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Autore: Little Redbird    05/08/2014    3 recensioni
Ispirata da una dolcissima canzone e da due autrici altrettanto dolci, ho scritto l'ennesima shot su Bonnie e Damon, alle prese con sentimenti, corse nel bosco e lenzuola sfatte.
Dalla storia:
“E il tuo cuore, Pettirosso? Il tuo cuore di chi è?”
Non aspettò una risposta, la baciò per l’ennesima volta quella sera. E, in fondo, una risposta era superflua: di chi era quel cuoricino che pompava sangue nelle sue vene, se non di colui che riusciva a farlo battere così forte con un bacio?
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bonnie McCullough, Damon Salvatore | Coppie: Bonnie McCullough/Damon Salvatore
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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A Meiousetsuna, una preziosa fonte di ispirazione.
E a Chara, che mi ha dato l’occasione di scoprire una nuova,  bellissima canzone e di utilizzarla per scrivere questa storia.
 

 
'Cause they don't even know you 
All they see is scars 
They don't see the angel 
Living in your heart 
Let them find the real you 
Buried deep within 
Let them know with all you've got 
That you are not your skin 


 
 
Correva. L'unica cosa che poteva fare era correre, non le era rimasto altro. Le foglie ed i rami del bosco le sferzavano il viso, le braccia e le gambe, graffiando la sua pelle candida, e Bonnie cercò di concentrarsi su quel dolore, sul bruciore causato dalla pioggia che bagnava le sue ferite superficiali, sul fastidio di qualche spina che si era conficcata nel palmo della sua mano quando era caduta; cercava di amplificare quel dolore nella speranza di soffocare quello più sordo ed infimo che le scuoteva il petto e le squarciava il cuore.
Correva perché il fiatone potesse prendere il posto dei singhiozzi soffocati, perché il batticuore causato dalla fatica occupasse quel vuoto che sentiva nel petto.
Correva perché era l'unico modo di trovarlo, o di farsi trovare.
Se ne era andato, come faceva sempre. Se ne era andato senza salutarla, senza baciarla, senza di lei. E Bonnie sapeva che l'avrebbe fatto, sapeva che gli sarebbe corsa dietro, fino in capo al mondo se fosse stato necessario, se fosse stato abbastanza.
A lei bastava. Le bastava rincorrerlo subito dopo averlo perso, perché avrebbe significato averlo avuto.
Le era bastato, poche ore prima, accarezzargli i capelli e sentirlo sospirare nel sonno. Le era bastato guardare le sue ciglia lunghe e scure che si muovevano rapide, a scatti, mentre lui sognava quell'albero di limoni che aveva deciso la sua sorte*, o forse sua madre, oppure chissà, magari sognava proprio di lei e dei suoi capelli rossi, che tanto gli piacevano.
Le era bastato sentirlo stringerla a sé, con un sospiro soddisfatto che le aveva fatto salire le lacrime agli occhi e le aveva fermato il cuore.
E le era bastato, ancor prima, sentire le sue mani tiepide sulla sua pelle scoperta, nella piega delle ginocchia o sull'ombelico, chiuse a coppa, come se avesse appena catturato una farfalla dalla rara bellezza e volesse guardarla da vicino, ma avesse troppa paura di spostare la mano, poiché avrebbe potuto sfuggirgli.
Le erano bastati quei baci rubati, quelli in cui aveva potuto percepire il suo sorriso compiaciuto.
Le erano bastate le lenzuola di seta, che le avevano messo i brividi quando erano scivolate giù dalle sue gambe lisce, mentre lui le scostava guardandola dritto negli occhi - o era stato quello sguardo a metterle i brividi?
