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Autore: Littlecancer    25/08/2014    3 recensioni
E' l'interpretazione di una fan di Jimmy Page su parte della sua vita. Ciò che poteva aver pensato ad un punto morto d'essa. Amarezza, parole taglienti, ricordi belli e brutti.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jimmy Page
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chissà dove ho sbagliato. Finalmente  ero diventato la farfalla che usciva dal suo bozzolo, lentamente e con sacrifici, e ora mi sono trasformato nella viscidissima larva che si droga, scopa giusto per fare ed è come se la sua famiglia fosse sprofondata nel baratro dei "prima o poi li andrò a trovare, ho ancora troppe cose per la testa". Non ho niente per la testa. Non mi interessa più niente, neanche delle lettere di morte che ricevo abitualmente sotto la porta. Se morissi non me ne fregherebbe assolutamente nulla, non avrò il tempo di accorgermene, in ogni caso, se fissi  immediatamente in overdose, talemente forte da non lasciarmi il tempo di far finta di obbiettare. Sono un uomo solo, nonostante abbia così tanta gente intorno, sono completamente solo. Infondo ci sono abituato.



 

-Mamma?
Un piccolo James Page si aggirava nei dintorni di casa propria, non riusciva a trovare i suoi genitori. In casa non c'erano, sapeva bene che erano entrambi a lavoro, ma ancora non riusciva a capacitarsi del fatto che non l'avessero nemmeno salutato con un bacio o con una leggera pacca sulla spalla. Nè sua mamma Patricia, la segretaria di un dottore francamente ammirato nell'est di Londra, nè suo padre, il manager di un'industria. Sempre fuori. Rassegnato, si era deciso a rientrare in casa, una casa senza senso, completamente vuota. Non sprizzava il calore famigliare che la maggior parte delle famiglie dovrebbero avere. Aveva solo quattro anni. E a quattro anni, con santa pazienza, si arrampicava sulla sedia della cucina, tirando verso di sè il piatto con un po' di becon e uova posato dalla mamma sul tavolo. Vicino vi si trovava un bigliettino: "Buona giornata, tesoro". Lui non sapeva ancora leggere, magari qualche parola, non granchè, ma nonostante questo si appiccicava un piccolo sorriso sul faccino e non ci pensava più, mangiava in silenzio senza giudicare nessuno. Del resto, era ancora troppo piccolo. Poi però durante la giornata gli ritornava in mente e si sentiva ancora una volta





solo, sì, come allora lo sono oggi. Ho sempre voluto bene ai miei genitori, ma allo stesso tempo sento di provare una vera collera per loro. Almeno si sono rifatti regalandomi una chitarra, è già qualcosa. E poi sono cresciuto in questo modo. Che stronzata. Io non riesco a capire, a volte mi sento così bene con me stesso, divento così egocentrico che mi sento un vero e proprio Dio intoccabile...e poi? Eccomi, il vero me, lo schifo più totale. Insicuro e sicuro allo stesso tempo. Io davvero non ci capisco più nulla. Cosa mi ha ridotto così? Il successo? Può anche darsi, ma sarebbe così scontato da essere banale per qualsiasi rockstar. L'amore? L'amore. Forse ho sfiorato questo sentimento una volta, o due. Ah, già, due. La prima tenendomi per mano con quella ragazzina...non m ricordo neanche il suo nome, ma bene il suo volto dai lineamenti ancora incerti ma pur sempre incantevoli. La seconda con Jackie.




A quei tempi faceva il turnista agli inizi del 1963. Suonava musica che nemmeno gli piaceva, cominciava davvero a odiare quell'impiego, ma era necessario per farsi un nome, aveva persino suonato in una canzone dei Rolling Stones e conosciuto quel buffo individuo di Brian Jones. L'aveva incontrata dopo aver strimpellato dei singoli con altra gente che nemmeno conosceva, trotterellava di qua e di là per i corridoi adiacenti alle sale di registrazione con sguardo smarrito. Era appena uscito dalla sua nel momento in cui le sue iridi color nocciola lo colpirono come una macchina in corsa. 
-Scusa, hai visto un uomo alto, capelli brizzolati? Dovrebbe essere il mio manager, ma è sparito nel nulla e...
-Manager?
-Oh, sì, sono una cantautrice, vengo dall'America. Piacere Jackie DeShannon!
Lo sorprese con un sorriso luminoso, quasi imbarazzato. Non gli dava l'impressione di essere una di quelle superstar egocentriche, sembrava semplice, genuina, di una dolcezza infinita. Così si sono presentati, conosciuti e innamorati come non mai. Jimmy gli aveva insegnato tecnica sulla chitarra, Jackie ad apprezzare le piccole cose. Creavano musica, parlavano con complicità, si confidavano, facevano l'amore. Tutto nella norma di un eccellente rapporto umano. Peccato che due anni dopo lasciò l'Inghilterra e non tornò più, senza una parola o una falsa promessa. Gli aveva spezzato il cuore come mai nessuno aveva fatto, tanto da cominciare a piangere per una donna sotto il getto d'acqua della doccia. Ridicolo, ma vero. Successivamente gli dedicherà Tangerine, nessun rancore, solo tanta sofferenza e incomprensione. 





