Ringrazio i miei tre
commentatori che mi hanno riempito di complimenti:
@Suikotsu: Esageri come
sempre!
@giodan: Grazie per gli
incoraggiamenti! Riguardo ai drow, so che sei un gran fan di Drizzt Do’Urden e mi
spiace darti questo dolore, ma non credo che li metterò.
@Bankotsu: Grazie anche a te,
ma guarda che la tua fanfic mi piace! Comunque, ottima scelta: il tuo
personaggio preferito è tra quelli che rimangono vivi per un bel po’!
Ringrazio anche chi legge
senza recensire.
Capitolo 4 - La driade
-Sei sicuro di voler andare,
figlio mio?- Il giovane dai capelli ricci si voltò.
-Questa è la mia decisione, madre,
e non posso certo cambiare idea ora che l’ho detto pubblicamente.- La figura
femminile lo guardò preoccupata con i suoi occhi neri. Gli passò una mano sulla
testa vicino a una delle due orecchie a punta.
-Possa Colei che veglia sui
giusti proteggerti, allora.-
Lentamente queste immagini
svanirono dalla mente di Arellon. Si guardò attorno, ma gli servì soltanto per
accertarsi del fatto che era ancora intrappolato. I rami e le radici lo
legavano stretto. Inoltre, a peggiorare le cose, c’era il fatto che il suo
bastone gli era caduto a terra quando gli alberi gli avevano immobilizzato le
braccia. Certo, avrebbe comunque potuto lanciare un incantesimo, ma non poteva
muovere le mani e la bocca era tappata da delle foglie di quercia. Lui non era
ancora così potente da poter lanciare una magia di trasporto o di
allontanamento in grado di liberarlo solo con la forza del pensiero mentre con
una di fuoco avrebbe solo corso il pericolo maggiore di essere bruciato insieme
alle piante. Poi non avrebbe mai osato: nella sua condizione era meglio non
arrecare alcuna offesa alla prole della Natura.
“La tua missione è vitale per
la salvezza del nostro popolo. Così mi aveva detto mio padre. Ed eccomi qua
intrappolato! La sua fiducia è stata proprio ben riposta! Che incapace che sono
stato!” Poi si ricordò delle voci che aveva sentito un giorno prima (o erano
due?). Avevano fatto riferimento a una certa Iselia. Un nome che gli suonava
familiare, doveva averlo letto in qualche racconto o cronaca storica. Ma in
quel momento non gli veniva in mente chi potesse essere. “Probabilmente gli
abitanti della foresta facevano riferimento a una loro guida. Meglio loro che i
servi di Eldacil, ma non credo che le loro intenzioni siano buone. Altrimenti
non mi avrebbero catturato. Una volta i nostri rapporti con loro erano
pacifici, ma poi trecento anni fa... Secondo la saggia Lasdel alcuni elfi
dissero che la colpa era anche nostra e ci odiarono. Per questo la regina
Deanilia ci cacciò, per evitare inutili spargimenti di sangue. Ma... ”
Qualcosa si mosse di fronte a
lui. All’inizio non ci fece caso, credendo che fosse una sua allucinazione. Poi
guardò con più attenzione e vide una creatura che aveva trovato solo nei libri
fino a quel momento.
La piccola betulla sembrava
che si stesse gonfiando. Una grande e alta protuberanza si stava formando sopra
la corteccia. Quando ebbe raggiunto una certa estensione in altezza, accadde
una cosa straordinaria: si aprì. Come se fosse una porta, la corteccia venne
spostata di lato da una mano piccola e delicata. Ne uscì un’essere leggiadro
dall’aspetto di una donna o quasi. Una driade. Era alta, superava Arellon di
almeno una spanna. La sua pelle aveva un colorito verde chiaro, uguale a quello
della linfa degli alberi. Lunghi capelli verde foglia sciolti ondeggiavano
sulla schiena. Era coperta da un lungo vestito bianco con macchie nere sparse
qua e là che lasciava scoperte spalle e braccia. Aderiva perfettamente al
properoso seno e al ventre, quasi ne facesse parte. Le gambe invece erano
coperte da una gonna semplice che lasciava intravedere i piedi scalzi.
Con le dita affusolate
richiuse delicatamente la corteccia della betulla. La driade si voltò e osservò
Arellon, che ricambiò il suo sguardo.
