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Autore: VeganWanderingWolf    22/08/2014    0 recensioni
questa è la seconda storia della serie '4 di picche' - Vero che Danny si aspettava di poter rivedere qualcuno dei “colleghi” dei 4 di picche, ma forse non così presto e in una situazione tanto potenzialmente grave. Non solo. Dal suo passato rispunta una vecchia conoscenza che sa essere tutt’altro che innocua. E per finire, sembra che la sua vecchia conoscenza abbia individuato con precisione uno dei suoi punti deboli per eccellenza… e che sia ad un passo dall’affondarci le zanne…
Genere: Comico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '4 di picche'
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Introduzione

Eccomi qui. Un’altra storia dei ‘4 di picche’. Non mi dispiace vederli di nuovo all’opera!

In questo secondo match, la faranno da padrone soprattutto due dei personaggi che avete già conosciuto, ma si incontreranno anche gli altri e ne compariranno anche di nuovi… che in realtà più che altro rispuntano da un certo passato di cui non si è ancora detto… beh, vedrete!

Credo che riuscirò a rendere meglio un certo equilibrio tra momenti più d’azione e tensione e momenti più “parole, riflessioni, impressioni” stavolta, o almeno lo spero, visto che credo ormai non ci sia più bisogno  di tante presentazioni dei personaggi. Dunque, i due principali personaggi che compariranno a questo giro saranno ancora più a piede libero del solito! ;)

Inoltre penso che qui il carattere generale sarà un po’ più cupo e buio, in senso necromantico diciamo, ma anche di ambientazione, visto che ci sarà più da fare di notte che di giorno (no, non per colpa del Conte e del suo presunto vampirismo…).

Come sempre fino ad ora, commenti, critiche, opinioni e quant'altro sono bene accetti! Ma aldilà di tutto mi piace semplicemente se chi legge si sollazza almeno quanto io che scrivo con queste storie, e questo spero!

Qui sotto un paio di note tecniche (il minimo indispensabile prima di proseguire) e la copertina che ho raffazzonato su per questa storia. Direi che è tutto… io vado! Buona lettura!

 

(se l’immagine non compare, potete trovarla qui: https://imageshack.com/i/knrLAM2lj )

 

Note tecniche importanti! (leggete almeno questa parte in neretto, grazie!)

-         Questa storia è una continuazione di ‘4 di picche’ (che trovate qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=683066&i=1  ). Quindi per capirla bene a livello di personaggi e così via sarebbe necessario conoscere almeno le basi fondamentali contenute nella prima storia… almeno credo, ma comunque, fate voi, se vi va potete leggervi direttamente questa e quel che viene viene.

-         Attenzione: se non gradite tematiche ‘queer’ (omosessualità, bisessualità, etc etc etc) non proseguite e basta.

-         Questa storia contiene elementi di paranormale e fantasy, ma trattati anche ironicamente, quindi se cercate saghe serie e composte, questo è un altro tipo di esperimento.

-         Ho “preso in prestito” il titolo (volutamente easy) dalla canzone omonima dei ‘the Sparks’, che considero diciamo quindi anche “la canzone d’apertura” di questa storia (che, come da tradizione della prima storia dei ‘4 di picche’, avrà la sua “colonna sonora” :p )

 

(se l’immagine non compare, potete trovarla qui: https://imageshack.com/i/idm905SFj )

 

VeganWanderingWolf

 

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Prologo

(WE’LL MEET AGAIN IN A DREAM)

 

Ancora prima di aprire gli occhi, provò una sensazione davvero singolare. Molto più che come se si stesse semplicemente svegliando, era come se stesse emergendo da una lunga immersione sott’acqua, a riprendere fiato, ancora confuso per l’aver appena rotto la superficie dell’acqua, e spaesato dal fatto di trovarsi improvvisamente in superficie, almeno in parte.

Spalancò gli occhi blu scuro e cercò di mettere a fuoco, ignorando la bruciante sensazione di scarica elettrica che sembrò attraversargli di colpo tutto il corpo, sparendo in un istante ma lasciando dietro di sé una certa prostrazione fisica.

Si trovò seduto per terra, la schiena e la testa appoggiata al muro, e la sua prospettiva molto più bassa della sua effettiva altezza. Un pavimento piuttosto sporco, a ben vedere. Più che la polvere e la mancanza di una recente pulizia, la trascuratezza era data dal fatto che fosse stato calpestato da una moltitudine di scarpe piuttosto fangose, e per via di tutti i piccoli oggetti da spazzatura che lo disseminavano: bicchieri di plastica vuoti, fazzoletti accartocciati, piccoli pezzi di carta gettati o perduti, incluso qualche rimasuglio di cibo. Ma era il minimo indispensabile, considerando che era in corso una festa.

Danny si fece forza e si impose di riconquistare per prima cosa la posizione eretta: sfruttò come appoggio il muro alle sue spalle e si tirò in piedi, mentre si guardava attentamente intorno, analizzando l’ambiente e la situazione con tutti i sensi a sua disposizione. Qualcosa però, lo infastidì ed estraniò da se stesso; i suoi sensi sembravano fastidiosamente limitati, anche se lui pensò di poterlo ricondurre al fatto che si sentiva discretamente stanco e disorientato al momento.

Sì, indubbiamente era in corso una festa, ovunque si trovasse.

