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Autore: ilaperla    07/08/2014    0 recensioni
Un sogno potrebbe mai diventare realtà? Solo se ci crediamo con tutta la volontà che abbiamo in corpo.
Alcune volte la vita ci fa delle sorprese inaspettate, proprio quando non ci crediamo più.
Penso che bisogna combattere sempre, anche quando tutto attorno a noi diventa più oscuro. Proprio come fa questa ragazza di cui vado a parlare, sorride sempre e non si lascia mai abbattere da niente.
Il destino, prima o poi, le darà in cambio il suo più grande sogno. Lui.
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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-Da un’idea di Ilaperla & Loreparda-
-Con la partecipazione straordinaria di M.P.- 
-Guest star Bubina- 


 
A Bertu, sognatrice incallita.
A Bertu, innamorata della vita.
A Bertu, ragazza bellissima.
A Bertu, sorella esemplare.
A Bertu, amica straordinaria.
A Bertu, la migliore Sis che potessi mai avere.


 
Era un rituale strano quello che da anni svolgeva Roberta ogni venerdì sera.
Solitamente le altre ragazze preferivano uscire quel giorno, maggiormente se era piena estate. Amavano indossare i jeans più stretti che avessero nell’armadio, come se fossero pronte a scoppiare in questi; infilare i tacchi e truccarsi per uscire e dare sfoggio del loro sexy appeal.
Per Roberta non era così, da anni il venerdì sera aveva un preciso itinerario.
Alle 19 finiva di dare ripetizioni a quei ragazzi in debito di una materia a scuola, le piaceva insegnare quello che loro non capivano mentre per lei era così facile come camminare. Le piaceva quella sensazione, quella vista di quando il ragazzo o ragazza, riusciva a comprendere finalmente quello che lei ripeteva dopo venti volte. Si sentiva soddisfatta in quel momento, artefice di aver acceso quella fiammella nello sguardo.
Quando salutava l’ultimo ragazzo, chiudeva la porta di casa e correva nella stanza della sua sorellina.
Puntualmente trovava la porta chiuda e con insistenza bussava trepidante alla porta.
“Ali, Ali. Sei pronta? Dobbiamo andare” chiamava la sorella minore, mentre saltellava sui suoi piedi nudi.
“Si, Robi. Finisco di preparare il borsone e arrivo” le gridava, come sempre, Alice.
Così, soddisfatta della risposta, Roberta tornava in camera sua e si preparava per la sua uscita serale.
Ogni venerdì aveva l’abitudine di andare a vedere gli allenamenti di pallavolo di sua sorella.
Amava così tanto quello sport, proprio come amava sua sorella. Era la sua prima grande fan.
Da quando era piccola, Roberta aveva sempre amato giocare a pallavolo e quando il tempo glielo permetteva ancora, giocava nella squadra del paese, ma più diventata grande, più il tempo libero da dedicare allo sport diventato meno e con l’arrivo dell’università divenne tutto più difficile.
Così da quel momento, senza nessun rimpianto, si dedica a valorizzare la sua sorellina che aveva sempre bisogno di supporto morale e se c’era, e c'è tutt'ora, una cosa che Roberta ama fare è esserci per le persone che lei ama così tanto.
“Sono pronta” saltellò Alice nella sua stanza, pronta agli allenamenti.
“Arrivo”.
Roberta infilò il libro di tedesco nella borsa, il suo prossimo esame universitario e insieme ad Alice si diresse verso la sua piccola auto per raggiungere i campi di pallavolo comunali.
 
