La cour des miracles
Con lo spettacolo
ICEANDFIRE
Dal 31Luglio 2014
Massimiliano
accartocciò malamente il volantino in cui spiccava accanto alle poche righe di
presentazione
l’immagine di una funambola immersa
nel
buio, uno chignon a tenerle legati i lunghi capelli bruni, gli occhi
chiusi e
le braccia aperte, come se volasse.
Foto suggestiva ma incapace di impressionare il ragazzo che alla soglia
dei trent’anni aveva lasciato i sogni da bambino chiusi, o
meglio, sigillati in
un cassetto, e con essi i ricordi della sua infanzia, un periodo felice
che
sembrava lontano anni e anni luce da ora. Tuttavia, quando la sua
nipotina,
preda di una curiosità bruciante tipica della sua
età, gli strappò di mano il
depliant e qualche secondo dopo alzò il capo sfoggiando il
suo irresistibile
broncio, capì che non c’era altro da fare che
arrendersi. In fondo, era il suo
unico, e quindi preferito, zio.
«Due
biglietti, per favore».
Eccolo lì, in mezzo a un’orda di bambini
esagitati e adulti annoiati – mal di testa, a fine serata,
assicurato –, a
spendere trenta euro a testa per lo spettacolo che prometteva
“Emozioni intense
in un’atmosfera da sogno”, come recitava il
pannello affisso sopra il
botteghino, al di fuori del tendone a strisce blu e argento che avrebbe
di lì a
poco ospitato lo show.
Ripreso il resto, si allontanò dalla fila che si
snodava per svariati metri nel buio serale, e aspettò
insieme a Susie che i
cancelli venissero aperti. Erano le 20 in punto, mancava poco
all’inizio, e il
cerchio alla testa iniziava a far male .
Odio il caos.
«Zio, zio» gli strattonò il braccio
Susie. «Guarda,
laggiù c’è una fata!»
La fantasia di Susie cresceva velocemente,
alimentata giorno dopo giorno dalle tante
fiabe che Massimiliano stesso le aveva regalato, prendendosi per primo
l’impegno
di leggerle ogni sera, alle nove in punto, a voce alta, per
accompagnarla nel
mondo dei sogni e insegnarle il potere segreto dei libri; questa volta,
però, dovette
ricredersi e dar peso alle sue parole, perché la donna che
era comparsa vicino
all’inferriata, ancora non del tutto illuminata ma
rischiarata dalla luce fioca
del crepuscolo, aveva l’aspetto di un essere etereo, e lui
per la prima volta
abbandonò i panni di Narratore di fortuna per vestire quelli
di Protagonista
d’eccezione. La pelle lattea e il
corpo snello, i capelli neri come la notte a incorniciarle
l’ovale del viso,
scendendo lungo la schiena scoperta in morbidi ricci, le braccia lunghe
e
flessuose, i piedi piccoli e scalzi. Sentendosi forse osservata la
donna alzò
gli occhi e li puntò verso di lui. Uno sguardo fugace,
l’ombra di un sorriso e
l’indice sulle labbra rosse ad intimargli di fare silenzio.
Poi si voltò e scomparve,
lasciando Massimiliano incredulo e disorientato. Aveva sognato o cosa?
«Ladies
and Gentlemen, La cour des miracles vi dà
il benvenuto a quello che sarà il miglior spettacolo della
stagione!»
Modesto, il ragazzo, pensò Massimiliano
osservando il presentatore all'angolo dello spiazzo impugnare con forza
il
microfono. Era vestito di tutto punto, indossando un impeccabile frac
– giacca a
doppio petto blu, a richiamare il colore dei tendaggi, pantaloni neri
come il
farfallino, e panciotto rigorosamente bianco, come la camicia
– completato dal
cilindro in testa, che da perfetto gentiluomo si era levato in un breve
inchino
verso il pubblico, che applaudì entusiasta.
Dopo i ringraziamenti di rito e la presentazione
del programma serale, concluse sorridendo così:
«Prima di congedarmi, invito
ciascuno di voi a lasciarsi andare per assistere a ogni performance con
l’ingenuità e purezza di un bambino. Buona
serata!».