A prima vista si sarebbe potuto dire che fosse il pianterreno di una vecchia casa, l’intonaco scrostato e macchiato qui e là lasciava intravedere una solida muratura in mattoni, e la disposizione delle stanze era un po’ complicata. Una volta doveva essere stata una casa nel vero senso del termine, abitata da qualcuno che ci viveva. Ma al momento aveva tutta l’aria di essere una sorta di centro sociale, eventualmente occupato. E lui si trovava in mezzo al pieno svolgimento di un concerto.

C’erano diverse decine di persone: alcune parlavano in gruppetti, o sedevano più o meno stravaccati su divani vecchi e sdruciti che sembravano essere stati da poco recuperati da qualche discarica, alcuni ballavano o accennavano movenze da ballo, benché non ci fosse un vero e proprio spazio dedicato al ballare.

La musica. Danny si chiese come mai non l’avesse notata prima. Ma era come se il suo udito si fosse sincronizzato con qualche secondo di ritardo rispetto al suo effettivo risveglio. Ma ora la sentiva chiaramente. Al di sopra dei rumori di persone che si muovevano, parlavano, emettevano risate o scherzose esclamazioni, vomitavano per il troppo alcool o russavano ormai addormentati alla bell’e meglio in qualche angolo per terra o in un angolo dei divani affollati, risuonavano delle note inconfondibili. I Joy Division suonavano e cantavano ‘Disorder’ grazie a delle casse che spandevano la musica nell’aria. Quasi tutta la strumentazione da concerto da cui fluiva la musica era stipata su un piccolo palco di legno costruito con artigianeria molto improvvisata in un angolo della stanza in cui si trovava, e dietro ad un bancone da bar non meno improvvisato, ma carico di bottiglie e bicchieri, affollato di persone da una parte, mentre dall’altra tre o quattro ragazzi e ragazze facevano la spola tra le ordinazioni e le preparazioni delle bevande richieste e consumate più o meno frettolosamente o distrattamente.

Danny appurò che era notte. Non solo perché c’era piuttosto buio, e una stentorea illuminazione elettrica era tutto ciò che forniva luce a quelle stanze, ma anche per l’odore. Al di là dell’odore di tante persone stipate nelle stanze, di sudore e di zucchero e alcool e di cibo e sigarette, sentiva un odore estremamente famigliare. L’odore di una foresta di notte.

Non poteva crederci. Una foresta? Senza pensarci, Danny si mosse cercando la più vicina porta che desse sull’esterno. Si mosse rapidamente attraverso le persone, che gli erano tutte sconosciute, gli occhi che cercavano quasi affannosamente una soglia verso l’aria aperta. Ma una parte di lui teneva sott’occhio tutti i visi che la sua coda dell’occhio era in grado di catturare rapidamente e lasciar perdere altrettanto in fretta.

Era una folla composta quasi esclusivamente da giovani o giovanissimi, ragazzi e ragazze la cui età doveva oscillare complessivamente tra i sedici e i trent’anni suppergiù. Dallo stile del vestiario e da un nonsoché del loro comportamento, Danny era in grado di appurare anche senza difficoltà che si trattavano di punk, rockers, qualche raro bikers forse, qualche hippy dall’aria stagionata e fuori epoca, per non dire semplicemente fuori luogo, e qualcheduno che sembrava essere capitato lì per caso.

Di colpo Danny si bloccò, come colto da un improvviso dubbio. Lentamente abbassò lo sguardo sul suo corpo, ed ebbe un forte sussulto. Non vedeva quei vestiti da molto tempo, ma non ebbe difficoltà a riconoscerli come propri: un paio di jeans tanto scuri da essere quasi neri, strappati o rammendati alla belle e meglio in più punti e decisamente consumati, un paio di anfibi neri e rovinati dall’intenso uso, una canottiera verde cupo e un giubbotto di jeans nero, il tutto con diverse toppe di gruppi musicali rock, punk e hardcore, una catenina con un lucchetto appesa al collo, e, verificò toccandosi con le dita, diversi piercings alle orecchie, al sopracciglio, persino alle labbra e al naso. Okay, era decisamente una ferramente ambulante. Ed era indubbiamente punk.

Ma c’era un’altra cosa che doveva verificare al più presto. Cambiando idea sul fatto che la sua priorità al momento fosse trovare una porta verso l’esterno, iniziò ad aggirarsi cercando invece qualcos’altro: un vetro, uno specchio, una bottiglia abbastanza grande, qualcosa che potesse riflettere la sua immagine e rispondere all’urgente domanda sul fatto che, se si fosse visto, avrebbe dovuto in qualche modo venire a patti col fatto che al momento aveva diciassette anni.

Aveva attraversato almeno tre stanze ormai, e ancora non aveva trovato un accidenti di specchio, quando decise che era più probabile riuscire a specchiarsi semplicemente in una bottiglia. Fece precipitosamente dietro-front, i suoi movimenti ormai praticamente frenetici e in preda al nervoso e urgente bisogno, e urtò con sgraziata violenza qualcuno.

«Malediz…» Danny riuscì in qualche modo a frenare un torrente di bestemmie, e allungò una mano in un gesto appena decentemente gentile verso la persona contro la quale aveva appena avuto una brutta collisione, col proposito di scusarsi con sincerità e poi passare oltre. «Scusa amico, non…» ma la voce gli morì in gola e la sua mano si bloccò a mezz’aria molto prima di raggiungere la spalla dell’altra persona.

