormento non era puramente fisico, andava oltre la venalità dell’atto, del bisogno materiale di sfogare i suoi istinti. Doveva stare con lei. Vederla almeno un istante.
Quando la vide, non ebbe il coraggio di svegliarla. Non solo, non ebbe il coraggio di andare via. Tornare sui suoi passi era ormai impossibile.
Doveva controllarsi, doveva essere forte. Ma lei stava tremando. Un aria gelida filtrava dalle imposte chiuse dell’ampia finestra. I tizzoni del camino andavano ormai spegnendosi. Probabilmente mancavano un paio d’ore all’alba e quell’inverno fereldiano era particolarmente rigido.
La coprì gentilmente con la coperta di lana filata, poi si rese conto che non bastava. Aveva sfiorato delicatamente la sua fronte. Si era detto che non avrebbe dovuto toccarla, ma la mano era scivolata quando l’aveva coperta. Era ghiacciata.
Poteva ravvivare il fuoco, ma avrebbe fatto rumore. Se si fosse svegliata e l’avesse trovato lì? Non ne sarebbe stata allarmata ma di sicuro gli avrebbe chiesto una spiegazione. E lui non voleva, non poteva spiegarle il motivo della sua presenza. Come avrebbe potuto dirle che la sua stessa esistenza era il motivo del suo più profondo turbamento?
Avvicinò il suo viso al suo e allora lo notò. Il cuscino bagnato, le guance rigate. Si era addormentata tra le lacrime. Avrebbe dovuto avere qualcuno ad abbracciarla in quel suo momento di sconforto. E invece aveva pianto da sola, senza la rassicurante stretta di braccia forti e consolatorie.
Perché Lavriella stava soffrendo? Perché non era corsa da lui a cercare la sua comprensione? Il suo consiglio? Il suo conforto? Lei sapeva che sarebbe sempre stato pronto a offrirglielo, eppure non era venuta. Aveva preferito restare sola col suo dolore, o forse era proprio quella solitudine a renderla triste? Dov’era suo marito? Era compito suo far sì che la sua regina non piangesse, non fosse mai afflitta, mai sola. Ma lui aveva sempre di meglio da fare. E a Lavriella stava bene così.
Per quale motivo? Perché si accontentava di qualcuno che non le prestava le giuste attenzioni? Se solo avesse scelto lui….se solo avesse capito che nessuno poteva amarla come l’amava lui, nemmeno Alistair…
Alistair. Non poteva recriminargli nulla, sarebbe stato ingiusto. Lui amava Lavriella con tutto sé stesso, non avrebbe potuto affermare  il contrario. Eppure lui non era lì, ad asciugare quelle lacrime, come invece stava facendo lui.
Passò prudentemente un fazzoletto su quelle guance arrossate cercando di non destarla, poi ebbe cura che quel viso delicato non posasse più sulla stoffa bagnata. Scostò le lunghe onde corvine dal cuscino, sostituendolo con uno asciutto.
Lavriella avrebbe potuto aprire gli occhi da un momento all’altro, ma Zevran avrebbe rischiato. Non gli importava più. Non poteva lasciarla sola anche lui.
Lei fece un movimento leggero. Gli occhi elfici si erano abituati alla fioca luce delle candele, notando ogni minimo particolare. Le pupille sotto le palpebre si mossero. Il petto si alzò in un profondo sospiro, poi si girò sul lato opposto del letto. Ora il suo viso era rivolto verso quella parte rimasta vuota, da quando suo marito era andato via. Se avesse aperto gli occhi, non avrebbe visto nessuno. Forse questo l’avrebbe ferita ancora.
E se invece avesse visto lui? Se i suoi occhi avessero incontrato quelli del suo amico? Dell’elfo che era rimasto sempre al suo fianco, nonostante avesse voluto tante volte scappare il più lontano possibile da quel sentimento che ancora non riusciva a spiegarsi del tutto?
Perché lei aveva così influenza su di lui? Perché era così irrimediabilmente innamorato di lei, tanto che avrebbe fatto qualunque cosa gli avesse chiesto, anche morire? Tanto da sopportare di saperla tra le braccia di un altro, di affogare tra lacrime trattenute a stento, da vivere per un suo sguardo, sorriso, carezza?
Quando era diventato così patetico? Proprio lui, l’assassino spietato che trovava poetico uccidere, che ne aveva fatto un’arte, adesso si ritrovava nella spiacevole situazione di vittima, stretto tra due mani gentili ma allo stesso tempo crudeli. Che stringevano sempre più intorno al suo collo, impedendogli di respirare.
Lei non l’avrebbe mai amato. Non c’era posto per Zevran nel cuore di Lavriella. Non c’era posto per Zev nel suo letto. Nemmeno ora che era vuoto.
 