Fare due delle cose che più amava in un unico momento le metteva adrenalina in corpo.
E infatti con uno splendido sorriso vivace e benevolo, sfogliava le pagine del manuale di marketing rigorosamente in tedesco, prendendo appunti con la sua matita.
Appoggiata alle gradinate del campetto, ogni tanto alzava lo sguardo per vedere sua sorella difendere il campo.
Alice aveva il suo stesso ruolo di quando giocava ancora: libero.
Le piaceva guardare sua sorella concentrata e sudata mentre il mister le lanciava delle schiacciate potenti. Riusciva a percepire ancora quello che si provava sulla pelle.
Il bruciore alle braccia, i crampi ai polpacci, la pressione mentale, il dover difendere e la grande responsabilità le mancano. Ma non era più il suo tempo quello, ora tocca alla sua piccola Alice far vedere quello che vale.
Mentre Alice si allenava, Roberta percepì la vibrazione del suo cellulare in tasca dei suoi pantaloncini blu.
Chiuse il libro di tedesco infilandovi nel mezzo la matita per non perdere il segno e curiosa sbloccò il cellulare per trovare un messaggio delle sue amiche.
Le sue amiche che ormai le popolavano la giornata, conosciute per caso, ma che di quel caso ne ha fatto un grande destino.
 
“Che fate?” domandava L.
Sicuramente avrà finito di leggere il suo amato romanzo rosa del giorno e ora, presa dalla noia e dalla voglia di distrarsi, ha optato per il gruppo.
“Stavo studiando, vorrei fosse già agosto” rispose I, affogata dai libri universitari.
“Io sto vedendo gli allenamenti” rispose in fretta Roberta.
“Attenta alle palle volanti” le suggerì L, con la sua solita battuta pronta.
Roberta sorrise e non fece in tempo nemmeno a finire il pensiero del “tanto non mi arriva mai niente addosso”, che una pallonata le colpì il braccio sinistro facendole cadere rovinosamente il cellulare per terra.
“Cazzo” sussurrò, guardando il cellulare rotolare prima dalla seconda gradinata, poi alla prima per poi atterrare sull’erba sintetica del campetto.
Si alzò di scatto, appoggiando di lato il suo libro mentre imprecava mentalmente per il suo povero cellulare.
Secondi che le parvero anni, quando notò un paio di scarpe arancioni da ginnastica fare capolino nel suo campo visivo.
“Scusami, non ho fatto in tempo a recuperare la palla” sentì pronunciare quelle parole dal proprietario delle scarpe appariscenti.
Lentamente, come nei migliori film, Roberta sollevò lo sguardo per scontrarlo negli occhi più profondi che avesse mai visto.
La prima cosa che le balzò agli occhi, oltre lo sguardo profondo e gioviale, fu l’altezza di quel ragazzo.
A occhi e croce sarebbe stato sui due metri, le gambe toniche e perfette si allungavano a vista d’occhio e sembravano non finire mai. La vita stretta e le spalle larghe erano fasciati dalla divisa della squadra blu e rossa, le braccia libere da ogni tessuto, erano riposate ma non si poteva non notare i muscoli perfetti dovuti a tante ore di duro allenamento.
Avrà avuto si e no venti anni pensò, persa nel suo mondo, Roberta che non aveva ancora spiccicato parola contemplando ancora quel ragazzo.
Si soffermò più del dovuto sul suo viso e la cosa sorprendente che Roberta notò, fu che il ragazzo non si inalberò per non aver ancora ricevuto risposta, tutt’altro. Sembrava piacevolmente colpito e curioso.
Sulle sue labbra un perenne sorriso che da quando aveva potuto constatare Roberta, non gli era mai andato via.
“No-non preoccuparti” biascicò la ragazza, ritrovandosi la gola secca come una distesa di deserto arida.
Il ragazzo si piegò sulle ginocchia, raccolse in una delle sue grandi mani il pallone, che subito lanciò nella parte sinistra del campo, parte che Roberta non aveva proprio visto e nell’altra mano raccolse il piccolo cellulare caduto dalle gradinate.
“Scusami ancora” le disse il ragazzo, porgendole il cellulare, mortificato.
Roberta non riusciva ancora a dire nulla, afferrò come un automa il cellulare che le porgeva quel dolce ragazzo e in silenzio abbassò lo sguardo per puntarlo sulle sue Adidas grigie.
Era in piedi sulla terza gradinata e il ragazzo davanti a lei le era ad altezza perfetta, Roberta pensò che se fosse scesa di un solo gradino, le sarebbe arrivata all’ascella.
Il ragazzo, non avendo nessuna risposta in cambio, percepì disagio e con il pensiero di aver dato fastidio a questa piccola ragazza che era intenta a scrivere sul suo libro solo fino a poco tempo fa, decise di cambiare aria.
“Bhè… io vado. Scusami ancora e… ciao”.
Roberta sollevò di scatto lo sguardo, per fermare quel ragazzo che purtroppo già stava correndo verso l’altra metà campo.
Ingoiando a vuoto, strinse tra le mani il cellulare e sbloccandolo mandò un messaggio alle sue amiche.
“SOS, mi sono innamorata”.
Aspettando la risposta, Roberta cercò di riprendere coscienza di quello che le era accaduto, mentre con lo sguardo cercava nel campo quei due metri di perfetta dolcezza.
 
