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Autore: Roxar    19/08/2014    4 recensioni
L’orologio al polso di Makoto è fermo sulle undici e quaranta.
Una crepa sbilenca attraversa il quadrante da parte a parte, le tre lancette eternamente bloccate su un angolo destinato ad entrare nella storia.

[Profondamente, ineluttabilmente, interamente angst. I lettori sono avvisati]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Haruka Nanase, Makoto Tachibana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Warnings: Angst, Introspezione, Future!fic

Crew&Ship: Haruka Nanase, Makoto Tachibana, Nagisa Hazuki, Rei Ryugazaki, Rin Matsuoka | MakoHaru

Note: Questa storia è puro dolore, dall'inizio alla fine. Perciò, se state cercando qualcosa di fluff e allegro e pieno di arcobaleni, ehm, probabilmente siete finiti nel posto sbagliato.

 

 

____

 

 

22:46

 

Makoto disegna cerchi ampi e lenti con la punta delle dita mentre la voce di Haruka, incolore e vagamente annoiata come sempre, gli racconta della gara della prossima settimana. Di tanto in tanto, aggiunge stralci di sé, delle sue preoccupazioni, dei suoi timori.

Confessa che vorrebbe tutti loro sugli spalti, a tifare per lui.

La mano di Makoto si ferma.

“Ma, Haru,” ribatte, con una dolcezza forse inappropriata e il sorriso sulle sue labbra è dolcissimo, “non è forse ovvio che noi saremo lì? Studiamo in luoghi diversi, ma non siamo all’altro capo del mondo, anzi!”

Haruka resta in silenzio così a lungo che Makoto pensa sia caduta la linea; allontana il cellulare, controlla il segnale e nota che la chiamata è ancora in corso.

“Haru?”

“Sono qui.”

“Huh, bene! Pensavo fosse caduta la–”

“Makoto... grazie.”

Makoto traccia un altro disegno immaginario sulla coperta.

“Di niente, Haru.”

Stranamente, ha la forma vaga di un cuore.

 

 

10:04

 

Makoto sta ancora tamburellando nervosamente il piede contro il pavimento quando le porte del treno 5678 diretto a Tokyo si aprono con pigra indolenza, sputando sul binario una moltitudine di gente che sbuffa, sospira e, sottovoce, impreca.

Guarda l’orologio. Segna le dieci e quattro minuti e il treno ha già accumulato venti minuti di ritardo.

Nel binario accanto un altro treno diretto a Tokyo, ma decisamente più veloce e con decisamente meno soste, arriva scivolando, arrestandosi dolcemente. Per un attimo le sue gambe sembrano spronarlo verso la biglietteria, perché quel treno raggiungerà la destinazione per tempo.

Ha già mosso un passo, quando la calca lo inghiotte e lo spinge dentro al vagone.

Vuole scendere, Makoto. Vuole prendere quel treno più veloce, vuole solo vedere Haru riemergere dall’acqua, bellissimo e arrossato e trionfante.

Ma le porte si chiudono e il palmo della sua mano preme contro il vetro freddo, appannato lievemente dal sospiro rassegnato che sguscia tra le sue labbra, condensandosi in una macchia irregolare.

 

 

10:08

 

“Haru?”

“Makoto, dove sei?”

“Haru, scusa. Il treno è appena partito. Avrei voluto prenderne un altro, ma mi hanno letteralmente trascinato dentro e non ho avuto altra scelta. Abbiamo un ritardo di venti minuti, ma il controllore dice che lo recuperiamo strada facendo.”

“Va bene.”

“Haru?”

“Mh?”

“Vincerai. Lo sai, vero?”

Haruka indugia, scuote la testa. Ma un angolo della sua bocca si solleva.

“Vedi di esserci,” replica invece, chiudendo la chiamata, sicuro che, all’altro capo del telefono, Makoto stia sorridendo e forse sbuffando un po’.

 

 

10:58

 

Nagisa è iperattivo, oggi.

Saltella continuamente intorno a lui, controlla che gli occhialini di Haruka siano ben piazzati sugli occhi, sistema la cuffia, lascia continue pacche sulla sua schiena nuda.