Il viso della driade era di
una bellezza sconvolgente, ogni tratto della sua pelle chiara era perfetto,
levigato come fosse stata una scultura, eppure una cosa guastava questa
perfezione: aveva un’espressione infinitamente triste. I suoi occhi privi di
pupille color verde acqua sembravano due abissi di dolore, come se avesse
patito sofferenze terribili. Una smorfia le attraversò il viso e una lacrima
scese fino alle guancia sinistra.
Si mosse verso il mezzelfo
intrappolato. Con un piccolo e aggraziato salto superò i cespugli e i fiori e
le loro spine affilate come aghi. Pareva danzasse: ogni suo movimento aveva una
grazia e una scioltezza eccezionale.
Quando fu a poca distanza da
Arellon parlò. La sua voce era disperata e furibonda, come lei.
-Umani! Pazzi! Ingrati!
Scellerati! Assassini! Traditori! Maledetti tutti voi, nemici dell’Armonia!
Morirete per i vostri orribili crimini!-
La driade tacque per un
attimo, poi proseguì con voce più calma. -Ma, ahimè, siete anche innocenti...
Sciocchi umani! Tu, povero stupido, tu sei uno fra i tanti. Perchè sei venuto
qui? Perchè ti sei avventurato nella nostra foresta? Voi umani la chiamate
Grande Foresta Oscura... Bravi! Siete stati voi a renderla degna di questo
nome! Oh, certo, non avete fatto tutto da soli, ma avete avuto una buona parte
nella nostra rovina!-
Arellon sentì un forte dolore
in tutto il corpo. Le radici del pino e i rami della quercia lo stavano
stringendo più forte, come volessero stritolarlo. Rivolse alla driade uno
sguardo supplichevole di aiuto, ma lei ricambiò con un’espressione di rabbia
feroce.
-Traditori e assassini! Pazzi
e folli! Avete rovinato la pace per sempre e perciò pagherete!- gridò con tono
minaccioso e gli alberi strinsero ancora più forte Arellon.
-Ma...- continuò di nuovo a
voce più bassa, mentre il mezzelfo sentiva la stretta degli alberi allentarsi
-il sangue di mille o di milioni di voi cambierà qualcosa? No, non porterà
nessun miglioramento! Sciocchi elfi del bosco! Hanno perso il loro amore per la
pace e per la vita. Vivono per la morte. Solo alcuni di loro, è vero, ma è una
questione di tempo: l’odio ci prenderà tutti! Misero umano! Tu morirai non
appena gli elfi e i centauri guidati da Iselia arriveranno! Forse decideranno
di farti morire pian piano di fame e di sete o ti imprigioneranno nel buio
senza fine fino a farti perdere il senno. Presto o tardi, il tuo destino è
ormai segnato! Il tuo sangue bagnerà la nostra terra e tutti godranno
dell’amaro sapore della vendetta! E ciò non farà che peggiorare le cose, perchè
il sangue chiama altro sangue.- La driade si portò le mani al viso per
nascondere le lacrime. -Perchè ti parlo, misero condannato? Non capisci la mia
lingua, non sai chi sono... L’odio! L’odio avvelena tutti! Ci divora, ci svuota
e ci riempie di sete! Sete di sangue, morte e distruzione! Tutti siamo
maledetti! Volevamo giustizia e non l’abbiamo avuta! Ci è stata tolta perfino
l’amara consolazione di vedere puniti i colpevoli dello scempio... Ma la colpa
è anche nostra: non avremmo dovuto permettere che ciò accadesse. Non avremmo
dovuto permettere che la rabbia contaminasse lo spirito degli alberi! Rabbia
senza fine per un passato che non si potrà mai cambiare!- La creatura dei
boschi allontanò le mani dalla faccia rivelando il viso rigato di lacrime e con
la destra indicò Arellon. -E per quel passato tu morirai!- urlò con tutta la
forza che le proveniva dall’ira e dalla disperazione.
Il mezzelfo la osservava
sbalordito e anche preoccupato per le sue parole. Approfittando del fatto che
la driade si era fermata per soffocare i singhiozzi, tentò di parlare, ma dalla
sua bocca uscì solo un mugugnio indistinto per via del tappo di foglie di
quercia.