Due ore dopo, mentre Alice era nei bagni del campetto per farsi una doccia calda, Roberta andava su e giù nel corridoio degli spogliatoi.
Particolarità di quel luogo era che non si trattava dell’ala delle docce femminili, ma quelle dei ragazzi.
Come animata da una strana energia, Roberta sperava che da un momento all’altro quel gigante uscisse da quelle porte con il suo fantastico sorriso, nuovamente tutto per lei.
Come le avevano suggerito le sue amiche, l’ha cercato per tutto il campetto e l’ha trovato mentre bloccava le schiacciate dei suoi compagni.
Ha amato il suo modo di asciugarsi il sudore dalla fronte con il polsino, il modo in cui guardava l’avversario alzarsi in volo e schiacciare per poi prendere un balzo e bloccare l’azione.
Il ruolo centrare è sempre stato visto come di passaggio, ma di fondamentale importanza e Roberta ora lo ama ancora di più quel ruolo.
L’ha osservato per il resto delle due ore, ha studiato ogni suo particolare come quell’alzarsi la maglia per farsi vento in questa serata afosa, come quel sorriso gli spuntava nuovamente sulle labbra ogni qualvolta riuscisse a bloccare la palla e fare punto.
Avrebbe voluto che il gigante sorridesse ancora per lei, ecco perché in quel momento stava girovagando tra quei corridoi come un’anima in pena. Come un drogato in astinenza, lei voleva il suo sorriso.
E se è già andato via? Come potrò rivederlo? Si domandava la ragazza.
La chiusura della stagione era imminente. I ragazzi che frequentavano la squadra erano sempre meno per le vacanze estive e lei aveva paura di non riuscire più a vederlo.
Voleva solo sapere il suo nome, dare un nome a quello splendido sorriso.
Stava già formulando un secondo piano di riuscita, quando alle sue spalle si sentì chiamare da una voce melodiosa e roca.
“Hey”.
Roberta si girò di scatto, con le mani che le sudavano e con il cuore che correva all’impazzata come se avesse appena smesso di correre la maratona newyorkese.
“Ciao” si trovò a balbettare, guardando il gigante che gli veniva sempre più vicino.
Avrebbe voluto scappare via, prendere il cuore e metterlo sotto chiave.
Che strano, pensava mentre vedeva il sorriso di quel ragazzo riaffiorare sulle labbra, è da troppo tempo che il cuore non le scalpita e in quel momento lo stava facendo per un ragazzo che nemmeno conosceva, visto solo due ore fa. Dove si nascondeva fino ad ora?
“Che ci fai qui? Ti sei persa?” Le domandò il ragazzo, tirando su la cinghia dello zaino enorme della squadra sulla spalla.
“Hem… io… cercavo te” sputò tutto ad un tratto senza abbassare lo sguardo.
Diamine, come le era uscita questa sottospecie di frase?
Mentre Roberta sganciava la bomba, sul volto di quel ragazzo nasceva un timido sorriso, come se si vergognasse.
Piegò la testa di lato, per guardarla meglio e sorridendole le chiese “come mai?”
Roberta sentì le guance infiammarsi e desiderava solo che accanto a lei ci fossero le sue amiche per suggerirle quello che doveva dire.
Cosa avrebbero detto loro? Si domandò, ma stavolta scacciò via il pensiero.
