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Autore: Nirai1235    11/08/2014    2 recensioni
Mi chiamo Maddalena Barberini ed oggi, Lunedì di Pasqua dell’anno del Signore 1479, parto per affrontare e portare a temine la missione della mia vita. Distruggere la setta degli Assassini.
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ezio Auditore
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prologo
Io e Frank nell’arena. Quel bue scalmano mi saltò addosso pensando ancora che contro di me la forza bruta potesse essere un vantaggio.

Era Venerdì Santo dell’anno del Signore 1479  e pertanto gli allenamenti erano stati sospesi ma, sebbene vivessimo in un monastero, noi non eravamo frati nel vero senso della parola e costringere dei brutali guerrieri a pregare e fare penitenza per l’intero giorno era sempre apparso a tutti un’idiozia. In ogni caso queste erano le Leggi di Brimir, la nostra casa.
 Quella mattina uscii per fare una passeggiata ma fui intercettata da un gruppo di fratelli che, infrangendo le regole ( e sfruttando il fatto che l’abate superiore non fosse tanto intransigente quanto il precedente), si stavano allenando nell’arena del cortile est.
“Maddalena! Hey Meddy!” la voce di Paul rimaneva sempre inconfondibile a causa del suo fortissimo accento londinese, tanto diverso dal nostro dialetto irlandese; mi diressi nella loro direzione con il passo felpato che ormai caratterizzava la mia camminata.
“Sbaglio o è Venerdì Santo?” dissi sarcastica.
“Sbaglio o siamo guerrieri?” rispose a tono Paul, facendomi sorridere, “ Invece di gironzolare dovresti allenarti anche tu bambina. Non ti rimane troppo tempo! O hai paura che l’allenamento di Almyn non ti basti a ricordare come si tira un pugno …” Affermò con un sorriso di sfida sulle labbra.
“Non decidi tu quanto tempo gli rimane prima della partenza Paul. Non è un argomento di cui ti dovresti interessare.” Il tono perentorio del mio maestro frantumò il sorriso del mio interlocutore. Mi inchinai nel vederlo avvicinare, come ero solita fare di fronte all’uomo che per me rappresentava un padre.
“Perdonatemi Maestro Almyn! Non era mia intenzione … !”,
“Hai già arieggiato quel pozzo a sufficienza per oggi. Ad ogni modo il tuo suggerimento nei confronti di Maddalena non era completamente scorretto.” Guardò il mio volto con quell’espressione “complice” (probabilmente è un termine eccessivo) che mi spinse ad accettare l’invito del mio mentore.
Entrai nell’’arena circoscritta dal recinto di legno chiaro, tipico della foresta che circondava il monastero, dando un colpo di mano alla spalla di Paul per comunicargli che accettavo la sua sfida.
Entrambi iniziammo a sistemarci schinieri e bracciali che costituivano la nostra divisa di frati (monaca solo nel mio caso, dato che ero l’unica donna mai entrata in quel luogo). Tutti indossavamo una tunica blu notte, estremamente accollata e lunga fin sotto il ginocchio, in modo da celare in parte le gambe coperte da brache nere. Lunghi spacchi lungo i fianchi della tunica ci davano piena libertà di movimento durante i combattimenti, e alti stivali in morbido camoscio completavano il nostro vestiario.
“Prima che cominciate stabilirò le regole. Maddalena dovrà battersi con tutti i fratelli che si faranno avanti finché io non deciderò che sia sufficiente. Chiaro?” Ci guardò entrambi con i suoi occhi corvini.  “Iniziate!”
“Hai fatto un grosso errore a sfidarmi Paul … E dire che mi conosci” Dissi sorridendo e pregustando il sapore della vittoria scontata.
Paul, come avevo facilmente previsto, mi attaccò con una finta frontale per poi abbassarsi a falciarmi, ma io saltai in tempo per evitare la sua gamba ed impedire che si rialzasse, assestandogli una gomitata sulla testa canuta. Lo studio di una vita sull’anatomia mi permetteva di calcolare il punto migliore per colpire: il sottile limite in cui le placche occipitali si erano ormai da anni saldate.
Il 40enne cadde atterra senza un lamento. Mi girai verso il resto degli uomini sfidandoli con lo sguardo. Sapevano quanto fossi brava nel combattimento e d’altronde in ogni disciplina che avevo appreso. Era evidente però che non si aspettassero che quel gioco si trasformasse in un allenamento serio per me e di conseguenza mi tramutasse nella macchina da guerra che ero diventata dopo anni di insegnamento e sacrifici.
Franck-il-bue entrò nell’arena, meno sicuro del precedente avversario, sotto lo sguardo imperscrutabile del mio maestro.
 Chiaramente pensò di utilizzare l’unica arma a sua disposizione, la forza, contro di me, ma ciò mi pose solo in una condizione di vantaggio nei suoi confronti.


Io e Frank nell’arena.
Quasi ridendo gli scivolai tra le gambe spalancate, sfruttando il suo braccio destro come appiglio. Non fece nemmeno in tempo a rendersi conto di dove fossi finita che il mio calcio gli arrivò dritto sull’orecchio destro, dove la testa era abbassata a causa della mia presa. Perse immediatamente l’equilibrio e cadde sul fianco sinistro. Se avessi cercato di immobilizzargli le braccia mi avrebbe intrappolato e avrei perso perciò, dato che non potevo spezzargli il collo, l’unica soluzione era … Bé poco ortodossa.
Con un calcio sul costato lo misi supino, gli saltai sul petto, svuotandogli gli imponenti polmoni e strinsi il collo finché non perse i sensi.
Quando mi rialzai i miei fratelli avevano perso completamente la loro spavalderia, ciò nonostante il maestro non sembrava ancora soddisfatto e d’altra parte io mi ero appena scaldata.
I miei sfidanti successivi furono forzati ad entrare nell’arena o avevano fatto in tempo a scolarsi qualche boccale strabordante della birra da noi prodotta, ma nessuno riuscì a colpirmi con più di un pugno.
La sconfitta del ventiquattresimo sfidante di quell’ora non fu ancora sufficiente per il maestro.
“Pulce dovevi chiamarmi prima! È facile prendersela con i vecchietti” disse Phin, beccandosi per tutta risposta sberle volanti mentre entrava nell’arena. Questo, come tutto ciò che gli accadeva, non riuscì a spegnerli il sorriso.
Aveva la mia età sebbene fosse arrivato qui sei anni dopo di me. Quella notte non la scorderò mai.
