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Autore: Illidan    11/09/2008    4 recensioni
La terra di Laimoth è in relativa pace da trecento anni, ma fantasmi di un passato lontano stanno arrivando per distruggere la fragile tregua... Questa è la prima storia seria che faccio. Mi raccomando, ditemi se ci sono plagi di altre storie, se ci sono cose che non vi convincono!
Genere: Generale, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4 - La driade

Ringrazio i miei tre commentatori che mi hanno riempito di complimenti:

 

@Suikotsu: Esageri come sempre!

 

@giodan: Grazie per gli incoraggiamenti! Riguardo ai drow, so che sei un gran fan di Drizzt Do’Urden e mi spiace darti questo dolore, ma non credo che li metterò.

 

@Bankotsu: Grazie anche a te, ma guarda che la tua fanfic mi piace! Comunque, ottima scelta: il tuo personaggio preferito è tra quelli che rimangono vivi per un bel po’!

 

Ringrazio anche chi legge senza recensire.    

 

Capitolo 4 - La driade

 

-Sei sicuro di voler andare, figlio mio?- Il giovane dai capelli ricci si voltò.

-Questa è la mia decisione, madre, e non posso certo cambiare idea ora che l’ho detto pubblicamente.- La figura femminile lo guardò preoccupata con i suoi occhi neri. Gli passò una mano sulla testa vicino a una delle due orecchie a punta.

-Possa Colei che veglia sui giusti proteggerti, allora.-

Lentamente queste immagini svanirono dalla mente di Arellon. Si guardò attorno, ma gli servì soltanto per accertarsi del fatto che era ancora intrappolato. I rami e le radici lo legavano stretto. Inoltre, a peggiorare le cose, c’era il fatto che il suo bastone gli era caduto a terra quando gli alberi gli avevano immobilizzato le braccia. Certo, avrebbe comunque potuto lanciare un incantesimo, ma non poteva muovere le mani e la bocca era tappata da delle foglie di quercia. Lui non era ancora così potente da poter lanciare una magia di trasporto o di allontanamento in grado di liberarlo solo con la forza del pensiero mentre con una di fuoco avrebbe solo corso il pericolo maggiore di essere bruciato insieme alle piante. Poi non avrebbe mai osato: nella sua condizione era meglio non arrecare alcuna offesa alla prole della Natura.

“La tua missione è vitale per la salvezza del nostro popolo. Così mi aveva detto mio padre. Ed eccomi qua intrappolato! La sua fiducia è stata proprio ben riposta! Che incapace che sono stato!” Poi si ricordò delle voci che aveva sentito un giorno prima (o erano due?). Avevano fatto riferimento a una certa Iselia. Un nome che gli suonava familiare, doveva averlo letto in qualche racconto o cronaca storica. Ma in quel momento non gli veniva in mente chi potesse essere. “Probabilmente gli abitanti della foresta facevano riferimento a una loro guida. Meglio loro che i servi di Eldacil, ma non credo che le loro intenzioni siano buone. Altrimenti non mi avrebbero catturato. Una volta i nostri rapporti con loro erano pacifici, ma poi trecento anni fa... Secondo la saggia Lasdel alcuni elfi dissero che la colpa era anche nostra e ci odiarono. Per questo la regina Deanilia ci cacciò, per evitare inutili spargimenti di sangue. Ma... ”

Qualcosa si mosse di fronte a lui. All’inizio non ci fece caso, credendo che fosse una sua allucinazione. Poi guardò con più attenzione e vide una creatura che aveva trovato solo nei libri fino a quel momento.

La piccola betulla sembrava che si stesse gonfiando. Una grande e alta protuberanza si stava formando sopra la corteccia. Quando ebbe raggiunto una certa estensione in altezza, accadde una cosa straordinaria: si aprì. Come se fosse una porta, la corteccia venne spostata di lato da una mano piccola e delicata. Ne uscì un’essere leggiadro dall’aspetto di una donna o quasi. Una driade. Era alta, superava Arellon di almeno una spanna. La sua pelle aveva un colorito verde chiaro, uguale a quello della linfa degli alberi. Lunghi capelli verde foglia sciolti ondeggiavano sulla schiena. Era coperta da un lungo vestito bianco con macchie nere sparse qua e là che lasciava scoperte spalle e braccia. Aderiva perfettamente al properoso seno e al ventre, quasi ne facesse parte. Le gambe invece erano coperte da una gonna semplice che lasciava intravedere i piedi scalzi.