Rei, al contrario, è particolarmente teso e silenzioso. Di tanto in tanto la sua bocca si muove velocemente, borbottando calcoli matematici, variabili e costanti.

Rin, che ancora ansima in seguito alla corsa che ha dovuto fare dalla stazione alla piscina, sta imprecando a denti stretti, tenendosi il fianco dolente.

“Se non vinci,” sta ansimando, “ti affogo con queste mie mani.”

Haruka annuisce meccanicamente, ma la sua testa è altrove e i suoi occhi piantati sull’enorme arco che sputa sugli spalti uno spettatore dopo l’altro. Si aspetta di vedere la testa di Makoto svettare su tutte le altre. Aspetta. E aspetta. E aspetta ancora, finché qualcuno non lo spinge sul blocco di partenza.

Ha appena il tempo di un’ultima occhiata in direzione dei suoi amici prima che uno schiocco secco rimbombi nell’aria e l’acqua resista sempre un po’, prima di modellarsi intorno a lui e riconoscerlo, accettandolo.

 

 

11:39

 

L’orologio al polso di Makoto segna le undici e trenta quando, tre miglia più avanti, uno scambio resta fermo e il treno 2234 diretto a Osaka imbocca il binario già occupato dal treno 5678 diretto a Tokyo.

L’aria, all’interno del vagone, è rilassata e informale. I vicini chiacchierano, i bambini giocano con i loro orsacchiotti, una graziosa signorina accosta il suo carrello delle vivande ai margini del corridoio stretto, attendendo che un passeggero porga la propria richiesta.

Makoto guarda oltre il finestrino lucido, le dita che tamburellano nervosamente contro il collo. Sa che manca pochissimo a Tokyo, altri dieci minuti al massimo, ma questo non lenisce l’onta del tradimento che sente appiccicata addosso.

Aveva giurato che ci sarebbe stato, che la sua voce si sarebbe unita ai cori che inneggiavano al suo nome. Improvvisamente, afferra il cellulare, compone un numero e lascia un messaggio.

Poi, un sospiro frustrato sibila tra i denti stretti e lo sguardo cade nuovamente sull’orologio, che segna le undici e trentanove.

 

 

11:40

 

L’orologio che svetta sulla piscina segna le undici e quaranta quando Haruka quasi schiaffeggia le mattonelle, ansante ed esausto e trionfante.

Ancor prima dell’ovazione dei suoi amici, ancor prima dell’annuncio ufficiale, ancor prima del nome sul tabellone, Haruka sa di aver vinto.

Lo ha percepito mentre scavava nell’acqua; sapeva con disarmante, sinistra precisione dove e quanto indietro fossero i suoi avversari. Sapeva di avere un vantaggio a prova di qualsiasi sconfitta.

Strappa via gli occhialini.

Il suo sguardo scivola sulle tribune, intercettando la medesima espressione di trionfo sui volti di Nagisa, di Rei, di Rin e di sua sorella Gou, arrivata chissà quando.

Stringe i denti; respirare è più difficile, adesso.

Per ragioni che non riesce a spiegare neppure a se stesso, la vittoria brucia e diventa niente, perché Makoto non era lì a guardare.

Perché la sua voce non ha urlato il suo nome.

Perché Makoto non c’era e Haruka scopre che una promessa mancata può bruciare più del debito di ossigeno.

 

 

11:40

 

L’orologio al polso di Makoto è fermo sulle undici e quaranta.

Una crepa sbilenca attraversa il quadrante da parte a parte, le tre lancette eternamente bloccate su un angolo destinato ad entrare nella storia.

 

 

12:20

 

La sveglia posata sul comodino segna le dodici e venti.

Makoto si fa notare esclusivamente per la sua assenza e Haruka stringe il cellulare come se volesse disintegrarlo tra le dita, o scaraventarlo contro il muro.

Haruka credeva di aver conosciuto la rabbia, ma questa cosa che gli serpeggia dentro trascende qualsiasi ricordo, qualsiasi esperienza.

Questa è disperazione, che gli schiaccia la gola e gli serra lo stomaco.