Un bambino con i capelli biondo cenere e gli occhi di un azzurro disarmante, dopo aver pianto tutta la notte di fronte al nostro cancello, ci era apparso infreddolito ed affamato. Non sapevamo chi fosse né da dove venisse, e nemmeno lui, ma questo non ci impedì di adottarlo. Phin fu per me un fratello diverso dagli altri. Con gli altri novizi che arrivavano ogni anno avevo un rapporto di amicizia però tra me e quel bambino si instaurò subito un legame speciale. Al vederlo in quel momento, alto, magro, con i muscoli sinuosi ma sporgenti sotto le maniche della tunica mentre si sistemava i bracciali, mi sfuggiva un sorriso, ricordando quanto i primi tempi era impossibile dividerci. Maestro Almyn fu costretto a proibirmi di vederlo e io soffrii di una vera e propria crisi d’astinenza. Se possibile per lui fu ancora più difficile e doloroso, poiché dal suo arrivo io ero diventata la sua unica certezza. Per me era stato diverso, io era cresciuta qui, non avevo bisogno di qualcuno che mi sostenesse come lui aveva invece bisogno di me. Proprio per questo motivo i fratelli maggiori ci permisero di vederci, concludendo che la natura ci avrebbe un giorno diviso.
Così fu quando io diventai donna per davvero e le cose cambiarono, qualcosa si ruppe. Eravamo comunque unitissimi ma oramai ci eravamo resi conto di non essere un'unica entità, come prima credavamo. Avevamo capito di essere diversi, io donna e lui uomo. Logico che nemmeno il rituale a cui fui sottoposta per rendermi sterile poté farci tornare indietro, anche perché erano ormai passati 3 anni.
Poi … Il mio maestro e coloro che si occupavano della mia preparazione giunsero alla conclusione che per la missione della mia vita, quella per cui mi stavo addestrando da quando avevo coscienza, era probabile che dovessi fingermi anche puttana. Fecero quindi l’unica cosa che si riteneva avrebbe irrimediabilmente compromesso il nostro rapporto:  ci fecero andare a letto insieme. Ovviamente ci opponemmo con tutte le nostre forze, resistendo a punizioni e piccole torture, tuttavia alla fine lui cedette per colpa mia, per me, quando gli dissero “ Maddalena ha un solo compito nella vita, se tu non farai ciò che ti diciamo, lei non potrà svolgere il compito per cui è nata e noi saremo costretti a cacciarla dal monastero”.
Così facemmo l’amore in una delle celle del monastero. Una , due , tre volte, finché il maestro non pensò che io avessi imparato a provocare l’estremo e peccaminoso piacere in un uomo. Sempre per colpa mia questa tortura si era prolungata, anche se ammetto che fu un periodo molto piacevole. A dispetto di quanto pensavano gli altri confratelli infatti, ciò che ci avevano imposto di fare ebbe l’unica conseguenza di rafforzare  il legame tra noi , facendoci capire che proprio il nostro essere diversi ci avrebbe sempre permesso di completarci, nel letto come nella vita. Fu l’unico periodo della vita in cui odiai il mio maestro.
Eppure quando all’età di sedici anni mi fu rivelato il motivo del mio abbandono qui e la sola ragione per cui ero stata accettata dai monaci, quando Almyn mi spiegò il motivo del mio patire, compresi quanto addestrarmi fosse stato difficile per lui. Doveva essere stata una vera tortura allenarmi a resistere al dolore, a lottare contro qualsiasi arma e costringermi a separarmi da Phin, dal momento che tentava di crescermi e proteggermi al meglio da sempre. Il giorno del mio sedicesimo compleanno, la consolazione della scoperta del mio destino fu il farmi capire che lui mi riteneva sua figlia esattamente come io lo ritenevo mio padre ( anche se non lo avremmo mai confessato).
 Nonostante tutto quello che io e Phin avevamo vissuto eravamo lì a guardarci sorridendo, pronti a darcele di santa ragione senza che niente influisse sul nostro legame.
Ora avrei fatto quasi sul serio. Phin era sempre stato il migliore tra i novizi e sarebbe stato un degno membro Hywel, una volta consacrato (cosa che io non avrei potuto fare sino al completamento della mia missione).
Questa volta fui io a muovermi per prima, lui era la mia preda.
Sapevo che comunque non sarebbe durata più di cinque minuti questa sfida, ma sarebbero stati cinque minuti esilaranti.
Destro scartato e sua finta ginocchiata per distrarmi dalla sua gomitata, entrambe evitate da me. L’ attacco che aspettavo sarebbe arrivato sul mio falso lato scoperto, che in realtà mi permise di crearmi un varco sufficiente a infilare il braccio e saltargli addosso sfruttando il suo corpo come base per sbilanciarlo. Un punto per me.
Appena a terra Phin mi bloccò la gamba, mi trascino verso di sé mentre mi stavo rialzando e con un pugno sotto sterno mi svuotò i polmoni. Chiusi un attimo gli occhi lasciando che si allontanasse di corsa.
“Ahia” sussurrai in una finta esclamazione di dolore, alzandomi a mia volta e rincorrendolo. Conscio della sua velocità di arrampicata sfruttò il muso di un gargoyle del monastero per arrampicarsi sul tetto della scuderia.
“Sei ancora lì Meddy? Riesci a saltare tanto in alto pulce?” mi provocò.
Il maestro lo guardò divertito e poi si rivolse a me sollevando leggermente il mento. Era il suo permesso a lasciarmi andare un po’ di più.
Corsi veloce verso l’angolo che univa le scuderie con il piccolo fienile e, poggiando un piede prima su una parete e poi sull’altra, utilizzai la spinta della corsa per raggiungere il cornicione e issarmi a mia volta sul tetto.
Un ovazione dei fratelli mi fece sogghignare in maniera minacciosa nella direzione del mio avversario.
“Avevi dubbi scarafaggio? Adesso che mi hai sfidato però devi pagarne le conseguenze!” Dissi ridendo e correndo verso di lui.
“Certamente … Quando mi riuscirai a colpire!” Mi rispose mettendosi in posizione di difesa.
Sulla parte centrale del tetto combattemmo intricando i nostri corpi in una coreografia aggraziata e leggiadra. Tra un colpo e l’altro, senza che se ne accorgesse, lo feci spostare sul limite del tetto del fienile, edificio assai ben più alto di quello attiguo. Al momento giusto gli sferrai un calcio sotto l’ascella che ci fece cadere entrambi rovinosamente dato che Phin mi aveva afferrato per la punta dello stivale in un gesto affrettato e istintivo.