Era lei lì, era lei che si era ficcata in questa situazione. Avrebbe dovuto trovare da sola l’uscita di emergenza.
“Io… volevo scusarmi per essermi…” innamorata, pensò lei ingoiando quella parola in gola “per essermi comportata male prima”.
Il ragazzo strabuzzò gli occhi per assicurarsi che lei ci fosse realmente lì difronte a lui.
Che lui ci fosse rimasto male del fatto che lei non gli aveva dato corda, non credeva l’avesse capito anche lei.
Stupefacente!
“Non devi preoccuparti, dopo tutto ti ho creato un danno. Come sta il telefono?” Le domando, passandosi una mano tra i suoi capelli castani.
“Sta bene” sussurrò quella ragazza così piccola, a parere del gigante.
Era piccolina, certo tutti in confronto alla sua altezza gli sembravano piccoli, ma lei aveva qualcosa che l’avrebbe definita come fragile. Uno scricciolo pronto a rompersi e il gigante aveva paura di spezzarla.
I suoi lunghi capelli castani erano raccolti in una elaborata treccia posata al lato della spalla sinistra. Alcune ciocche di capelli le sfuggivano dall’acconciatura, come se lei ci avesse passato le mani ripetutamente sopra.
I suoi occhi scuri erano contornati da un paio d’occhiali che le conferivano aria seria, da studiosa. Il ragazzo sorrise a quell’idea, ricordandosi il libro di tedesco che aveva tra le mani seduta sulle gradinate.
Non le era passata inosservata nemmeno allora, è proprio per questo che aveva perso contatto con la palla.
Aveva voltato lo sguardo, così per curiosità, sulle gradinate e quella ragazza lo aveva colpito a primo sguardo.
Si era bloccato nel guardarla. Nel guardare quella ragazza così assorta in un libro mentre prendeva appunti a piè pagina. È proprio in quel momento che Luca, compagno di squadra, gli aveva lanciato la palla ma lui, troppo preso da quella ragazza, la lasciò sfuggire.
Dando inizio a tutto quello che in quel momento stava accadendo.
“Mi fa piacere” riprese a parlare il ragazzo.
Roberta sorrise per la prima volta davanti agli occhi del gigante e lui, nel vedere questa espressione, ne rimase incantato. Come una magia fatta da una strega.
“Comunque io sono Roberta” si presentò la ragazza, allungandogli una mano.
Il gigante guardò prima quegli occhi così profondi e limpidi, come se ci potesse trovare un lago nero, dipinto dall’oscurità della notte. Poi posò lo sguardo su quella mano e sulle dita così piccole e fini.
Sorrise all’idea di quanto tutto conferisse nella ragazza dolcezza.
“Matteo” rispose sicuro di sé, mentre le strinse la mano.
Roberta finalmente contenta di dar un nome a quel gigante e al suo sorriso, si sentì soddisfatta. Come se ora potesse tornare indietro nei suoi passi e dimenticarsi del ragazzo.
Ma nell’esatto momento in cui pensò questo, si rese conto che non avrebbe mai potuto dimenticarsi di Matteo.
E confermò la teoria che i colpi di fulmine realmente esistono, lei ci era rimasta stecchita. Abbrustolita e cotta a puntino.
Ma la domanda era: Matteo cosa avrà provato?
La risposta che ne ebbe Roberta, come se Matteo avesse ascoltato i suoi pensieri, fu una delle migliori: il suo sorriso.
 

