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Autore: hinata 92    22/08/2014    1 recensioni
Un ragazzo si presenta dal famoso Professor Elric per trovare risposta a una domanda che lo tormenta.
"Gli incubi possono diventare reali?"
Selim Bradley non ha idea di quanto la risposta possa essere affermativa... e dolorosa...
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alphonse Elric, Altro personaggio, Edward Elric, Pride
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ombre di un oscuro passato

 

Incubi che tormentano

 

Il ragazzo attese nervoso nel salottino. Continuava a dondolarsi e ad agitarsi. Non era un comportamento molto maturo, lo sapeva bene, ma dopotutto era andato lì senza avvertire nessuno. La signora lo aveva accolto con molta gentilezza e cortesia, ma lui non era riuscito a superare completamente l’imbarazzo. Per l’ennesima volta si sistemò la fascia rossa che gli teneva i capelli scuri al loro posto e sperò di essere quantomeno presentabile. Non che tenesse troppo alle apparenze, di solito, ma visto il motivo per cui era andato fino a lì…

«Eccomi qua, scusa il ritardo.»

«S…si figuri, Professor Elric

Il ragazzo aveva sentito molto parlare di lui, ma vederlo di persona era tutta un’altra cosa: i capelli e gli occhi color dell’oro, in particolare, attirarono la sua attenzione. Non si vedevano spesso persone con quei lineamenti, ad Amestris. E per di più, aveva di fronte un eroe nazionale, di cui aveva letto sui libri e di cui gli avevano parlato a scuola, la cui storia, nonostante non fosse passato così tanto tempo, si perdeva quasi nella leggenda. Perché erano veramente pochi a sapere cosa fosse successo quel giorno di eclissi di sole di sedici anni prima, e quelli che non sapevano avevano inventato tante di quelle storie fantasiose che ormai era difficile capire dove fosse il confine fra realtà e fantasia.

Il professore gli sorrise gentilmente, indicandogli una poltrona: «Accomodati, ti prego. Mi hanno detto che hai bisogno del mio aiuto.»

Il ragazzo si sedette di scatto, nervosamente: «G… grazie per aver accettato di vedermi, Professor Elric

«Figurati, nessun problema. Non ti prometto nulla, perché miracoli non ne faccio, ma non nego mai il mio aiuto a nessuno. A proposito, pare che tu conosca me, mentre io non so nulla di te.»

Il ragazzo scattò nuovamente in piedi, quasi l’avessero fulminato: «Oh, mi scusi, che maleducato, non mi sono neanche presentato!»

L’uomo sorrise mentre gli porgeva la mano. Il ragazzino, imbarazzato, la strinse.

 

«Selim Bradley.»

 

Il sorriso si pietrificò sul suo volto, mentre la sua mano iniziò a tremare leggermente.

TUM-TUM. TUM-TUM.

«Bradley?»

Il ragazzo sorrise imbarazzato: «Sì, sono il figlio di King Bradley…»

No, non era quello il problema. Non era neanche lontanamente quello il problema.

TUM-TUM. TUM-TUM.

Il problema era quello che il suo cervello continuava a ripescare dalla sua memoria, quel suono che in modo particolarmente sadico continuava a risuonargli nelle orecchie e nella testa.

TUM-TUM. TUM-TUM.

Con tutte le volte che l’aveva incontrato, con tutte le volte in cui si erano scontrati, proprio il rumore metallico di quel maledetto bastoncino sbattuto contro quella che era e allo stesso tempo non era stata la sua testa doveva andare a ricordare?

Alphonse si sedette sulla poltrona, senza forze.

Selim lo guardò preoccupato: «Si sente bene?»

Al alzò lo sguardo a fissare negli occhi la figura che nei suoi ricordi si presentava come un bambino malefico, un homunculus nel vero senso della parola. Ma in quegli occhi non vide traccia di Pride. Quello che lo stava fissando era un ragazzino preoccupato.

«Scusami, sono solo un po’ stanco, sto portando avanti una ricerca e dormo poco la notte.»

Selim sorrise: «Da come aveva reagito, pensavo avesse qualcosa contro mio padre. Ma anche se fosse così non c’è problema, io non l’ho mai conosciuto.»