-Vuoi parlare?- gli domandò
gentilmente la driade -Sì, dopotutto sarebbe giusto concedere un’ultima parola
a un condannato a morte. Giusto... Ma è giusto che tu muoia? Cosa vuol dire ora
“giusto”? I centauri vivevano solo per questo valore: la giustizia. Ora la
confondono con la sete di vendetta! Dove sono gli dei? Olidos, il saggio
Olidos, era il loro figlio prediletto, si diceva. Ed è morto! Morto! Colui che
voleva la pace muore e colui che voleva la guerra vive. Cosa c’è di giusto in
questo?- Mentre pronunciava queste parole, Arellon si accorse che la quercia e
il pino stavano ricominciando a stringerlo con i rami e le radici e continuò a
mugugnare rivolto alla driade cercando inutilmente di sputare le foglie, che
invece gli venivano spinte sempre di più in gola, col chiaro intento di
soffocarlo.
La driade lo fissava
immobile. Perchè avrebbe dovuto fare qualcosa per lui? Forse era meglio
lasciarlo morire così. Dopotutto il trattamento degli elfi non sarebbe stato
migliore.
Però... Però negli occhi di
quello straniero, di quell’umano, c’era qualcosa di familiare. Nel corso della
sua lunga esistenza aveva visto centinaia di esseri dagli occhi verdi, ma in
quelli c’era una luce che le ricordava qualcuno. Una persona cara, un’amica di
un passato lontano.
Oltre a ciò non voleva che
una creatura fosse privata della propria vita di fronte ai suoi occhi. Era
un atto orribile, secondo gli insegnamenti di Olidos, privare un qualunque
essere vivente, anche il più infimo e maligno, della sua vita, perchè essa gli
era stata data dalla Natura e dagli dei e solo loro potevano togliergliela.
Spinta da questi pensieri, la
driade si avvicinò ad Arellon e toccò con la punta delle dita della mano
sinistra il ramo di quercia che cercava di soffocare il mezzelfo con le sue
foglie.
-Calmati, possente quercia.
Ritrai questo ramo, l’umano non deve morire ora! Non è questo l’ordine che ti
diedero gli elfi. Smettete di farlo soffrire! Non vi basta la sofferenza a cui
andrà incontro in seguito? Pino e quercia, smettetela! Io te lo ordino, quercia
maestosa, ritrai questo ramo!- disse con voce solenne e l’ordine fu eseguito,
anche se con una certa riluttanza. Arellon tossì e riprese lentamente fiato.
-Grazie per il vostro aiuto,
driade leggiadra!- ansimò in elfico. La driade lo fissò stupita.
-Tu...- disse sgomenta -Tu
conosci l’elfico! Che strano che un uomo abbia una tale conoscenza. Ma a che cosa
ti è servita, se non a sapere il tuo destino? Ora sai che morirai per appagare
il desiderio di vendetta di elfi e centauri...-
-‘La vendetta è sbagliata
perchè il sangue ne richiede sempre dell’altro e alla fine si otterrà un mare
di sangue. Le mani del vendicatore saranno macchiate del sangue dei suoi stessi
figli e non gli resterà che piangere per la sua follia di essersi voluto porre
al di sopra degli dei, avendo elargito morte senza conoscere la verità.’-
recitò a memoria Arellon tossendo. La meraviglia della driade divenne ancora
maggiore.
-Conosci gli insegnamenti del
saggio Olidos? Come è possibile che un uomo ne sappia qualcosa? Chi sei? Perchè
sei venuto nella foresta? Non lo sapevi che qui tutti gli umani vengono uccisi?
Non importa a nessuno che tu sia un seguace di Madeno o Lena, i più saggi fra
gli uomini mai esistiti! Non fanno distinzione, gli elfi furiosi!-
-Io non sono un uomo!-
-Cosa? Cerchi di ingannarmi?-
domandò la driade con un punta di rabbia nella voce fissandolo dritto negli
occhi verdi. Il mezzelfo dovette costringersi a non abbassare lo sguardo,
perchè gli sembrava che lei lo trapassasse e riuscisse a vedere la sua anima.
Dopo alcuni attimi la driade si ritrasse con un’espressione a metà tra
sospettosa e stupita.
-Non sei un uomo?...- chiese
più rivolta a sè stessa che ad Arellon -Ma allora...- Con un mano sfiorò la
testa del mezzelfo alle due estremità laterali. Nonostante il cappuccio, le sue
dita sottili sentirono che sotto c’erano due orecchie a punta.
-Non sei un uomo...- ripetè
piano e lo guardò attentamente per un’attimo. Poi il suo viso si illuminò. -Ma
non sei neanche un elfo della città. Sei della stirpe del Corvo. Sei uno dei
figli di Atascal e Lalia: un mezzelfo! A cosa ha portato la nostra follia?