Tre anni dopo…
 

Roberta usciva dalla Mondadori, luogo di lavoro ormai da un anno da quando aveva preso la laurea.
Guardò l’orologio al suo polso e imprecò tra se, guardando a destra e a sinistra per attraversare la strada e dirigersi alla metropolitana più vicina.
Era in ritardo e si diede della stupida per non aver preso la macchina almeno in quel giorno.
Roberta odiava guidare a Milano, ma quando era in ritardo avrebbe preferito prendere l’auto e fare strade alternative, non aspettare le coincidenze di due metro.
Non vedeva l’ora di arrivare a casa e liberarsi di quelle scarpe che tanto odiava, scomode ma tremendamente eleganti e di certo ad una riunione così importante avvenuta in mattinata, non ci sarebbe di certo andata con le sue immancabili Adidas.
Sgambettando e inciampando per le scale, riuscì ad arrivare alla prima metro. L’attesa sul tabellone indicava cinque minuti. Troppi.
Sospirò, per mantenere la calma e si sedette su una panchina sul marciapiede della metro.
La galleria era mediamente affollata, lei aveva fatto uno straordinario e di certo nessuno si sarebbe mai trattenuto fino alle 21.30 al lavoro.
Amava il suo lavoro, ne era devota ed era forse l’unica cosa che faceva puntigliosamente.
Ma quando si contrapponeva alla sua vita privata, era uno stress.
Quella sera, era una serata importante. Non avrebbe dato possibilità a niente e a nessuno di rovinarla.
Il suo cellulare iniziò a intonare una musichetta strana e sorrise non appena si ricordò che le sue due amiche di una vita, ormai, le avevano impostato per gioco sul cellulare.
All you need is love dei Beatles prese a riecheggiare nella metro.
Senza guardare il mittente, troppo stanca anche per leggere, sbloccò lo schermo e rispose alla chiamata con gli occhi chiusi.
“Pronto?”
“Sei in ritardo”.
Non appena ascoltò quella voce, sorrise gioviale come se tutte le fatiche della giornata fossero sparite.
Il suo toccasana era quella voce. Era il broncio dall’altra parte della cornetta, ma ormai sapeva bene che quell’espressione non gli sarebbe durata molto.
“Gigante, una donna deve farsi attendere” gli rispose, aprendo gli occhi giusto in tempo per vedere arrivare il convoglio.
“Ma un uomo alla fine si scoccia ad aspettare” si lamentò lui, sbuffando.
Roberta entrò in quel momento sul treno e ringraziando il cielo, riuscì a trovare un posto per sedersi.
“Tu non sei un uomo come tutti gli altri, sei di un altro pianeta, sei il gigante buono perciò non potrai mai annoiarti e maggiormente essere arrabbiato con me” cinguettò la ragazza, guardando una donna davanti a lei che le sorrideva.
Diamine, pensava Roberta, ho fatto la mia solita figura di merda.
“Tesoro, dove sei?” Domandò Matteo.
“Sulla metro. Perché?”
“Hai detto questa cosa in pubblico?”
Ecco, la conosceva fin troppo bene. Era capace anche di leggerle nella mente.
In tre anni, da quel giorno degli allenamenti, hanno imparato a capire tutto uno dell’altra. A conoscersi come i loro libri preferiti.
Il gigante e lo scricciolo si sono scelti a primo sguardo e non c’è stato niente in tre anni che l’abbiano fatti  allontanare. Nemmeno il più forte degli uragani abbattuti sulle loro vite. Ormai erano indissolubili, non erano capaci di separarsi nemmeno volendolo.
Due desini intrecciati alla stessa vita.
“Potrebbe essere” sussurrò imbarazzata Roberta.
“Piccola sei un caso disperato”.
“Non sei arrabbiato con me?”
“Per cosa?”
“Per il ritardo”.
“Roby se dovessi essere arrabbiato sceglierei un buon motivo”.
“Sei altamente dispotico oggi” sbuffò lei, mentre scendeva dal treno per incamminarsi al prossimo sottopassaggio.
“Non particolarmente”.
“Bugiardo. Comunque devo attaccare, non prende il telefono sull’altra linea ricordi?”
“Si. Non fare tardi e sta attenta” le raccomandò Matteo, con tono parentale.
“Va bene gigante. A dopo”.
Roberta chiuse la comunicazione e sorridendo si affrettò nell’altra linea della metro.
Però il sorriso si spense non appena si domandò cosa avrebbe fatto Matteo non appena avrebbe saputo la notizia che Roberta costudiva.
 