Sotto di noi barili per la birra vuoti rotolarono a causa del nostro atterraggio sul loro legno e noi due ci trovammo a schivare i grossi contenitori oltre che i reciproci colpi. Ridendo come se stessimo giocando ai dadi, riuscimmo a uscirne indenni ma lo scontro prosegui nel fango. Ancora i nostri corpi iniziarono a muoversi all’unisono, sebbene Phin accusasse i primi segni di stanchezza, e fu un attimo per me capire il momento giusto in cui colpire. Gli sferrai un finto destro per poi contorcermi per piegarmi verso sinistra e sfruttare il suo essersi abbassato per incastrare il suo collo tra il polpaccio e la coscia della gamba sinistra.
“ Può bastare” risuonò autoritaria la voce di Almyn prima che potessi completare la mossa, cadendo addosso a Phin e uccidendolo per soffocamento. Mi bloccai istantaneamente, anche perché non avrei mai portato a termine del tutto la mia controffensiva. Entrambi ci ricomponemmo per ascoltare Almyn, che durante lo scontro era stato affiancato dal maestro che addestrava i novizi.
“Ottimo lavoro Phin” disse quest’ultimo guardando soddisfatto il suo allievo, sapeva che era l’unico a potermi tener testa il tempo sufficiente a fare una scommessa.
“Si, davvero ottimo lavoro Phin” confermò il mio maestro, “ma ora Maddalena, il tempo dei giochi è finito, dobbiamo andare a lavorare.”
“Seguimi , ci aspetta una persona” e io senza obiettare lo seguii come sempre, dopo essermi congedata con un breve inchino ai fratelli e aver fatto l’occhiolino in direzione di Phin.
 
Entrammo nell’ala Sud del monastero – dove ci sono gli appartamenti dell’abate- pensai camminando. Se stavo andando lì voleva dire che c’erano importanti novità.
Appena  arrivati davanti alla porta degli appartamenti Almyn bussò.
“Avanti” disse la voce altisonante dell’abate.
Tutte le volte che entravo nel suo studio, la prima stanza dei suoi appartamenti, rimanevo inebetita dalla quantità di oggetti che racchiudeva, in netto contrasto con la sobrietà e il vuoto delle nostre celle.
Ogni parete era coperta da una libreria, che creava un ponte sopra la porta. Davanti a me invece si aprivano grandi finestre intervallate da trofei di battaglie: spade, scudi, guanti di ferro medioevali ed elmi erano appesi alla parete a memoria delle glorie della nostra setta.
“Benvenuta Maddalena, ho assistito con piacere al tuo allenamento” disse l’anziano uomo di fronte a me. Per chiarire la sua posizione indossava una tunica nera lunga fino ai piedi, ricamata con ghirigori di filo d’argento, che ben si intonavano alla barba lunga. Nonostante avesse vissuto quasi un secolo bastava una sua occhiata per incutere rispetto e ripristinare l’ordine.
Mi inchinai leggermente, portando il pugno chiuso sul petto come saluto dovuto alla sua autorità. Era estremamente raro che osservasse un allenamento di noi monaci, per non parlare di un mio allenamento, questo bastò a riempirmi di orgoglio.
“Grazie di questo onore abate Bastian, spero di essere stata all’altezza delle vostre aspettative” risposi con un fil di voce permanendo nel mio inchino.
“Alzati pure, ho cose di grande importanza di cui parlarti”, mi indicò lo scranno davanti alla sua scrivania, dietro cui si sedette, appoggiando le braccia sulla superficie stranamente sgombra di documenti e volumi.
Il maestro invece si spostò dal mio fianco per fermarsi davanti alla finestra di fianco all’abate,  il suo sguardo era pensieroso.
“Ormai sono trascorsi diciassette anni da quando ti aprimmo le porte della nostra casa e in questo periodo hai appreso molte cose. Dimmi, ti ricordi qual è l’obiettivo della nostra confraternita?” mi chiese nascondendo la bocca dietro le mani incrociate.
“Certo! Il nostro ordine nacque quattrocento anni fa quando, in seguito alla battaglia di Clontard, il figlio del Re supremo Brian Boru, decise di creare i Hywel. Il nostro fondatore costituì un ordine formato da uomini dediti alla protezione dell’ordine nel mondo e della giustizia. Dell’equilibrio tra luce e ombre.” Pronunciai  l’ultima frase con tono affranto “E a questo proposito mi permetto di ricordare quanto la nostra recente e troppo prolungata inattività permetta il fiorire del crimine e la promiscuità del buio. Abate Bastian …”
“Non sei stata convocata qui per discutere di queste questioni Maddalena!” , mi interruppe perentorio l’abate: “ Hai detto bene, l’equilibrio tra bene e male. Senza buio non riconosceremmo la luce e la piccola criminalità deve essere lasciata moderatamente libera per far apprezzare agli uomini la luce della pace.” Si fermò per sospirare pensoso e tornò a guardarmi  “Detto questo c’è una questione che ormai giunge a scadenza per te, e per noi. La tua partenza”. Abbassai lo sguardo per nascondere la paura che adombrava i miei occhi ambrati ogni volta che si parlava del mio futuro.
Diciassette anni fa quattro uomini ed una donna, in una notte tormentata da una terribile bufera di neve, giunsero al convento di Brimir con un piccolo fagotto contenente una neonata stremata da un lunghissimo viaggio. Quel gruzzolo di ossa e pianto ero io.
 Raccontarono che nella loro terra il diavolo aveva dotato alcuni uomini di un potere oscuro,del potere della morte, che ora era loro serva.
Narrarono all’allora abate Benjamin che l’esercito del demonio aveva creato una setta ai tempi delle lontane crociate e da quel giorno gli Assassini (il nome non celava le loro intenzioni), tentavano di portare il caos nel mondo, lasciando all’uomo il più assoluto libero arbitrio, l’anarchia.
Il capo di questa piccola combriccola era un uomo sulla cinquantina di nome  Sebastiano Barberini. Egli confesso, in un latino insicuro, di aver guidato i suoi compagni e l’infante fino a quel luogo grazie ad un mercante che anni prima aveva venduto a suo padre un antico codice. Quel vecchio volume, che portavano appresso, conteneva informazioni su un monastero di guerrieri e protettori delle creature di Dio. Sebastiano impiegò due giorni a raccontare la storia degli Assassini, le loro battaglie e  come  Firenze, la loro patria, fosse messa a ferro e fuoco ormai da anni dall’esercito del demonio. La conclusione della sua storia riguardava la piccola creature che portavano con loro. Riportò di come io fossi l’unica superstite della strage della mia famiglia, durante la quale era morta anche mia madre, sorella di Sebastiano. Il pover’uomo per tale sfregio al suo casato e per vendetta chiedeva all’ordine di adottare me, addestrarmi nella loro arte e poi lasciarmi ritornare a casa raggiunti i diciotto anni per poter combattere al loro fianco.  Era convinto che solo addestrando a Brimir  sarei diventata il flagello degli Assassini.