Subito dopo aveva provato caldo e freddo insieme, gioia e perdita, tenerezza e passione. E amore. L'amore era quello che aveva provato più di tutto, più del dolore, più della felicità. Lo si poteva sentire nell'aria, l'amore, lo si poteva respirare, col suo profumo di paradiso. Avrebbe potuto sentirlo sulla punta delle dita, se solo avesse allungato un braccio verso il soffitto. Ma quelle dita ne stavano sfiorando altre, più lunghe e forti delle sue, più sicure e senza tremori. Quelle dita che aveva baciato, accarezzato, bramato. Quelle dita che l'avevano toccata in un modo che nemmeno lei si era mai azzardata a fare, e che erano state quasi più piacevoli dello stesso far l'amore, quasi più tenere dei baci, quasi più vellutate della sua voce.
“Tu lo sai, uccellino.”
“Lo so.”
Solo allora l'aveva afferrata più forte dai fianchi e le aveva fatto male. Ma non male come la volta in cui aveva baciato Elena di fronte a lei*. Non quel genere di dolore. Un dolore agrodolce, che le aveva mozzato il fiato ma che le era stato restituito subito dopo, sotto forma di bacio.
Quel tipo di bacio che ricevi solo quando diventi parte di qualcun altro. Solo quando baci qualcuno con l'intento di lasciare sulle sue labbra la tua anima.
Se solo le avesse lasciato un altro di quei baci, quando si era svegliato, lei gli avrebbe impedito di andarsene. Un altro bacio così avrebbe risolto tutto. Era per questo che lo cercava, ora, per avere un altro di quei baci. E un altro ancora. E per ricominciare quel rituale di piacere che l'aveva fatta sentire viva per la prima volta, che l'aveva resa consapevole del suo corpo nell'universo. Che l'aveva resa consapevole del corpo di lui sopra il suo, dei suoi capelli neri attaccati alle sue mani dal sudore, dei suoi occhi che la scrutavano nel buio, in cerca di ripensamenti o di dolore. Ma era stato il dolore più bello che avesse mai provato. Come l'ultimo attimo di terrore prima che lui arrivasse a salvarla dall'ennesimo mostro.
E quei piccoli graffi non riuscivano a coprire, né minimamente a provocare, quel genere di dolore.
Era arrivata in un punto imprecisato del bosco, un punto che non voleva nemmeno conoscere. L'unica cosa che vide, mentre ancora correva, fu il riflesso della luna, appena scoperta dalle nuvole, sull'acqua del laghetto.
Senza fermarsi, e senza neanche pensarci, corse più forte e si lanciò al centro del basso specchio d'acqua, atterrando dolorosamente sui talloni e poi sulle mani. Restò per qualche secondo a fondo, con gli occhi aperti rivolti al cielo ed alla luna, che stava per essere di nuovo nascosta dalle nuvole.
Riaffiorò solo quando l'ombra di un uccello in volo passò proprio sopra di lei. Tirò fuori la testa ed osservò Damon tornare umano sulla riva del minuscolo laghetto, i piedi scalzi che toccavano l'acqua gelida.
Bonnie si alzò e corse verso di lui.
"Sei fuori di testa" si sentì dire.
"Non devi mai lasciare una ragazza dopo averci fatto l'amore."
"È scritto nel libro delle idiozie?"
Bonnie non rispose. Stava tremando dal freddo, dal dolore, dalla rabbia.
Damon fece finta di non vedere la sua pelle d'oca ed i brividi che la scuotevano; si voltò, era più facile fare finta.
"Te ne vai di nuovo?" chiese la voce incrinata di Bonnie.
Il vampiro alzò gli occhi al cielo, in cerca di una risposta dalle stelle, ma le stelle non c'erano e le nuvole minacciavano un nuovo temporale.
"Se fossi sicuro che servisse a lasciarci tutto alle spalle, lo farei."
Bonnie gli si avvicinò. Infilò le braccia tra quelle di lui, abbracciandolo da dietro e stringendo forte le mani sul suo petto, bagnandogli la maglietta.
Damon osservò quelle dita pallide sulla sua maglia nera, con le vene azzurrine che disegnavano intricati labirinti.
Come il labirinto in cui si era trovato poche ore prima. Quel labirinto di sensazioni che sembrava non avere uscita. Un labirinto in cui aveva perso e ritrovato tante cose. Aveva perso la sua apparente ingenuità riguardo le cose che provava, quelle sensazioni che si ostinava a classificare come inadatte a lui, e aveva ritrovato Bonnie.  L’aveva persa così tante volte che stentava a credere di meritare un’altra possibilità, eppure quel labirinto sembrava condurli l’uno verso l’altra, al centro di tutto.