Quando arrivò in superficie della metro, con il fiatone, Roberta ringraziò mentalmente tutti i santi per aver fatto il loro ristorante preferito vicino alla fermata di metro che solitamente la ragazze utilizzava.
Accelerando il passo, arrivò a un isolato dal ristorante.
Rallentò il passo e frugando nella borsa agguantò lo specchietto nella borsa, per controllarsi i capelli e quel po’ di trucco che le colorava le guance.
Un disastro, pensò guardandosi al piccolo specchio.
Si pettinò i capelli con le mani che le erano più corti del solito, reduci dal recente taglio del suo parrucchiere. Matteo le ripeteva in continuazione che stesse bene, ma lei rimpiangeva i suoi capelli lunghi, non che ora non fossero tali, ma rispetto al suo standard li aveva tagliati troppo.
Si pizzicò le guance per darne un po’ di colore, visto che il trucco era pressoché sparito.
Cercò di sorridere ma inutilmente, tanto sapeva che il gigante l’avrebbe smascherata all’istante.
Prese un ultimo sospiro e si diresse al ristorante.
Matteo era di spalle che aspettava la sua ragazza.
Si chiedeva del perché avesse voluto cenare qui, solitamente quando era in ritardo preferiva sdraiarsi sul loro divano mentre lui le preparava un omelette al prosciutto cotto e sottiletta, l’unica che era capace di non carbonizzare.
Venne interrotto da un rumore di tacchi sul marciapiede e voltandosi scontrò il suo sguardo con gli occhi pensierosi di Roberta.
Si, decisamente gli nascondeva qualcosa.
“Ciao” sussurrò la ragazza, torturandosi il labbro inferiore.
Matteo non rispose, l’attirò in un abbraccio e con l’indice le privò del labbro che si stava mordicchiando.
Abbassò il capo e appoggiò le labbra alle sue.
Non la vedeva da quella mattina e le mancava come l’ossigeno.
Quando staccò le sue labbra dalle sue, sfiorò il naso con la sua punta e le sussurrò a fior di labbra “questo è il saluto che preferisco”.
Roberta tentò di sorridere, ma anche stavolta ne uscì solo una smorfia.
Matteo, senza lasciarla, aggrottò le sopracciglia e si allontanò di un soffio dal suo viso.
“Cosa c’è?” Le domandò preoccupato.
 Roberta sospirò rassegnata.
“Ti prego, dopo cena”.
Matteo, anche se tremendamente curioso, accettò il compromesso e prendendo per mano la sua ragazza si avviò all’interno, sperando che la cena terminasse il più in fretta possibile.
Non era entusiasta dell’attesa e iniziò a pensare al peggio.
 