Si infilò in quel letto agilmente, assaporando ogni istante come stesse assaggiando un frutto proibito. Assaporò la presenza di quel corpo, i piccoli movimenti delle gambe, i respiri che leggeri arrivavano sul suo viso. Era quella l’aria di cui viveva lui. Veniva da lei.
Viveva per lei, e ora era così vicina, così bella, così disponibile… le labbra a forma di cuore erano piegate in un tenero broncio, le lunghe ciglia vibravano a ogni tremito,  i capelli ricadevano sulle spalle scompigliati eppure armoniosi, sapientemente disposti da una mano invisibile ad incorniciare la figura liliale davanti a lui. Destino infame!
Finse per alcuni istanti di possedere quella perfezione, di essere lui l’uomo che aveva diritto a stare con lei sotto quelle coperte, avvolto da quelle lenzuola che avevano il suo profumo. Sì crogiolò in quella sua fantasia, in fondo si meritava un po’ di felicità, in qualunque forma arrivasse, anche sotto forma di immaginazione. Dopotutto stare in quella stanza con lei, a letto con lei, era qualcosa di talmente meraviglioso che avrebbe volentieri passato il resto della sua vita a contemplare la sua bella addormentata senza pretendere null’altro.
Si avvicinò un po’ di più , deciso a farle sentire il suo calore. Il tessuto pesante frusciò quando allungò un braccio per toccarla.
Scostò una ciocca ribelle, poi si avvicinò a quelle labbra che sembravano chiamarlo…
Solo un bacio, cosa poteva esserci di male? Era sempre più vicino, vicinissimo, ancora un istante e le avrebbe finalmente premute contro le sue, assaggiato il suo sapore che sarebbe stato dolce come nettare e allo stesso tempo amaro come fiele. Era così che lo immaginava. Era consapevole che sarebbe stato veleno, che sarebbe morto nel momento in cui si sarebbe staccato da quelle labbra, ma non gli importava, erano lì, doveva baciarle…ancora un instante, uno solo, e sarebbero state sue…
Le mani scivolarono leggere su quel corpo morbido, la bocca si posò su quella di lei delicatamente. Se si fosse svegliata probabilmente avrebbe urlato, l’avrebbe odiato, ma forse l’avrebbe anche lasciato fare…sapeva che era impossibile, sapeva che era tutto tremendamente sbagliato, ma il sapore di quel bacio cancellò ogni scrupolo.
 
Un rumore di zoccoli lo destò dal suo incanto. Qualcuno annunciò in lontananza che il re era tornato a palazzo. La magia era finita. Doveva andarsene, lo sapeva, e alla svelta. Lavriella avrebbe potuto svegliarsi da un momento all’altro. I movimenti di lei lo confermarono.
 
La regina si voltò verso la finestra e aprì gli occhi. Aveva davvero sentito bene? Il suo re era tornato? Si mise seduta nel letto, in trepidante attesa, ripensando allo strano sogno che aveva appena fatto.
Attese molto poco.
 
La lunga navata che portava alle stanze reali non era mai deserta. C’erano sempre dei cavalieri, e spesso era attraversata da servitori e ospiti dei regnanti. Era parecchio strano però che di notte ci fosse qualcun altro oltre alla solita ronda di guardia. Quando Alistair incrociò Zevran, non si chiese il motivo della sua presenza lì a quell’ora. L’elfo salutò il suo amico come al solito, era lo stesso Zevran di sempre eppure quando gli voltò le spalle il re notò che sui vestiti aveva qualcosa che non gli apparteneva, qualcosa che non si poteva semplicemente rubare. Un lungo capello del colore dell’ebano era poggiato, soave, sulla sua schiena.
Alistair si recò dalla sua regina, che lo aspettava sveglia, nel grande letto a baldacchino. Si avvicinò a lei e la baciò. Poi si sedette dal lato opposto del letto. Era caldo.
Non disse nulla. Si limitò a spogliarsi e mettersi a letto, come non fosse successo niente, come non fosse appena tornato da un viaggio di tre settimane, come se sua moglie non avesse bisogno di ascoltare di nuovo la sua voce dopo tutto quel tempo senza di lui.
 
