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Autore: flamia    07/08/2014    2 recensioni
C’erano ancora solo pochi frammenti di ricordi tra le mani di Daniel, e tuttavia tagliavano come vetro. La dicotomia del castello, palesandoglisi per la seconda volta, aveva riportato a galla molte altre cose…notti insonni passate in compagnia di un amico, braccia ossute e inaspettatamente forti che lo avevano aiutato a scacciare gli incubi, la voce rassicurante che lo istruiva su come salvare se stesso e che lo faceva rabbrividire di paura, soggezione, completa fiducia e abbandono. La stessa dualità riflessa nel padrone del castello, due facce della stessa moneta che lo avevano strappato e ricucito in un uomo nuovo…o forse gli avevano solo fatto scoprire chi era in realtà.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Il portone diede il passo sotto alla spinta delle sue mani spaccate ed esauste, ma ancora decise.

Eccola infine, la Camera dell’Orbe.

All’inizio, Daniel non vide il barone. Si era ritrovato in un’enorme stanza, con un soffitto che si perdeva nell’oscurità. Le colonne, i muri, ogni pollice di pietra sembrava coperto da simboli arcani. Le pareti erano infossate da una serie di nicchie, ed ogni nicchia aveva di guardia una torcia bruciante, ma non era quella la fonte di luce principale. Qualcosa simile a un massiccio calderone chiuso si ergeva nel mezzo della stanza – stranamente le lastre di pietra sembravano rialzarsi a sollevarlo anziché affondare sotto il suo peso – e da una strana coppa metallica in cima splendeva un globo di soprannaturale luce violetta, come un fulmine sferico. La luce si diramava dal globo verso tre snelle colonne metalliche erette attorno al calderone, ognuna di esse coronata a sua volta da un globo lucente. C’era un costante scambio di energia crepitante ad attraversare questo misterioso assemblaggio.

Intravide un movimento in alto, e nonostante la convinzione che ormai nulla lo potesse più sorprendere, Daniel si trovò a bocca aperta per la visione bizzarra sopra la sua testa. La cupola del soffitto era assediata da uno sciame di rocce di varia dimensione, e fluttuavano tutte in cerchio, girando lentamente come le lancette di diversi orologi. La luce pulsò in riflessi blu sulle loro superfici ruvide, e notai un graduale aumento della loro velocità. Era ipnotico e terrificante…

“Mi chiedevo quando ti saresti fatto vedere.”

L’eco rimbombante di quella voce che aveva sentito nei propri ricordi e attraverso le fragili pareti della sua mente gli fece fare un balzo. Volse lo sguardo oltre gli strumenti rituali e finalmente lo vide.

All’estremità della stanza, c’era una nicchia molto più grande ed elaborata. Era separata dal resto della stanza da una profonda fenditura da cui si alzavano innaturali fiamme bluastre, e il bassorilievo di un obelisco dominava alle spalle di Alexander, sorreggendo con la punta un drappeggio finemente scolpito. Alexander di Brennenburg si ergeva – no, fluttuava, completamente nudo, circondato da uno spettrale bagliore pallido. Era esattamente uguale al suo ritratto, un uomo anziano dagli immacolati capelli bianchi, ma la pelle era ingrigita dalla luminescenza innaturale. Le sue labbra non si mossero mentre parlava.

“Vedo che Agrippa ti ha convinto a diventare il suo galoppino. Dimmi, è tutto ben chiaro ora? Sono io il cattivo?” Era evidente la derisione in quella sua voce extracorporea.

Daniel aggirò il complesso rituale, e si fermò dritto di fronte al barone. Il suo corpo era un ricettacolo di rabbia, dolore, fatica, odio. Era indebolito e sanguinante, e… stanchissimo. Credette quasi di sentire dita immateriali punzecchiare e accarezzare i contorni del groviglio pulsante che era la sua mente.

“Bene e male. Concetti molto confortanti…ma difficilmente applicabili. Sei così cieco da non vedere del bene in me? O del male in Agrippa?” Il tono passò dal dileggio alla dolcezza. “…Mirattrista vederti così pieno d’odio. È davvero la vendetta ciò che cerchi? Avevo sperato che tu, tra tutti, potessi apprezzare la seria natura della situazione. Dopotutto…”

La voce si interruppe, e la fronte di Alexander si increspò. Qualcosa di imprevisto stava emergendo sotto gli occhi della sua mente.
Daniel si sedette sul ciglio della gora fiammeggiante che lo separava dall'altare sopra cui fluttuava Alexander. Le soprannaturali fiamme bluastre non emettevano alcun calore, e forse volendo Daniel avrebbe potuto scavalcarle e arrampicarsi fino al vecchio per finirlo con le sue mani...ma sembrava troppo facile. E francamente, era l'ultima cosa che avesse per la testa.