Finita la cena, presero a passeggiare mano nella mano accanto ai Navigli.
La grande mano di Matteo teneva stratta quella piccola e fragile di Roberta.
Era inquieta, si agitava ed era sudata.
Matteo non ne poteva più, aveva praticamente pensato ad ogni sorta di malattia incurabile, a ogni ago nel pagliaio e l’unica soluzione era quella che Roberta aveva deciso di lasciarlo.
Per motivi a lui sconosciuti e alquanto fantasiosi, dettati dalla sua più fervida immaginazione.
Si era appuntato mentalmente tutto un discorso, insensato, qualora i suoi timori fossero realtà.
Ma non ne poteva più di agitarsi e di vedere la ragazza inquieta.
Così si fermò, appoggiato con le spalle alla ringhiera del canale e trascinò Roberta difronte a se, trattenendola con le braccia sulla vita.
“Allora, che ti prende?” Esordì minaccioso.
Ecco, pensò Roberta, non la prenderà bene. Sarà un disastro e mi lascerà. Sarà troppo per lui.
“Sei arrabbiato?” Gli chiese per la seconda volta in quella serata.
Matteo sembrò un attimo sorpreso.
“Stavolta avrei un buon motivo per esserlo”.
Roberta ingoiò a vuoto e abbassò il capo per soffermarsi sulle punte delle sue scarpe. Anche il fastidio che provava ai piedi le sembrava sopportabile in quel momento.
Matteo le tirò su la testa con l’indice sotto il suo mento e la fissò trepidante.
“Cosa c’è?”
Roberta chiuse gli occhi, per prendere coraggio. O ora o mai più, spuntò fuori il segreto che da cinque giorni si portava dentro.
“Sono incinta Matteo”.
Non appena pronunciò quelle parole, rimase ancora ad occhi chiusi aspettando una reazione qualsiasi, del gigante.
Ma non arrivava nulla, niente.
Preoccupata, che fosse scappato via, anche se continuava a percepire la sua presenza accanto nonché anche l’indice sul suo mento, aprì gli occhi e rimase colpita da quello che era difronte a se.
Matteo sorridente.
Di quel sorriso che l’aveva fatta innamorare. Di quel sorriso che ha dato inizio a tutto. Alla vita. Al destino.
“E’…” cercò di parlare lui.
Ma l’emozione che provava dentro era troppa per essere descritta a parole.
Avvicinò Roberta ancora di più a se e la baciò amorevolmente.
Si sentiva al settimo cielo, non avrebbe mai pensato a una eventualità come quella.
Stava per diventare padre e la donna che amava le stava per regalare il miracolo della vita. Come avrebbe pensato mai che potesse arrabbiarsi?
Interrompendo il bacio, ma posando le labbra sulla fronte della ragazza, si perse con gli occhi nel cielo.
“E’ la notizia migliore che tu potessi darmi”.
“Avevo così paura” ammise Roberta, allacciando le sue braccia alla vita di Matteo.
“Non dubitare mai del mio amore piccola. Ti amo così tanto e ora amo anche quel fagiolino dentro di te”.
“Fagiolino?” Domandò con le lacrime agli occhi la ragazza.
“Si, il nostro fagiolino. Il nostro miracolo” le sorrise innamorato Matteo.
 

Roberta sorrise felice, grata del destino. Grata delle sue scelte fatte.
La vita ci può regalare tante emozioni e tante occasioni.
Sta a noi decidere per cosa combattere, per cosa vale la pena mettere in gioco noi stessi.
E se si è fortunati, la vita ci regalerà emozioni indissolubili.
Bisogna crederci sempre e alle volte, il destino ci ricambia questa battaglia in modi impensabili.



 

Sorpresa!
Una nuova Os pullula nelle mie storielle, ma stavolta un po' diversa.
Stavolta dedicata a una grande persona che riempie le mie giornate facendole sembrare splendenti e allegre. 
In occasione del primo compleanno che passiamo insieme, dedico questa Os alla mia amica Roberta. Una grandissima persona sempre pronta all'ascolto e a infondere serenità.
Non piangere sis, perchè quello che ho scritto è davvero quello che auguro con tutto il mio cuore a Te. 
Roberta è una persona favolosa, e non esagero se tutti questi aggettivi tra poco si esauriranno nella mia testa.
Roberta ha un sogno e sono sicura che prima o poi si coronerà. 
Ricorda sempre sis, che io credo in te. E che ci sarò sempre, qualsiasi cosa succeda ♥

Buon compleanno R. I love you so much ♥

E anche voi, ragazze che avete letto la Os, non abbattetevi MAI qualora le cose non vadano come voi vorreste.
Ricordatevi che il destino è sempre pronto a giocare le sue carte, anche quando meno ve l'aspettate. 

Sempre vostra.

-IlaPerla-

 
 
  
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