Abbiamo intrappolato uno dei nostri fratelli!- La driade si voltò verso la
quercia, alzò le braccia e gridò:-Via! Vattene, quercia possente!- Si girò,
oltrepassò Arellon e si rivolse al pino:-Allontanati anche tu, pino alto e
magro! Basta! Basta odio, basta sangue!- Si abbassò e accarezzò i fiori,
continuando a gridare. -Abbandonate i vostri artigli, dolci fiori e bassi
arbusti! Siate rigogliosi per la luce del Sole! Risplendete di mille colori,
non solo quello della vendetta!-
Lentamente, la quercia ritirò
i suoi rami e lo stesso fece il pino con le sue radici. Le fronde degli alberi
si separarono, permettendo ai caldi raggi solari di entrare nella radura. Le
spine scomparvero, vennero ritratte come fossero gli artigli di un gatto, e i
fiori tornarono ad avere il loro magnifico colore.
Arellon fu liberato, ma cadde
subito a terra di schiena. Infatti tutti i suoi muscoli erano intorpiditi e
doloranti per la lunga prigionia e per la fame e perciò faticava a rialzarsi.
La driade, raggiungendolo a
passo di danza, si inginocchiò sull’erba e appoggiò una mano sulla sua fronte.
Arellon provò una sensazione indescrivibile: quella carezza era gentile e
piacevole come i petali di un fiore, ma celava la forza di un albero. La driade
mormorò parole che il mezzelfo, un po’ intontito, non comprese al principio.
Poi sentì un’ondata di calore attraversarlo dalla testa alle gambe e la
stanchezza svanì. Era di nuovo forte e vigoroso, come se si fosse sfamato e
riposato per alcuni giorni. Guardando la meravigliosa creatura che sorrideva
sopra di lui disse:-Vi ringrazio ancora per il vostro aiuto, bellissima driade.
Come avete fatto a...?-
-La Terra ci nutre e noi
nutriamo la Terra. Ma solo coloro che la amano veramente possono sperare di
ottenere un aiuto maggiore da Lei. Solo i degni ottengono la benedizione del
calore della Terra, sorella della Natura. Io ho fatto solo da intermediaria. A
quanto pare tu eri degno, mezzelfo.- rispose la driade aiutandolo ad alzarsi.
Si sentiva felice, da tanto tempo non usava quella magia di guarigione, da
troppo tempo non aveva la meravigliosa sensazione di aver aiutato una creatura
vivente. -Qual è il tuo nome?- gli chiese.
Arellon esitò. Sarebbe stato
saggio rivelare chi era? Doveva stare in guardia: c’erano molti più nemici di
quanti potessero sembrare, Eldacil non era solo. Ma d’altronde la driade lo
aveva aiutato e di certo non era una spia del suo inseguitore.
-Io mi chiamo Arellon, figlio
di Erotlon e Arila. E voi chi siete, mia salvatrice?-
-Io non ho un nome. Non nella
attuale lingua degli elfi, almeno. Nella lingua degli dei lo avevo ma non lo
ricordo più. Gli elfi del bosco mi chiamano Mahallonie, che significa driade
della betulla. Puoi chiamarmi così, Arellon, straniero incappucciato.-
Il mezzelfo si abbassò il
cappuccio, rivelando folti capelli marroni ricci da cui spuntavano due orecchie
a punta.
-Avete ragione, Mahallonie, è
maleducato parlare nascondendo il proprio aspetto. Ma è la prima volta da molto
tempo che qualcuno mi mostra una gentilezza come la vostra.-
Mahallonie studiò
attentamente il mezzelfo. Era abbastanza bello, dai tratti del viso sembrava non avere più di venti,
venticinque anni. Ma erano gli occhi sormontati da lunghe ciglia scure ad
interessarla di più. Lo sguardo del mezzelfo possedeva determinazione e
lasciava intendere che lui avesse senso di responsabilità e coraggio. Lei aveva
già incontrato un altro essere che le aveva dato subito la stessa impressione.
Ma quando? Dopo un attimo di riflessione, domandò:-Conosci Lasdel figlia di
Nisaran?-
-Sì,- rispose Arellon stupito
-è mia nonna.-
La driade ebbe un tuffo al
cuore. -Tua nonna!- esclamò -Tua nonna è Lasdel, la giovane mezzelfa che
passava più tempo nella foresta che nel suo palazzo ad Allesfeia. La mezzelfa
che detestava lo sfarzo e gli intrighi della sua gente. La mezzelfa che mi era
tanto amica, al tempo in cui noi driadi danzavamo fra gli alberi insieme agli
elfi e ai centauri, prima della guerra e della morte di Olidos. Ed è tua nonna!
