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Autore: Quella che ama i Beatles    19/08/2014    2 recensioni
Un nome gli sale alla bocca, il nome più bello e più maledettamente doloroso del mondo, un nome che gli brucia le labbra e la lingua, che è stato costantemente presente nella sua mente in quegli ultimi anni e che da pochi mesi tenta di ricacciare giù in fondo alla sua anima, perché quel nome fa troppo male e John ha già sofferto abbastanza, in vita sua.
Il nome è Sherlock Holmes.
- Sherlock – sussurra John, e dopo mesi può riassaporare quel nome senza sentire male.
Perché Sherlock è lì davanti a lui, John ne è certissimo, lo riconoscerebbe ovunque coi suoi ricci castani, il cappotto lungo, la sciarpa e oh, Dio, quel viso assurdamente bello, quegli zigomi alti, quegli occhi color del ghiaccio che potevano scoprire tutta la tua vita con un paio di occhiate, quegli occhi davanti a cui non c’erano difese, protezioni - John lo sa; quante volte si è sentito spogliato fin nel suo profondo, davanti allo sguardo di Sherlock Holmes?
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buio. Silenzio.
John Watson si guarda attorno, confuso, il fiato sospeso. Non ha idea di dove si trovi, l’oscurità è impenetrabile, non gli permette di distinguere alcunché. Sembra un luogo etereo, sospeso nello spazio e nel tempo, distante da tutto, dal mondo, dall’intero universo, John crede persino di sentirsi un po’ più leggero, come se non ci fosse gravità.
- C’è qualcuno? – prova a chiedere debolmente, ma sa già che non avrà risposta. La sua domanda risuona leggermente, con una vaga eco. Prova ad avanzare; uno strano impulso lo spinge a camminare in una direzione precisa, per cercare di trovare qualcosa in quel nulla sospeso. Forse sono morto, ipotizza la mente di John. La cosa non lo turba più di tanto. Sono molto poche le cose che lo hanno turbato, negli ultimi tempi.
John prova una strana sensazione; si sente come attratto da qualcosa, un istinto lo spinge ad avanzare ancora, quasi a correre. Il cuore gli batte più veloce, i polsi tremano. Perché è così agitato?
Ad un tratto, mentre cammina a passo svelto, quasi correndo, gli pare di vedere qualcosa. Il buio sembra farsi meno impenetrabile, riesce a vedere una figura alta e magra in lontananza, e allora anche se volesse non potrebbe tornare indietro; è come se tutto intorno a lui lo spingesse verso la figura.
Avanza ancora, e mano a mano la scena sembra come rischiararsi, come se stesse sorgendo un pallido sole. John adesso può vedere che la figura ha corporatura di uomo, che anche lui pare camminare, voltando la testa a scatti come se stesse scrutando la scena alla ricerca di qualcosa. I folti ricci sobbalzano ogni volta che gira lo sguardo.
John si ferma.
Anche il suo cuore pare fermarsi.
Perché ha riconosciuto l’uomo.
Un nome gli sale alla bocca, il nome più bello e più maledettamente doloroso del mondo, un nome che gli brucia le labbra e la lingua, che è stato costantemente presente nella sua mente in quegli ultimi anni e che da pochi mesi tenta di ricacciare giù in fondo alla sua anima, perché quel nome fa troppo male e John ha già sofferto abbastanza, in vita sua.
Il nome è Sherlock Holmes.
- Sherlock – sussurra John, e dopo mesi può riassaporare quel nome senza sentire male.
Perché Sherlock è lì davanti a lui, John ne è certissimo, lo riconoscerebbe ovunque coi suoi ricci castani, il cappotto lungo, la sciarpa e oh, Dio, quel viso assurdamente bello, quegli zigomi alti, quegli occhi color del ghiaccio che potevano scoprire tutta la tua vita con un paio di occhiate, quegli occhi davanti a cui non c’erano difese, protezioni - John lo sa; quante volte si è sentito spogliato fin nel suo profondo, davanti allo sguardo di Sherlock Holmes?
Sherlock posa lo sguardo su di lui e John si sente scosso da un milione di emozioni diverse, perché non credeva di poter sentire mai più la sensazione di sentirsi nudo davanti ai suoi occhi e Dio, se gli è mancata da morire.