«Quanto entusiasmo, vecchio ragazzo mio!» rise la voce, che gli rispose come se non importasse affatto ciò che lui stava per dire.

Danny guardò la ragazza massaggiarsi con leggerezza la spalla che lui doveva averle brutalmente colpito, come se non provasse in effetti alcun dolore o fastidio. I denti brillarono di una bianchezza stupefacente attraverso il rossetto rosso cupo che le dipingeva le labbra aperte in un sogghigno. E al di sotto delle lunghe ciglia appesantite dal trucco dalle tonalità cupe che metteva in risalto la bellezza del suo viso, i due occhi marrone scuro gli lanciarono un intenso sguardo di complicità fin troppo confidenziale.

Non ebbe bisogno di osservarla più attentamente. Non aveva idea di chi fosse. Ma la ragazza gli stava di fronte e lo guardava come se la pensasse in tutt’altro modo. Così non poté fare a meno di studiarla una seconda volta. Era alta all’incirca quanto lui, con un corpo snello e atletico e con curve femminili che attiravano lo sguardo, vestiva molto semplicemente, con un paio di pantaloni stretti di finta pelle nera, una maglietta nera piuttosto aderente che le lasciava appena scoperta la pancia e il piercing all’ombelico, e una giacchetta di pelle marrone. Indubbiamente era una ragazza bella, anche senza considerare il viso dalla forma regolare, con i lineamenti netti e l’espressione estremamente dominata da una forte volontà e personalità incorniciata dai capelli lunghi e nerissimi, quasi del tutto lisci, tagliati con una frangetta che sottolineava la bellezza del viso e per il resto lunghi fino al seno. Doveva avere al massimo qualche anno in più di lui, ma la sua forte presenza dava l’idea di una donna più matura, e la consapevolezza divertita con cui lo stava a sua volta guardando gli dava la curiosa sensazione che avesse una conoscenza più vecchia, molto più vecchia.

«Colpisci duro, eh ragazzo?» gli rivolse di nuovo la parola, ancora scherzosa e mortalmente seria ad un tempo.

Danny si impose di tornare coi piedi per terra e abbandonare definitivamente le strane divagazioni che una sensazione di improbabile urgenza a proposito di qualcosa che non gli tornava in mente gli suscitavano. Tornò a guardarla in faccia, rassicurando se stesso sul fatto che non doveva essere troppo difficile liberarsi di lei con qualche parola di scusa, breve ed efficace, e poi proseguire con le cose di cui si doveva assolutamente occupare al momento.

«Sì, scusami, non stavo guardando dove andavo… cioè, sì in effetti, ma non ti ho vista. Scusami ancora, spero di non averti fatto male. Comunque… ora io dovrei…» e cercò di aggirarla per andarsene.

Con sua sorpresa lei però allargò un po’ le gambe per piazzarsi più saldamente di fronte a lui. Un lampo di irritazione e avvertimento gli sfuggì dallo sguardo diretto a lei. Se ne accorse troppo tardi per fermarlo, e si stava già sforzando di ricomporre l’espressione in qualcosa di più civilmente inamovibile, quando vide la faccia di lei, e rimase completamente sbalordito.

La ragazza si portò una lattina di birra che aveva in mano alle labbra, fissandolo pensosamente, come se stesse seguendo qualche sua personale riflessione, o più che altro ci stesse giocando. I tre bracciali sottili, argentei e larghi che portava al polso del braccio che aveva sollevato per bere si mossero, tintinnando sonoramente nell’urtarsi e mandando un leggero rumore acutamente cristallino intorno. Il suo non era affatto uno sguardo stupito o in qualche modo colpito dal lampo di momentanea e involontaria rabbia che lui le aveva appena rivolto suo malgrado.

Danny si fermò e la guardò come se non potesse credere a ciò che vedeva. Ma lei sembrava impassibile. Non proprio come se non fosse cosciente del suo stupore, ma come se nemmeno quello le apparisse affatto strano. Anzi, sembrava stesse verificando qualcosa.

«Sei sicuro di sentirti bene? Hai l’aria piuttosto spaesata, ragazzo.» gli domandò, come se si trattasse di una domanda puramente retorica. E ancora c’era un leggero sogghigno agli angoli delle sue labbra, come se la cosa non la potesse lontanamente preoccupare quanto piuttosto divertire eccellentemente.

Danny la studiò di nuovo, più attentamente, ma di nuovo non ne ricavò nulla. Non la conosceva, ma di nuovo era completamente torturato da quella pressante sensazione, come se non riuscisse a ricordarsi di qualcosa di molto importante. Ma qualsiasi cosa fosse, forse poteva riguardare anche questa ragazza che lo fissava come se fosse il suo personale animale domestico, e fosse abituata a trattarlo come un gatto farebbe col topo, prima di dilaniarlo o ingoiarlo in un solo boccone, così come avrebbe preferito, non appena avesse deciso che ne aveva abbastanza di giocare.

«Noi… ci conosciamo?» mormorò Danny, incerto e sospettoso.

