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Autore: Feynman    22/08/2014    5 recensioni
[...] Impedire a Beth di fantasticare, è come impedire a un’aquila di volare o a un pesce di nuotare. I suoi occhi- azzurri come il cielo terso di montagna- sembravano fossero stati creati apposta per i Grandi Sogni, quelli a occhi aperti, quelli che ti colgono all’improvviso anche se non vorresti abbandonarti alle fantasticherie. [...]
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[...] Johanna faceva finta di ascoltare le sue amiche. Lei faceva sempre finta di fare qualsiasi cosa: giocarci, ascoltarle, parlarci. Per lei non era uno sforzo; se ne stava lì, contro il muro della scuola, con gli occhi chiusi e a ricordarsi solo di annuire ogni tanto.[...]
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Johanna e Beth hanno appena tredici anni quando il Caso decide di farle scontrare durante una normale mattinata di maggio.
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In principio





Era una bella giornata di sole e la campanella della ricreazione stava per suonare.

Beth stava già adocchiando il grande ciliegio del giardino della scuola: i primi fiori stavano iniziando a spuntare e, per nulla al mondo, si sarebbe persa quello spettacolo. Anche per quell'anno le ciliegie avrebbero ritardato la loro comparsa.

La lezione di storia non le era mai sembrata così noiosa come quella mattina d’inizio maggio. La storia, come la letteratura, era una delle sue materie preferite e non avrebbe mai immaginato che, alla fine, anche lei sarebbe arrivata a distrarsi; eppure la voce della signorina Adams era così lontana dalle sue orecchie che sembrava provenire da un altro mondo- un’altra epoca.

Il sole voleva entrare, prepotentemente, nell’ampia aula ma i suoi compagni- probabilmente tutti affetti da vampirismo acuto- avevano preferito abbassare le tapparelle e impedire, a quei caldi raggi d’inizio primavera, di entrare e illuminare appieno la stanza.

«Signorina Cricket! Le dispiacerebbe prestare attenzione o Enrico VIII non è di suo gradimento?»

Le guance di Beth si colorirono  visibilmente, cercò di balbettare delle scuse ma fallì miseramente e decise di chiudersi in un imbarazzante silenzio. Tenne la testa bassa sul libro e cercò di prendere appunti. Adorava, in realtà, Enrico VIII e gli scandali della corte inglese, ma quel ciliegio in fiore e il modo in cui i raggi del sole ne illuminavano i sottili rami delicati… era pura poesia! Il grasso e adultero re inglese scendeva, notevolmente, in secondo piano.

Impedire a Beth di fantasticare, è come impedire a un’aquila di volare o a un pesce di nuotare. I suoi occhi- azzurri come il cielo terso di montagna- sembravano fossero stati creati apposta per i Grandi Sogni, quelli a occhi aperti, quelli che ti colgono all’improvviso anche se non vorresti abbandonarti alle fantasticherie.

La penna, inevitabilmente, abbandonò il flusso ordinato degli appunti e seguì linee tutte sue, come dotata di vita propria. Irrefrenabile e impossibile da soggiogare, continuava a viaggiare su quel foglio a righe e, ben presto, quei segni divennero quell’albero.

Solo la campanella dell’intervallo la salvò da un’altra invettiva della professoressa di storia. Nascose il quaderno a possibili occhi indiscreti e affamati di segreti. Prese la merenda e, accodandosi agli altri, uscì nel giardino della scuola media “Charles Dickens”; la piccola prigione color verde mela in cui era costretta a passare il suo tempo.
Scartò, accucciandosi alle radici del delicato ciliegio, il sandwich con marmellata e burro d’arachidi che le aveva preparato sua madre, quella mattina. I libri lo avevano pressato eccessivamente e ora, Beth, si preparava a mangiare un panino anoressico e molliccio.

Accidenti! Perché tutte a me?

«Ma guarda chi c’è, Rog…»

Beth rabbrividì e a nulla servirono i raggi del sole di metà mattinata. Avrebbe riconosciuto quella voce ovunque e sapeva che, presto o tardi, sarebbe tornata a darle il tormento. Quando la primavera arrivava, quando i ghiacciai si scioglievano, quando gli animali uscivano dal letargo anche Roger Buckett e Cameron Flaherty- il suo compare- facevano la loro comparsa.
La ragazzina dai capelli castani era per quei due, il corrispettivo di un riccio per un SUV: invisibile. Eppure adoravano- vista la sua presunta invisibilità- darle il tormento quando i primi caldi facevano la loro comparsa su quell’oasi di pace- come sosteneva la loro vecchia direttrice- dove i bambini imparano a convivere e condividere.

