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Autore: SkepticDame    25/08/2014    1 recensioni
Incontro tra Raphael ed Amy.
Non ho mai letto da nessuna parte cosa davvero sia accaduto durante il loro incontro ma mi è piaciuto immaginarlo, immaginare l'inaspettata evoluzione emotiva di entrambi, l'inizio di una rapporto così stretto. L'uno dipendente dall'altro.
Ecco cosa succede quando si incontra l'unica persona a cui si sente di poter dare la totale fiducia.
Prima e non ultima one-shot su di loro.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Amy Sorel, Raphael Sorel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Raphael stava correndo a perdifiato, percorrendo le viuzze che più potevano cammuffarlo nell'oscurità. I suoi passi ticchettavano in ogni direzione, seguiti da dozzine di scalpitii pesanti e arrabbiati. Le guardie francesi gridavano e le loro voci riecheggiavano assieme alle grida confuse della povera gente che malamente dava indicazioni o preferiva spesso concedere un silenzio timoroso. Si sentiva ormai debole. Le forze lo stavano abbandonando ma continuò a darsi l'ordine di non mollare, di non aiutarli a seppellire la sua esistenza destinata ad un lungo periodo buio all'interno di una prigione che, in parte, non meritava. In fondo non era colpa sua se quel nobile era giunto sull'orlo della pazzia fino a tentare di ucciderlo. Non era colpa sua se per difendersi dovette trafiggerlo. Ma entrambe le famiglie reali non sapevano tutta la storia che c'era dietro e si limitarono ai fatti: Raphael Sorel, per loro, era solo un assassino. Un ingrato che disprezzava ciò che aveva, ossia tutto quello che una persona poteva desiderare. Un nobiluomo che per capriccio, o qualche altra insensata motivazione, uccise un importante sostenitore della famiglia Sorel, provocando profonde crepe nel rapporto fra le due casate. Quest'ultima decise di cacciarlo, di bandirlo, costringendolo a fuggire e a dover sopravvivere da solo. Lo avevano abbandonato proprio come stavano facendo le sue energie. Ma da una parte il suo orgoglio e lo scarso affetto della famiglia nei suoi confronti, o almeno cosi sembrava, non gli permettevano di esserne offeso dal punto di vista affettivo. Erano loro ad aver perso un elemento fondamentale che li aveva portati all'apice della nobiltà. Lui aveva solo avuto l'ennesima dimostrazione: al mondo, nessuno si sarebbe mai curato di lui. Un individuo dal carattere rigoroso ed ostile ma non per questo privo di altri sentimenti oltre all'apparente arroganza. Non lo sapeva ma necessitava di qualcuno che gli scaturisse emozioni diverse dalla solita diffidenza. La famiglia della vittima, invece, lo voleva morto, o al limite dietro alle sbarre fino alla fine dei suoi giorni. Per questo scappava. Fece capolino da un muro che apriva la strada verso un vicolo appena illuminato ed intravide una figura esile, di spalle, con addosso vesti umili ed esageratamente grandi. Delle guardie la chiamarono e accorsero, ordinandole di dir loro dove si fosse diretto il fuggitivo. Raphael, con gli occhi lucidi dalla stanchezza e mamalamente sostenuto da gambe che tremavano, stava già immaginando la sua fine, dettata dal cinismo che vedeva in chiunque, anche in quella sconosciuta. Ella chinò il capo un istante. E in quell'istante rifletté sul da farsi. Le guardie non le stavano particolarmente simpatiche, erano rudi, aggressive, persone che eseguivano ordini e avvantaggiate dal non possedere un cuore. Era giusto dargliela vinta anche questa volta obbedendogli? Il destino di quell'uomo che non conosceva era nella sue piccole mani e doveva giostrarlo con cura. L'odio nei confronti delle guardie la spinse ad allungare il braccio sinistro verso la medesima direzione, cioè quella sbagliata, e a dare di conseguenza una possibilità di sopravvivenza in più a Raphael che, dopo aver visto le sentinelle allontanarsi, sentì le ginocchia sul punto di cedere ma proseguì verso la figura, non capendo quell'atto di premura. Lei si voltò. Lo guardò in viso per un