La ragazza sembrò diventare appena un po’ meno scherzosa. Focalizzò meglio lo sguardo su di lui e mosse appena la testa all’indietro, come se cercasse di allargare la sua prospettiva per prendere meglio in considerazione lui e ciò che aveva appena detto. Aveva incrociato le braccia sotto al seno, e si teneva la lattina di birra appoggiata all’angolo tra la spalla e l’avambraccio. Dopo pochi istanti, tornò tuttavia a sogghignare giocosamente.

«Non ancora, Danny. Non ancora. Ma sai…» continuò, lentamente, prendendo tranquillamente tempo mentre beveva un altro sorso di birra e ignorava lo sguardo con cui ora la stava considerando lui, trattenendosi dall’interromperla per chiederle come sapesse il suo nome, la fronte corrucciata per la preoccupazione e lo sforzo di capire cosa accidenti stesse succedendo.

«Sai…» riprese lei, tornando a fissarlo, puntandogli lo sguardo dritto negli occhi come se volesse inchiodarlo alla parete con tanto di spilli, come una falena sul panno morbido e spietato di una teca da esposizione «…credo che questa sia la sera giusta. Il momento giusto.»

La ragazza allargò appena le braccia, a indicare tutto ciò che li circondava. «Non ti sembra?» chiese conferma, ancora con tono retorico. Sembrava che non potesse fare a meno di essere retorica in ogni domanda che gli rivolgeva, come se quelle domande fossero semplicemente un qualche intercalare privo di preciso scopo nell’essere pronunciato, o come se sapesse di avere perfettamente ragione, aldilà di qualsiasi cosa lui potesse dirle o ne potesse pensare.

Danny corrugò maggiormente la fronte, e, ignorando il suo gesto, mantenne lo sguardo ben incollato su di lei, i muscoli leggermente tesi in allerta ora, come se presentisse di poter essere attaccato da un momento all’altro. «Chi sei?...» domandò, il tono duro e le labbra tirate e assottigliate in una smorfia di profondo sospetto che lasciava appena più scoperti del necessario i denti mentre parlava.

Lei allargò appena gli occhi e mosse le sopracciglia sottilissime come se fossero disegnate, non propriamente stupita, ma lo sarebbe stata, se non si fosse impedita di esserlo con tanta autodisciplina. Ma più che colpita, sembrava preda di un certo disappunto, come se ritenesse che lui avesse appena mostrato insufficiente accoglienza verso una proposta irrifiutabile. Per un momento un angolo della sua mandibola ebbe un guizzo sottopelle di tensione dei muscoli, segno che aveva stretto più forte i denti. Ma l’istante successivo sembrava di nuovo perfettamente padrona di se stessa.

«Oh, Danny-boy…» gli mormorò di rimando, in tono tranquillo e confidenziale «No, non è questo il modo… davvero, non è questo.»

E poi alzò la mano libera e gli accarezzò leggermente la guancia, in modo gentile ma ancora in qualche modo freddamente superiore, come se stesse giocando e basta. Lui si chiese davvero perché non si fosse semplicemente sottratto al suo gesto, ma poi realizzò che lei si era mossa troppo velocemente. Era molto più veloce dei suoi riflessi, e ciò lo disarmò di nuovo, gettandolo in preda ad uno stupore ancora più inquieto e sinistro. Un presentimento gli corse giù per la schiena come una doccia fredda, e tremò leggermente e involontariamente, benché il palmo della mano che lo toccava fosse caldo e il gesto volesse sembrare rassicurante.

«Non hai sentito?» domandò ancora lei, di nuovo retoricamente, come se sapesse di avere perfettamente ragione. La mano ferma sulla sua guancia in modo possessivo e distaccato ad un tempo, lo guardò negli occhi e per un momento nello sguardo le brillò un’intenzione di sincero ausilio, come se stesse per concedergli un fondamentale indizio, solo per mostrarsi almeno un poco misericordiosa. «Credo proprio che questa sia indubbiamente la nostra canzone. La tua ultima canzone, Danny-boy. Ricordi? L’ultima canzone che vorresti sentire se il mondo stesse per finire. L’ultima canzone che vorresti sentire se stessi per morire.»

E lui concentrò immediatamente i suoi sensi di nuovo sulla musica. Di nuovo, era ‘Disorder’ dei Joy Division. No, realizzò, non ‘di nuovo’. Non era mai cambiata. In tutto quel tempo, da quando si era svegliato seduto su quel pavimento fino ad ora, non era mai cambiata, aveva continuato a finire e a ricominciare, ripetendosi senza tregua.

E allora lui la riconobbe.

«Mara.»

Lei sorrise appena, come se approvasse, e ritrasse la mano annuendo appena, con paziente gentilezza. «E’ il mio nome.» confermò, lanciandogli un occhiolino di ulteriore conferma.

«Cosa ci fai qui?» le domandò, in tono estremamente freddo e corrucciato.

La ragazza alzò un sopracciglio, ancora divertita dalle sue domande, come se fossero sempre tutto sommato piuttosto stupide e ingenue. «Dovresti chiederlo a te stesso. Ma in ogni caso, ora dovresti piuttosto guardare l’orologio. Oh, voglio dire, metaforicamente, visto che non ne hai uno.» precisò, controllando con una rapida occhiata i suoi polsi.

«E’ quasi l’ora.» gli disse, tornando a fissarlo in volto, soddisfatta e sicura di sé, ma ancora distante e in qualche modo fredda, come se stesse svolgendo una qualche commissione. Tuttavia, Danny poteva ancora riconoscere come da tutta la sua persona emanasse un’energia calamitante, e come il semplice fatto che lo guardasse direttamente negli occhi, ogni volta che lei lo faceva, lo legasse più stretto di un malaugurato guinzaglio di ferro.