In circostanze normali nessun membro dei Hywel avrebbe mai accettato di adottare una creatura tanto piccola, di sesso femminile e soprattutto per vendicare un torto fatto ad una famiglia sconosciuta, ma la mia vita non ha mai conosciuto circostanze normali. Nel mio caso si trattava di valutare diversi aspetti: se credere al racconto di Sebastiano, di decidere se intervenire direttamente a Firenze, se tenere in considerazione la supplica di quelle persone chiaramente disperate (tanto da attraversare l’intero mondo per trovarli), se mai fosse possibile crescere una femmina in un ordine completamente maschile.
Il gruppo venne posto per qualche giorno nei locali più esterni del convento,in isolamento forzato, mentre il consiglio dei maestri fu convocato per trovare una soluzione. Venne in tal modo decretato che la distanza che ci separava era troppa per intervenire efficacemente con un numero sufficiente di monaci contro una setta potente. Dopo ore di discussioni fu stabilito che io avrei ricevuto la possibilità di entrare nell’ordine come qualunque penitente (nome di tutti coloro che chiedono di entrare nell’ordine), poiché io ero sopravvissuta al lungo e arduo viaggio intrapreso e mi stavo riprendendo molto velocemente. Ciò non poteva che dimostrare il mio spirito guerriero e la mia forza, caratteri importanti e ricercati in ogni Hywel; oltre a tutto ciò si era calcolato che crescere per sedici anni una condannata a morte, dato le estreme difficoltà che dovuto affrontare, non avrebbe compromesso irrimediabilmente la setta.
Il patto con Sebastiano venne accettato con molte condizioni : io sarei stata accettata nell’ordine solo se avessi superato una prova e nel caso questo fosse avvenuto o meno loro avrebbero dovuto morire, poiché nessuno doveva conoscere l’ubicazione del monastero. Il codice che loro avevano utilizzato come guida sarebbe divenuto di proprietà della biblioteca del monastero, inoltre, una volta compiuto il mio dovere, io sarei tornata in Irlanda  e avrei fatto per sempre parte dell’ordine. A quanto pareva i cinque sapevano che il loro viaggio avrebbe avuto un’unica conclusione e accettarono le proposte fatte dal consiglio a patto di poter inviare una lettera di addio ai loro cari.
La prova da superare consisteva nel sopravvivere ad una notte di solitudine nella fredda chiesa del monastero e sebbene io avessi solo due anni superai quella prova. All’alba del giorno seguente coloro che mi avevano protetto per mesi accolsero la loro veloce morte con dignità e gratitudine verso coloro che erano i loro carnefici ma al contempo salvatori. A parte il nome di Sebastiano Barberini le identità di tutti gli altri sono a tutti i monaci sconosciute e tramandati nel segreto più assoluto da un abate al suo successore.
I problemi sorsero più tardi quando, in mancanza di balie, nessuno dei guerrieri sapeva o voleva prendersi cura di me, nemmeno il maestro dei novizi. Dopo un mese di stenti, sporca e malnutrita, maestro Almyn (che in vent’anni non aveva accettato allievi), mi adottò come sua unica protetta e mi crebbe come una figlia, nonostante il suo carattere di ghiaccio.
Almyn mi nutrì, educò e tutelò per diciassette anni e fu lui, nel giorno del mio sedicesimo compleanno  a narrarmi la mia pesante eredità e la missione della mia vita.
“ è giunta l’ora di compiere il tuo destino Maddalena. Anzi avendo compiuto diciotto anni da ormai nove mesi, sei in ritardo. Oggi mi hai dimostrato che qualsiasi avversario ti trovi di fronte, singolo o in gruppo, tu sai affondarlo in modo ottimale e pertanto io, abate dell’ordine di Hywel, decreto che la tua partenza debba avvenire entro tre giorni.”
Il mio sguardo terrorizzato si alzò a fissare l’uomo che aveva affermato con tanta decisione la mia cacciata da casa mia, sì perché, dal mio punto di vista, si trattava di una cacciata. Evidentemente il maestro ebbe pena di me e decise di intromettersi in quella conversazione unilaterale “Maddalena, non devi temere il tuo destino. Sei stata addestrata per tutta la vita per questo scopo. Il tuo corpo è stato modificato per raggiungere un unico obiettivo e, una volta raggiunto, potrai tornare qui e entrare finalmente a far parte dell’ordine.”
“Io …” tentai di dire, le parole tuttavia non volevano uscire dalla bocca. Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, ma non mi aspettavo che la mia partenza sarebbe stata cosi immediata. Tre giorni. Tre giorni era tutto quello che mi rimaneva da vivere prima di partire per attraversare il mondo, giungere in un luogo a me completamente sconosciuto e distruggere un’intera setta si guerrieri addestrati ad uccidere.
-NO! – gridai nella mia testa – questo è il mio destino e io lo affronterò con coraggio- pensai “Partirò fra tre giorni e andrò a Firenze per distruggere gli Assassini” completai ad alta voce.
Dovevo essere forte. Dovevo dimostrare a tutti i miei confratelli, e in particolar modo al mio interlocutore, che io non ero una scommessa persa in partenza.
I pensieri nella mia testa muovevano un mare di emozioni, un mare in tempesta, ma soffocai la paura che mi attanagliava la gola e ripresi il controllo di me stessa. Non avrei dato all’abate Bastian la soddisfazione di vedermi terrorizzata.
“Hai due anni a tua disposizione prima che il consiglio valuti la tua disfatta e invii qualcun altro a terminare il compito in cui tu hai fallito” disse l’abate Benjamin alzandosi e avvicinandosi mentre mi alzavo annuendo con determinazione.
Si pose davanti a me, dando le spalle ad Almyn, che per tutto il tempo era stato accanto alla sua scrivania, e mi pose le grandi mani sulle spalle “Sei il guerriero più letale che si possa incontrare in mille miglia e so che tornerai trionfante” disse quasi sorridendo delle palesi bugie pronunciate  “ma prima di partire devi compiere il giuramento che ti impedirà di tradirci”.
Mi inginocchia con le sue mani ancora sulle spalle e ripetei le parole che mi si erano fatte imprimere a fuoco nella memoria:
“Giuro di non rivelare mai la strada che giunge alle verdi colline del monastero, e di celare per sempre nel mio cuore il sentiero che sotto la volta della verde foresta conduce alla casa dell’equilibrio.
Giuro di seguire sempre e solo i comandamenti che Cereding il Giusto,figlio di Brian Boru,  ha scolpito sulla pietra del monastero, e che nessuna tortura potrà mai traviarmi dagli insegnamenti del mio maestro.