Con le dita affusolate richiuse delicatamente la corteccia della betulla. La driade si voltò e osservò Arellon, che ricambiò il suo sguardo.

Il viso della driade era di una bellezza sconvolgente, ogni tratto della sua pelle chiara era perfetto, levigato come fosse stata una scultura, eppure una cosa guastava questa perfezione: aveva un’espressione infinitamente triste. I suoi occhi privi di pupille color verde acqua sembravano due abissi di dolore, come se avesse patito sofferenze terribili. Una smorfia le attraversò il viso e una lacrima scese fino alle guancia sinistra.

Si mosse verso il mezzelfo intrappolato. Con un piccolo e aggraziato salto superò i cespugli e i fiori e le loro spine affilate come aghi. Pareva danzasse: ogni suo movimento aveva una grazia e una scioltezza eccezionale.

Quando fu a poca distanza da Arellon parlò. La sua voce era disperata e furibonda, come lei.

-Umani! Pazzi! Ingrati! Scellerati! Assassini! Traditori! Maledetti tutti voi, nemici dell’Armonia! Morirete per i vostri orribili crimini!-

La driade tacque per un attimo, poi proseguì con voce più calma. -Ma, ahimè, siete anche innocenti... Sciocchi umani! Tu, povero stupido, tu sei uno fra i tanti. Perchè sei venuto qui? Perchè ti sei avventurato nella nostra foresta? Voi umani la chiamate Grande Foresta Oscura... Bravi! Siete stati voi a renderla degna di questo nome! Oh, certo, non avete fatto tutto da soli, ma avete avuto una buona parte nella nostra rovina!-

Arellon sentì un forte dolore in tutto il corpo. Le radici del pino e i rami della quercia lo stavano stringendo più forte, come volessero stritolarlo. Rivolse alla driade uno sguardo supplichevole di aiuto, ma lei ricambiò con un’espressione di rabbia feroce.

-Traditori e assassini! Pazzi e folli! Avete rovinato la pace per sempre e perciò pagherete!- gridò con tono minaccioso e gli alberi strinsero ancora più forte Arellon.

-Ma...- continuò di nuovo a voce più bassa, mentre il mezzelfo sentiva la stretta degli alberi allentarsi -il sangue di mille o di milioni di voi cambierà qualcosa? No, non porterà nessun miglioramento! Sciocchi elfi del bosco! Hanno perso il loro amore per la pace e per la vita. Vivono per la morte. Solo alcuni di loro, è vero, ma è una questione di tempo: l’odio ci prenderà tutti! Misero umano! Tu morirai non appena gli elfi e i centauri guidati da Iselia arriveranno! Forse decideranno di farti morire pian piano di fame e di sete o ti imprigioneranno nel buio senza fine fino a farti perdere il senno. Presto o tardi, il tuo destino è ormai segnato! Il tuo sangue bagnerà la nostra terra e tutti godranno dell’amaro sapore della vendetta! E ciò non farà che peggiorare le cose, perchè il sangue chiama altro sangue.- La driade si portò le mani al viso per nascondere le lacrime. -Perchè ti parlo, misero condannato? Non capisci la mia lingua, non sai chi sono... L’odio! L’odio avvelena tutti! Ci divora, ci svuota e ci riempie di sete! Sete di sangue, morte e distruzione! Tutti siamo maledetti! Volevamo giustizia e non l’abbiamo avuta! Ci è stata tolta perfino l’amara consolazione di vedere puniti i colpevoli dello scempio... Ma la colpa è anche nostra: non avremmo dovuto permettere che ciò accadesse. Non avremmo dovuto permettere che la rabbia contaminasse lo spirito degli alberi! Rabbia senza fine per un passato che non si potrà mai cambiare!- La creatura dei boschi allontanò le mani dalla faccia rivelando il viso rigato di lacrime e con la destra indicò Arellon. -E per quel passato tu morirai!- urlò con tutta la forza che le proveniva dall’ira e dalla disperazione.

Il mezzelfo la osservava sbalordito e anche preoccupato per le sue parole. Approfittando del fatto che la driade si era fermata per soffocare i singhiozzi, tentò di parlare, ma dalla sua bocca uscì solo un mugugnio indistinto per via del tappo di foglie di quercia.