«L’ora di cosa…?» si sforzò di domandarle, anche se non era affatto sicuro di volerlo sapere, né lo era di non poterlo intuire se avesse finalmente colto con precisione quel punto che al momento continuava a sfuggirgli, per quanto disperatamente lo rincorresse.

«L’ora di andare.» rispose semplicemente lei, come se fosse superfluo precisarlo.

«Andare dove?» insistette lui. Pensava di dover tenere duro sul punto della logicità, così avrebbe finalmente compreso, forse. Anche se l’istinto gli diceva tutt’altro al momento: gli diceva di lasciar perdere, di abbandonarsi completamente al flusso degli eventi, perché essi in fondo erano già precisamente segnati e trascritti, lo erano stati molto tempo addietro, ed era quantomeno inutile se non proprio stupido cercare di opporvicisi.

La ragazza si stava girando per dargli le spalle, come se fosse perfettamente sicura che lui la stesse seguendo, ma udendolo domandare questo si fermò e tornò a voltarsi. Lo considerò per qualche lungo momento, soppesandolo ancora una volta con precisa intenzione, e ancora con un sogghigno accennato all’angolo delle labbra, come se la sua consapevolezza estremamente maggiore la divertisse e soddisfacesse molto bene.

«Danny-boy, oh, guardati. Un ragazzino. Appena scappato di casa. Non vuoi assolutamente tornarci. Ma non sai proprio dove andare. E questo è tutto quello che hai trovato per stasera. Un centro sociale di dubbio interesse effettivo…» e giocò appena con le pupille per rivolgersi con significativo disprezzo superiore al luogo che li circondava, schioccando brevemente la lingua con disappunto «…Niente di meglio per dormire una notte con un tetto sopra alla testa. Non certo una casa, niente che si possa chiamare in quel modo. Ma tu non la vuoi nemmeno più una casa. Certo che no. Allora, devi per forza venire con me. Non sai cosa c’è la fuori? No, non ne hai idea. Posso darti di molto meglio che una casa. Posso darti la notte, tutte le notti. E i giorni, tutti i giorni. Posso darti un nuovo sguardo, un mondo intero, e un nuovo modo di percorrerlo, un nuovo modo di leggerlo, un intero nuovo mondo. No Danny, non rifiuterai. Non lo hai fatto. Vieni con me, Danny-boy. E’ l’ora.»

E la ragazza allungò una mano senza nemmeno guardare e prese una delle sue, mentre già si voltava e iniziava a camminare con tranquilla sicurezza attraverso la folla. E Danny non oppose alcuna resistenza: lasciò che lo prendesse per mano e la seguì, semplicemente la seguì.

Ora aveva capito. Fin da quando avanzò di un passo dietro di lei, finalmente aveva capito. Certo, sapeva che sera era questa. Era quella notte, quella che aveva tracciato per sempre una linea netta nella sua vita. Un punto di non ritorno, che lui aveva già attraversato. Lo ricordava, perciò era già successo. E ora si stava soltanto ripetendo, ineluttabile. L’unica cosa strana, era la differenza della sua consapevolezza.

Allora era stato diverso. Allora Mara non gli aveva parlato così enigmaticamente. Quella notte, lei era semplicemente una ragazza molto bella, una figura che emanava un’affascinante forza di carattere, e lui si era sentito lusingato e incredulo che una simile persona, che sembrava aver l’imbarazzo della scelta su chi poter far cadere ai suoi piedi lì intorno, scegliendo una persona qualsiasi delle decine che affollavano quel centro sociale quella notte, avesse privilegiato proprio lui. Lui non lo sapeva ancora, non sapeva che lei non aveva quel potere solo grazie alla sua bellezza e al suo carattere. Non sapeva niente di niente, allora, e lei aveva pienamente ragione quando diceva che non ne aveva avuto idea allora, del mondo che stava per mostrargli.

Un mondo in cui il modo in cui gli occhi di lei erano in grado di calamitare la devozione di chiunque semplicemente con una serie di sguardi diretti e ben assestati aveva una sua spiegazione naturale. Questione di sopravvivenza: lo sguardo del cacciatore che chiede alla propria preda se sia il suo momento per farsi mordere, fino alla morte, una morte particolare, una vita in un altro mondo, con un altro sguardo, con un altro modo di attraversare il mondo, con un modo completamente diverso di vederlo, leggerlo, annusarlo, ascoltarlo.

Era come se ogni singolo passo che ora stava facendo, attraversando la folla sulla scia di lei che la apriva come se tutto le potesse girare attorno se solo l’avesse veramente voluto, era come una riconferma dall’eco profondo. Sì, ora Danny lo sapeva: era quella notte che era diventato un lupo. Mentre prima era solo un ragazzino scappato di casa, senza precisa meta, senza precisa né lontanamente lucida concezione del mondo o delle sue cose, delle sue persone, delle sue regole e delle sue battaglie pro o contro di esse. Era solo questo, Danny-boy, come diceva lei, in modo fastidiosamente sarcastico, ma a suo modo corretta. Lei aveva già uno sguardo in grado di vedere qualcosa di più. Lei era quella che camminava davanti, era la sua guida, e lui non dubitava affatto che si stesse dirigendo verso la più vicina porta, spalancata sulla foresta di notte. L’ultima porta che lui avrebbe solcato da semplice essere umano.