Beth, in quei tre anni, aveva solo imparato a correre veloce.

«È lo scarafaggio, Cam?»

«A me mi¹ sembra lei, Rog. Non è mica uno scarafaggio»

Non si dice “a me mi”, ignorante d’un facocero!
Come le sarebbe piaciuto urlarglielo in faccia. Come le sarebbe piaciuto porre fine a quelle parole, a quelle chiacchiere inutili. Quanto avrebbe voluto farli cadere e guardarli, vittoriosa.
Niente sarebbe uscito dalle tremanti labbra di Beth. Insulto o supplica che fosse. Sarebbe rimasta lì, contro le radici del delicato ciliegio in fiore, tenendo alta la sua bandiera bianca- un tremante e paralizzato riccio davanti a morte certa.

«Lo scarafaggio sta mangiando la sua cacca?»

«Rog… quello è un panino»

La bambina si trattenne dal roteare gli occhi verso i rami più alti. Non erano in grado neanche di minacciarla seriamente e Roger- il più alto e cattivo- parlava con i pugni.

Il mutismo di Beth non faceva altro che aizzarli contro di lei- ferma e immobile contro l’albero- con gli occhi puntati verso i volti dei due ragazzini. Frequentavano una classe diversa dalla sua. Avevano la stessa età. Roger era persino il suo vicino di casa. L’altro giorno, alla festa del paese, le aveva regalato una girandola con i colori dell’arcobaleno: se l’avesse girata forte, le disse, sarebbero scomparsi tutti i colori e lei, fidandosi, lo aveva fatto; tutti i colori della girandola si erano come fusi e furono sostituiti dal bianco- un bianco sporco. Beth gli aveva sorriso. Roger aveva ricambiato e aveva nascosto un leggero rossore sulle guance paffute.

«Lo so, stupido!»

Beth continuava a guardarli litigare. Sarebbe potuta scappare. Roger stava spiegando a quel facocero di Cameron il senso delle sue parole: non era così complicato, accidenti!

Se vado ora… non si accorgeranno di me.

Un passo alla volta, lentamente come la gazzella nella savana. Sarebbe scappata in fretta, si sarebbe nascosta nel bagno delle femmine e avrebbe atteso il suono della campanella… adesso avrebbe preferito assistere a quella lezione su Enrico VIII.

«Non così in fretta, Beth»

Roger la afferrò per la bretella del vestitino blu e la gettò, di nuovo e malamente, contro le radici dell’albero. Di nuovo braccata, di nuovo al muro. Correva così tanto il cuore di una gazzella?


 
oOo
 


Johanna faceva finta di ascoltare le sue amiche. Lei faceva sempre finta di fare qualsiasi cosa: giocarci, ascoltarle, parlarci. Per lei non era uno sforzo; se ne stava lì, contro il muro della scuola, con gli occhi chiusi e a ricordarsi solo di annuire ogni tanto.
Addentò un pezzo del suo sandwich prosciutto e maionese mentre la sua testa, come uno di quei cagnolini sopra i cofani delle auto, continuava a fare su e giù. Alle sue compagne, evidentemente, andava bene così o le avrebbero detto di smetterla.

In realtà odiava quelle inutili chiacchiere e ne avrebbe volentieri fatto a meno- insomma, a chi frega con chi esce Ramona Paddington?

Avrebbe volentieri azzittito quelle tre galline bionde con un paio di frecciate ben mirate ma... quella non era lei; non con loro, almeno.
Odiava il fatto di star diventando come sua sorella: fredda, solitaria e calcolatrice. Non poteva far altro, Johanna, se non trattenersi dal guardare tutti con disgusto e superiorità- erano tutti così maledettamente noiosi...

«Roger sta di nuovo dando fastidio a Cricket» le sussurrò nell'orecchio Christina.

«Cretino»

Johanna era laconica, lapidaria. Non si perdeva in complimenti o chiacchiere inutili. Odiava ripetere le cose ma quelle idiote di cui si era circondata ancora non lo capivano.

