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Autore: Raven85    05/08/2014    0 recensioni
Ti vogliamo bene, Susie.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevo quattordici anni quando Susie Salmon venne uccisa.
Era il 6 dicembre del 1973. Ne sono sicura perché proprio quel giorno la incontrai, probabilmente subito dopo il suo omicidio. Mi passò accanto come se stesse fuggendo. Adesso sono certa che fosse appena morta.
Susie aveva la mia stessa età ma non eravamo mai state amiche, non ci eravamo neanche mai parlate se non una volta, quando venni rimproverata dagli insegnanti per uno dei miei disegni. Eravamo nella palestra e i professori mi avevano appena lasciata sola, quando lei scese dalle quinte del teatro. Seppi in seguito che era lì sopra anche Ray Singh, ma quella volta non lo vidi. Io le dissi che il cappello che indossava era bruttissimo, e lei non se la prese, disse che lo sapeva, ma glielo aveva fatto sua madre. Poi chiese di vedere i miei disegni.
Mi sembrò sinceramente ammirata e sincera quando disse che ero “proprio brava”, ma da allora non avemmo più occasione di parlarci... fino all'incontro di quella sera, l'ultima della sua vita.
Probabilmente sono l’unica persona che possa dire di conoscere più o meno l’ora esatta della morte di Susie. Certo, per quello che ne sapevo poteva anche essere stata adescata qualche ora prima e poi magari torturata, o violentata, o comunque tenuta prigioniera prima di essere uccisa. Ma quando la vidi venirmi incontro, quella sera prima che nevicasse, fui certa che non fosse un essere di carne e di sangue come me, o almeno… non più. La ragazzina, la creatura che correva sconvolta verso di me era uno spettro, un fantasma, un'anima che fuggiva dal suo supplizio.
Inizialmente pensai a un sogno. Il giorno seguente lo raccontai a mia madre, ma naturalmente lei non mi credette, e questo bastò a farmi capire che nessun altro mi avrebbe creduto. Così, lo tenni per me. Non ne parlai mai neanche a Ray.
Da allora, penso, Susie divenne per me quasi un’ossessione. In verità sono sempre stata un po’ strana. Non ero fissata con la morte o cose simili, no, ma spesso mi chiedevo cosa ci fosse dopo la vita, quali altri significati nell’essere umano. E quell’omicidio, del quale parlavano tutti ancora mesi e anni dopo, mi indusse a farmi domande ancora più specifiche: cosa si prova a venire assassinati? C’è un momento in cui ci si rende conto che si sta per morire? Quando si smette di soffrire? Quando si soffre così tanto da poter invocare solo la morte? E soprattutto, dove si va dopo essere stati uccisi?
Da quel 6 dicembre Susie conosceva la risposta a tutte queste domande, anche se dubito se ne sia mai fatte. Lei non era come me: non era speciale, ma non era nemmeno bizzarra quanto lo ero io. In un certo senso, noi due eravamo quasi opposte. Lei era molto ingenua, solare, io ero più maliziosa, ombrosa, taciturna. Non sono cambiata molto, anche se gli anni sono passati. Susie era la luce, io le tenebre.
Ma da quel momento fu come se lei continuasse a vivere vicino a me. Mi aspettavo da un momento all’altro di vederla comparire nella notte quando mi svegliavo dopo strani sogni, o in una di quelle serate – tipo quella del suo omicidio – in cui mi aggiravo ancora per le strade quando il buio era calato da un pezzo, incurante dei rischi. Devo dire che ben poche cose mi hanno mai fatto paura.
E mi aspettavo che prima o poi mi si manifestasse, magari per farmi il nome del suo assassino. Non ero sua vicina di casa e non conoscevo le persone che abitavano accanto a lei: per me sarebbe rimasto solo un nome. E non posso affermare che in quel caso lo avrei detto ai suoi genitori, oppure alla Polizia. Era una specie di curiosità personale.
Cominciai a scrivere poesie ispirate a lei. Non avevo intenzione di farle leggere a nessuno, le tenevo per me. E mi piaceva pensare che Susie potesse leggerle, magari sporgendosi sulla mia spalla mentre le scrivevo. In un certo senso percepivo sempre la sua presenza.
Tenni anche un diario, dove annotavo ogni mia riflessione non solo su di lei e sul suo omicidio, ma sulla vita e le persone in generale. In realtà le consideravo tutte, o quasi, molto noiose. E probabilmente anche Susie lo sarebbe rimasta, se non fosse morta in quel modo.
Riflettevo molto e osservavo altrettanto. Nei corridoi mi capitava di incrociare la sorella di Susie, Lindsey, che aveva un anno meno di noi. Oppure la sua amica del cuore, Clarissa, insieme al suo ragazzo, che era poco meno di un idiota. Ma nemmeno lei era molto sveglia.