istante soltanto e lui per molto di più. I capelli rossi e scombinati cadevano ai lati in due codini abboccolati, gli occhi verdi lo degnarono di uno sguardo fugace ma ne riuscì a cogliere il bagliore triste. «Per quel che ti concerne sapere potrei essere un assassino» bofonchiò lui, ancora incredulo e, nonostante la freddezza, profondamente grato. Effettivamente la sua frase aveva un senso, da una parte, ma un senso diverso da quel che si è abituati a cogliere alla parola "assassino". La ragazzina non si mostrò subito propensa al dialogo. Dopo che i suoi genitori morirono di peste, non ebbe più nessuno con cui entrare in intimità. Non c'erano tanti coetanei nella zona né adulti che avessero mai potuto prendersi cura di lei. Era dunque ricorsa all'ausilio dell'autosufficienza, diventando sempre meno aperta al mondo, alla società, alle relazioni... alle persone. Tutte inaffidabili, senza sentimenti, disinteressate a tutto ciò che non riguardasse la propria vita. La morte della sua mamma e del suo papà non la poteva attribuire a nessuno però questo non le impediva di nutrire sempre maggiore indifferenza verso gli altri. O almeno, questo era ciò che aveva fatto fino al casuale incontro con Raphael. Da un semplice e grande guaio di quest'ultimo e dall'odio verso le guardie di lei, stava inaspettatamente prendendo vita altro. «Non sei cattivo. Non come loro. Questo è abbastanza» mormorò distrattamente la ragazzina, con un filo di voce. Si aspettava della gratitudine, un "grazie" sarebbe bastato e dopo quello ognuno sarebbe tornato alle proprie sofferenze e ai propri problemi. Ma non ne vide nemmeno l'ombra e quasi si pentì di aver dato l'impressione di voler intessere un discorso, impressione in gran parte vera ma eclissata. Per un attimo pensò che anche lui fosse esattamente come gli altri. Solo più disperato e malmesso. «Se non lo fossi le guardie non mi cercherebbero, non credi? Comunque... ti ringrazio. Un giorno ti saprò dire se salvarmi sia stata la cosa giusta. Ora però devo...». Raphael non fece in tempo a continuare la frase che fu vittima di un grave capogiro che lo fece sbilanciare. Posò una mano sul muro, per sorreggersi. In quelle condizioni non poteva fare molta strada ma doveva. Era un rischio da correre, per la propria sopravvivenza doveva allontanarsi dal territorio francese, trovare un posto abbastanza isolato, recuperare le forze e cercare, in qualche modo, di crearsi un'altra identità, anche se... vista la sua fama di grande spadaccino nobile, era davvero ardua riuscire a cammuffarsi. La ragazzina gli andò vicino, sollevò appena lo sguardo e con velata timidezza accennò un sorriso che nemmeno lei riusciva a "capire". «Ora però dovresti riposare. Potrei condurti nella mia casa. Dovrai solo abituarti all'umiltà» disse lei come se fosse stata sua la decisione e s'incamminò lentamente, con lui al suo fianco, pensando dopo di essersi rivolta a lui dandogli del "tu". Un nobile merita del "voi", non del "tu", pensò. Ma non se ne curò. Al momento era incentrata sull'aiuto che poteva dargli, non le costava niente. Ma allo stesso tempo aveva paura. Paura di fare un azzardo. Le persone vanno e vengono e non sai mai se il loro passaggio è davvero UN PASSAGGIO o qualcosa di più stabile e permanente. Dipende anche un po' da noi, da cosa desideramo. Così lei non sapeva proprio cosa voleva. Tuttavia avrebbe avuto tempo per scoprirlo. Lo stesso dubbio stava sorgendo anche nella mente di Raphael, stupito dal modo in cui la ragazzina si propose per aiutarlo. La sua preoccupazione principale, oltre all'essere in condizioni pietose, era anche la probabilità di causare guai a quella ragazzina che riserbava un'inaspettata premura nei suoi confronti. Una premura... stranamente bella. Non ne aveva mai assaggiato il sapore ma poteva ormai dire che sarebbe diventato uno dei suoi preferiti fra quelli che la vita gli aveva servito, se non IL preferito. «Non... non posso. È gentile da parte tua, nessuno lo era mai stato con me ma... potresti finire in guai seri e per