Daniel restò seduto davanti al barone, come uno spettatore di un miracolo perplesso. Sì, perplesso era certamente lo sguardo che stava ricevendo dagli occhi incandescenti di Alexander. Daniel avrebbe sorriso a quello sguardo in qualunque altro contesto. Ma era troppo stanco.
"Non intendo far niente."

Percepì la perplessità che si mutava in confusa sorpresa. Già udiva la domanda silenziosa: perché fermarsi ora? Era certo una manna inaspettata per il barone, che fremeva all'idea di vedere la sua unica possibilità strappata dalle mani quando era così vicino a casa.

"Puoi fare ciò che vuoi," continuò Daniel, la testa china sotto il peso dello sfinimento, del senso di colpa, della vergogna. Sentiva ogni piccolo frammento di ricordo recuperato come un macigno al collo, e... non poteva odiare Alexander più di quanto odiasse se stesso. I cristalli a cui Alexander aveva affidato emozioni troppo pesanti da sopportare lo avevano sopraffatto nella loro intensità e insinuato il dubbio nell’archeologo. La motivazione del barone era radicata in secoli di tentativi falliti e desideri frustrati, nella brama di ritrovare gli affetti, nella pura disperazione. Aveva ucciso molti uomini e donne e bambini per tornare a casa, ma forse Daniel non aveva fatto lo stesso? E per cosa? Per salvare la propria piccola, insulsa vita. Solo per se stesso. Era stato manipolato… ma avrebbe potuto sempre rifiutarsi e accettare il suo destino. "...Puoi tornare a casa."

Nel muto stupore del barone, Daniel provò a immaginare cosa stesse pensando. Credeva di aver imparato, nella sua breve permanenza, a indovinare i suoi pensieri, anche solo in maniera vaga, dallo studio dei lievi movimenti delle rughe sul suo viso. Idea davvero arrogante da parte sua. La stanza si scosse, e gli parve che l’Ombra ridesse da lontano.

Il silenzio (o meglio, il cupo bombito delle rocce che orbitavano sotto la cupola come gigantesche api lente) si allungò fino a spezzarsi quando Daniel finalmente diede voce ai propri pensieri.

"Prima che tu vada, voglio solo sapere una cosa. Tu..." esitò, incerto su come formulare la domanda. Cosa voleva sapere esattamente? Cosa provasse il barone in quel momento? Se avesse rimorsi? Per chi? Per le persone uccise, per se stesso...per Daniel? "...cos'hai provato per me?"
Ancora una volta, non poteva fare a meno di essere egoista.

L'espressione di Alexander era tornata una maschera di pietra, la stessa che gli aveva presentato il giorno in cui era arrivato a Brennenburg. Al tempo l'avrebbe definita "imperscrutabile," ma ora sapeva che più che altro, era l'espressione con cui Alexander scrutava nella sua mente. Non fece neanche tanto di alzare il sopracciglio alla domanda...doveva averla già vista formularsi prima ancora che raggiungesse le sue labbra, ma certo.
E allora perché non rispondeva?

"Dimmelo," sibilò Daniel, mentre un laccio di rabbia sottile cominciava a stringergli la gola. "Me lo devi. Almeno questo. Mi devi una risposta, Alexander."

Silenzio.

C’erano ancora solo pochi frammenti di ricordi tra le mani di Daniel, e tuttavia tagliavano come vetri. La dicotomia del castello, palesandoglisi per la seconda volta, aveva riportato a galla molte altre cose…notti insonni passate in compagnia di un amico, braccia ossute e inaspettatamente forti che lo avevano aiutato a scacciare gli incubi, la voce rassicurante che lo istruiva su come salvare se stesso e che lo faceva rabbrividire di paura, soggezione, completa fiducia e abbandono. La stessa dualità riflessa nel padrone del castello, due facce della stessa moneta che lo avevano strappato e ricucito in un uomo nuovo…o forse gli avevano solo fatto scoprire chi era in realtà.