Osservavo, studiavo le persone che erano state intorno a lei. Riflettevo. Traevo conclusioni.
In quel periodo fumavo molta marijuana. Rubai la scorta che il ragazzo di Clarissa aveva nascosto nell’armadietto di lei, ma sembrava che nessuno ci facesse caso. In effetti ero sempre apparsa strana, quindi la cosa non dava nell'occhio.
Già a quattordici anni ero abbastanza disillusa sulle persone e sul loro modo di comportarsi. Non avevo amici e non ne cercavo, forse perché ero troppo sveglia e avere a che fare con me non era facile nemmeno per gli insegnanti, figuriamoci per i miei coetanei. Ma invece trovai qualcuno a cui avvicinarmi, l’ultima persona a cui avrei pensato. Ray Singh, l'innamorato di Susie.
Ci incontrammo una prima volta al campo di calcio, poco più avanti del luogo nel quale avevo visto lo spettro di Susie. Lì avevo trovato dei guanti, e mi piaceva pensare che in qualche modo fossero un suo dono. E lì ci trovammo.
Questo campo limitava con un campo di granturco, dove probabilmente Susie era stata uccisa. Forse per questo divenne il luogo di ritrovo per Ray e me. Lui era stato per breve tempo sospettato dell’omicidio, ma aveva un alibi solidissimo e io non avevo mai creduto alla sua colpevolezza, anche senza conoscerlo. Nessun quattordicenne, credo, avrebbe potuto tendere una trappola a una sua coetanea allo scopo di ucciderla, facendo poi sparire il corpo. Figuriamoci poi uno come Ray.
Aveva origini indiane ed era molto bello, così doveva aver pensato anche Susie. Incontrandoci non parlavamo sempre, potevamo trascorrere minuti interi senza dirci nulla, ma tra noi intuivo una curiosa sintonia. Forse perché, ognuno a suo modo, eravamo strani tutti e due. Sicuramente perché eravamo soli tutti e due.
L’altra cosa che avevamo in comune, e fu quella che ci unì, era Susie. A modo mio anche io le avevo voluto bene, ma forse di più adesso che non c’era più. Quanto a Ray penso che fosse sulla buona via per innamorarsi di lei, se solo lei fosse vissuta. Era rimasto un inizio, un bacio rubato, l'inizio di qualcosa che sarebbe potuto essere.
E così era anche per me, in effetti, anche se non nella stessa maniera. Non so dire se Susie e io saremmo diventate amiche, dopo quell’incontro nella palestra. Ma so che quel breve incontro fu come un sollevare un velo tra noi due, dietro il quale io avevo intravisto un barlume della sua luce e lei uno spicchio della mia oscurità. Tutto il resto sarebbe sempre rimasto un'incognita.
Certo, le dicerie su Ray e me c’erano, ma noi non ce ne curavamo. Mi aveva detto che aveva baciato Susie, e io gli avevo proposto di provare a baciarci noi due, per vedere se sentissimo qualcosa. Naturalmente nessuno dei due sentiva niente. Ma era abbastanza piacevole.
Non seguii le indagini, in verità non mi interessava. Certo, mi facevo delle domande: mi chiedevo come fosse stata uccisa e dove fosse nascosto il suo corpo. Il suo assassino doveva essere stato davvero abile a far sparire completamente le sue tracce, e doveva aver trovato un ottimo nascondiglio per il cadavere, dato che non fu mai ritrovato. In un certo senso tutto questo mi affascinava.
A gennaio il preside propose una messa in suffragio per Susie, e anche io partecipai, coi miei genitori. Ray non venne: aveva un modo tutto suo di mantenerla viva nei suoi ricordi, e io non lo avrei certo costretto.
Devo essere sincera: non mi innamorai mai di Ray Singh. Ma nemmeno lui si innamorò mai di me. Eravamo due persone sole, e la scomparsa di una conoscenza in comune ci aveva uniti, cosicché l’uno potesse colmare la solitudine dell’altro. Per questo sono grata a Susie, per averci fatti trovare.
In estate la nostra scuola organizzò il Raduno degli allievi dotati. Io andai, e venne anche Lindsey insieme col suo ragazzo, Samuel Heckler. Non so da quanto tempo stessero insieme, ma ero certa che avrebbero fatto l’amore prima dell’ultima settimana. Non so dire quanto ci avessi preso.
C’erano anche molte altre scuole, e Lindsey non aveva scritto il suo cognome sulla targhetta, limitandosi al disegno di un pesce. In un certo senso potevo capirla: era già abbastanza difficile per lei vivere nella nostra scuola, dove tutti sapevano della morte di sua sorella. Adesso cercava solo l'anonimato.