oggi credo di averne causati abbastanza. Ho parecchia esperienza in questo...» sussurrò lui, di rimando, accennando del sarcasmo. Ormai non aveva nemmeno il fiato per rispondere e la vista era sfuocata. Percepì solo il tocco di una mano piccola e fredda che si insinuava fra le dita della sua libera e si lasciò trascinare da quella che ai suoi occhi sembrava la creatura più misteriosa, sola e incredibilmente gentile di tutto il mondo. Raccolse tutte le sue forze, cercò di facilitarle il compito ma arrivati alla casa visibilmente scarna e vecchia cadde a terra, svenuto. Passarono un paio d'ore di totale silenzio. Amy, la ragazzina, si armò di pazienza e buona volontà e in questo arco di tempo approffittò per rendersi utile. Intanto adagiò Raphael su di un giaciglio di paglia destinata al bestiame ma esso diventò proprietà di alcune guardie venute a riscuotere le tasse tempo prima. Con gran fatica accese poi il focolare. Poi vagò per il quartiere ed intravide ad un certo punto un carro diretto verso la bottega che serviva gran parte degli abitanti. Raggiunse la bottega in questione ed attese con impazienza. E se l'uomo a casa si risvegliasse prima del previsto? Fu un dubbio che le saettò appena nella mente, ma il rumore delle ruote del carro la scosse in tempo. Una volta fermo, vi si infilò dentro, assicurandosi che entrambi i servi del vicario fossero usciti, ed iniziò a gonfiare le tasche di ogni sorta di cibo. Era un danno all'andamento della società, la stessa negligente società che odiava, ed era una necessità. In ogni caso, non le importava. Aveva iniziato a coltivare un'insana opposizione all'apertura verso il mondo, creandosene uno tutto suo. Sentì poi dei passi in avvicinamento, accompagnati da una nausea da panico che l'assaliva. Uscire allo scoperto le sarebbe costata una punizione, decise quindi di rimanere nel carro coperto che intanto stava ripartendo. Ma per dove? No, doveva assolutamente scendere e correre verso casa, altrimenti si sarebbe persa. Scostò il telo mentre la strada andava al contrario. L'unica soluzione era saltare. Prese un gran respiro, trattenne a sé la giacca imbottita di cibo e si diede uno slancio, cadendo rovinosamente su delle pietre di una stradina ben poco curata ma fortunatamente abbastanza vicina al luogo in cui si trovava. Il cibo rubato non ci rimise così tanto quanto le ginocchia sbucciate. Una ferita in più non le faceva davvero differenza né troppo male, ne aveva di peggiori... nel cuore. Si sollevò in piedi stringendosi nella giacca e si incamminò verso casa, sotto gli sguardi sospettosi dei passanti. Giunta a casa, fu felice di rivedere l'uomo ancora preda del sonno arretrato. Sistemò gli alimenti sul tavolo, dando puntualmente un'occhiata a Raphael, e una volta finito si mise con le spalle al muro, stanca, scivolando verso il pavimento. Strinse il viso sulle ginocchia mentre sentiva le ferite bruciare il triplo a causa delle lacrime che sfuggivano dai grandi e tristi occhi verdi. Tutto nel silenzio più totale. Era esausta. Non ne poteva più di condurre una vita del genere, fatta di solitudine, saccheggi, continue pene bollenti. Diceva che stava bene così ma qualcosa dentro di lei sembrava non condividere questa convinzione. Cosa doveva fare? Quale punto di riferimento le era rimasto? Ognuno deve averne uno per crescere, migliorare, confrontarsi, imparare... sbagliare e ricevere correzioni. Così come viveva lei non c'erano regole. La sua era una disciplina da autodidatta. Udì il rumore di un fremito, alzò il viso e l'uomo teneva le palpebre spalancate con un'espressione spaventata, sollevato a sedere. Aveva fatto un incubo. Un incubo che ritraeva la sua situazione attuale. Il classico dipinto di una guerra. E l'avversario era sempre se stesso. Voltò il capo verso Amy incurante del pianto silenzioso appena sfogatosi. La vedeva fragile e lui si sentiva incapace di prenderla nel modo giusto, temendo di peggiorare le cose. «Non mi hai ancora detto come ti chiami... Io sono Raphael, comunque. E ti sono grato