Già, sono passati più di trecento anni, tanti anche per uno di voi. Come sta
ora? Non ti ha mai parlato di me?-
-Mia nonna è stanca e
preoccupata per la sorte del nostro popolo, ma quando sono partito era in
salute. Però non ricordo che mi abbia mai parlato di voi, mi spiace.- rispose
il mezzelfo confuso.
-Non darmi del voi! Dovrei
essere io a rivolgermi a te così. Discendi da una nobile famiglia, antica quasi
quanto il mondo. Lasdel non ti ha mai detto nulla di me? Sì, capisco... La
gente del bosco non si è comportata bene con voi mezzelfi. Che colpa avevate,
se l’odio, incarnato in quell’elfo mostruoso, non vi dava tregua? Ma lui non
siamo riusciti ad averlo, quel traditore, quell’assassino e demmo la colpa a
voi perchè, poichè vi avevamo aiutato, lui aveva colpito anche noi. Mille volte
maledetto Eldacil!- Al suo urlo di furia le fronde degli alberi e i fiori si mossero,
come spazzati da un vento terribile.
-Ma il passato non può
cambiare. La mia rabbia è inutile: anche lui non è più tra i vivi. Non mi hai
ancora detto perchè sei entrato nella nostra foresta, Arellon, nipote di
Lasdel.-
-Sto compiendo un viaggio di grande
importanza per il destino del mio popolo e forse anche del mondo intero. Era
più sicuro passare fra questi alberi che là fuori nelle pianure.- rispose
Arellon guardandosi intorno in cerca di qualcosa.
-Più sicuro? Che genere di
pericolo ti attende fuori dalla foresta?-
-Un essere che tutti credono
morto.- disse il mezzelfo chinandosi a raccogliere il suo bastone in mezzo
all’erba.
-Cosa intendi dire? E...- La
driade osservò il bastone che lui stringeva nella mano destra. -Sei un mago?
Usi quel bastone? Sei un amico della Natura?- domandò sbigottita. Arellon
annuì.
-Mia nonna mi ha insegnato
ogni cosa sulla vera magia, quella che non è solo basata sui poteri innati, ma
chiede l’aiuto della Natura per i propri fini.-
-Oh, mi farebbe tanto piacere
rivederla! Ma quando vi cacciammo voi andaste tanto lontano che nessuno ora sa
dove siete.- disse tristemente la driade.
-Avete... Hai ragione,
Mahallonie: noi mezzelfi superstiti fuggimmo a settentrione, oltre la Muraglia
e i Monti Truderkor, nelle steppe gelate, fino al Monte Oxetran, dove trovammo
rifugio e nuova dimora.- spiegò Arellon.
-Hai fatto un viaggio davvero
molto lungo, allora. Ma per quale motivo? Perchè esiti? Non ti fidi di me?-
chiese la driade avvicinandoglisi e fissandolo dritto negli occhi.
-Io mi fido, ma prima voglio
sapere cosa è successo alla foresta. Perchè gli alberi sono pieni di rabbia e
odio?-
-Come, non sai che il re
degli elfi del bosco Olidos fu ucciso a tradimento circa trecento anni fa? Non
sai nulla della guerra che ne seguì?- domandò Mahallonie quasi arrabbiata.
-Sì, questa parte della
storia la conosco, l’ho letta sulle poche cronache di quel periodo, ma l’ho
anche sentita dai pochi che ne hanno memoria e la vogliono raccontare. Ma delle
sue conseguenze non so nulla, così come credo che non ne sappia nessun
mezzelfo, perchè non eravamo più qui. Perchè lo spirito della foresta è diviso
in due? Cosa è successo in tutti questi anni? Perchè gli alberi mi hanno
intrappolato? Chi è Iselia e perchè gli elfi e i centauri uccidono i viandanti?
Cosa intendevi prima quando dicevi che non avevate avuto giustizia?-
La driade non rispose.
Abbassò lo sguardo a terra e si voltò in modo da dare le spalle ad Arellon. Le
stavano tornando in mente ricordi di quel tempo lontano. Ricordi che avrebbe preferito
non rammentare mai, perchè erano troppo dolorosi.