Leggimi, Sherlock, come hai sempre fatto, guardami dentro e guarda quanto mi sei dannatamente mancato, quanto non ha avuto senso la mia vita senza di te, oh, se l’avessi saputo, ti avrei detto tutto, te l’avrei detto molto tempo fa…
Anche sul volto di Sherlock passano miriadi di sentimenti diversi, ma John può quasi vedere che anche lui sta trattenendo il fiato, anche lui ha sgranato gli occhi, anche lui ha socchiuso la bocca.
- John – mormora.
Basta quell’unica parola, il suo nome sussurrato da quella voce profonda che credeva di non sentire mai più a far sciogliere John dalla paralisi in cui è rimasto congelato. Il cuore gli tuona ancora come un tamburo ma le lacrime che premevano contro le palpebre adesso scendono libere, senza più freni, e John si maledice perché vuole guardare Sherlock, vuole riempirsi gli occhi di lui, e nonostante si imponga di smettere singulti rumorosi si arrampicano per la sua gola e John non sa, non vede, non capisce più niente che non sia Sherlock davanti a lui, Sherlock al quale si sta avvicinando correndo, correndo, perché l’impulso che aveva avvertito all’inizio torna a farsi sentire più imperante che mai.
John è basso, molto più basso di Sherlock, perciò deve tendersi un po’ per aggrapparsi alle sue spalle, al suo collo e piangere disperato contro il suo cappotto, stringendolo a lui per timore che vada via di nuovo. Inframmezzati ai singhiozzi, una parte di John coglie di star mormorando il nome di Sherlock ripetutamente, ma non gli importa, lo vuole dire, lo vuole ripetere adesso che non fa più male. Sherlock ricambia il suo abbraccio, seppur con meno trasporto, e John sa che non esiste miglior cosa al mondo di Sherlock occhi-e-cuore-di-ghiaccio che lo stringe. E… Dio, quello era un singhiozzo? Sherlock Holmes ha singhiozzato?
- Sherlock, Sherlock, Sherlock… - ripete John, in quello che sembra un mantra religioso.
- Va tutto bene, John. Calmati. Sono qui. Va tutto bene – lo rassicura lui e John si bea nell’ascoltare di nuovo la sua voce, Dio quanto gli è mancata, Dio quanto gli è mancato lui.
- Mi sei mancato – soffia.
Le braccia di Sherlock sembrano stringerlo più forte. – Anche tu. –
- Sherlock… - mormora John.
- Basta, adesso. –
Forse è per metterlo a tacere che Sherlock bacia John.
È un unico tocco leggero labbra contro labbra che dura meno di un secondo, ma il cuore di John parte a mille e le ginocchia gli tremano, come se fosse una tredicenne alla prima cotta. Non era previsto, forse l’ha fatto per sbaglio, loro sono solo amici e lui non è gay e –
Oh, fanculo, pensa John prima di baciare nuovamente Sherlock.
È diverso da qualunque altro bacio che abbia mai dato. Le labbra di Sherlock sono sorprendentemente morbide, e sanno appena di tabacco. Indugiano sulle sue, incerte, sorprese, forse timide, e tocca a John guidarlo in questo bacio delicato come una bolla di sapone. John sospira dal naso, beato, mentre una verità muta e sopita da troppo tempo negli angoli più nascosti del suo essere gli si presenta davanti agli occhi: è questo che ha sempre voluto. Queste labbra, questi baci, questo sapore lieve di tabacco. Non c’è confronto con nessuna donna che abbia mai baciato.
Incerto, tremante, John porta le mani al suo viso, accarezzandolo piano come se stesse toccando il volto di un neonato; vuole rassicurarlo, cercare di farlo sciogliere.
Tuttavia, Sherlock si scosta, e nonostante siano ancora vicinissimi John sente subito un gran senso di vuoto e di freddo, senza le sue labbra. Emette un sospiro tremante, mentre il cuore gli martella nelle orecchie.
- Scusa – mormora Sherlock, dopo qualche secondo di limpido silenzio. Ha la voce roca. I suoi penetranti occhi celesti lo guardano, e non sembrano di ghiaccio come al solito. Fissandoli, John nota un particolare.