Giuro di compiere il volere del mio abate, di combattere il male, di proteggere gli innocenti e di tornare nel solo luogo che nel giorno in cui il cielo vorrà, saranno accolte le mie ossa morte”.
Una volta concluso il giuramento mi inchinai un ultima volta ed uscii dagli appartamenti dell’abate, preceduta dal mio maestro, senza aggiungere una parola. Non potevo immaginare che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui vedevo quell’uomo.
Appena uscita Almyn mi appoggiò una mano sulla spalla, guardandomi mentre mi bloccavo in mezzo all’ampio corridoio con il volto nero “Ti aspetto tra 10 minuti nella sala dell’addestramento Maddalena” ,sarei pronta a giurare che nella sua voce fosse presente una nota di forte dolore. Lui, l’uomo più imperscrutabile che avessi mai conosciuto, aveva lasciato trasparire ciò che provava. Forse era una reazione normale al vedere me, sporca di fango nelle vesti quasi quanto nell’anima, oscurata dalla paura. Chissà se aveva tentato si ritardare o annullare la mia partenza. Forse i nove mesi che mi erano stati concessi li dovevo solo a lui.
I seguenti giorni li spesi allenandomi e cercando di evitare chiunque. Non avevo nessuna intenzione di salutare nessuno, non perché non tenessi ai miei fratelli , quanto perché non avevo ancora accettato io stessa la mia partenza.
Maestro Almyn si concentrò sul farmi camminare e correre, oltre che sul ripasso di francese d’oil e latino. Il mio percorso giornaliero consisteva in dieci giri di camminata veloce e venti di corsa intorno alla foresta e, mentre io correvo o camminavo, il maestro si sedeva su una roccia seguendomi di tanto in tanto e ponendomi quesiti in francese o latino cui io dovevo rispondere. Tutto questo occupava sedici ore della mia giornata, senza nessuna interruzione per i pasti, a partire dalle cinque del mattino, con il solo risultato di logorarmi, o meglio distruggermi, gli stivali. Ero comunque grata al maestro perché questo allenamento intensivo mi permetteva di isolarmi da tutti gli altri, compreso Phin. In quei giorni il mio migliore amico occupava i miei pensieri per quasi tutto il tempo, distraendomi.
Così passarono tre giorni e io non incontrai altri che il mio maestro e le cartine per studiare il percorso dal monastero a Firenze. Sarebbe stato un viaggio estenuante.
Con mio sommo sconforto arrivò anche il crepuscolo del mio ultimo giorno a casa.
Il maestro si congedo da me consigliandomi di riposare dopo un bel bagno; se possibile il suo tipico aspetto smunto era addirittura peggiorato in questi giorni: profonde occhiaie scurivano i suoi occhi color pece, d'altronde immagino che anche io non dovessi apparire in condizioni migliori, non chiudendo occhio da sessantatre ore.
Non appena tentavo di addormentarmi, dopo ore passate a cercare di mettere a tacere le mie preoccupazioni con esercizi respiratori, immagini confuse venivano a tormentare il mio riposo. Immagini di morte e dolore erano accompagnate da un opprimente sensazione di solitudine. Per due notti avevo così atteso l’alba tirando di spada, la mia più fedele compagna ed amica.
Non appena mi chiusi la porta della mia cella alle spalle, mi appoggia ad essa affranta, lasciandomi cadere. La stanchezza mi faceva sentire le membra pesanti come piombo mentre la testa era completamente assorbita da un unico pensiero: Phin.
Non l’avevo ancora visto e lui non si era fatto sentire. Sapevo che conosceva i piani dell’abate dal momento che la voce, non so come, si era sparsa nel giro di due ore dalla sua rivelazione a me.
Nonostante la sua assenza mi gravasse sul cuore, non volevo nemmeno andare a cercarlo -Per dirgli cosa poi?- pensai -“Scusa se mi presento solo ora, volevo salutarti prima di partire. Ci vediamo, ti voglio bene” e sbattergli in fronte la porta?-.
Il mio umore cupo adombrava i miei occhi ambrati e nemmeno un bagno rilassante poté migliorare il mio stato d’animo. Per distrarmi pensai di ricontrollare il mio bagaglio. Portavo con me provviste sufficienti per dodici giorni, il mio armamentario completo a partire dagli aghi avvelenati per terminare con la spada che mi era stata affidata. Sulla lama era incisa una scritta celtica ed era affilata e ben bilanciata -La utilizzai per la prima volta …-. Ad un tratto qualcuno bussò alla porta, interrompendo il mio flusso di pensieri. Subito il pensiero corse al mio migliore amico, ma lui non bussava così, utilizzava il nostro codice. Decisi di affacciarmi un poco, dato che non indossavo altro che una grossa tela grezza per asciugarmi. Non appena aprii la porta non vidi nessuno e pertanto decisi di espormi ancora un po’. Subito qualcuno mi trascino fuori di forza e mi schiacciò contro il muro. I miei riflessi stavano ormai per scattare nella controffensiva però, per fortuna, mi accorsi che chi avevo di fronte, che ora si accingeva a baciarmi con passione, era Phin.
Lo spinsi immediatamente lontano da me studiando guardinga il corridoio: “Che diamine fai? Potevano vederci!”. Lui mi guardò con i suoi occhi azzurro cielo e sorrise complice:
“Che vedano! La punizione me la sorbirei io!!” e detto ciò si avvicinò di nuovo a me per baciarmi. Questa volta non lo respinsi ed anzi ebbi l’accortezza di trascinare entrambi dentro la mia cella. Appena entrati lui mi strinse a sé e mi fece ruotare per appoggiarmi (delicatamente stavolta) alla porta.
“Perché non hai usato il nostro codice per bussare?” chiesi mentre lui percorreva la mia mandibola coprendola di piccoli baci.
“Non mi avresti aperto perché non vuoi salutarmi” rispose lui serio, prendendomi il volto tra le mani e guardandomi prima di ricominciare a baciarmi le labbra.
“Non dovremmo farlo lo sai …” dissi già senza fiato tra un bacio e l’altro, non ero sicura di potermi fermare. In fondo quello era un addio perfetto per noi, poche parole e molti fatti.
“Lo so …” si interruppe per scendere a baciarmi il collo e la spalla sinistra, “ è tutto il giorno che penso a quello che non dovremmo fare, a quello che non vorrei che dovessi fare. Però tu lo farai e io …  Io non ce la faccio a dirti addio, tu non …”.
Lo interruppi mentre parlava, riportando la sua bocca sulla mia, incapace di ascoltare quelle parole traboccanti dolore. Entrambi sapevamo che il viaggio che mi accingevo a iniziare non lasciava molto spazio alla speranza, come del resto non lo lasciava la prospettiva di dovermela vedere con un intera setta di guerrieri. D’altra parte tuttavia, io dovevo e volevo farlo per poter entrare nell’ordine come membro a pieno titolo.