Mentre l’eco degli applausi riecheggiava ancora
nel salone, il buio calò improvvisamente e tra le tribune
che ospitavano gli
spettatori scese il silenzio. La bolla nella quale erano caduti i
presenti scoppiò
quando un urlo gutturale squarciò il silenzio, calamitando
l’attenzione verso
il fondo dell’area in cui stavano entrando, uno dietro
l’altro, giocolieri
intenti a lanciare e riprendere torce infuocate. Ebbe così
inizio la spettacolo,
in un’alternanza di colori, musiche e attrezzi, dalle
classiche palline agli
affascinanti cigar box, scatole rettangolari da scagliare in aria e poi
riprendere
con movimenti acrobatici, alternando esibizioni divertenti con diaboli
fosforescenti e performance emozionanti che combinavano la danza con la
giocoleria in toccanti passi a due.
Furono molti i numeri capaci di entusiasmarlo –
uno fra tutti, quello del mimo Ugo, così
diceva l’iscrizione sul suo didietro, alle prese
con un’automobile rotta
– e di
commuoverlo – la giovane
contorsionista travestita da bambola, piegata, agitata e trasportata
come fosse
un essere inanimato e infine rinchiusa in una minuscola scatola, come
un’inutile pezza vecchia, lo aveva toccato particolarmente –, ma soltanto
uno, soltanto il suo, riuscì a
imprimersi nella memoria del ragazzo in modo permanente.
«Wow… è bellissima!»
affermò Susie, con un
sorriso a trentadue denti. E Massimiliano non poté che
condividere. Più che una
fata, era una sirena incantatrice, pensò osservandola
entrare quasi in punta di
piedi, i capelli legati in uno chignon alto, il volto leggermente
truccato nei
toni del blu, e un abito cobalto, impreziosito ai lati da lustrini
argentati e
in alto da veli trasparenti, a coprirla fino a metà coscia.
Dapprima,
fu la sua bellezza ad attirare lo
sguardo di ogni presente; ben presto, fu la magia che creava in scena
con la
grazia dei suoi movimenti a coinvolgere il pubblico.
Lei non camminava semplicemente su quel filo sottile:
piroettava, ruotando il busto e muovendo le braccia a tempo di musica;
scivolava
da una parte all’altra della corda, a passo di danza;
sosteneva il suo corpo
sulla sola gamba destra, sollevando l’altra verso il
soffitto; saltellava,
creando in aria strane figure col corpo e riprendendo subito dopo
l’equilibrio,
quasi per magia; giocava col filo sottile sotto ai suoi piedi,
aggrappandosi a
esso con entrambe le mani, come fosse sul punto di cadere, usandolo
come piano
su cui allargare le due gambe insieme, fino a formare una sola linea,
in una
perfetta spaccata.
Il tutto sulle note frizzanti e irriverenti di un
jazz dal sapore degli Anni Ruggenti, che soltanto un secolo prima
avevano
infiammato l’America. Aveva rotto ogni
regola e consuetudine sedimentata sotto secoli e secoli di
pratica dei
più grandi funamboli, per dare al suo spettacolo –
4 minuti e mezzo di puro
splendore – una veste nuova, diversa…migliore.
E Massimiliano, al cospetto di
una simile performance, non poteva che dirsi sbigottito,
incredulo. Entusiasta.
Perché lui amava chi sapeva osare. E lei... l'aveva fatto
grandiosamente.
Lo spettacolo proseguì, in una serie di numeri che sfidavano
la gravità
a colpi di salti e capriole, con trampolini altissimi, oscillando su
trapezi
colorati, da soli o in gruppo per creare astratte figure sospese
nell’aria. Verso
le dieci e trenta, mentre ascoltava un po' sovrappensiero Susie
raccontargli di
come avrebbe tanto voluto abbandonare casa e girovagare per il mondo
come
membro del circo, perché era in grado naturalmente di
"leccarsi il gomito
con la lingua" − ottimo inizio come contorsionista, non
c'è che dire − ,
Massimiliano rievocava la funambola in scatti che si susseguivano uno
dopo
l’altro nella sua mente. Pur
essendo
parte integrante − e membro fondamentale, come supponeva
dall'intesa tra i vari
artisti − della grande famiglia circense, celava dietro i
suoi ricci scuri un
mondo distante, mascherava dietro uno sguardo seducente una sofferenza
latente,
camuffava con un sorriso malizioso una malinconia indecifrabile.