Probabile, anzi,  sono convinto che non riesco più ad amare nessuno a causa sua. Le altre sono state solo storie girate come piaceva a me, dalla prima all'ultima, persino per mia moglie è stato così. Ancora mi manca, però, quella ragazza dai capelli color grano e la voce decisa di una donna emancipata. Non voglio nemmeno pensarci, non è il caso di versare altre lacrime per lei...e in ogni caso non riuscirei a farlo neanche se lo volessi con tutto me stesso. E' dalla morte di Karac che non butto giù una lacrima. Sarà passato un anno, o giù di lì. In realtà non so neanche dove mi trovo in questo momento, vedo solo un soffiitto di fronte a me e la vita che lentamente mi scivola dalle mani. Mi sfugge e non ho la forza di riafferrarla. Sento solo il rumore del pugno di Robert che s'infrange più e più volte oltre la porta della camera...sì, penso che sia una stanza d'albergo. Non voglio neanche ascoltare le prediche che mi sta lanciando, le minacce e tutto il resto. So bene che un tempo a me ci teneva, ma penso che ora si sia stufato di starmi dietro in continuazione, neanche fosse mio padre. Finalmente se ne va accompagnato solo dai suoi passi e un grande silenzio di fuoco. 




-Immagino sia lui.
-Sì, proprio lui.
-Giusto chi stavo cercando. Anche Winwood mi ha dato due di picche, ma credo proprio che lui sia più adatto a ciò che ho in mente, non pensi?
Ammirava Robert da lontano, con il suo piccolo cespuglio di capelli biondi che danzava a destra o a sinistra, a seconda del ritmo della musica che gli proponeva. 
-Non ho idea di cosa tu voglia creare, posso solo dire che ha una voce...incredibile!
E il giovane ragazzo sul palco si dimenava, cantava con tutto se stesso il malinconico blues, lo faceva proprio, mostrava il suo animo dipinto da mille colori differenti, il suo Io più profondo attraverso le note di Robert Johnson.
-Un vero Golden God.





Un Dio Dorato ormai spento, grigio, ma con la forza di volontà di un leone. Lui non si nasconde dietro la droga come me, lui lotta e continua la sua folle corsa alla vita come meglio può, il più serenamente possibile. Per sua figlia. E la mia? La mia dolce Scarlet, che ormai ha otto anni. Mi sto comportando esattamente come facevano i miei genitori, la sto lasciando sola. Certo, ho le mie groupies a cui pensare! Non parliamo poi della mia succosa Jack Daniel's, per carità! E di questa merda che mi ritrovo in tasca, un nascondiglio ingegnoso! Con rabbia ho gettato via il sacchetto di eroina oltre il letto, probabilmente non dovevo farlo, io non ho certamente la forza per pulire tutto quello che è caduto. Sicuramente sverrei. Sono così arrabbiato con me stesso, ma poi torno a non pensarci, come quando ero bambino. Questa volta però mi è impossibile non vedere i grandi occhi verdi di Scarlet, sempre così buoni e dolci con me, sempre gioiosi nel vedermi appena torno a casa.




Aveva alzato la cornetta del telefono.
-Pronto? 
Era tornato a guardare la ragazza stesa sul suo letto d'albergo, sotto le lenzuola bianche in contrasto con i suoi lucenti capelli castani scompigliati sul cuscino. Era una bella ragazza, peccato che Jimmy non sapesse il suo nome, lui non glielo aveva chiesto e lei non glielo aveva detto...o sì? Forse si chiamava Connie, o un nome simile a quello. Si trovava a Los Angeles, un altro tour era appena iniziato con tutti i suoi pro e i suoi contro.
-Ciao, sono Charlie.
Di colpo si voltò verso il telefono fisso posato sul comodino in mogano, come se fosse stato scoperto con le mani nel sacco da sua moglie, oltretutto incinta. Immediatamente sorrise, sentendosi ridicolo al pensiero della sua inutile preoccupazione. 
-Charlotte, tutto bene? Tua madre è sempre lì con te? Non vorrei mai che ti lasciasse sola.
-Ho in braccio la bambina, Jimmy. Sei diventato padre, sai?
In quel momento era sicuro di aver avvertito il muoversi delle labbra di lei, dall'altra parte della cornetta, in un grande sorriso di commozione che non riusciva a nascondere. Sentì un senso di nausea pervadere il suo stomaco, la testa girava, tanto che si dovette accostare al muro.
-Sto arrivando.
Si era messo subito in partenza per il suo paese natio, sovrappensiero e con mille buoni propositi. Insieme ad altre stupide domande: Ce la farò come padre? Sarà nata sana?Avrà i miei occhi?
La prese in braccio una volta raggiunta la camera d'ospedale di Charlotte, la numero 112. In un primo momento la piccola si era messa a piangere, tolta dalle braccia della mamma, poi aprì gli occhi. Scrutarono quelli del padre, tanto simili tra loro, alzando poi una ditino, quasi in segno di conoscenza. Jimmy le aveva delicatamente stretto il piccolo indice, scatenando un sorrisone sdentato che mai avrebbe scordato. 
-Benvenuta, Scarlet.





L'uomo più felice del mondo. E' sempre stata una bambina stupenda, sono orgoglioso di averla messa al mondo. Almeno qualcosa di buono l'ho fatto, nonostante tutta la sciagura che mi attiro intorno come fossi una calamita.
Ho fatto sorridere per la prima volta mia figlia.



                                     

  
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