-Vuoi parlare?- gli domandò gentilmente la driade -Sì, dopotutto sarebbe giusto concedere un’ultima parola a un condannato a morte. Giusto... Ma è giusto che tu muoia? Cosa vuol dire ora “giusto”? I centauri vivevano solo per questo valore: la giustizia. Ora la confondono con la sete di vendetta! Dove sono gli dei? Olidos, il saggio Olidos, era il loro figlio prediletto, si diceva. Ed è morto! Morto! Colui che voleva la pace muore e colui che voleva la guerra vive. Cosa c’è di giusto in questo?- Mentre pronunciava queste parole, Arellon si accorse che la quercia e il pino stavano ricominciando a stringerlo con i rami e le radici e continuò a mugugnare rivolto alla driade cercando inutilmente di sputare le foglie, che invece gli venivano spinte sempre di più in gola, col chiaro intento di soffocarlo.

La driade lo fissava immobile. Perchè avrebbe dovuto fare qualcosa per lui? Forse era meglio lasciarlo morire così. Dopotutto il trattamento degli elfi non sarebbe stato migliore.

Però... Però negli occhi di quello straniero, di quell’umano, c’era qualcosa di familiare. Nel corso della sua lunga esistenza aveva visto centinaia di esseri dagli occhi verdi, ma in quelli c’era una luce che le ricordava qualcuno. Una persona cara, un’amica di un passato lontano.

Oltre a ciò non voleva che una creatura fosse privata della propria vita di fronte ai suoi occhi. Era un atto orribile, secondo gli insegnamenti di Olidos, privare un qualunque essere vivente, anche il più infimo e maligno, della sua vita, perchè essa gli era stata data dalla Natura e dagli dei e solo loro potevano togliergliela.

Spinta da questi pensieri, la driade si avvicinò ad Arellon e toccò con la punta delle dita della mano sinistra il ramo di quercia che cercava di soffocare il mezzelfo con le sue foglie.

-Calmati, possente quercia. Ritrai questo ramo, l’umano non deve morire ora! Non è questo l’ordine che ti diedero gli elfi. Smettete di farlo soffrire! Non vi basta la sofferenza a cui andrà incontro in seguito? Pino e quercia, smettetela! Io te lo ordino, quercia maestosa, ritrai questo ramo!- disse con voce solenne e l’ordine fu eseguito, anche se con una certa riluttanza. Arellon tossì e riprese lentamente fiato. 

-Grazie per il vostro aiuto, driade leggiadra!- ansimò in elfico. La driade lo fissò stupita.

-Tu...- disse sgomenta -Tu conosci l’elfico! Che strano che un uomo abbia una tale conoscenza. Ma a che cosa ti è servita, se non a sapere il tuo destino? Ora sai che morirai per appagare il desiderio di vendetta di elfi e centauri...-

-‘La vendetta è sbagliata perchè il sangue ne richiede sempre dell’altro e alla fine si otterrà un mare di sangue. Le mani del vendicatore saranno macchiate del sangue dei suoi stessi figli e non gli resterà che piangere per la sua follia di essersi voluto porre al di sopra degli dei, avendo elargito morte senza conoscere la verità.’- recitò a memoria Arellon tossendo. La meraviglia della driade divenne ancora maggiore.

-Conosci gli insegnamenti del saggio Olidos? Come è possibile che un uomo ne sappia qualcosa? Chi sei? Perchè sei venuto nella foresta? Non lo sapevi che qui tutti gli umani vengono uccisi? Non importa a nessuno che tu sia un seguace di Madeno o Lena, i più saggi fra gli uomini mai esistiti! Non fanno distinzione, gli elfi furiosi!-

-Io non sono un uomo!-

-Cosa? Cerchi di ingannarmi?- domandò la driade con un punta di rabbia nella voce fissandolo dritto negli occhi verdi. Il mezzelfo dovette costringersi a non abbassare lo sguardo, perchè gli sembrava che lei lo trapassasse e riuscisse a vedere la sua anima. Dopo alcuni attimi la driade si ritrasse con un’espressione a metà tra sospettosa e stupita.

-Non sei un uomo?...- chiese più rivolta a sè stessa che ad Arellon -Ma allora...- Con un mano sfiorò la testa del mezzelfo alle due estremità laterali. Nonostante il cappuccio, le sue dita sottili sentirono che sotto c’erano due orecchie a punta.