Daniel sentì le emozioni represse in favore della sopravvivenza immediata affluire ed esplodere come dalla bocca di un vulcano nella sua testa, e si rimise in piedi con movimenti rabbiosi. Percepì i muscoli degli arti del barone tendersi quando aprì la sacca di pelle e offrì ai suoi occhi lo spettacolo raccapricciante della testa di Agrippa.

"Sai già cosa potrei fare!" abbaiò, e la sua stessa voce rimbalzò sulle mura e tornò rimbombante ai suoi timpani, amplificando la propria rabbia. Le dita scavarono crudeli dentro la cute della testa mozzata. "Forza, apri quel portale, e io rovinerò ogni cosa per cui hai lavorato! Morirai odiandomi quanto ti odio io, e metteremo un punto a una bella storia di vendetta che forse racconterò un giorno ai miei nipoti, mentre tu passerai l'eternità a farti divorare dall'Ombra. Oppure puoi rispondermi. Rispondimi!" Daniel avrebbe voluto che la sua vista non fosse annebbiata dalle lacrime, era certo che il suo fosse uno spettacolo piuttosto patetico. "Rispondimi! Mi hai mentito? Mi hai usato? Sono stato solo un'altra pedina per te? RISPONDI!"

Altri pochi, tesi secondi di silenzio, che stavolta non si spezzò, tranne che nella testa di Daniel dentro cui parlò il barone.

"Sì," echeggiò dolcemente la sua voce. "È così."

Daniel non si sentì come se fosse uno spettatore esterno al proprio corpo. Semplicemente avvertì tutto in maniera più consapevole, in un certo senso: i muscoli delle gambe che cedevano alla debolezza delle ginocchia, la consistenza della pietra attraverso il tessuto lacero dei pantaloni e sulle nocche martoriate, il rotolare smorzato della testa di Agrippa, la forza quieta dei singhiozzi che cominciavano a sconquassargli il petto, e naturalmente il viso che inesorabilmente si stirava in un sorriso umido e salato.

"Assi...assicurati almeno che non sia stato tutto in-invano," rise Daniel con la voce spezzata. "Non...non guardare mai indietro dopo che sarai, dopo che sarai arrivato."

"Non lo farò." La voce ferma che aveva scacciato incubi e dubbi per quella che ora gli sembrava un'eternità passata da un'eternità ora gli strinse il petto come un pugno.

"...spero che lei ti abbia aspettato."

Le lettere. Erano state le lettere il colpo di grazia. Sua moglie doveva essergli tanto devota, o quantomeno lui lo era a lei, per dedicarle tanti sforzi e tanto dolore anche quando il suo viso era a malapena un ricordo. Daniel capiva. Se c’era una cosa che Daniel e Alexander avevano in comune, era una devastante nostalgia.

Giudicare un uomo reo della sua stessa colpa era sciocco. Vendicarsi non avrebbe portato a niente. Uccidere ancora lo avrebbe reso solo più assassino di prima. Almeno…poteva salvare la vita di qualcun altro, un’ultima volta.

Il rituale si approssimò alla fine. Le rocce fluttuanti presero velocità, e presto… accadde qualcosa. I globi di luce sopra al massiccio calderone e alle colonne svanirono, e un cerchio di vivida luce blu cominciò a splendere al centro della stanza, e lo spazio attorno ad esso tremolò come aria calda.

“Lo vedi, Daniel?” La voce del barone era alleggerita da un sorriso. “È tutto un altro mondo – non è bellissimo? Finalmente posso tornare… a casa.” La stanza tremò. Il cerchio si fece più brillante. “Ma tu… mi dispiace, Daniel. Tu non sarai in grado di passare. Sei ancora –”

“–marchiato,” Daniel finì la frase, così silenziosamente che il barone non l’avrebbe mai sentito con orecchie umane sopra al ruggito dell’Ombra. Stava arrivando. “Lo so. Vai.”

“…Grazie, amico mio. Il tuo sacrificio non sarà dimenticato. Ti commemorerò… per sempre.”

La figura di Alexander, così esile ed evanescente in mezzo a tutta quella pietra, si inarcò, sfolgorò, e svanì.

Stranamente sereno, Daniel alzò la testa appesantita e rimase a guardare mentre una macchia rossa crepava la porta.
  
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