Alphonse lo guardò sorpreso: «Davvero?»

Il ragazzo annuì e l’uomo continuò: «Io invece sì… e forse ti ho anche visto, quand’eri molto, molto piccolo. Ma dubito che ti possa ricordare di me.»

«In effetti no, mi perdoni.»

«Scusami tu, non è per questo che sei venuto fin qui, giusto? Accomodati, intanto.»

Al non perse un movimento di quel ragazzo. Forse era davvero ciò che diceva di essere. Ma come esserne sicuri?

«Posso ancora chiederti chi ti ha indirizzato da me?»

Selim si guardò i piedi, imbarazzato: «Un amico di famiglia… il signor Roy…»

Alphonse sospirò. Mustang, eh? Se si trattava di lui era qualcosa di serio, poco ma sicuro.

«Va bene, Selim… dimmi, qual è il tuo problema?»

Il ragazzo aspettò un po’, prima di rispondere. Cercava il modo di esporre il suo dilemma senza essere preso per matto.

«Professore… secondo lei… gli incubi possono diventare… reali?»

Al lo guardò perplesso: «Bè… dipende. Le nostre paure e preoccupazioni, se fondate, possono anche…»

Selim scosse la testa: «No, non intendevo questo. Intendevo… letteralmente

«Se volevi attirare la mia attenzione ci sei riuscito. Ti ascolto. Raccontami dall’inizio.»

Il ragazzo sospirò, poi si decise a cominciare: «Da quando mi ricordo, ho sempre avuto un incubo ricorrente. Non continuamente, a volte lo faccio tutte le notti e a volte passano anche mesi da una volta all’altra, ma prima o poi ritorna sempre.»

Alphonse lo incalzò: «Cosa sogni?»

Selim lo descrisse senza mai guardare il professore negli occhi: «Nei miei incubi, indipendentemente dalla mia età reale, ho sempre sei-sette anni. All’inizio cammino nel buio più assoluto, ma non ho paura… anzi, mi sento tranquillo e protetto. Poi si accendono le luci e mi accorgo di essere in un tunnel… o una miniera, non saprei dire esattamente cosa sia. E a quel punto che arriva il mostro.»

«Il mostro?»

«Non ha un vero e proprio corpo, è tutto nero, pieno di occhi e di mani… che mi afferrano e cercano di strozzarmi… e poi c’è quella voce che dice sempre la stessa cosa.»

«Cosa ti dice, Selim

Il ragazzo respira profondamente un paio di volte prima di ripetere: «”Quello è il mio corpo, lasciamelo, Selim, lasciamelo, non è nato per te.”  E poi mi sveglio. Ho sempre pensato che fosse un po’ come… come l’Uomo Nero, il mostro che spaventa i bambini, che continua a tormentarmi anche se sono cresciuto. Una sciocchezza, insomma! Solo che poi…»

Il professore lo guardò con aria molto seria: « Cosa ti ha spinto a venire da me, Selim? Perché adesso?»

Il ragazzo lo guardò sorpreso. Gli credeva davvero? Non lo accusava di essersi presentato lì a fargli perdere tempo?

«Io… io voglio fare il militare, come mio papà. Voglio aiutare le persone come faceva lui. Ma mia madre non vuole e fa di tutto per mettermi i bastoni fra le ruote. Dice che l’esercito le ha già portato via il marito, e che non vuole che le prendano anche me. La capisco e le voglio bene, però…»

Il professore sorrise: «… però a certi sogni non si può dire di no, giusto?»

Selim s’illuminò per un attimo, lieto di aver trovato qualcuno che finalmente lo capisse: «Esatto! Così quando sapevo che facevano il reclutamento, sono scappato di casa e ho cercato di andare…»

«Di nascosto da tua madre, giusto?»

«Già… ma tanto non ha importanza, al reclutamento non ci sono neanche arrivato.»

«Cos’è successo?»

Il ragazzo tornò a fissarsi le ginocchia: «Avevo deciso di passare dai quartieri un po’ più degradati, per non farmi beccare subito da mia madre… ma lì qualcuno ha notato i miei vestiti e mi hanno aggredito. Non so perché… per soldi, per chiedere un riscatto, per invidia, non lo so e sinceramente non mi interessa… mi preoccupa di più cosa è successo quando mi hanno preso. Lì… lì… io… io…»

Selim nascose il volto fra le mani, gli occhi sbarrati, incapaci di scordare quelle immagini.

