Era una giornata invernale, precisamente il 18 Novembre. Erano le dieci e quattro del mattino e la città era ricoperta di neve, come se fosse stata colpita da un incantesimo. Intanto Hiccup, un ragazzo come gli altri, aspettava il bus. Aveva una cartella di cuoio in mano, con una tracolla, della quale non usufruiva. La teneva sotto braccio come non avesse manici, e sulle spalle aveva un cappotto il quale teneva stretto sul collo, marrone cioccolato molto lungo che veniva sospinto dal vento forte di quella mattinata.
-Fa freddo, ma quando arriva l’ autobus?- Chiese fra sé e sé il ragazzo tredicenne sentendo un brivido di freddo. Il vento continuava a soffiare e ad accarezzare i capelli del giovinotto. Non sembrava dovesse andare a scuola siccome erano le dieci. Era più plausibile che dovesse tornare a casa dopo un servizio fatto ai genitori o dopo essere andato al cimitero: ciò non si saprà mai. Si sentivano le auto rombare, ma del bus non se ne aveva traccia, forse per la troppa neve. Intanto un ragazzo albino si avvicinò al fanciullo lentigginoso e, con aria calma chiese
-Aspetti qualcosa?
-L’ autobus, sono qui da circa un quarto d’ora- Rispose Hiccup infreddolito. Poi guardò l’ albino e visto che aveva già preso confidenza, chiese dolcemente: -Lo hai visto per caso?
-Sta arrivando, ha fatto ritardo per colpa della bufera di ieri.
Si stava avvicinando un rumore di auto, ma più possente degli altri, come se il veicolo fosse dieci volte più grande. Il rombare era accompagnato dal suono di un’ ambulanza: era l’ autobus che il ragazzo stava aspettando da quindici minuti e forse più. Si aprirono le porte e Hiccup ci salì e si aggrappò vicino ad una sedia dove una signora anziana si era seduta.
-Aspetta, il mio nome è Jack. Il tuo?
-Hiccup!- Rispose gridando e sporgendosi dal bus.
Jack salutò Hiccup con un gesto della mano promettendosi che si sarebbero rivisti.