L’alba arrivò silenziosa, il sole risplendeva donando un fittizio tepore alla gelida giornata invernale.
La colazione fu servita nel grande salone a cui si unirono gli ospiti, i cavalieri, e i campioni del Ferelden, gli amici più cari. Fu allora che Zevran lo vide. Il sospetto. Negli occhi di Alistair.
Non poteva permetterlo. Che aveva fatto? Aveva messo a repentaglio la felicità di Lavriella. Non si sarebbe mai perdonato una cosa del genere, doveva fare qualcosa, non poteva sbagliare di nuovo in quel modo, cadere di nuovo in tentazione, essere di nuovo così egoista. Lei era innocente, non meritava il disprezzo che leggeva negli occhi di suo marito.
Doveva andarsene. Per sempre. Così, forse, Lavriella sarebbe stata felice. Al sicuro. Con suo marito.
La guardò un’ultima volta in viso, leggendovi tristezza. Poi lasciò il palazzo in silenzio.
 
 
Kirkwall sembrava una meta degna di nota. Aveva viaggiato parecchio. Gli sarebbe piaciuto rivedere Antiva, ma gli era ancora proibita, i Corvi non avevano dimenticato…e nemmeno lui.
Aveva sentito parlare di un eroe che aveva compiuto grandi gesta, addirittura aveva scongiurato una guerra contro i Qunari.
Non fu poi tanto sorpreso di scoprire che l’eroe in questione fosse una donna. E che donna.
Liraya Hawke era certamente bellissima, affascinante quanto furba e abile.
Erano passati mesi dall’ultima volta che aveva visto Lavriella. Incontrare Hawke risvegliò in lui qualcosa che sentiva assopito da tempo. Desiderio. Passione. Brama.
Lei sapeva quello che voleva e sapeva anche prenderselo. Era certamente abile a letto come in combattimento, stare con lei in un certo senso era come specchiarsi nell’immagine complementare di sè. Anche lei era innamorata di qualcuno che non ricambiava. Eppure entrambi non rinunciavano al piacere fine a sé stesso, o per meglio dire, fine al surrogare qualcosa che non poteva esistere.
Fu una notte appassionata, di pura estasi dei sensi. Non fu particolarmente dolce, ma intensa, selvaggia.
Si sarebbe potuta definire indimenticabile. E in effetti nessuno dei due dimenticò quell’incontro, seppur non c’era stato altro oltre al sesso e a una sorta di empatia a coinvolgerli.
 
Zevran resistette un anno senza la sua regina.
Poi, vinto dallo sconforto, consumato dalla solitudine e dall’insoddisfazione, cedette al suo egoismo.
Quando lo rivide, Lavriella corse tra le sue braccia e pianse, davanti a tutti, persino davanti a suo marito. Era felice di rivederlo e allo stesso tempo tremendamente arrabbiata per essere stata abbandonata senza nemmeno una parola di commiato.
Quanto le era mancato… così glielo disse. Gli disse quanto fosse stata male senza di lui, che non l’avrebbe mai perdonato se fosse andato via di nuovo.
Lui sorrise e al tempo stesso sentì un pugnale trafiggergli il cuore.
“Sono tornato” le sussurrò semplicemente all’orecchio. “E non ti lascerò mai più”
 