Il professore ripeté di nuovo: «Cos’è successo, Selim

«Ricordo solo… che avevo paura… io non ho fatto niente, lo giuro! Non ho fatto niente! O almeno credo di non essere stato io… ma se non sono stato io non saprei spiegare quello che…»

Alphonse non disse più nulla, si limitò a prendergli una mano e ad aspettare che il ragazzo trovasse il coraggio di parlare.

«Insomma, non mi chieda come, ma sono comparse!»

«Cosa, Selim? Cosa è comparso?»

«LE MANI! Le mani nere! Sono uscite… sono uscite dalla… dalla mia ombra! Li hanno presi, ma quelli si sono divincolati e sono scappati… e sono scappato anch’io. Non da loro. È stupido, lo so… ma io cercavo di scappare dalla mia ombra! E quella, normalmente, beffardamente, mi seguiva… non riesco più a guardare la mia ombra tranquillamente da quel giorno. Non me lo sono inventato, professore, glielo giuro, è vero! È VERO! LA MIA OMBRA SI È ANIMATA E LI HA AGGREDITI! Ma io… io non volevo… io…»

Il professore sospirò profondamente: «L’hai raccontato a tua madre?»

Selim scosse la testa, vergognandosi di non essere riuscito a mantenere la calma di fronte al signor Elric: «Mia madre non sa nemmeno della mia scappatella.»

«Ma l’hai detto al signor Roy, giusto?»

«Se… se non lo dicevo a qualcuno… impazzivo…»

Alphonse si alzò: «Capisco… vieni qui, Selim

Il ragazzo, perplesso, si avvicinò all’uomo che stava indicandogli una grossa cartina appesa al muro. Non ebbe il tempo di chiedersi cosa c’entrasse con il suo problema che il professore, con un brusco e violento gesto, si girò su se stesso facendo perno su una gamba, lo sbatté al muro e iniziò a premere con forza l’avambraccio destro sul suo collo.

Preso completamente alla sprovvista, Selim non riuscì a ribellarsi in alcun modo. Solo quando si ritrovò al muro e iniziò a sentire l’aria mancargli, si rese conto di cosa stava succedendo. Il ragazzo cercò di divincolarsi, di staccare il braccio dell’uomo dalla sua gola, ma la sua presa sembrava d’acciaio. Cosa aveva al posto delle mani, degli automail? Voleva gridare, reagire, ma sembrava tutto inutile. Era venuto fin lì per farsi aiutare e invece al primo accenno di qualcosa di strano ecco com’era finita. Doveva aspettarselo. Dalla sua storia chiunque l’avrebbe preso per un mostro. Chiuse gli occhi per timore di vedere il volto dell’uomo. Aveva paura di cosa avrebbe potuto leggere nel suo sguardo.

E poi, quando in un moto di rabbia aveva tirato un pugno al muro…tutto finì.

Selim si ritrovò in ginocchio, paonazzo, a tossire. Inginocchiato su di lui, il professore lo aiutò a rialzarsi e a sedersi sulla poltrona. Il ragazzo era confuso, ma non aveva la forza di ribellarsi.

Alphonse gli porse un bicchiere d’acqua, con lo sguardo serio e preoccupato: «Ti chiedo scusa, Selim, non avevo davvero intenzione di farti del male. Soltanto, volevo assicurarmi che la storia che mi avevi raccontato fosse vera e l’unico modo per farlo era metterti nella stessa situazione che mi avevi descritto. Se ti avvertivo delle mie intenzioni, non avrebbe funzionato.»

Selim assunse nuovamente un colorito normale: «A-alla faccia dell’effetto sorpresa…»

Il professore sorrise leggermente e dopo che Selim ebbe bevuto, tornò a sedersi. Solo a quel punto il ragazzo fu assalito da un dubbio.

«Ma alla fine… è comparso?»