- Hai le pupille dilatate – dice, con una calma bizzarra. – Il battito accelerato. Sei rosso in viso. Ti stai trattenendo dall’ansimare. Anch’io ho le stesse cose, perciò non chiedermi scusa per qualcosa che abbiamo voluto entrambi. –
Sherlock fa un mezzo sorriso. – Dunque adesso osservi, oltre a guardare? Sorprendente. –
- Ho imparato dal migliore – replica John. Si sorridono. Il cuore di John si allarga nel vedere il suo sorriso e per quell’unico istante si sente l’uomo più felice del mondo.
Poi, domande su domande gli turbinano nella mente, nel petto, cadendo a valanga, e il cuore di John precipita mentre osserva il volto di Sherlock e si ricorda che non dovrebbe amarlo così tanto, anzi, avrebbe buoni motivi per detestarlo. Lui ha detto che era un falso genio, che aveva fatto ricerche su di lui per impressionarlo… Quelle parole gli bruciano dentro, corrodendolo come acido, e la fiducia che ha sempre provato nei confronti di Sherlock Holmes combatte contro le parole che lui stesso gli aveva detto.
- No – dice Sherlock.
John apre e chiude la bocca, interdetto. – Cosa no? –
Sherlock sospira. Sembra che improvvisamente un peso sia giunto a gravargli sul cuore. – Stavi per chiedermi se le cose che ti ho detto al telefono, prima del mio suicidio – John sussulta a quella parola – sono vere. No, John, non lo sono. –
John apre e chiude nuovamente la bocca, senza parole. Sherlock è come il vento: volubile e incostante e mutevole, dice una cosa per poi negarla, sempre seguendo la sua logica contorta ma solitamente geniale. Lui, invece, è un po’ come il mare, calmo e pacifico di natura, ma agitato se soffia la brezza. Ed è così che si sente, in quel momento, un mare scosso e reso turbinoso dal vento. Si spaventa un po’ pensando che era così anche quando Sherlock era vivo: se John si muoveva e si spostava in conseguenza a lui, da quanto tempo era immobile, allora?
- Non so se crederti – sussurra. – Non l’ho mai saputo e non lo so neanche adesso, Sherlock. –
- Penso che tu desideri con tutto te stesso credermi, John – afferma Sherlock con la tranquillità di quando esprimeva un suo parere su un elemento analizzato al microscopio. – Ma la tua parte razionale si oppone... anche se non troppo fermamente. – Sorride, mesto. – Sono stato piuttosto bravo se persino il mio migliore amico dubita di me. Bravo più dei miei standard soliti… il che è tutto dire, mh? –
Ecco, il vento che è Sherlock Holmes adesso soffia ad un tratto in un’altra direzione, e a John gira la testa. È più confuso che mai. – Bravo in che cosa? –
- A fingere, John. Il mio suicidio era necessario, e come mio ultimo gesto ho tentato di convincerti che ero davvero un falso genio, un impostore… In uno slancio di sentimentalismo – la sua bocca s’increspa appena – ho cercato di far sì che tu non soffrissi per la mia morte. Se tu mi avessi odiato, se non avessi sofferto, avrei vinto comunque… l’ultima vittoria di Sherlock Holmes. –
John è a corto di fiato. Quell’ultima, mozzafiato rivelazione gli fa girare la testa, lo fa barcollare. – Sei un idiota, Sherlock Holmes – mormora.
Lui aggrotta le sopracciglia. – Ma… -
- Sei un idiota perché hai infangato con le tue mani la tua memoria, con le intenzioni più ridicole e… e idiote che abbia mai sentito. Credevi davvero che io non avrei sofferto? Davvero non volevi che io stessi male? Be’, hai fatto male i tuoi calcoli, signor Holmes. – Calca volutamente il suo cognome. – Se non volevi che io soffrissi, non dovevi buttarti giù da quel maledetto tetto. Perché da quel giorno, io… - John non ha parole. Nuove lacrime stanno spintonandosi per scendere giù dagli occhi, e lui si passa rabbiosamente una mano sulle palpebre. – Non avresti dovuto mentirmi, comunque. In ogni caso. –
- Sapevo quello che facevo – mormora Sherlock.