 
Più tardi, Alistair gli confessò che era contento che fosse tornato. Proprio non se l’aspettava.
“Quando non ci sono io, so che è in buone mani” gli aveva detto.
E quella cos’era? Una sorte di autorizzazione a ‘consolare’ la regina quando si sentiva sola? Fino a che punto avrebbe potuto fare le veci del suo consorte? Non credeva che Alistair sarebbe stato tanto meschino da lasciare sua moglie nelle mani di un altro uomo, né che avesse creduto lei capace di un gesto del genere.
“Non voglio che tu fraintenda” si affrettò infatti a precisare, deludendo purtroppo amaramente la breve illusione di Zevran. “Lavriella ha bisogno di un amico sincero. Io so che tu la ami. Ma so anche che lei non ti ricambierà mai. Eppure ha bisogno di te”
Era tutto vero, Alistair era in fondo più sveglio di quanto credesse. Non che non lo stimasse abbastanza, ma era riuscito a esprimere sentimenti complicati in parole così semplici da essere spaventose.
“Non voglio che Lavriella soffra, per questo ti chiedo di non abbandonarla, anche se a soffrire sarai tu”
E così il re si dimostrava egoista, noncurante dei sentimenti dell’elfo. In fondo lo capiva. Entrambi avevano solo a cuore i sentimenti di Lavriella, non contava nient’altro. Anche Alistair soffriva, sebbene lei fosse sua.
Zevran se ne rese conto quando lui gli rivelò quanto invidiava il rapporto che aveva con sua moglie.
Dapprima Zev sentì montare una certa rabbia dentro di lui: come poteva invidiare il fatto che non poteva sfiorare Lavriella nemmeno con un dito senza sentirsi in colpa? Come poteva invidiare il fatto che lei non l’avrebbe mai amato né avrebbe desiderato baciare le sue labbra come invece ardentemente agognava lui, consumandosi in un desiderio inappagato?
Strinse i pugni, quasi pronto a scagliarne uno in faccia al suo amico, quando questi continuò descrivendo ciò di cui era geloso.
“Lavriella si apre con te in un modo che io non sono stato capace di guadagnarmi. A te dice tutto, si confida, piange tra le tue braccia, oppure sorride, si lascia andare, esprime le sue emozioni intensamente, non ha paura di essere sé stessa. Con me invece…” si interruppe un momento, come a ricordare gli eventi che avevano portato alla chiusura di sua moglie nei suoi confronti.
 “Con me invece cerca sempre di dimostrarsi forte, di non lasciarsi andare a pianti disperati, di darsi sempre un contegno e di non apparire mai fragile. Non sono in grado di consolarla perché lei non me ne da l’occasione, anche se so che soffre quanto soffro io…”
Il pensiero del re andò a quel figlio che avevano tanto desiderato ma che non era mai arrivato.
Probabilmente Lavriella aveva paura che mostrarsi fragile davanti ad Alistair avrebbe distrutto quanto di bello avevano costruito, nonostante la sorta di lutto che erano condannati a vivere ogni mese. Perché era un lutto piangere ogni volta l’assenza di qualcuno che avrebbe dovuto esserci…e che non era mai arrivato.
Era così che la viveva Lavriella, era così che la viveva Alistair, ma entrambi esibivano compostezza per non essere di peso l’una all’altra.
Zevran capì le motivazioni dietro le parole del re e la rabbia sfumò in un soffio.
In fondo lui aveva avuto l’onore di consolarla quando lei si era lasciata andare a crisi di pianto, magari quando aveva avuto un ritardo e aveva sperato di avercela fatta per poi vedere quel sangue che aveva distrutto tutte le sue illusioni, o quando aveva avuto sintomi che lasciavano sperare in una gravidanza tanto attesa, per poi piombare nella crudele realtà della maternità negata.
Sì, poteva capire. Anche Alistair soffriva per qualcosa che non poteva ottenere e che desiderava tanto, e così la stessa Lavriella.
Una volta, anni prima, Zev aveva chiesto alla sua regina se avesse mai pensato di avere un bambino con un altro uomo che non fosse un custode, in questo modo avrebbe avuto maggiori possibilità di restare incinta, seppur comunque poche. Non aveva osato proporsi anche se per accontentarla avrebbe fatto di tutto. Non gli  sarebbe importato assumersi qualunque responsabilità pur di aiutarla a realizzare il suo sogno, ma lei gli aveva risposto con delle parole che non avrebbe mai  dimenticato, che lo colpirono come uno schiaffo.
“Non capisci, io non voglio essere madre per puro egoismo. Io voglio dei figli da Alistair, non dal primo che passa”
Pensare che anche lui sarebbe stato per lei solo ‘il primo che passa’ lo distrusse. Realizzò in quel momento che non avrebbe mai avuto nessuna possibilità con lei e che avrebbe finito con l’esalare l’ultimo respiro invocando il suo nome.
Aveva provato a scappare, ma era tornato. Non ce l’aveva fatta. Aveva perso ancora.
Aveva perso ancora sé stesso. Poteva ritrovarsi solo quando guardava lei, la sua unica ragione, l’unico scopo che lo portava a sopravvivere giorno dopo giorno.
Così, ancora in silenzio, abbandonò la sala dove aveva parlato con Alistair e corse da lei, nella sua stanza.