In quel momento, tra le sue braccia accettai il mio futuro e le sue conseguenze. Non sarei più potuta essere la colonna portante della vita di Phin.
Mentre pensavo a ciò, lui mi trasse dolcemente verso il letto, dove si sedette e io sopra di lui. Mi sfilò l’asciugamano accarezzandomi ed io mi lasciai completamente andare, grata del fatto che lui, ancora una volta, era la mia ancora di salvezza.
Dopo ore di passione il mio amante si appoggio su di me,lasciando che gli accarezzassi il collo e i corti capelli d’oro. I miei comuni capelli castani formavano un bel contrasto con i suoi sul cuscino.
“Quanto tempo ti ha concesso l’abate?”  il suo viso era inespressivo, ma la sua voce era incrinata.
“Due anni” sussurrai controvoglia. Ora che le dicevo a lui queste parole acquistavano sempre più significato. La sua mano si contrasse stringendo le lenzuola sotto il mio seno.
“è un tempo così lungo”. Non replicai, non c’era nulla da aggiungere, nulla che potesse alleviare il dolore per la nostra separazione.
“So che devi e vuoi partire e non voglio nemmeno tentare di fermarti, però sappi che quando …”
“Se” lo interruppi io , “Quando” sottolineò lui facendomi il solletico “Quando tornerai io sarò qui ad aspettarti”, “Già iniziato come membro dell’ordine” conclusi io rassegnata.
Sicuramente Phin sarebbe entrato a far parte dei Hywel prima di due anni e io mi sarei persa il giorno più importante della sua vita.
“ Oh non temere” riprese lui con voce burlona (finalmente) “Te ne farò una replica in privato” disse ridendo. Lo guardai come si guarda un bambino che gioca spensierato. Lui rideva e io senza accorgermene ridevo con lui. Phin sapeva sempre come tirarmi su di morale, anche se lui stesso dentro non era che un cumulo di rottami.
“Mi mancherai infinitamente. Non so come farò senza di te” gli sussurrai in un orecchio, lui sollevò il capo per guardarmi comprensivo.
“Senti Meddy,  prima che tu parta devo dirti che …”, intuendo cosa stesse per pronunciare, scivolai tra le sue braccia, presi tra le mie mani il suo viso e lo bacia interrompendolo “Shh … Non dirlo … Non serve a nulla” dissi sulle sue labbra prima di baciarlo nuovamente.
“Ti amo” disse staccandosi forzatamente dalle mie labbra per poi stringermi tra le braccia e farci affogare di nuovo insieme in un oceano di piacere.  
Le prime luci dell’alba ci colpirono gli occhi svegliandomi. Rimasi immobile ancora per qualche minuto assaporando la piacevole sensazione delle sue mani sulla spalla e il fianco, il suo braccio a circondarmi e il battito regolare del suo cuore sotto il mio orecchio. Non riuscii a trattenere le lacrime.
Mi alzai il più delicatamente possibile nella vana speranza di non svegliarlo, e iniziai ad indossare la mia solita divisa blu. In mancanza d’altro (che non mi era stato fornito) avrei viaggiato con quello. “Di fianco alla porta” biascicò il mio compagno.
Alzai lo sguardo e vidi che nel luogo da lui indicatomi, per terra, c’era un pacchetto di carta a cui la sera prima non avevo fatto caso. La foga con cui eravamo entrati nella mia cella doveva avermi alquanto distratta. D’altronde la sera precedente i pensieri che mi tormentavano mi avrebbero impedito perfino di vedere un druido sul letto. 
“Cos’è?” chiesi sperando che non percepisse il pianto nella mia voce, “Apri e lo vedrai”.
Feci come mi aveva suggerito e seduta al suo fianco, aprendo il pacchetto, un bellissimo completo da viaggio mi scivolò sulle gambe.
Quasi con timore osservai quei bellissimi abiti poi, all’iniziale stupore si sostituì un ciglio contrariato: “Esattamente chi ha fatto questa meraviglia?” chiesi quasi acida.
“Mmm?” fu l’unica sua risposta, soffocata nei candidi ma piccoli cuscini di piume d’oca. Mi gettai su di lui incurante di indossare ancora solo la parte superiore della divisa e inizia a fargli il solletico sui fianchi magri.
“Allora?” chiesi di nuovo ridendo mentre lui si contorceva sotto di me nel tentativo di sfuggire alla mia tortura. Inaspettatamente riuscì ad afferrarmi i polsi e a schiacciarmi sotto il suo peso.
“Cosa ti importa? È un regalo! Goditelo e basta pulce” sostenne il mio sguardo sorridendo per poi lasciarmi andare e rivestirsi a sua volta.
“Almeno chi ti incontrerà capirà che non sei un qualunque monaco magrolino e inerme, pronto ad essere spennato come una gallina” disse in tono serio voltandomi le spalle per allacciarsi la cintura che stringeva la tunica in vita.
Un moto di affetto mi spinse ad abbracciarlo con foga alle spalle “Grazie scarafaggio” gli sussurrai all’orecchio “ E comunque il monaco magrolino e inerme sarai tu, almeno finché non tornerò dalla mia missione!”.La certezza del ritorno me l’aveva data lui quella notte. Essere di nuovo e per sempre tra le certezze della sua vita sarebbe stato il miglior motivo del mondo per tornare.
Lo sentii abbassare le spalle solitamente dritte e sospirare rassegnato dopo la mia ultima battuta, così scivolai dall’altro lato del letto e inizia ad indossare il mio regalo. Era inutile tentare di consolarlo. Come aveva già detto sapeva che volevo e dovevo partire e credeva che sarei tornata, -Il dolore che prova ora è fisiologico, gli passerà- pensai. Non potevo immaginare quanto mi sbagliassi.
Mentre mi rivestivo dovetti riflettere su Phin e su quella notte. Mi aveva detto che mi amava, perché? – Perché voleva farti sapere quanto tu sei importante per lui, quando tu, all’indomani del vostro addio, l’hai usato come un giocattolo. Come al solito- rispose impertinente una vocina nella mia testa. No, io gli volevo bene, non l’avevo usato.
