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Autore: _White_    11/08/2014    3 recensioni
La vita di Irina potrebbe essere un racconto, infatti gli ingredienti necessari ci sono tutti: lei è la goffa eroina e vive accanto a Thomas, il classico bel ragazzo solitario e distaccato che la tratta come un suo pari. Ma si sa che le apparenze ingannano... Una piccola love story cresce sotto il cielo della Liverpool universitaria.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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1. And I'd give up forever to touch you

 

La mia vita potrebbe essere un racconto. Gli ingredienti necessari ci sono tutti: un’eroina goffa, un migliore amico figo e la sua affascinante famiglia. Che razza d’inizio da teenager….
 
Irina cancellò il testo dalla pagina di Word. L’inizio di quel racconto non la convinceva per niente. Le ricordava l’inizio di uno di quei libri sull’adolescenza che leggeva a tredici anni, non una short-story strappalacrime tipicamente sua. Riguardò l’agendina su cui appuntava i suoi barlumi di genialità: la trama le sembrava buona, ma non sapeva come trasformarla in parole vive sullo schermo del computer. Rimase altri dieci minuti a fissare Word, mentre la sua playlist da scrittura scorreva nelle casse. Niente, non aveva l’ispirazione giusta per scrivere. Salvò quello sgorbio di schizzo e spense il portatile. Ci avrebbe lavorato un altro giorno, tanto era solo un racconto che voleva scrivere per puro piacere personale.
Andò in cucina, dove si preparò una cioccolata calda. Anche se era marzo inoltrato, il gelo non se n’era ancora andato e il sole era sempre coperto dalle nuvole. Era stato un inverno orribile, in cui quasi ogni giorno aveva piovuto, eccetto che per la tempesta di neve in dicembre. Irina adorava l’inverno, ma quell’anno aveva decisamente esagerato, impedendole di tornare dai genitori per le feste e rovinandole così le vacanze di Natale. L’unica consolazione era che neanche i suoi vicini di casa, i Johnson, erano partiti per la montagna, in questo modo non aveva trascorso un Capodanno solitario.
Quanto adorava quella famiglia! I signori Johnson l’avevano trattata come una figlia già dal primo giorno in cui lei era arrivata nel loro quartiere a Liverpool, esattamente nella villetta a schiera accanto. Irina si era stupita subito delle loro amorevoli cure, forse perché Richard e Yuki avevano sempre desiderato una bambina, invece avevano due maschi. Anche i fratelli Matthew e Thomas l’avevano accolta a braccia aperte, come una sorella… No, forse più come la loro cugina piccola. In ogni caso, era una famiglia fantastica e lei si sentiva fortunata ad abitare di fianco a loro. Sì, la famiglia di cui voleva scrivere era la loro, dopo tutto aveva sentito in giro che uno scrittore scrive sempre di ciò che conosce. E l’unica cosa che lei conosceva, a parte cucinare e i testi universitari, erano i Johnson.
Leccò il cucchiaio di legno che aveva usato per mescolare la cioccolata, rimuginando sull’andamento della sua nuova storia e dei suoi protagonisti. Capì che era impossibile creare un racconto drammatico, loro non erano il genere di persone da dramma, anzi erano più da sitcom americana, tipo I Robinson. Versò la bevanda calda in una tazza e si risedette alla scrivania. Mentre si riscaldava bevendo la cioccolata, portò alcune modifiche alla bozza della trama sul suo taccuino senza righe. Rilesse il tutto un’ultima volta e, convinta delle sue scelte, lo chiuse e lo ripose nel primo cassetto del comodino sotto la scrivania.  Anche se non aveva buttato giù nemmeno una riga, era comunque soddisfatta del lavoro svolto.
Riportò la tazza in cucina, la sciacquò e la rimise nella credenza. Controllò il cellulare. Le era arrivato un messaggio da parte di Thomas. “Domani alla tua porta alle 7?”. Senza accorgersene, sorrise mentre gli rispondeva affermativamente. La mattina dopo avrebbe avuto compagnia durante il tragitto verso la facoltà. Spense il telefono, poi andò a dormire.
 