- E invece no. –
- D’accordo – sospira lui. Lo guarda dritto negli occhi. – Ti chiedo scusa, John Watson, per averti mentito. –
John vorrebbe urlargli che di quelle tre parole non se ne fa niente, che non basta per sanare la sofferenza che ha patito negli ultimi mesi, ma la consapevolezza piena e accecante che Sherlock è davvero ciò che era, che non era per niente un impostore, è davvero troppo splendida. In qualche modo, John sa di averlo sempre saputo, qualunque cosa dicesse la sua parte razionale.
Poi gli giunge alle labbra una nuova domanda, la più importante e pressante. – Perché ti sei buttato, allora? – chiede. La sua voce si colma di disperazione. – Se non eri un bugiardo, perché ti sei suicidato? –
John può quasi vedere la lotta in corso dietro gli occhi di Sherlock. – Non ti azzardare a raccontarmi un’altra bugia – lo avverte.
Passa qualche secondo di silenzio. - Ti ho salvato la vita – dice infine Sherlock.
 – Cosa…? –
- Tre assassini, tre vittime. Tu, Lestrade, la signora Hudson. Sareste morti se io non mi fossi suicidato. -
Quelle poche parole colpiscono John come un pugno allo stomaco. Barcolla, e solo Sherlock che lo sorregge gli impedisce di cadere.
Ha dato la sua vita per me.
Quella frase, netta e senza possibilità di incomprensioni, si stampa nella mente di John.
- Mio Dio, Sherlock… -
- Ora capisci, John? – Il suo sguardo è dolente. – Non avevo scelta. Nessuna possibilità. C’era un modo di fermare gli assassini, ma Moriarty si è sparato prima che potessi capire quale... e se avessi esitato ancora, sareste morti. –
- Avevi scelta. – La bocca di John è secca. – Avresti potuto salvarti. –
Lo sguardo di Sherlock si indurisce. – E lasciare che moriste? –
- Avrei preferito di gran lunga morire io, piuttosto che vedere te buttarti – confessa John, in maniera del tutto sincera.
Il ghiaccio negli occhi di Sherlock si scioglie, ma la sua bocca rimane stretta, la mascella rigida. – Non dire sciocchezze. C’erano in ballo anche Lestrade e la signora Hudson. –
John quasi si fa sfuggire un “e allora?” ma poi si blocca, inorridito. Davvero avrebbe barattato così volentieri la vita di due innocenti in cambio di quella di Sherlock?
John preferisce non rispondersi, perché teme che la risposta sarebbe “sì”.
- Temo che fra poco ci dovremo separare nuovamente – dice Sherlock all’improvviso.
Quelle parole colpiscono John più di qualunque altra rivelazione l’amico gli abbia fatto in quei minuti. Si piega, le braccia sullo stomaco, temendo di vomitare. – No – mormora. Sente già il panico montargli dentro.
- Mi dispiace, John. –
- No, Sherlock. Ti prego. – Quasi senza rendersene conto, John si aggrappa al bavero del suo cappotto. – Hai compiuto il miracolo che ti avevo chiesto… di smetterla di essere morto. Sei qui, parli con me. Non te ne andare! –
- Non voglio andarmene – dice Sherlock, addolorato. La sua voce sembra quasi spezzata. – Ma devo. Non è con te il mio posto, per ora. –
Quelle parole sono come tanti pugnali che accoltellano John, in ferite sempre più dolorose e profonde. Stringe tra le mani sudate e tremanti il cappotto di Sherlock.  – Come no? Certo che sì! Sei qui con me… Holmes e Watson, Hat-Man e Robin. Sistemeremo tutto. Ti prego, Sherlock… -
Il volto solitamente impassibile di Sherlock si sta accartocciando sempre di più. Si sta trattenendo dal piangere, e quella, forse, è la visione più straziante di tutte. John chiude gli occhi per cacciare via quegli occhi celesti appannati dalle lacrime e lo bacia di nuovo, lasciando andare via l’ultimo brandello di razionalità. Questa volta non usa delicatezza o premure: si accanisce sulle labbra di Sherlock come un assetato su dell’acqua fresca, stringe i suoi morbidi ricci tra le dita, accarezza il suo volto, il suo collo, mentre le lacrime scendono irrefrenabili – le sue, quelle di Sherlock, si mescolano insieme e a John pare di fondersi in lui e in quel momento non desidera altro, perché se Sherlock va via di nuovo lui non avrà nuovamente un motivo per vivere. Stavolta neanche Sherlock esita: ricambia il bacio di John con ardore e desiderio, guidandolo come John aveva fatto con lui prima e sono nuovamente vento e acqua, Sherlock che si muove e John che gli risponde, le labbra di uno perfettamente incastrate in quelle dell’altro perché è sempre stato quello il loro destino, John adesso lo sa, lo capisce, e capisce anche che quell’impulso, quello strano impulso che lo spingeva a camminare era lui, Sherlock, che lo attraeva a sé come la Terra fa con la luna, perché Sherlock è la sua gravità, il suo punto di riferimento, e da quando non c’è più John vaga sulla Terra senza più ragione d’esserci, slegato da tutto e tutti, come un palloncino sfuggito alla mano di un bambino e volato via. John stringe gli occhi per memorizzare appieno il solletico che gli provocano i suoi ricci, il sapore delle sue labbra, la sensazione del suo corpo premuto contro il proprio.