La luce in alto a destra lampeggia, segnala un messaggio. Sa che è di Makoto e sa che non vuole ascoltarlo, non adesso.

Da qualche parte, Haruka sente qualcosa tendersi e strapparsi.

Ha bisogno di cure.

Ha bisogno dell’acqua.

 

 

12:40

 

I capelli bagnati gocciano ancora sul pavimento e qualche rivolo cola lungo la schiena nuda quando, al ventesimo colpo di nocca, furioso e insistente, Haruka spalanca la porta e la mano di Nagisa quasi lo colpisce, salvo poi bloccarsi a mezz’aria e afflosciarsi infine lungo il fianco, esanime e sconfitta.

Nota Rei accovacciato contro il muro opposto, i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani. Proviene da lui come un rumore di gocciolio incostante, intermittente.

Sta per domandare cosa stia succedendo, ma Nagisa alza il viso e lo fissa.

Quella sul suo viso è disperazione, che schiaccia la gola e stringe lo stomaco.

“Ha-Haru-chan...” piange e le sue labbra tremano furiosamente, il viso distorto in una smorfia di profondo dolore.

Scuote la testa, come per scacciare una mosca molesta. Rifiuta il messaggio che urla dagli occhi pieni di lacrime di Nagisa, cerca di allontanarsene, ma l’altro lo guarda, continua a fissarlo, e non gli lascia scampo.

Perché Haruka ha capito ogni cosa e vorrebbe non aver capito niente.

 

 

--:--

 

Nella segreteria telefonica di Haruka c’è un solo messaggio.

Molti altri hanno occupato la memoria disponibile, finendo cestinati l’attimo dopo.

Haruka vuole restare solo con Makoto.

Haruka vuole restare solo con Makoto, seduto sul pavimento, le gambe divaricate e ritratte al petto e il cellulare adagiato nello spazio stretto tra un piede e l’altro, come una sacra reliquia.

Sente la schiena dolere per il contatto prolungato con il pavimento, il malessere fisico mitigato appena dal bordo del letto che preme contro le spalle. Di tanto in tanto, quando i sensi tornano a cooperare, sente il cotone del copriletto solleticargli la nuca prima che essi si spengano nuovamente, intrappolati in quella malsana intermittenza.

In quella camera ombrosa, satura di aria viziata, Haruka è sospeso.

 

 

--:--

 

Nella segreteria telefonica di Haruka c’è un solo messaggio.

È disturbato dalle interferenze, da altre voci, da qualche scarica elettrica.

Dura ventiquattro secondi.

Per riascoltare, premere 1.

E ventiquattro secondi, e ventiquattro secondi, e ventiquattro secondi.

1, 1, 1, 1, 1, 1...

Adesso Haruka ne sa qualcosa in più dell’eternità.

 

 

--:--

 

Nella segreteria telefonica di Haruka c’è un solo messaggio.

È stato registrato alle undici e trentotto.

 

 

--:--

 

Nella segreteria telefonica di Haruka, distorto dalle interferenze, resta immobile l’ultimo, prezioso stralcio di vita di Makoto.

 

 

--:--

 

Huh, Haru, non credo che riuscirò ad arrivare in tempo.

Il treno ha appena rallentato e non capisco perché.

Mi dispiace moltissimo, Haru, perché questa era la gara più importante della tua vita. Mi farò perdonare, te lo prometto.

E so, so per certo che taglierai il traguardo per primo. Già riesco a vederti! E stasera, quando andremo tutti insieme a cena, per festeggiare, probabilmente la tua medaglia d’oro si riempirà di così tante impronte che non verranno via mai più!

Uhm, devo staccare, c’è il controllore. (Ma che succede?). A dopo, Haru-chan!

 

 

--:--

 

Nella segreteria telefonica di Haruka resta un eternamente vivo Makoto.

Nel mondo al di fuori di essa, nel mondo vero, freddo e ammorbato da una pioggia che scroscia come se non dovesse annegare ogni cosa, animale e persona, resta un Haruka che eternamente vive sospeso, goccia a goccia.

 

 

--:--

 

L’acqua è viva.

Ma Haruka è già troppo distante.

   
 
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