- Cazzo, Irie, ti vuoi muovere? – Irina sentì Thomas invocarla, sbraitando dal giardino e citofonandole in continuazione.
-Arrivo, un attimo! – urlò lei di rimando dal bagno al pian terreno della sua casa. Mettersi il mascara non era semplice, soprattutto quando il proprio cavaliere aveva fretta di andarsene. Accidenti, il bordo dell’occhio destro aveva sbavato! Strappò un pezzo di carta igienica, pronta ad aggiustare il trucco. Stava portando la carta all’occhio, quando il campanello squillò senza interruzione. Irina imprecò in russo, o almeno credeva che fosse russo: non aveva mai verificato che le parole straniere che aveva imparato da sua nonna materna esistessero veramente. Gettò nel gabinetto il pezzo di carta igienica e corse a prendere la giaccia e la borsa.
- Maledizione, Thomas! – ruggì lei, spalancando la porta. Il ragazzo che aveva davanti la guardò con fare scocciato. Era un bel tipo, affascinante. Aveva folti capelli neri che alla luce si tingevano di blu e gli occhi, anch’essi neri, erano profondi e lucenti. I caratteri orientali del viso, ereditati dalla madre giapponese, gli davano quel tocco d’eleganza in più, in armonia con l’alta statura occidentale del padre. Thomas Johnson era senz’ombra di dubbio uno dei maschi più belli che Irina avesse mai incrociato.
- Sei in ritardo. – sbottò lui, chiudendole la porta alle spalle.
- Avevo delle cose urgenti da fare. – rispose lei, indicandogli la sbavatura di mascara.
- Sul serio, tu chiami questa emergenza? Ma non si vede nulla. – protestò Thomas, avvicinandosi al suo volto. Irina trattenne inconsciamente il respiro, quando l’amico sfumò la macchia nera accanto al suo occhio. Era troppo imbarazzata da quel gesto e dalla premura di lui per ricordarsi di espirare. Thomas diede una rapida occhiata al suo lavoro, poi si ritrasse, lasciandola riprendere fiato. – Ecco, ora sei perfetta.
- Grazie. – disse lei, arrossendo lievemente.
- Ora possiamo andare? – chiese il ragazzo, indicando platealmente il cancello alle sue spalle. Irina sbuffò per la sua impazienza, ma si incamminò, precedendolo e tirandolo per un lembo del colletto della giacca, affinché la seguisse.
 
- Tanto casino per una tazza di caffè? – osservò Irina non appena Thomas afferrò lo schienale della sedia di fronte a lei, un bicchiere di carta nell’altra mano. Lui si sedette al tavolo che l’amica aveva preso e bevve un sorso di caffè bollente prima di risponderle.
- Non per il caffè, ma per lei. – il ragazzo indicò una biondina che stava entrando nel locale. – Ogni mattina viene qui sempre alla stessa ora a prendere un cappuccino e un muffin da portar via. È un mese e mezzo che la osservo.
- Sei inquietante. – commentò Irina, voltandosi verso la preda del vicino di casa. – Se è un mese e mezzo che le stai dietro, perché non ti sei ancora fatto avanti?
- Tempo al tempo, mia cara. Con le donne ci vuole calma, pazienza e tempo. Basta un approccio frettoloso e voi scappate.
- Se io fossi seguita per un mese e mezzo da un pervertito psicopatico come te, scapperei immediatamente, appena mi rivolge la parola. – rifletté lei ad alta voce, conscia del fatto che Thomas si sarebbe notevolmente infastidito per il “pervertito psicopatico”, sul quale lei aveva volontariamente calcato. Dopo tutto, Thomas era così: un amante delle donne. Fin da quando lo conosceva, Irina non lo aveva mai visto single o impegnato in una storia seria. Aveva avuto vari flirt che erano durati al massimo una settimana e con più ragazze alla volta, ma su questo ultimo punto non aveva alcuna certezza: aveva sentito solamente delle voci in proposito, forse messe in giro addirittura da Thomas stesso, e nessuna prova.
- Fidati, sarà mia. – scommise lui, ignorando la provocazione di prima.
- Ma non te la sei già giocata venendo qui con me? – puntualizzò la ragazza e sorrise, soddisfatta del suo acume.
- Tu non sei fondamentale per il piano di conquista. Ti ho portata qui solo perché mi annoio ad appostarmi da solo.
- Se è solo questo il motivo, perché non hai chiesto ad un tuo amico di accompagnarti? – domandò lei, ferita dalla scoperta della sua inutilità.
- Nessuno era disposto ad alzarsi così presto. – rispose Thomas calmo, sorseggiando il caffè. Irina tacque, ammutolita dal comportamento glaciale del ragazzo nei suoi confronti. E pensare che la sera prima era stata così felice nel leggere l’invito che le aveva mandato, dopo tanto che non andavano più all’università insieme… Si morse il labbro, incassando quel duro colpo. Per evitare di guardarlo, prese il cellulare dalla tasca della giacca e controllò l’ora.
- Si sta facendo tardi per me: devo correre, altrimenti non arriverò in tempo a lezione. – finse lei, alzandosi dalla sedia e fuggendo dal bar prima che lui potesse salutarla o seguirla.
Thomas la osservò dileguarsi, attonito. Sbirciò l’orario dall'orologio che sfoggiava al polso sinistro. Mancava ancora mezz'ora all’apertura delle aule e la facoltà era a cinque minuti da lì. Lesse per scrupolo anche gli orologi appesi alle pareti, i quali concordavano con il suo. Thomas non riusciva proprio a capire la frettolosa uscita dell’amica. Forse Irina aveva letto male l’ora oppure si era offesa per qualcosa che lui aveva detto. No, adesso non poteva pensare a Irina: la biondina era da sola al bancone. Era giunto il momento di entrare in azione. Scrollò le spalle per togliersi di dosso ogni pensiero sull'amica e si avvicinò alla preda.

   
 
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