Se avesse potuto scegliere? Scegliere cosa, quando tutto era già stato fatto tempo addietro? Scegliere cosa, quando quella era solo una ripetizione di qualcosa che era già successo? Il destino esiste solo in questo, così pensava lui, nelle cose che si ripetono. Se avesse potuto scegliere? No, non avrebbe cambiato niente. Non per Mara, non per il suo essere un dannato lupo. Oh, no, giammai. Non poteva dirsi fiero di molte cose, anzi. Non avrebbe mai potuto dire che avrebbe rivissuto tutto quello per Mara, né per la sua vita da lupo. Ma c’era qualcos’altro per cui avrebbe rivissuto tutto. Oh, solo per quello, proprio così. Solo per quello ora seguiva Mara passo dopo passo. Non gli importava cosa pensasse lei, se fosse convinta che lui la seguiva per lei, o per il diventare un lupo. E lui non aveva alcun interessa a correggerla. Nessun interesse a rivelarle che, se la seguiva, era per sfruttarla. Sì, questo era completamente diverso. La prima volta, lei era stata la sua porta per un mondo che non gli era stato chiesto se volesse; più che una porta, un buco nero, una trappola, una tagliola acuminata, nascosta sotto la neve. Questa volta, invece, era lui che sapeva. Sapeva che l’avrebbe sfruttata affinché tutto si ripetesse così come era stato. Perché lui doveva assolutamente ottenere ciò che la prima volta era successo, anche stavolta, e così ogni volta che le cose si fossero ripetute. L’avrebbe sempre seguita attraverso quella maledetta folla sconosciuta, l’avrebbe sempre seguita su quel pavimento lercio, passo dopo passo, verso quella porta aperta verso la foresta di notte. Forse, d’accordo, era anche in parte per amore della foresta di notte. Ma soprattutto per ciò che sarebbe stato dopo.

Camminava dietro la schiena di lei, che non si voltò nemmeno una volta a guardarlo: era certa che l’avrebbe seguita senza opporre resistenza, così sicura del suo potere, o forse del fatto che le cose dovevano per forza ripetersi, per legge ineluttabile, lei sì ci credeva, in una qualche specie di destino. Camminava senza prestare più alcuna attenzione al mondo circostante: tutte le persone, la festa, la musica, tutto dimenticato, come se fosse solo un impalpabile sottofondo completamente superfluo. Prestava appena attenzione al restarle abbastanza vicino da non perderla mai di vista, perché era lei l’unica guida per la strada che doveva assolutamente percorrere, e alla musica in sottofondo, il suo personale requiem: Disorder, Joy Division. A quell’epoca erano ancora tutti vivi. Oh, come si sarebbe stupito qualcuno, un chiunque tra la folla, se lui lo/la avesse presa all’improvviso per la spalla, e, guardando dritto nei suoi occhi, avesse detto che presto sarebbe finita anche per i Joy Division. New Order, un nuovo ordine, un nuovo mondo, nuove regole. Se avesse proposto questo gioco di parole a Mara, sicuramente lei avrebbe apprezzato. La conosceva. E appunto perché la conosceva, non aveva alcun interesse nel farla ridere.

Lei era lì solo per essere la sua guida, lui la doveva semplicemente utilizzare come tale. Non era nemmeno sicuro che fosse proprio lì, che fosse proprio lei, piuttosto che una sua proiezione di lei. Nemmeno lui era proprio sicuro di essere davvero lì, di essere davvero lui, piuttosto che una propria proiezione di un se stesso, di chi era stato.

Poi, qualcuno lo urtò di lato, alla spalla. Non fu un urto significativo, anzi, avrebbe potuto tranquillamente continuare a camminare senza nemmeno perdere la direzione dei passi. Ma la cosa lo stupì al punto da spezzare bruscamente per un momento quella sorta di stato di tranche. E poi il mondo intorno si bloccò, o meglio, il tempo si bloccò. Tutto era immobile, tutti erano immobili, tranne lui e la figura che lo aveva urtato, ed era caduto il silenzio, i Joy Division non suonavano più dalle casse.

Danny voltò bruscamente la testa verso la persona che aveva urtato e sussultò appena. Era troppo freddo e distante al momento: quella era la notte in cui tutto era mutato per sempre, in cui avrebbe attraversato un tipo di morte e di nascita. Non poteva davvero sentirsi troppo libero di sentire qualcosa, di provare realmente dei sentimenti, non quella notte. Se non fosse stato per quello, dopo un enorme stupore probabilmente sarebbe stato estremamente felice di vedere quel viso. Ma ora, tutto ciò che riuscì a suscitargli il riconoscimento dell’altra persona, fu uno scintillio negli occhi, come se una leggera rivelazione di qualcosa di importante gli solleticasse le pupille.

E lei gli sorrise appena, avendo sicuramente colto quel luccichio. Gli occhi verdi, profondi come un pozzo e non meno densi di mistero e significati sottoterra gli ricambiarono brevemente quello scintillio, come un occhiolino di complicità pacata ma, a suo modo, pregna di esclusiva affettuosità.