Lindsey era molto carina e aveva bei capelli biondi. Nonostante fosse più giovane della sorella possedeva un quoziente intellettivo notevolmente più alto, ma aveva anche un controllo sulle sue emozioni che nessun altro aveva – o almeno, non a quell’età. Non ricordo, infatti, di averla mai vista piangere, o anche solo in procinto di farlo.
Solo in quel raduno la vidi andare in pezzi, ma soltanto per un attimo. Ad ogni fine corso veniva organizzata una gara di trappole per topi, ma all’ultimo il tema venne cambiato con “Il delitto perfetto”. Ad avvisarla fu un nostro compagno, Artie, il cui padre faceva l’imbalsamatore. Glielo disse una mattina in sala mensa: lei non aveva letto il volantino all’entrata. In quell’attimo vidi calare il velo dai suoi occhi, e percepii la reale portata del suo dolore: ma appunto fu solo un attimo. Poi si voltò e uscì dalla sala, seguita dal suo ragazzo.
Parlai brevemente con Artie, ma potei percepire la sua buona fede: ero certa che, come mi avesse detto, desiderasse solo aiutarla, metterla sull’avviso. Ma Lindsey insisteva col dire di non averne bisogno.
Quella notte mi infiltrai nel suo letto e le chiesi se sua sorella le mancava. E credo che a ben poche persone confessò la verità: poche parole.
Più di quanto nessuno saprà mai.
Naturalmente, essendo figlia unica, non potevo capire fino in fondo cosa rappresentasse il rapporto tra due sorelle. Non potevo nemmeno capire cosa significava perdere qualcuno di così vicino, una parte del proprio cuore. Ma mi sentivo ugualmente molto vicina a lei.
Dopo il ritorno dell’autunno 1974, l’anniversario arrivò in un lampo. Quella sera andai a casa di Ray e gli chiesi se aveva voglia di venire con me al campo di granturco: pensai che potesse essere un buon modo per ricordare Susie.
Non potevo certo immaginare che quella mia idea potesse diventare ciò che poi diventò: una vera e propria commemorazione per Susie, che vide presenti tutti i suoi vicini di casa e le persone che l’avevano amata, oltre naturalmente a suo padre, sua sorella e suo fratello. Solo sua madre non si presentò. A parte Lindsey comunque non conoscevo nessuno della famiglia Salmon, perciò non mi feci domande.
Anche negli anni seguenti il padre di Susie cercò di ripetere quell’esperienza, ma come forse era ovvio si presentavano sempre meno persone e sua figlia venne quasi dimenticata. Lui sperava sicuramente che così non fosse: ma è sempre così che succede, purtroppo.
Quella sera invece fu tutto fantastico. Probabilmente era l’ora esatta della morte di Susie, magari poco dopo, e noi eravamo tutti lì, mentre qualcuno suonava e tutti cantavano. Mi piace pensare che anche lei da dov’è abbia sentito il nostro pensiero, e che la cosa l'abbia resa felice.
Intanto, la vita continuava a scorrere intorno a noi. E sia io che Ray, tenendoci sempre uniti per quello strano rapporto che la scomparsa di Susie aveva creato fra noi, crescemmo. Arrivammo ai diciassette anni, prendemmo la licenza liceale - lui un anno prima di me - e io me ne andai.
Feci le valigie e me ne andai lontano, a New York. Non avevo mai smesso di pensare a Susie, e avevo portato con me il mio diario, dove continuavo ad annotare le mie teorie e i miei pensieri. Mi faceva sentire vicino a lei, mi piaceva pensare che lei potesse leggere le mie parole al di sopra delle mie spalle.
A New York ovviamente dovetti trovare lavoro, e mi misi a fare la cameriera in un bar. Avevo anche un alloggio, seppure piccolissimo, che mi bastava giusto per tenerci un futon dove dormire. Ma in ogni caso, tutto il mio tempo libero lo trascorrevo in giro.
Aspettavo. Forse facevo proprio questo, aspettavo. Come per i primi quattordici anni della mia vita avevo atteso un momento come quello in quella strada buia, con l'anima di Susie Salmon che correva verso di me, come se io potessi salvarla. Aspettavo.
E infine accadde. Ero nella mia stanzetta quando papà mi telefonò, e mi disse che la vecchia discarica sarebbe stata chiusa. Decisi così di tornare a casa. Qualcosa dentro di me mi diceva che il corpo di Susie poteva essere passato di là.
Avevo saputo diffusamente come se la stava cavando la sua famiglia. Avevo saputo - dalle voci a scuola, naturalmente - che sua madre se n'era andata di casa, e non doveva essere stato semplice per Lindsey affrontare anche questo: ma ero certa che con Samuel al suo fianco tutto le sembrasse più semplice. Certe volte avrei anch'io voluto avere qualcuno su cui poter contare così.
Non che Ray non mi fornisse tutto questo.