-Non sei un uomo...- ripetè piano e lo guardò attentamente per un’attimo. Poi il suo viso si illuminò. -Ma non sei neanche un elfo della città. Sei della stirpe del Corvo. Sei uno dei figli di Atascal e Lalia: un mezzelfo! A cosa ha portato la nostra follia? Abbiamo intrappolato uno dei nostri fratelli!- La driade si voltò verso la quercia, alzò le braccia e gridò:-Via! Vattene, quercia possente!- Si girò, oltrepassò Arellon e si rivolse al pino:-Allontanati anche tu, pino alto e magro! Basta! Basta odio, basta sangue!- Si abbassò e accarezzò i fiori, continuando a gridare. -Abbandonate i vostri artigli, dolci fiori e bassi arbusti! Siate rigogliosi per la luce del Sole! Risplendete di mille colori, non solo quello della vendetta!-

Lentamente, la quercia ritirò i suoi rami e lo stesso fece il pino con le sue radici. Le fronde degli alberi si separarono, permettendo ai caldi raggi solari di entrare nella radura. Le spine scomparvero, vennero ritratte come fossero gli artigli di un gatto, e i fiori tornarono ad avere il loro magnifico colore.

Arellon fu liberato, ma cadde subito a terra di schiena. Infatti tutti i suoi muscoli erano intorpiditi e doloranti per la lunga prigionia e per la fame e perciò faticava a rialzarsi.

La driade, raggiungendolo a passo di danza, si inginocchiò sull’erba e appoggiò una mano sulla sua fronte. Arellon provò una sensazione indescrivibile: quella carezza era gentile e piacevole come i petali di un fiore, ma celava la forza di un albero. La driade mormorò parole che il mezzelfo, un po’ intontito, non comprese al principio. Poi sentì un’ondata di calore attraversarlo dalla testa alle gambe e la stanchezza svanì. Era di nuovo forte e vigoroso, come se si fosse sfamato e riposato per alcuni giorni. Guardando la meravigliosa creatura che sorrideva sopra di lui disse:-Vi ringrazio ancora per il vostro aiuto, bellissima driade. Come avete fatto a...?-

-La Terra ci nutre e noi nutriamo la Terra. Ma solo coloro che la amano veramente possono sperare di ottenere un aiuto maggiore da Lei. Solo i degni ottengono la benedizione del calore della Terra, sorella della Natura. Io ho fatto solo da intermediaria. A quanto pare tu eri degno, mezzelfo.- rispose la driade aiutandolo ad alzarsi. Si sentiva felice, da tanto tempo non usava quella magia di guarigione, da troppo tempo non aveva la meravigliosa sensazione di aver aiutato una creatura vivente. -Qual è il tuo nome?- gli chiese.

Arellon esitò. Sarebbe stato saggio rivelare chi era? Doveva stare in guardia: c’erano molti più nemici di quanti potessero sembrare, Eldacil non era solo. Ma d’altronde la driade lo aveva aiutato e di certo non era una spia del suo inseguitore.

-Io mi chiamo Arellon, figlio di Erotlon e Arila. E voi chi siete, mia salvatrice?-

-Io non ho un nome. Non nella attuale lingua degli elfi, almeno. Nella lingua degli dei lo avevo ma non lo ricordo più. Gli elfi del bosco mi chiamano Mahallonie, che significa driade della betulla. Puoi chiamarmi così, Arellon, straniero incappucciato.-

Il mezzelfo si abbassò il cappuccio, rivelando folti capelli marroni ricci da cui spuntavano due orecchie a punta.

-Avete ragione, Mahallonie, è maleducato parlare nascondendo il proprio aspetto. Ma è la prima volta da molto tempo che qualcuno mi mostra una gentilezza come la vostra.-

Mahallonie studiò attentamente il mezzelfo. Era abbastanza bello, dai tratti del viso sembrava non avere più di venti, venticinque anni. Ma erano gli occhi sormontati da lunghe ciglia scure ad interessarla di più. Lo sguardo del mezzelfo possedeva determinazione e lasciava intendere che lui avesse senso di responsabilità e coraggio. Lei aveva già incontrato un altro essere che le aveva dato subito la stessa impressione. Ma quando? Dopo un attimo di riflessione, domandò:-Conosci Lasdel figlia di Nisaran?-

-Sì,- rispose Arellon stupito -è mia nonna.-

La driade ebbe un tuffo al cuore. -Tua nonna!- esclamò -Tua nonna è Lasdel, la giovane mezzelfa che passava più tempo nella foresta che nel suo palazzo ad Allesfeia. La mezzelfa che detestava lo sfarzo e gli intrighi della sua gente. La mezzelfa che mi era tanto amica, al tempo in cui noi driadi danzavamo fra gli alberi insieme agli elfi e ai centauri, prima della guerra e della morte di Olidos. Ed è tua nonna! Già, sono passati più di trecento anni, tanti anche per uno di voi. Come sta ora? Non ti ha mai parlato di me?-

-Mia nonna è stanca e preoccupata per la sorte del nostro popolo, ma quando sono partito era in salute. Però non ricordo che mi abbia mai parlato di voi, mi spiace.- rispose il mezzelfo confuso.