La trovò seduta sul letto, con gli occhi lucidi e della stoffa insanguinata tra le mani.
Seraficamente, la donna alzò lo sguardo e incrociò il suo. Poi, rialzandosi, lanciò lo straccio nel camino acceso e risciacquò le mani nel catino accanto al letto. Non si vergognò di essere stata sorpresa in quel modo. Probabilmente sarebbe stata più a disagio se fosse entrato suo marito.
Si avvicinò all’elfo e lo strinse forte, senza impedire che le lacrime scorressero copiose.
Ma non singhiozzava e nonostante le lacrime, dopo quell’abbraccio, Zevran potè vedere quel meraviglioso sorriso che tanto gli era mancato.
Lo invitò a sedersi sulla poltrona davanti al camino.
“Avanti, raccontami le tue avventure in questo lungo anno” gli disse, curiosa di ascoltare le affascinanti storie che avevano sempre caratterizzato la vita del suo amico, riferite con quell’accento che tanto adorava.
E così Zevran le raccontò dei luoghi, delle persone che aveva conosciuto, di come aveva rischiato più volte la pelle e di come aveva incontrato persino Hawke, la campionessa di Kirkwall.
“E com’è questa Hawke?” gli chiese, giacchè suo marito si preparava a partire per Kirkwall e ad incontrarla.
“Incredibile” disse solo, incapace di aggiungere altro.
Passarono ore a chiacchierare, poi arrivò il momento per lui di congedarsi. Era buio e il re stava per ritirarsi nella camera da letto.
Tornò nella sua vecchia stanza, per nulla cambiata e conservata intatta, ma pulita e arieggiata. Si sdraiò in quel letto che per anni era stato palcoscenico delle sue avventure amorose ma anche dei suoi più cupi turbamenti e si addormentò quasi immediatamente, sentendosi a casa.

Un rumore sommesso lo svegliò. Dei leggeri passi si avvicinarono al letto e Zevran con un balzo immobilizzò l’inattesa visitatrice, per poi rendersi conto che non era una presenza assai sgradita.
“C-Chiedo scusa!” si affrettò a dire la fanciulla, spaventata dalla stretta di Zev che l’aveva stesa sul letto a pancia in giù, bloccandola con le braccia dietro la schiena e il peso del suo corpo a cavalcioni su di lei.
“Cosa ci fai qui?” chiese lui, allentando leggermente la presa ai polsi della poveretta.
“Io sono venuta a… offrirmi come vostra compagna per stanotte” confessò la giovane elfa.
Zevran l’afferrò per i capelli e le alzò la testa per guardarla in viso. Le luci delle candele confermarono che conosceva già la ragazza: era una delle cameriere del palazzo, ma non l’aveva mai sfiorata in quanto  fino a un anno prima aveva ancora le sembianze di una bambina, il seno non completamente sviluppato e i fianchi poco rotondi, seppur avesse già quindici anni.
“Ti trovo cresciuta” confermò tastando le sue curve finalmente sbocciate, provocandole dei piccoli gemiti di piacere.
“Ricordate? Mi avete promesso che quando sarei cresciuta, mi avreste fatto vostra” insistette la ragazza, con voce melensa. “Ho conservato la mia verginità per voi, nella speranza di rivedervi… e sono venuta a donarvela”
Un sorriso malizioso si dipinse sul volto di Zevran.
“Oh, mia cara! Che nessuno osi mai dire che Zevran Arainai si sia tirato indietro di fronte a tanta generosità!”
 
 
 
  
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