Infatti, decisi che gli avrei chiesto di venire alla discarica con me. Forse Susie e io saremmo potute diventare amiche se lei fosse vissuta, ma mi sembrava un buon compromesso adesso cercare - per quanto potevo - di incoraggiare sua sorella oppure prendermi cura di Ray. Certo, in parte lo facevo anche per me.
In attesa di partire continuavo i miei pellegrinaggi a Manhattan. Le donne, ragazze e bambine uccise erano sempre tante, troppe, e spesso potevo letteralmente vedere cosa era loro successo, dove e in che modo erano morte. Annotavo tutto quello che ricordavo sul mio diario, e speravo che nessuno leggesse mai le mie parole. Altrimenti, in un attimo mi sarei ritrovata chiusa in manicomio.
Mi sentivo costantemente in compagnia. Le donne che non ce l'avevano fatta erano in qualche modo sempre con me, come se io potessi vivere per loro e fare giustizia, anche se agli effetti pratici non era possibile. Tante restavano le sparizioni e le uccisioni insolute.
Allo stesso modo tenevo il conto di quelle che "ce l'avevano fatta", ossia in un certo qual modo anche di me. Quelle che vivevano, quelle che potevano crescere e sposarsi e avere figli, e invecchiare. Le donne vive.
Come Lindsey Salmon.
Comunque, tornai. Mi unii a Ray e insieme, sulla sua auto andammo alla discarica. Parcheggiammo accanto alla buca che avrebbe dovuto essere riempita. C'era una stufa rossa, arrugginita e lì chissà da quanto.
E poi la sentii.
Fui certa che Susie fosse lì, accanto a me. Le dissi che le avevo scritto delle poesie. Poi le chiesi se voleva qualcosa.
Il dopo accadde tutto come un sogno. Ray vide delle pervinche accanto alla buca, e disse che ne avrebbe colta qualcuna per sua madre. Sparì dietro la collina, e io rimasi sola... ma non del tutto.
Pochissimo dopo vidi arrivare un'auto guidata da un uomo. Accanto e dietro nella macchina erano sedute donne con abiti rosso sangue. Non avevo mai visto una cosa del genere, ma afferravo il significato generale.
Poi caddi svenuta, credo, e un attimo dopo lasciavo il mio corpo per cederlo a Susie, fosse anche soltanto per poche ore. In effetti adesso penso che stessi aspettando proprio questo, per tutto quel tempo: un'esperienza che mi confermasse che esisteva una vita dopo la morte.
Fu una cosa incredibile. Credo che adesso non mi spaventi più la morte, dopo aver provato cosa succede quando la tua anima si distacca dal tuo corpo. Certo, in modo molto meno traumatico di quanto capitò a Susie. Ma pur sempre un distacco.
E lei era nel mio corpo.
Era l'alba quando tornai. Susie era stata nel mio corpo e aveva passato quella notte con Ray, nel vecchio negozio del fratello di Samuel. Io invece avevo passato alcune ore insieme a molte donne nel Cielo, donne che sembravano conoscermi anche senza avermi mai vista. Chissà cosa Susie gli aveva raccontato.
Quando anche Ray fu pronto andammo via e cancellammo ogni traccia del nostro passaggio, e poi tornammo a casa sua. Qui lui lesse i miei diari prima che mi svegliassi, e io gli raccontai tutto. Sapevo che mi avrebbe creduto.
Sua madre fu adorabile come al solito, preparando per noi il caffè e due torte di mele: una, disse, l'avrebbe portata ai Salmon. Ray l'accompagnò.
E la vita continuò. Ray divenne un medico, come voleva, e io continuai a vivere a New York, però cambiando casa, trovando un monolocale giusto un po' più grande del mio precedente alloggio. Con lui ci sentivamo spesso, e il nostro rapporto non fece che migliorare.
Ma io non ero mai cambiata. I miei incontri con Susie mi avevano convinta di cose che prima avevo solo immaginato, e che per molti sono ancora fantasie. Probabilmente sto ancora aspettando qualcosa, e probabilmente questo qualcosa non succederà mai. Ma penso anche di potermi ritenere soddisfatta di quello che ho vissuto.
Di questo posso solo ringraziare lei, Susie. Perché è stata Susie a scegliermi, anche se forse del tutto inconsapevolmente. La ringrazio e prego sempre per lei, perché finalmente possa trovare la pace. Dopo tutto questo, se lo merita.
Grazie, Susie.


Hola… finalmente sono riuscita a completare anche Ruth! Bene, devo dire che Ruth è il personaggio che mi ha colpita di più dell’intero libro, forse perché sfugge a ogni logica e un po’ somiglia a me… per questo l’ho sentita particolarmente. Ringrazio come sempre chi ha letto e chi ha commentato, l’uno e l’altro sempre bene accetti! E come sempre… hope u like it!
Raven85
  
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