-Non darmi del voi! Dovrei essere io a rivolgermi a te così. Discendi da una nobile famiglia, antica quasi quanto il mondo. Lasdel non ti ha mai detto nulla di me? Sì, capisco... La gente del bosco non si è comportata bene con voi mezzelfi. Che colpa avevate, se l’odio, incarnato in quell’elfo mostruoso, non vi dava tregua? Ma lui non siamo riusciti ad averlo, quel traditore, quell’assassino e demmo la colpa a voi perchè, poichè vi avevamo aiutato, lui aveva colpito anche noi. Mille volte maledetto Eldacil!- Al suo urlo di furia le fronde degli alberi e i fiori si mossero, come spazzati da un vento terribile.

-Ma il passato non può cambiare. La mia rabbia è inutile: anche lui non è più tra i vivi. Non mi hai ancora detto perchè sei entrato nella nostra foresta, Arellon, nipote di Lasdel.-

-Sto compiendo un viaggio di grande importanza per il destino del mio popolo e forse anche del mondo intero. Era più sicuro passare fra questi alberi che là fuori nelle pianure.- rispose Arellon guardandosi intorno in cerca di qualcosa.

-Più sicuro? Che genere di pericolo ti attende fuori dalla foresta?-

-Un essere che tutti credono morto.- disse il mezzelfo chinandosi a raccogliere il suo bastone in mezzo all’erba.

-Cosa intendi dire? E...- La driade osservò il bastone che lui stringeva nella mano destra. -Sei un mago? Usi quel bastone? Sei un amico della Natura?- domandò sbigottita. Arellon annuì.

-Mia nonna mi ha insegnato ogni cosa sulla vera magia, quella che non è solo basata sui poteri innati, ma chiede l’aiuto della Natura per i propri fini.-

-Oh, mi farebbe tanto piacere rivederla! Ma quando vi cacciammo voi andaste tanto lontano che nessuno ora sa dove siete.- disse tristemente la driade.

-Avete... Hai ragione, Mahallonie: noi mezzelfi superstiti fuggimmo a settentrione, oltre la Muraglia e i Monti Truderkor, nelle steppe gelate, fino al Monte Oxetran, dove trovammo rifugio e nuova dimora.- spiegò Arellon.

-Hai fatto un viaggio davvero molto lungo, allora. Ma per quale motivo? Perchè esiti? Non ti fidi di me?- chiese la driade avvicinandoglisi e fissandolo dritto negli occhi.

-Io mi fido, ma prima voglio sapere cosa è successo alla foresta. Perchè gli alberi sono pieni di rabbia e odio?-

-Come, non sai che il re degli elfi del bosco Olidos fu ucciso a tradimento circa trecento anni fa? Non sai nulla della guerra che ne seguì?- domandò Mahallonie quasi arrabbiata.

-Sì, questa parte della storia la conosco, l’ho letta sulle poche cronache di quel periodo, ma l’ho anche sentita dai pochi che ne hanno memoria e la vogliono raccontare. Ma delle sue conseguenze non so nulla, così come credo che non ne sappia nessun mezzelfo, perchè non eravamo più qui. Perchè lo spirito della foresta è diviso in due? Cosa è successo in tutti questi anni? Perchè gli alberi mi hanno intrappolato? Chi è Iselia e perchè gli elfi e i centauri uccidono i viandanti? Cosa intendevi prima quando dicevi che non avevate avuto giustizia?-

La driade non rispose. Abbassò lo sguardo a terra e si voltò in modo da dare le spalle ad Arellon. Le stavano tornando in mente ricordi di quel tempo lontano. Ricordi che avrebbe preferito non rammentare mai, perchè erano troppo dolorosi.