per aver insistito affinché ti seguissi fin qui, davvero. L'umiltà non è poi così male ed io sono un tipo molto testardo» disse lievemente con un sorriso, dimenticando per un attimo quel sogno brutto. Scostò la coperta che la ragazzina gli aveva messo sopra accuratamente e piano piano si rialzò. Amy lo fissò in ogni suo movimento, immobile, trovandoselo poi davanti, con una mano tesa. «I-io sono Amy» si passò una manica della giacca sulle guance umide, facendosi poi aiutare a rialzarsi in piedi. Gli arrivava a malapena alle spalle, continuava a guardare il pavimento sotto ai loro piedi. Raphael si accorse delle ferite sulle ginocchia di lei e si chinò a guardarle con preoccupazione. «E queste? Non le avevi prima. Dobbiamo disinfettarle, poi mi spiegherai cos'hai combinato mentre dormivo» mormorò lui, guardandosi attorno alla ricerca di qualcosa di utile. Ma la ragazzina replicò scuotendo il capo. L'uomo capì. «In quel vicolo io mi sono fidato di te. In realtà sei l'unica con la quale ho avuto quest'istinto...» continuò con un tono sospeso «Ora tocca a te fidarti di me» concluse facendo un sorriso stranamente rassicurante. Sentiva accrescere in lui la protezione istintiva nei suoi confronti ed era una sensazione che gli conferiva un'insolita serenità, in tutto quel caos grigio. In 32 anni di vita trascorsa ad alimentare disinteresse affettivo per gran parte delle persone conosciute, quella sensazione di serenità non l'aveva mai avuta prima d'ora e sembrava avergli aperto un passaggio per il cambiamento. Qualcosa deve morire, per rinascere. Il vecchio Raphael cinico e menefreghista forse stava morendo e rinascendo in altro. Stupore e paura si mescolavano a quel pensiero. Amy cominciava ad essere un po' meno chiusa. Annuì alla sua affermazione. Si sarebbe fidata, ma non voleva che questa fiducia andasse perduta e decise di farlo entrare nel cuore con cautela. Raphael la vide più tranquilla e ne fu immensamente sollevato. Probabilmente non era una così brutta persona. Probabilmente erano le persone attorno a lui che facevano in modo che assumesse atteggiamenti ostili non totalmente suoi. «Occupiamoci di queste ferite, allora. Per fortuna sono cresciuto studiando medicina» l'uomo si alzò in piedi, addocchiò una pentola ed una brocca d'acqua. Essendo privo di qualsiasi altro rimedio più raffinato, doveva accontentarsi di ciò che aveva a disposizione. Prese la brocca e la rovesciò nella pentola, vi mise del sale nell'acqua e posò il tutto sul focolare. «Raphael... sembra il nome di un angelo» disse Amy in un sussurro, mettendosi seduta accanto al fuoco. E lui la seguì. Gli occhi azzurri parevano risplendere di una luce nuova. Sorrise. «Un angelo finito all'inferno, mia cara Amy. È una storia molto lunga e vorrei riuscire a dimenticarla. Ma tu, piuttosto, perché sei sola? Dove sono i tuoi genitori?» domandò. Non voleva riempirla di troppe domande ma non sopportava il silenzio né l'idea che una ragazzina rimanesse sola. La vide incupirsi un istante però brevissimo. «Non torneranno da dove si trovano adesso. Quindi me ne sto qui, a cercare di sopravvivere, per quanto mi è possibile. Forse farò la loro stessa fine, un giorno. Chissà». L'acqua già bolliva e fu tolta dal fuoco e messa da parte, a raffreddare. L'uomo prese la coperta e ne strappò un angolo. Il nobile colse il significato di quel "Non torneranno" e comprese allora il perché lei fosse tanto restia al dialogo e al credere nelle buone intenzioni di certe poche persone. Era forte ma si era costruita una cinta di mura altissime e impenetrabili. Raphael si prefisse di oltrepassarle, a costo di cadere e farsi male. «Farò il possibile per proteggerti, d'ora in avanti. Te lo prometto, Amy» disse lui con fermezza e al contempo dolcezza, bagnando il pezzo di stoffa, strizzandolo e posandolo sulle ferite della ragazza che sentiva fortemente il bruciore fisico ma sentiva che quello dentro di lei, quello più doloroso, stava inaspettatamente affievolendosi.
   
 
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