Lui decise di non pronunciare il suo nome, e di non dire niente. Aveva la sensazione che se l’avesse fatto, lei sarebbe scomparsa immediatamente, come se non dovesse trovarsi lì, e ogni minima cosa troppo chiara a quel riguardo potesse rompere quel trucco illusionistico. E, davvero, lei non avrebbe dovuto trovarsi lì. Non era ancora il tempo. L’avrebbe incontrata solo molti anni dopo. Lei non c’era affatto quella notte, quando lui aveva seguito un lupo nella foresta.

Perciò, fu con suo grande sollievo che sentì la voce di lei. Zoal parlò per prima.

«Sai dove stai andando, vero?» gli chiese, la sua voce calma e profonda come se fosse perfettamente accordata sulla frequenza necessaria per non disturbare le linee del tempo che scorrevano loro attorno; tanta cauta saggezza, eppure spandendo intorno la sensazione che le sarebbe bastato alzare una mano con piena tranquillità per scatenare una tempesta che avrebbe fatto agitare quelle linee come serpenti impazziti. Ma solo se avesse voluto. Non per gioco, ma per preciso scopo. E lui si chiese, non senza una certa timorosa aspettativa, quale potesse essere il suo scopo ora, perché fosse lì. Perché, forse qualcosa in quello sguardo verde, calmo, elegantemente deciso e preciso, e un poco impertinentemente clandestino, gli suggeriva che lei sapesse benissimo dove si trovava, e perché.

«Sì. Lo so. So che notte è questa.» rispose lui, altrettanto calmo e serio, accordandosi al tono di lei. Se seguiva il modo in cui lei si stava muovendo all’interno di quel luogo, forse avrebbe potuto trattenerla lì abbastanza da capire.

«Perché vuoi andare?» gli domandò, seria e significativa, e allo stesso tempo leggera come una sciocchezza affettuosa, uno scherzo del destino.

«Perché se non vado, non diventerò un lupo. E se questo non accadrà, non avverrà tutto il resto. Capisci a che cosa mi riferisco?» ma vide che lei non era sicura di cosa voleva intendere, e si sforzò di continuare. Qualcosa gli suggeriva che Mara, al momento, ovunque si trovasse, perché non la vedeva più davanti a sé, come se fosse andata avanti e fosse scomparsa nella folla, non poteva sentire la loro conversazione. «Se non diventerò un lupo, noi non ci incontreremo mai. Io e te. E tutti gli altri e le altre. Non vi incontrerò mai se non andrà così com’è andata.»

Per un lungo momento lo sguardo di Zoal tradì un sentimento più diligentemente umano: una profonda tristezza, forse quasi commossa. E la donna si prese il suo tempo, e lui non osò farle fretta, benché in quel momento non ci fosse altro al mondo che desiderasse sentire più della sua risposta. Sembrava che dietro gli occhi verdi si stessero replicando tutte le cose che avevano vissuto insieme. Danny tremò, scorgendole appena, immagini troppo veloci, ma chiare e nette perché potevano trovare un sicuro eco nella sua memoria, nella quale erano profondamente incise. Non solo tutte le loro avventure, non solo i pericoli e le battaglie, in cui avere un lupo nella squadra era stato decisamente importante anche per l’incolumità degli altri talvolta, non solo tutti i momenti che avevano passato insieme, le chiacchiere, gli scherzi, gli imbrogli, non solo tutto quello e molto altro ancora, ma come un intero mondo.

Poi Zoal alzò meglio la testa, in qualche modo la sua solennità incrinata dallo strascico di quella triste consapevolezza che l’aveva pervasa. «Il destino non esiste. Tu lo sai. Tutti i giochi di tempo non sono che trucchi. E questo non può essere reale. Certamente lo sai, in una parte di te lo sai benissimo.»

Danny trasecolò appena, ma poi si ritenne stupido nel non aver pensato che Zoal potesse sapere fin troppo bene anche ciò che lui non diceva né mostrava chiaramente. «Lo so. Ma è così che deve andare per me, in ogni modo. Mi fa troppa paura un’altra possibilità. Una possibilità in cui non ci siamo mai incontrati. Non potrei mai rischiare. In nessun caso.»

Zoal ascoltò con attenzione le sue parole, poi annuì appena, ancora seria, come se avesse compreso perfettamente, come se fosse in grado di comprendere la misura delle parole molto al di là della loro immagine superficiale, misurare la profondità delle loro radici in chi le pronunciava, quando e come e perché e per chi.

«Ascoltami, Danny.» disse poi, la voce ancora più profonda. E il mondo intorno riprese a scorrere al suono del nome, come se il trucco si stesse spezzando. La musica e il rumore ripresero, e Danny voltò lo sguardo verso dove aveva visto Mara sparire tra la folla, timoroso di vederla tornare, timoroso che lei vedesse Zoal e comprendesse qualcosa. Ora aveva la sensazione che quella potesse essere la vera Mara, in qualche modo, e non una sua semplice proiezione rispuntata dai suoi ricordi. Sentì Zoal accostarglisi al fianco, un ottimo modo per parlargli all’orecchio senza dare molto a vedere a chiunque che stavano parlando.