Alphonse annuì: «Sì, a un certo punto dalla tua ombra sono uscite le… “mani nere” di cui parlavi e hanno cercato di aggredirmi. A quel punto ti ho lasciato andare.»

Il ragazzo si strinse nelle spalle, senza trovare il coraggio di alzare gli occhi dal bicchiere: «Cosa… cosa sono?»

«È presto per fare ipotesi, ragazzo mio. Solo…»

La porta si socchiuse: «Vi ho portato il tè…»

Con uno scatto sorprendente per un uomo di quella stazza, Alphonse scattò verso la porta, impedendone l’apertura: «Grazie, Mei, ci penso io. Vai pure di là.»

Una vocina femminile disse: «Ma…»

«Per favore, vai

«Ok…»

L’uomo richiuse la porta, con il vassoio in mano, e sorrise: «Ti chiedo scusa per il mio comportamento maleducato. Mia moglie viene da Ching e lì sono molto superstiziosi. Se avesse sentito anche solo una parola del discorso che stavamo facendo qua dentro l’avresti vista riempire la stanza di amuleti!»

Selim sorrise a sua volta, imbarazzato: «Capisco…»

Alphonse appoggiò il vassoio sul tavolo e tornò a sedersi: «Tornando a noi… è un po’ presto per fare ipotesi concrete. Non è una cosa che risolveremo in un pomeriggio. Ho sentito parlare di fenomeni simili, ma è la prima volta che ne vedo uno di persona. Ma prima, ho bisogno di un’ultima informazione. Qual è esattamente il tuo scopo? Perché sei venuto da me?»

Selim si rigirò la tazza fra le mani: «Per capire cos’è, perché mi succede… e fare in modo che non faccia del male a nessuno.»

«Direi di partire dal secondo punto. Possiamo lavorare per fare in modo di renderlo controllabile. Da quel che ho potuto capire compare solo come autodifesa in situazioni di pericolo, ma se davvero vuoi intraprendere la carriera militare tali occasioni aumenteranno esponenzialmente e dobbiamo essere sicuri che tu in questi casi aggredisca davvero solo il tuo assalitore e non, per esempio, i tuoi commilitoni presenti nei dintorni. Per quanto riguarda le origini del fenomeno, sarà un lungo lavoro. Dovrai raccontarmi tutto su di te e sulla tua famiglia. Te la senti?»

Il ragazzo annuì senza esitazione: «Sono qui per questo. E qualunque aiuto sarà gradito, sarà sempre più di quello che potrei fare da solo. La ringrazio.»

Alphonse s’alzò: «Di nulla. Per oggi direi che può bastare, che ne dici se ci rivedessimo fra un paio di giorni?»

Selim sorrise: «Sarebbe perfetto!»

Il professore accompagnò il ragazzo alla porta con aria tranquilla e paterna, che però svanì immediatamente non appena richiuse la porta. Mei Lin vide solo il marito salire le scale ed entrare nel suo ufficio.

Senza nemmeno accendere la luce, Al si sedette sulla poltrona, a riflettere, con un’espressione tanto simile a quella del defunto Hohenheim.

Oh, quello che aveva raccontato Selim non era certo solo un suo incubo. Al contrario, qualche volta sognava ancora anche lui il ghigno di Pride e di tutti gli altri Homunculus.

La questione era semplice quanto complessa: chi era venuto a chiedergli aiuto? Selim Bradley o Pride? Con chi aveva parlato fino a quel momento?

Muovendosi con sicurezza nel buio, Alphonse prese un oggetto e lo indossò. Il freddo contatto col metallo gli diede un brivido, per un attimo, ma allo stesso tempo gli ridiede anche sicurezza.

Non aveva altra scelta, l’unico modo per distinguere l’homunculus dal ragazzo era aggrapparsi ai suoi ricordi di quattordicenne, di rimettersi per un attimo nei panni dell’imponente armatura senza volto ma dotata di anima che solcava le strade di Amestris in compagnia del suo fratellone, l’Alchimista d’Acciaio. Letteralmente. E, ormai lo sapeva, nulla lo aiutava a riacquistare quel punto di vista quanto rimettersi l’unico pezzo che di quella corazza si era salvato, l’elmo.

Sospirò, a braccia incrociate.