Mentre facevo scivolare il tessuto sopra la testa nascosi una smorfia. –No, non è vero. Io l’ho usato-. Avevo approfittato dei suoi sentimenti per tenermi a galla, conscia di farlo ma altrettanto conscia di come lui fosse l’unica mia base d’appoggio. Phin era l’unica persona che mi impedisse di abnegare me stessa nel tentativo di diventare un arma micidiale, il solo ad essersi preoccupato di ricordarmi che la vita merita di essere vissuta. Neppure il maestro si era premurato di questo aspetto con tanta cura. Ed ora stavo per dirgli addio, per mancare al giorno in cui sarebbe stato finalmente accetato come uomo e guerriero Hywel. Questo pensiero creò una nuova voragine del mio cuore, ma pur di non provocargli ulteriore pena e rendere quegli ultimi istanti una tortura, mi imposi di nascondergli tutto ciò che provavo.
Per distrarmi mi guardai da lontano nel piccolo specchio che ornava (clandestinamente) la mia cella. Rimasi senza fiato. Il completo era costituito da morbide brache in pelle di camoscio chiaro (e di conseguenza più morbido), attillati al punto giusto per lasciarmi piena libertà di movimento; la parte superiore era formata da un camicione in lana di cashmere e un corpetto in pelle nera che si allacciava sul davanti con un piccolo nastro verde. Il tutto era completato da un lungo giaccone di lana cotta grigio scuro, con raffinati ricami sui polsi e sull’ampio cappuccio.  Sarebbe stato sicuramente più utile e caldo di un semplice mantello sulle alpi.
Quando l’ebbi indossato, mi accorsi che Phin mi stava fissando appoggiato allo stipite della porta.
“Mi piacerebbe prendermi tutto il merito di questo splendore, ma io sono solo il mandante. In realtà ci hanno lavorato tutti i monaci che si occupano delle tuniche, a tempo pieno per due giorni. Ieri sera l’avevano appena finito.”
“Vorrà dire che partirò in ritardo per riuscire a ringraziarli ad uno ad uno” risposi nascondendo sotto il tono noncurante la mia commozione.
“Arriverai in ritardo di sicuro se non ti sbrighi”.
“Sto aspettando che tu esca dalla mia cella per dare un ultimo saluto a queste dolci e accoglienti mura” dissi sempre sorridendo con spavalderia. “Ah capito” rispose aprendo la porta.  “Torna presto Maddalena …  Io ti aspetterò qui” il suo tono mi fece voltare di scatto, corsi in corridoio per riuscire a bloccarlo “Non mi saluti giù nel cortile?” chiesi quasi gridando.
“No. Io non voglio vederti partire.” mi sussurrò, abbassandosi ad appoggiare la testa nell’incavo del mio collo  “Prendimi come un codardo, ma non ce la faccio. Non riesco nemmeno a pensare che probabilmente non tornerai mai, che questa è l’ultima volta che ti …”
“Io tornerò Phin. Te lo giuro” sussurrai a mio volta con tono deciso. Perché questo era quello che volevo e nessun Assassino o sicario avrebbe potuto fermarmi.
Gli presi il volto tra le mani e lo bacia con trasportò, sperando di riuscire a infondergli la sicurezza che lui stesso mi aveva dato e tutti i sentimenti che provavo per lui.
Con quel bacio sancivo il mio giuramento e dopo averlo guardato negli occhi mi voltai avviandomi verso il cortile, conscia del suo sguardo tormentato sulla schiena.
Cercando di riottenere un contegno dignitoso e sistemandomi la giacca, andai a sbattere contro una sagoma indistinta in mezzo al corridoio.
“Maddalena! Stavo per venirti a chiamare nella tua cella”, maestro Almyn stava di fronte a me sorpreso, “vedo  che hai ricevuto il tuo primo regalo” continuò quasi sorridendo.
“Quindi voi sapevate …?”
“Certamente, non era difficile capire cosa stessero tramando i sarti. A proposito!” estrasse da dietro la schiena un pacchetto simile a quello che conteneva i miei abiti, “Questo è il tuo secondo regalo”.
Al vederlo sospirai più imbarazzata che seccata. Tuttavia osservare l’aspetto tanto provato del mio maestro, nascosto dalla sua solita aria fredda, mi rese impossibile non accettare il pacco.
Dentro era confezionato uno stupendo paio di stivali in cuoio nero. Erano alti fin sopra al ginocchio e allacciati con cinghie decorate da borchie d’acciaio lavorato.
Sollevai lo sguardo senza parole. Erano semplicemente perfetti.
Ad un cenno del mio maestro li indossai velocemente. Erano fatti su misura per me tanto quanto gli abiti che indossavo.
“Come siete riuscito a farmi cucire dei stivali su misura in tre giorni?” mi interruppi riflettendo “ Siete andato fino al villaggio di Castelbar  per farmi fare questi?” chiesi stupefatta.
“No a dire la verità ho mandato Phin , che si stava ancora leccando le ferite, a Castelbar” disse con noncuranza.
Non avevo davvero parole per esprimere la mia gratitudine e l’affetto che provavo per lui, così lascia che mi guidasse lungo i corridoi conosciuti e ancora bui.
Una volta usciti dall’imponente ingresso dell’edificio, gli occhi dei gargoyle di roccia nera ci accompagnarono, fissando il sole che stava spuntando timidamente all’orizzonte.
Ad aspettarmi c’erano la maggior parte dei miei confratelli e dei novizi del convento. Avevano formato due piccole ali di lato al cancello principale.
Appena vidi quella cinquantina di persone mi si seccò la gola. Non sapevo cosa dire per ringraziarli dell’affetto che mi avevano dimostrato in quegli anni e di tutto quello che avevano fatto per me. Fortunatamente non ci fu bisogno di discorsi o vane parole. Gli sguardi che incrocia bastarono per comunicare tutto quello che stavo provando e ciò che loro volevano dire.
Sapevo che l’abate Bastian mi stava guardando dai suoi appartamenti. Probabilmente tutto ciò che vedeva era solo una patetica scena che ritraeva una bambina superdotata ma strafottente che finalmente se ne andava (in modo silenziosamente maleducato), levandogli  dalle spalle una grossa preoccupazione.
Per tutti i miei fratelli e i monaci superiori, la missione che mi accingevo a intraprendere era senza speranza. Il tempo concessomi per portarla a termine infatti, era stato ingegnosamente calcolato affinché, una volta terminati i due anni, l’abate non mi avrebbe mai concesso un gruppo di ricerca e appoggio per aiutarmi a completare il mio lavoro o recuperare la mia salma. Sempre ammesso che io fossi sopravvissuta ad un viaggio tanto periglioso e allo scontro con un intera setta di sicari.
- Non importa cosa pensano- pensai, avrei dimostrato a tutti il mio valore e sarei tornata nei tempi previsti. Con questa convinzione negli occhi salutai silenziosamente i miei fratelli.
Non mi sarei fatta sconfiggere, non mi sarei mai arresa, avrei combattuto fino all’ultimo Assassino e sarei tornata a Brimir per entrare finalmente nell’ordine.