«Sta arrivando qualcosa.» mormorò nel suo orecchio, con voce all’improvviso decisamente più grave. «Forse non sarà così semplice, per te. Ma io so chi sei. So che tu puoi attraversare tutto questo. Spero che tu non abbia mai pensato che io ti abbia mai considerato in altro modo che questo. Tu puoi passare attraverso tutto questo. Per noi? Non sai quanto ne sono lusingata. Ma, per qualsiasi motivo tu lo facessi, in ogni caso tu puoi riuscirci. E… non dimenticarlo: noi ci incontreremo sempre. Qualsiasi cosa succeda. Qualsiasi cosa possa capitare. Il caso ha già scelto, e il caos è già divenuto fatto. Tutto il resto, non è che illusione e chiacchiere a proposito di destino. Ma tu hai qualcosa di meglio in cui puoi riporre la tua fiducia e fede. Ricordati solo questo, il resto puoi dimenticarlo, ma ricorda solo queste parole, Danny! Ricorda: noi ci incontreremo in ogni caso, qualsiasi cosa accada, saremo fianco a fianco.»

Poi Danny sentì una mano di Zoal cercare la sua, e immediatamente ricambiò la stretta. Sentì contro il palmo la consistenza di qualcosa, e Zoal che gliela spingeva in mano. Poi sentì la donna staccarsi dal suo fianco, e appena qualche frazione di secondo dopo Mara ricomparve dalla folla, e i suoi occhi calamitanti e imperiosi si puntarono con precisione su di lui, come se non avesse realmente bisogno di vederlo per sapere dove l’avrebbe trovato.

Per qualche momento ancora lui rimase immobile, verificando che lo sguardo di lei stesse fissando solo lui, e non fosse attirato da nessun’altro in quella folla. Con sollievo, vide che era proprio così. Zoal doveva essere sparita, precisa e puntuale come il tempo infinito, esistita solo nel momento in cui doveva finire di dirgli ciò che voleva, e non più lì ora, prima che Mara potesse anche solo sospettare la sua presenza. Mara lo stava guardando come prima, perfettamente sicura del suo potere su di lui, affatto preoccupata di dover essere dovuta tornare un poco sui suoi passi e di non averlo trovato proprio dietro di sé. Lei si riteneva abbastanza superiore da poter guardare all’esitazione di lui con indulgenza.

Danny trattenne un sogghigno, per non tradirsi sotto lo sguardo di Mara. Oh, lui lo sapeva, che Zoal poteva muoversi molto al di sopra di lei, poteva apparire e scomparire, poteva intercettare le sue prede senza che nemmeno lei lo sospettasse. Molto più elegante di lei, in ogni senso riguardasse l’abilità nei trucchi e anche oltre.

Mara incrociò le braccia sotto il seno e assunse un’accattivante posa di invito ed attesa, come a suggerire che lui avrebbe fatto meglio a riprendersi in fretta e a non peggiorare la sua situazione dandole la possibilità di cambiare idea riguardo al privilegiarlo di tanta attenzione e considerazione. Danny fece uno sforzo sulla sua volontà. Era inutile aspettare ancora. Non sarebbe successo più niente, niente e nessuno avrebbe potuto venirgli a portare un poco di consolazione o coraggio in quel momento, per dargli forza ora che stava per attraversare quella soglia. C’era solo Mara, che lo aspettava per portarlo fuori. Così lui riprese a camminare verso di lei.

Ma mantenne stretto chiuso il pugno. Quella sarebbe stata la sua forza. Mara non poteva nemmeno immaginare cosa lui stringesse nascosto nel nido delle dita chiuse, dritto contro il palmo, come se una parte del suo cuore, almeno una parte, potesse così esserle celata per sempre, per quanto stravolgente potesse essere per lui ciò che stava per accadere. Non poteva aprire la mano e guardare di cosa si trattasse, perché sapeva che ora Mara non si sarebbe più fatta sfuggire alcun suo movimento. Eppure, in qualche modo, sapeva che non poteva trattarsi di nient’altro di ciò che lui immaginava.

Una parte del suo cuore. Una specie di cuore, ma nero, e con un peduncolo, al centro di un cartoncino rettangolare bianco, e ad ogni angolo una sua riproduzione più in piccolo, sormontata dalla cifra ‘4’ sempre in nero. Una carta che non esiste. Un asso di picche e un quattro di picche allo stesso tempo. Il suo asso nel pugno stretto. E con quello, seguì Mara attraverso la soglia della porta aperta, superò la soglia, dritto nella foresta di notte.

E il freddo lo aggredì, specie sulla gola scoperta, con ferocia. Lui strinse i denti, in qualche modo ricordando a se stesso che le zanne erano nella sua bocca, e non nell’aria così fredda… così fredda… proprio come lo era stata la prima volta, quella stessa notte.

 

 

Note dello scribacchiatore: è finito per venire fuori un prologo piuttosto lunghetto. Ma la mia attuale dubbia abilità scribacchiatoria richiede il suo spazio per potersi esprimere come può in certe importanze. Spero questo sia un bentornato come si deve ai ‘4 di picche’! Colpiti/e? Incuriositi/e? Non ci avete capito niente, avete qualche sospetto o siete rimasti/e indifferenti e basta? Come sempre, se vi va scrivete quel che vi pare a commento, a me, come volete. In ogni caso, spero semplicemente che vi piaccia leggere ciò che scribacchio almeno quanto mi sollazzo io nello scriverlo. Al prossimo – nonché vero e proprio 1° - capitolo!

 

  
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