Aveva riconosciuto qualcosa del vecchio Pride nel comportamento di Selim?

No.

Ma Pride era uno specialista dell’imbroglio, aveva ingannato per anni anche la signora Bradley.

Che appunto per questo motivo sarà stata più attenta, questa volta. Senza contare che l’esercito, in realtà lo teneva sotto stretta sorveglianza da prima che lui potesse rendersene conto.

E questo lo portava al secondo punto su cui riflettere.

Roy Mustang.

Glielo aveva indirizzato lui. Il militare conosceva i rischi, poco ma sicuro. Aveva combattuto contro gli Homunculus. L’avevano anche accecato…

La mano andò verso il telefono. Avrebbe potuto cercare di rintracciarlo e chiedergli un parere sulla situazione...

«AAAAAHHH!!!»

Mei Lin gridò e Alphonse scattò subito in piedi.

«Tranquilla, Mei! Sono io!»

«Sei tu... tu, o sei tu...»

Al si tolse l’elmo, sorridendo: «Non sono tornato ad essere un’armatura parlante, stai tranquilla.»

Mei lo guardò con gli occhi lucidi: «Ho avuto paula che...»

Alphonse si avvicinò alla moglie e l’abbracciò: «Lo so.»

Mei si strinse a lui, rassicurata dal sentire il calore del suo corpo contro la sua pelle. Poi, guardò il marito negli occhi, ansiosa: «Cosa succede?»

L’uomo sospirò, grave: «Potrebbe essere tornato un incubo con cui pensavo di aver chiuso per sempre. Potrei doverlo affrontare ancora. O forse invece no, probabilmente non avrò modo di capirlo fino a che non sarà troppo tardi.»

«C’entla il lagazzo di plima? Cosa posso fale pel aiutalti

Alphonse si stacco da Mei e tornò a sedersi: «Quando quel ragazzino tornerà, tu non devi farti vedere. E tieni lontani tutti. Dobbiamo essere solo io e lui.»

«Anche se dovesse venile Ed?»

«Soprattutto se dovesse venire Ed. Ti prego, non chiedermi di più. È già difficile così.»

Mei Lin gli sorrise, dolce e comprensiva: «Mi fido di te.»

Già, il problema era proprio quello. C’erano un po’ troppe persone che si fidavano di lui.

Ma non aveva altra scelta. Doveva tenere fuori da quella storia tutte le persone che avrebbero potuto risvegliare in Selim i ricordi e la personalità di Pride assopite ma non estinte in lui, e il suo amato fratellone era il primo della lista. Dopotutto era stato lui a sconfiggerlo, tanti, troppi anni prima.

Con la coda dell’occhio, si osservò in uno specchio. Lui, Alphonse Elric, era l’unico a non poter risvegliargli strani e ancestrali ricordi. L’unico a non essere più ciò che era allora. L’unico a poterlo fronteggiare con l’alchimia in caso di pericolo. Era per questo che Mustang glielo aveva inviato, ora ne era certo.

Per sicurezza, chiuse il vecchio e rovinato elmo a chiave nel cassetto della sua scrivania. Selim non avrebbe mai dovuto vederlo. Nessuno avrebbe mai dovuto sapere del ragazzo e della sua strana ombra.

Sì, ormai aveva deciso, avrebbe corso il rischio. Se quello era davvero solo il piccolo Selim Bradley, stava affrontando una cosa troppo grande tutta da solo; nessuno sapeva quanto lui cosa significava portare il peso di una verità irraccontabile e pericolosa sulla propria esistenza a quell’età. Lui almeno aveva avuto il suo fratellone. Selim era solo, solo e pronto, a sua insaputa, ad essere ucciso alla prima stranezza dall’esercito.

Era compito suo occuparsi della faccenda.

Suo e di nessun altro.

 

 

 

Buongiorno a tutti! Mi sono decisa a entrare in punta di piedi anche in questa sezione a causa di una piccola, minuscola scenetta dell’ultima puntata di Brotherhood. Non so quanti pazzi oltre a me costruiscano una storia partendo da così pochi elementi, ma spero che l’idea vi piaccia.

Se avete voglia, ditemi cosa ne pensate.

Alla prossima!

 

Hinata 92

  
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