E, per una volta, aveva voluto essere egoista, perfino con Bonnie. Aveva fatto tutto ciò che il corpo suggeriva,  assecondando anche il corpo minuto e pallido di Bonnie, che l’aveva accolto come si accoglie a casa qualcuno che manca da troppo tempo.
E poi era scappato, lasciando Bonnie lì, sulle lenzuola di seta nera che nascondeva le macchie di sangue,  con la bocca socchiusa che ancora sapeva dei suoi baci.
Se ne era andato perché era sbagliato.
Era sbagliato per chi non sapeva. Sbagliato, per Stefan ed Elena, due delle persone che più aveva amato nella sua lunga vita, e che facevano finta di non sapere. Era più facile, per loro, impedirgli di essere diverso che lasciargli ferire Bonnie.
E anche lui la pensava così: era più facile, e meno doloroso, ferire se stesso.
Ma a Bonnie sembrava non importare di essere ferita. Sembrava avere tutte le intenzioni di ignorare le conseguenze, come avevano fatto prima. E quello che avevano avuto non potevano proprio definirlo sbagliato.
Non avevano fatto sesso,  né avevano fatto l’amore:  l’amore non si fa, si sente.  Loro si erano semplicemente ritrovati,  due puntini nell’universo che si cercano all’infinito, fino a quando si scontrano e diventano un’unica cosa.
E cos’erano, loro, divisi? Poco o niente.
“L’ultima volta che ti sei avvinghiata a me così, ci siamo trovati in un’altra dimensione”* le ricordò.
Bonnie si alzò sulle punte dei piedi e appoggiò il mento sulla sua spalla.
“Quando eravamo lì da soli mi hai baciata di tua spontanea volontà per la seconda volta.”
Damon si voltò a guardarla, mentre lei fissava gli alberi a pochi metri da loro, persa nei ricordi.
Le diede un leggero bacio sulla punta del naso e le afferrò le mani per sciogliere la sua presa. Si voltò e la baciò di nuovo, sulla fronte ancora gelida per quello sconsiderato bagno notturno.
“Quanti baci hai contato?” domandò.
Bonnie lo guardò con i suoi grandi occhi marroni spalancati, stupita da quella domanda.
Subito dopo, arrossì e rispose:  “Prima mi sono distratta, ho perso il conto.”
Damon rise. Una vera risata, di gola, non uno di quei sorrisetti sarcastici che sembravano essere gli unici del suo repertorio.
Bonnie sorrise, rincuorata da quel suono melodico.
Damon poggiò la fronte contro quella di lei e sospirò, di nuovo triste.
“Non ti lasceranno in pace. Ti diranno ti tutto per convincerti a lasciarmi” le mormorò con gli occhi chiusi.
“Perché invece non gli dimostri che si sbagliano, che sei diverso?” domandò, sottovoce, Bonnie. Aveva paura di fare la domanda sbagliata e rovinare tutto.
“Perché è una cosa che riservo a te.”
Quell’affermazione la paralizzò, fermando anche i brividi che non l’avevano abbandonata fino ad allora.
Cercò lo sguardo di Damon, ma lui aveva gli occhi chiusi e le impedì di capire ciò che stava provando.
“Il corpo è mio. Loro lo sanno” mormorò, in un disperato tentativo di rassicurarlo.
“E il tuo cuore, Pettirosso?  Il tuo cuore di chi è?”
Non aspettò una risposta, la baciò per l’ennesima volta quella sera.  E, in fondo, una risposta era superflua:  di chi era quel cuoricino che pompava sangue nelle sue vene, se non di colui che riusciva a farlo battere così forte con un bacio?
 






 


 
* Mi riferisco all’albero di limoni sotto cui trovarono le finte ceneri di Katherine.
* Non sono sicura che Damon abbia davvero baciato Elena davanti a lei, non ricordo nessuna scena particolare.
* La scena in cui Bonnie si avvinghia a Damon mentre lui sta per passare nel portale per la dimensione oscura.
Spero vada bene il rating arancione
.
 
Ancora una volta, ringrazio le dolcissime meiousetsuna e Chara, che sono state fondamentali per la stesura di questa storia.
E grazie a chiunque legga e recensisca le mie storie, anche al di fuori di questa sezione, siete una botta d’autostima.
 
A presto, spero,
Red.
   
 
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