- Osserva, oltre che guardare, John – sussurra Sherlock, scostandosi. Le lacrime brillano sulla sua pelle candida.  – Osserva quanto sono innamorato di te. –
 
 
John Watson si rizza di scatto a sedere, gli occhi spalancati, il respiro accelerato, ogni traccia di sonno svanita. Si guarda intorno confuso, mentre la luce del sole penetra in raggi sottili dentro la stanza, attraverso le persiane.
- Sherlock – chiama, il fiato sospeso, il cuore che tambureggia contro le sue costole, e contro ogni razionalità prega disperatamente di vederlo arrivare in camera, magari col violino in mano o qualche frutto di uno dei suoi bizzarri esperimenti…
Nello spazio di un paio di secondi la terribile realtà gli si precipita addosso come una valanga e John si piega sotto il suo peso.
Sherlock è morto da mesi. È stato solo un sogno.
Stringe gli occhi mentre il dolore, straziante, inesprimibile a parole, gli comprime il petto, gli ostruisce la gola, gli spezza la schiena. Ha ancora sul volto tracce salate delle lacrime versate durante il sonno, ma ciò non impedisce ad altre – numerose, sono sempre di più, milioni di litri cubi di dolore che hanno solo gli occhi per andare via – di rigargli nuovamente il viso, cancellando dalla bocca il sapore delle labbra di Sherlock che non aveva mai baciato.
Osservami, Sherlock. Osserva e deduci quanto immensamente  ti amo anch’io.
 
 
 
 
 

 

ANGOLO AUTRICE:
No. Non so neanch’io perché abbia scritto questa OS che gronda angst da tutti i pori quando a me di solito piacciono le cose carine, fluffose e felici. È che ho iniziato a vedere Sherlock – be’, in realtà l’ho già finito – e qualche giorno fa ho visto la 2x03 e tipo stavo annegando nelle mie lacrime (poi alla fine ho visto Sherlock che era vivo e ho urlato, ma vabbè). Dovevo pur sfogare tutta la tristezza che avevo in corpo, no? E così è nata questa OS, in mezz’oretta circa. E vogliamo parlare della bellezza della Johnlock? Davvero, è pari alla McLennon. La Gran Bretagna è la patria delle coppie slash migliori al mondo :’)
Duuuunque, la fic. Ho immaginato fosse ambientata pochi mesi dopo la “morte” di Sherlock, quando ancora la polizia non aveva scoperto che Rich Brook era un’invenzione di Moriarty, quindi quando ancora la Gran Bretagna pensava che Sherlock fosse un impostore. Ho immaginato che anche John fosse dubbioso e che quindi la sua mente gli proiettasse questo sogno per “tranquillizzarlo”, diciamo.  Ho cercato di mantenere Sherlock un minimo IC, ma non me lo sono imposta rigidamente, perché comunque è pur sempre un sogno.  (Però, siccome è anche una fic, ho fatto sì che la mente di John intuisse il piano di Moriarty, eheheh. E’ intelligente il nostro dottor Watson, nonostante ciò che dice Sherlock.)  E quindi niente, vi saluto, vi mando un bacio e viva la Johnlock!
P.S.: un biscottino a chi riconosce la citazione nel testo proveniente da Doctor Who. :D 
   
 
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