-Non ti darò la risposta a queste domande. Non spetta a me questo compito. Chiedilo alla regina o alle sue figlie. Forse loro sapranno trovare una risposta soddisfacente che copra la nostra negligenza.-

Il mezzelfo capì che era inutile insistere. Anche sua nonna per qualche strano motivo non gli aveva detto nulla degli avvenimenti di trecento anni fa nella Grande Foresta, gli aveva solo accennato che i mezzelfi erano stati prima accolti e poi cacciati, ma nient’altro. Erano solo piccoli cenni, senza riferimenti a nomi o persone e soprattutto senza spiegazioni chiare. E per un analogo motivo anche le cronache di quel periodo non riportavano altro che notizie vaghe. Tutte concordavano sul fatto che dopo la morte di Olidos la foresta non era più un luogo sicuro, ma nessuna spiegava il perchè. Era un mistero che avrebbe voluto chiarire, però decise di lasciar perdere: aveva una missione da portare a termine, la sua curiosità personale doveve essere appagata in un altro momento.

-D’accordo, come non detto. Ti spiegherò il motivo per cui viaggio: una minaccia tremenda incombe sul mio popolo e sto andando a chiedere aiuto agli elfi della città.-

-Cosa? Perchè proprio a loro?- chiese Mahallonie voltandosi di scatto -Dopo tutto quello che vi hanno fatto, ti aspetti che vi aiutino?-

-Appunto perchè sono in debito con noi mi aspetto che ci diano soccorso.- ribattè Arellon sicuro. La driade scosse la testa.

-Tu devi essere pazzo! Non muoveranno un dito per voi, a meno che la minaccia non li tocchi da vicino.-

-Infatti è così.- disse il mezzelfo. Fece una pausa e poi parlò di nuovo. -Eldacil è vivo.-  

Mahallonie spalancò gli occhi sbalordita. Quelle parole la colpirono come pugnali. L’assassino era vivo. Non era possibile! Il mostro che aveva portato la rovina su di loro era ancora vivo! No, non voleva crederci.

-Menti!- sbraitò afferrando Arellon al collo -Oppure sei pazzo sul serio! Il maledetto è morto nella battaglia di Micara trecento anni fa!-

-No, vi siete tutti ingannati! Non è morto, ha solo finto di esserlo. Ed ora è tornato! Si è alleato agli orchi e attacca la mia gente da ben cinque anni. Io sono partito per chiedere aiuto prima che sia troppo tardi!- gridò il mezzelfo prendendo i polsi della driade e cercando di allontanare le sue mani dal proprio collo. Mahallonie lo lasciò. Fece qualche passo verso la betulla. Si stropicciò le mani tremanti. Per qualche attimo ci fu completo silenzio nella radura.

-È da quando ho intrapreso questo viaggio che Eldacil mi insegue. Qualche giorno fa mi ha quasi raggiunto, ma credo di essere riuscito a far perdere le mie tracce entrando nella Foresta. Lui mi aspetta là fuori però, ne sono certo.- disse Arellon rompendo il silenzio. La driade non rispose. Sotto gli occhi del suo interlocutore appoggiò una mano al tronco della betulla e sollevò leggermente corteccia e legno. Ma, invece di spalancarli e rientrare svanendo, si voltò verso Arellon.

-Tra poco Iselia e i suoi elfi e centauri saranno qui, insieme alle driadi del pino e della quercia. Li sento arrivare. Devi andartene subito, loro non ti faranno parlare. Ma non riuscirai mai a sfuggirgli a piedi. E se anche uscissi dalla foresta, ci penserebbe il maledetto ad ucciderti.- disse con voce calma e decisa -Vieni, sarò io a condurti dove vuoi arrivare. Dammi la mano.-

Arellon si avvicinò sospettoso.

-Non temere, ti porterò ai confini delle terre degli elfi della città. Ma useremo i sentieri di noi driadi: gli alberi. Dammi la mano, fidati.-

Il mezzelfo sentì in lontananza il rumore di uno zoccolo che batteva per terra. Non era più il momento di chiedersi se potesse fidarsi o no, rimanendo lì o fuggendo a piedi sarebbe di certo morto. Nel peggiore dei casi sarebbe comunque andato incontro allo stesso destino, tanto valeva tentare. Allungò la mano sinistra e la driade la strinse forte, avvertendo sotto il guanto la presenza di segni a lei molto familiari.

-Non lasciare mai la presa!- gridò Mahallonie e spalancò completamente la corteccia. Una luce fortissima abbagliò Arellon, che dovette chiudere gli occhi mentre la driade lo trascinava dentro l’albero.  

 

 

 

   
 
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