-Non ti darò la risposta a
queste domande. Non spetta a me questo compito. Chiedilo alla regina o alle sue
figlie. Forse loro sapranno trovare una risposta soddisfacente che copra la
nostra negligenza.-
Il mezzelfo capì che era
inutile insistere. Anche sua nonna per qualche strano motivo non gli aveva
detto nulla degli avvenimenti di trecento anni fa nella Grande Foresta, gli
aveva solo accennato che i mezzelfi erano stati prima accolti e poi cacciati,
ma nient’altro. Erano solo piccoli cenni, senza riferimenti a nomi o persone e
soprattutto senza spiegazioni chiare. E per un analogo motivo anche le cronache
di quel periodo non riportavano altro che notizie vaghe. Tutte concordavano sul
fatto che dopo la morte di Olidos la foresta non era più un luogo sicuro, ma
nessuna spiegava il perchè. Era un mistero che avrebbe voluto chiarire, però
decise di lasciar perdere: aveva una missione da portare a termine, la sua
curiosità personale doveve essere appagata in un altro momento.
-D’accordo, come non detto.
Ti spiegherò il motivo per cui viaggio: una minaccia tremenda incombe sul mio
popolo e sto andando a chiedere aiuto agli elfi della città.-
-Cosa? Perchè proprio a
loro?- chiese Mahallonie voltandosi di scatto -Dopo tutto quello che vi hanno
fatto, ti aspetti che vi aiutino?-
-Appunto perchè sono in
debito con noi mi aspetto che ci diano soccorso.- ribattè Arellon sicuro. La
driade scosse la testa.
-Tu devi essere pazzo! Non
muoveranno un dito per voi, a meno che la minaccia non li tocchi da vicino.-
-Infatti è così.- disse il
mezzelfo. Fece una pausa e poi parlò di nuovo. -Eldacil è vivo.-
Mahallonie spalancò gli occhi
sbalordita. Quelle parole la colpirono come pugnali. L’assassino era vivo. Non
era possibile! Il mostro che aveva portato la rovina su di loro era ancora
vivo! No, non voleva crederci.
-Menti!- sbraitò afferrando
Arellon al collo -Oppure sei pazzo sul serio! Il maledetto è morto nella
battaglia di Micara trecento anni fa!-
-No, vi siete tutti
ingannati! Non è morto, ha solo finto di esserlo. Ed ora è tornato! Si è
alleato agli orchi e attacca la mia gente da ben cinque anni. Io sono partito
per chiedere aiuto prima che sia troppo tardi!- gridò il mezzelfo prendendo i
polsi della driade e cercando di allontanare le sue mani dal proprio collo.
Mahallonie lo lasciò. Fece qualche passo verso la betulla. Si stropicciò le
mani tremanti. Per qualche attimo ci fu completo silenzio nella radura.
-È da quando ho intrapreso
questo viaggio che Eldacil mi insegue. Qualche giorno fa mi ha quasi raggiunto,
ma credo di essere riuscito a far perdere le mie tracce entrando nella Foresta.
Lui mi aspetta là fuori però, ne sono certo.- disse Arellon rompendo il
silenzio. La driade non rispose. Sotto gli occhi del suo interlocutore appoggiò
una mano al tronco della betulla e sollevò leggermente corteccia e legno. Ma,
invece di spalancarli e rientrare svanendo, si voltò verso Arellon.
-Tra poco Iselia e i suoi
elfi e centauri saranno qui, insieme alle driadi del pino e della quercia. Li
sento arrivare. Devi andartene subito, loro non ti faranno parlare. Ma non
riuscirai mai a sfuggirgli a piedi. E se anche uscissi dalla foresta, ci
penserebbe il maledetto ad ucciderti.- disse con voce calma e decisa -Vieni,
sarò io a condurti dove vuoi arrivare. Dammi la mano.-
Arellon si avvicinò
sospettoso.
-Non temere, ti porterò ai
confini delle terre degli elfi della città. Ma useremo i sentieri di noi
driadi: gli alberi. Dammi la mano, fidati.-
Il mezzelfo sentì in
lontananza il rumore di uno zoccolo che batteva per terra. Non era più il
momento di chiedersi se potesse fidarsi o no, rimanendo lì o fuggendo a piedi
sarebbe di certo morto. Nel peggiore dei casi sarebbe comunque andato incontro
allo stesso destino, tanto valeva tentare. Allungò la mano sinistra e la driade
la strinse forte, avvertendo sotto il guanto la presenza di segni a lei molto
familiari.
-Non lasciare mai la presa!-
gridò Mahallonie e spalancò completamente la corteccia. Una luce fortissima
abbagliò Arellon, che dovette chiudere gli occhi mentre la driade lo trascinava
dentro l’albero.