La ragazzina aprì leggermente gli occhi e vide Roger, un suo compagno di classe, stringere un'altra ragazzina- Cricket, a quanto le aveva detto Christina- contro le radici del ciliegio. Johanna, in quel momento, si sentì colpevole e non riusciva a dare un significato a quella sensazione: che colpa ne aveva lei? Picchiava Roger quasi quanto lui alzava le mani sugli gli altri. Non si era più permesso di darle fastidio o di azzardarsi a tirarle le trecce da quella volta... aveva cambiato vittime e gusti, a quanto pareva.

«Gli insegnanti dovrebbero... »

Amanda, non ti perdere in conversazioni che non puoi affrontare.

Le insegnanti non avevano mai fatto nulla. Si dicevano che erano i giochi dei bambini moderni come se il bullismo, le botte o le prepotenze fossero cose del duemila; come se fosse tutta colpa di Internet.
Johanna era ipnotizzata dalla figura- gentile, delicata e bisognosa d'aiuto- di quella ragazzina dai capelli color cioccolato. Aveva una corporatura esile e perfetta per essere protetta; sembrava una di quelle donzelle in pericolo che si erano perdute nei boschi...- Jo, ma che roba pensi?

«Qualcuno dovrebbe fare qualcosa»

Qualcuno, qualcuno, qualcuno. Sempre qualcun altro doveva fare qualcosa. Nessuno si sarebbe alzato, nessuno avrebbe smesso di giocare solo per dare una mano a una Cricket qualunque contro un Roger insulso e così stupidamente spaventoso.

Johanna voleva ridere.

Voleva alzarsi, guardare Amanda negli occhi e riderle in faccia. Le avrebbe sputato tutto il suo disprezzo- tutta quella bile inghiottita- farla piangere e dirle che nessun signor Qualcuno sarebbe accorso in suo aiuto. Amanda sarebbe stata la sua Cricket e Johanna il suo Roger.
Sua madre sarebbe rabbrividita davanti a pensieri del genere. Era la sua bambina dai lunghi capelli dorati; la sua Alice alla perenne ricerca di un coniglio col panciotto.

«Perché nessuno...»

«Dannazione, Amanda! Vacci tu, allora! Nessuno accorrerà! Non è una maledetta favola, questa!»

Gli occhi scuri di Amanda si spalancarono. Le sue labbra si aprirono e una piccola "o" vide la luce. Chiuse e aprì le mani più volte- perché la ricopiavano tutte? Quello era il suo movimento! Solo suo e di nessun altro!

«Perché non ci vai tu, Hanna?»

Odiava tutto di quelle ragazzine. Continuavano a chiamarla “Hanna” perché “Jo” è da maschio, perché non sta bene, perché va contro gli insegnamenti delle loro madri borghesi e benpensanti e… sentiva il sangue scorrere veloce nelle vene del collo. Avvertiva le guance farsi calde. Christina, alla sua sinistra, sembrava stesse assistendo a un triplo omicidio tanto le sue pupille erano dilatate.
Amanda, con le braccia conserte al petto, la guardava con sfida. Aveva gettato il guanto a terra e si aspettava che Johanna lo raccogliesse- meglio presto che tardi, forse.


 
oOo


 
«Pensi che abbia finito, scarafaggio?»

Certo che non aveva finito.

Roger non aveva neanche iniziato a divertirsi.

Il primo calcio arrivò un attimo dopo; Beth aveva fatto l’errore di guardarlo negli occhi e lui non vi aveva scorto paura, timore, supplica o la sconosciuta abnegazione.

Roger colpì forte allo stomaco. Sentì la punta delle All Star nere premerle sulla pelle. Sentì qualcosa incrinarsi e le prime lacrime- riflesso di un dolore troppo forte- pungerle sulle palpebre. Trattenne un gemito perché, dopotutto, anche se a terra e dolorante, uno straccio di orgoglio lo aveva ancora. Perché lei conosceva Roger e sapeva che lo faceva solo per Flaherty e gli altri. Lei sapeva che non tutti hanno il coraggio, a tredici anni, di opporsi e di distinguersi; non lo aveva nemmeno lei, a volte.

«Buckett, non credi sia abbastanza?»

«Non scassare, Kidson. Non sono affari tuoi»

Roger puntò lo sguardo verde, acquoso e assente in quello blu scuro di Johanna.

Beth alzò di nuovo lo sguardo.