Quando fui sul ciglio del cancello lanciai un’ultima occhiata alle finestre della enorme biblioteca, dove sapevo si sarebbe rifugiato Phin. Sarei tornata soprattutto per lui, glielo avevo giurato.
Maestro Almyn si offrì di accompagnarmi fino ai confini delle terre del monastero, al limitare della foresta che lo circondava.
Fu una passeggiata silenziosa. In fondo cosa si poteva dire all’uomo che ti aveva cresciuto con un padre per diciassette anni, per ringraziarlo?
Infine raggiungemmo anche la frontiera della foresta e io mi volsi a guardarlo sospirando.
“Maestro io vorrei …”
“Sai Maddalena, io non avevo nessuna intenzione di prendermi cura di te quando arrivasti al monastero” mi interruppe serafico osservando la meravigliosa alba che dipingeva le praterie circostanti d’oro. Il vento leggero muoveva appena i suoi capelli rossi, lunghi fino alle spalle, coprendomi la vista dei suoi occhi.
“Quando, nonostante la tua salute già cagionevole, sopravvivesti a quella notte gelida nella chiesa, per me non eri niente altro che una piccola creatura testarda. Ciò che mi fece cambiare opinione nei tuoi confronti, fu il mese di stenti che affrontasti senza quasi piangere, con coraggio e dignità oserei dire. Fu allora che capii che tu meritavi di vivere e di conoscere la vera arte della guerra, che avresti fatto della morte la tua alleata più fedele, e da quando ho deciso di prendermi cura di te, tu non mi hai mai deluso, nemmeno una volta.”
Quelle parole si posarono sul mio cuore con delicatezza, diventando un balsamo per le ferite che lo tormentarono. La gioia che quel discorso mi fece provare fu impagabile.
“Hai accettato il tuo destino senza opporti e questo ti fa onore, eppure ti rende anche una sciocca, poiché non ti obietti nulla alla tua condanna a morte.” .
La gioia che provavo fino ad un minuto prima si disciolse come neve nel deserto, lasciandomi un senso di vuoto. Perché diceva questo? Abbassai lo sguardo fissando gli stivali che mi aveva appena regalato. Nemmeno lui credeva in me?
“No maestro! Io non mi oppongo perché so, ho la certezza più assoluta, che tornerò. Mi avete addestrata plasmando il miglior guerriero nella storia del nostro ordine Ho sputato sangue e bevuto lacrime amare per essere ciò che oggi sono e sebbene chiunque conosca la mia missione dubiti nel mio successo, io vi assicuro, no anzi, io vi giuro che non vi deluderò. Io sopravvivrò e quando ci rivedremo sarò degna di entrare nel vostro ordine” affermai con voce decisa, sostenendo il suo sguardo imperscrutabile. “Essere riconosciuta come membro effettivo della mia famiglia vale tutto questo. Vale la sofferenza, vale la paura” terminai determinata.
“Molto bene mia allieva. Volevo solo assicurarmi che gli sguardi scambiati con i tuoi fratelli non fossero una maschera atta a nascondere la tua paura”. Il suo viso si increspò appena in un sorriso, sottolineando le rughe che contornavano le sue nere iridi. Anche io non potei fare a meno di sorridere, era tipico di lui provocarmi per assicurarsi la sincerità delle mie parole.
“Accertatomi di questo” riprese tornando serio “ vorrei comunque darti il pugnale”
“Maestro è un dono troppo prez …”, lui mi fulminò, neppure oggi avevo il permesso di interromperlo.
“Questo pugnale si tramanda nella mia famiglia da generazioni, e come io lo ricevetti da mio padre così io lo dono a te ora, affinché rappresenti per te il prezioso compagno che è stato per me. Tuttavia Maddalena” fece una lunga pausa per lasciar decantare il suo messaggio, mentre mi porgeva il suo meraviglioso pugnale e il cinturone che lo completava “ Mi aspetto che sia restituito tra due anni”.
Quando lo presi tra le mani sorridendo, mi accorsi per la prima volta della sua finezza e leggerezza. Almyn lo indossava ogni giorno sulla tunica, ma io non vi avevo mai porto la giusta attenzione. Si vedeva che era antico eppure la pelle era stata trattata in modo tale da rimanere resistente e bella. La fibbia era in ottone, così come i piccoli rombi che disegnavano lungo tutta la sua lunghezza ghirigori e simboli celtici. A dispetto di ciò, la cosa ancora più strabiliante era il pugnale stesso.
La lama in acciaio aveva al centro una grossa fessura che permetteva di incastrare le armi nemiche e disarmare l’avversario. -Possibile che una arma all’apparenza tanto delicata sia così resistente?- Pensai allibita. Rigirandomi il coltello fra le mani mi accorsi di un’incisione runica sulla parte interna della lama.
“D’fhear cogaidh comhalltar siochain” pronunciò il mio maestro vedendo ciò che attirava la mia attenzione “Significa: la pace è garantita, ad un uomo preparato per la guerra.”
“Dubito che valga nel mio caso maestro” sospirai avvilita. Ero pronta per la guerra e questo rendeva impossibile l’avvicinarmi alla pace.
“Non riguarda solo una pace esterna, nel mondo, ma anche una pace dell’anima. Non puoi sapere cosa ti riserverà questa esperienza”, c’era speranza nella sua voce e in quel momento desiderai che un po’ di essa mi fosse trasmessa. Io l’avevo esaurita da qualche giorno.
 Tentai di maneggiare la mia nuova amica simulando qualche affondo.
L’elsa era finemente lavorata nella sua parte iniziale con smeraldi e piccoli diamanti che riprendevano il motivo della cintura, mentre il manico era ricoperto di cuoio (appena sostituito), per migliorarne la presa. Il pomo era costituito da un rombo il cui lato inferiore sinistro era stato lavorato in modo tale da ricavarne un uncino, ottimo per le arrampicate e per scivolare sulle funi.
Non appena lo indossai sotto la giacca mi sentii più sicura e guardai il mio maestro colma di gratitudine ed affetto.
“Grazie infinite” fu tutto ciò che riuscii a dire. Lui mi guardò comprensivo, addolcendosi sotto il mio sguardo.
“Ora va. L’alba è già spuntata e il tuo destino ti attende”.
Con un ultimo inchino gli girai le spalle sapendo che il suo sguardo protettivo mi avrebbe seguita fino all’orizzonte.
Mi chiamo Maddalena Barberini ed oggi, Lunedì di Pasqua dell’anno del Signore 1479, parto per affrontare e portare a temine la missione della mia vita. Uccidere la setta degli Assassini.
 
 
  
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