Aveva visto spesso quella ragazzina in giro, nei corridoi della scuola. Era sempre insieme a un gruppo di ochette e l’aveva sempre vista ridere compostamente e il sorriso non arrivava mai fino agli occhi- erano sempre così spenti nonostante fossero così blu.

«Lo dico io cos’è affar mio e cosa no, Buckett. Lasciala stare»
«Le cerchi anche te, forse?»

«Flaherty- fece lei spostando lo sguardo sul ragazzino più basso- non provocarmi. Non vorrei essere costretta a ricordarti com’è finita l’ultima volta»

Johanna fece un leggero cenno con gli occhi a Beth: le stava dicendo di correre. La ragazzina non cercava una rissa; stava creando un espediente, una via di fuga per qualunque direzione.
Beth, alle spalle di Roger, annuì leggermente e cercò di tirare su il busto tenendosi, con le mani, la pancia dolorante. Il panino, con un solo morso, era caduto a terra fra le radici del ciliegio e una colonna di formiche dalla testa rossa lo aveva già preso d’assalto.
Johanna continuava a far parlare Roger mentre aveva azzittito e congelato Flaherty sul posto. Evidentemente l’altra volta non era stata piacevole per nessuno dei due ragazzini e così, dolorante, Beth colse la palla al balzo e cercò perfino di correre per raggiungere l’entrata della scuola. Il busto di marmo di Charles Dickens la stava amabilmente guardando e sembrava nutrisse grandi speranze come se, quella faccia di bronzo baffuta, sapesse fin troppe cose… ma lo sguardo azzurro di Beth non si soffermò troppo e corse, invece, verso l’orizzonte del corridoio.

Classe. Devo tornare in classe.

Chiuse la porta e appoggiò le mani- tremanti e sudaticce- alla maniglia antipanico rossa. Respirò in fretta. Grandi boccate d’aria entravano e uscivano dai suoi polmoni da tredicenne. Sembrava una rondine caduta dal nido, in quel momento. Lacrime di rabbia rischiavano di tradirla e, in fretta, si diresse verso il suo banco, prese un quaderno e iniziò a scarabocchiarne i fogli con una matita blu oltremare.


 
oOo
 


Roger Buckett e Cameron Flaherty erano due buffoni e tutti lo sapevano.

Quello che gli altri non volevano ammettere era che ci fosse una sorta di tacito accordo tra loro- i bulletti delle scuole medie- e gli altri, la massa, gli studenti normali. Questi ultimi offrivano loro delle vittime sacrificali- spuntini, perlopiù- e loro non davano troppo fastidio. Buckett e Flaherty erano come due orsi che saccheggiavano, d’improvviso, una pacifica cittadina e nessuno faceva niente perché “da noi si usa così” e Johanna l’aveva sempre odiato.

Beth Cricket aveva il profilo perfetto della vittima: solitaria, pensierosa, troppo intelligente. Evidentemente andava eliminata da qualche tempo e Johanna si chiedeva perché Roger c’avesse impiegato così tanto per darle quel calcio.

La scuola, per quel giorno, era finita.

Johanna non vedeva l’ora di tornare a casa e di godersi il pomeriggio primaverile. Avrebbe letto qualche libro o finito quella sceneggiatura che andava avanti da fin troppo tempo. Qualsiasi cosa, l’avrebbe fatta sotto un tiepido sole e le bastava.

«Ehi!»

Fece fatica a intravedere la Cricket in mezzo a tutta quella folla. Non era una ragazzina molto alta e si confondeva bene fra la gente. Il vestito era un po’ sgualcito e sporco, sull’orlo, di terra e l’erba aveva lasciato qualche evidente segno verde.

«Ehi…»

«Io… ecco… volevo ringraziarti per oggi! Insomma…»

«Non serve. Che mi ringrazi, dico… non serve»

«Mi sembrava il minimo: ecco tutto»

«Johanna, comunque»

«Oh… io mi chiamo Beth»














**Angolo Autrice**

Salve a chi è passato di qui! 
Questa è una storia senza pretese e iniziata di getto per merito di Skadeglaedje che ascolta pazientemente i miei deliri e tutto quello che ne segue. 
Grazie a chiunque sia passato, abbia letto in silenzio e a chi vorrà lasciarmi un parere sia esso, naturalmente, positivo o negativo. 
Alla prossima e grazie ancora ^^
                                  -Feynman




NOTE
1. Naturalmente è un errore voluto. 
   
 
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