Tentando di penetrare
il mistero che al momento costituiva la ragazza, quasi non si accorse
di averla
a qualche spanna dal proprio naso: vicino ai cancelli, dove qualche ore
prima
l'aveva scorta quasi per caso, stava lei, sgranocchiando una mela
rossa, le
gambe incrociate e i capelli sciolti liberi di fluttuarle attorno mossi
dalla
leggera brezza serale. Un occhiolino. Un cenno con la mano. Furono sufficienti per
accendere Massimiliano.
Non
ci aveva mai creduto, ai colpi di fulmine.
Insomma, come potevano due perfetti sconosciuti
“riconoscersi” anime gemelle e cadere
nella trappola dell’amore? Scorciatoia comoda e veloce,
questa, preferibile
alla tortuosa strada verso un concreto rapporto umano.
Eppure era lì, per la terza sera consecutiva, a
pagare per uno spettacolo già visto, nella speranza di
ricevere un segno –
divino o terreno, non importava –
che
desse valore ai brividi avvertiti,
sollievo ai suoi sogni infranti, forza alle illusioni
della sua mente.
Scosse la testa, sfregandosi gli occhi con la mano:
era semplicemente patetico, abbagliato da un misterioso angelo della
notte
avvolto nel blu. Ne aveva lette molte, di storie così: i due
si incrociavano
per caso –la condivisione di una cabina in treno, un
messaggio al numero
sbagliato, un incontro accidentale al bar –, altrettanto per caso si
aprivano all’altro, −
perché “parlare con uno sconosciuto è
semplice e naturale”, secondo le migliore
etichette cinematografiche – e non così tanto per
caso finivano a letto
insieme.
Ne aveva lette molte, di storie così, e
altrettante ne aveva scartate, durante il suo lavoro di curatore
editoriale, e
ogni volta che terminava di esaminarle si chiedeva come queste
potessero
riscuotere un così grande successo tra i lettori. Ora
l’aveva capito: tutti
avevano bisogno di magia e tutti la cercavano nel grigiore della
quotidianità,
e cosa si avvicinava di più a un sortilegio di un
innamoramento a prima vista?
Tuttavia, mentre la osservava rapito danzare, la lunga coda di cavallo
oscillante sulla scia dei suoi movimenti, e poi dileguarsi dalla scena,
tra gli
applausi del pubblico, un’ombra
scura
attraversò i suoi pensieri: la consapevolezza che la maggior
parte dei colpi di
fulmine si esauriva in brevi acquazzoni estivi.
Era
pronto. Assolutamente pronto. E allora perché
gli tremavano le mani al solo pensiero? “Uomo senza
palle” avrebbe asserito suo
fratello Andrea, che non mancava di sottolineare quanto la sua vita
fosse
diventata banale nell’ultimo periodo: lavoro-casa,
casa-lavoro, a volte persino
lavoro-a-casa, quando leggeva fino a notte fonda manoscritti per
analizzarli,
valutarli e spesso scartarli, un impegno costante che gli aveva
permesso di
raggiungere a soli trent’anni una posizione di tutto rispetto
come redattore
editoriale in un’ottima casa editrice del Torinese e
conseguentemente ottenere un
buono stipendio. Tuttavia non gli bastava più. Voleva osare,
dar la caccia alla
Balena Bianca sul Pequod, combattere nell’Esercito di
Silente, imbarcarsi alla
volta della Tortuga con il Corsaro Nero…
« Esci subito!»
…o semplicemente introdursi in un camerino
privato, per lasciare un regalo alla misteriosa funambola, che adesso
lo stava
fissando brandendo una clavetta come arrangiata arma di difesa.
Tuttavia, quando osservò meglio il ragazzo,
rilassò le spalle e sorrise. «Sei stalker di fila
C» disse, con voce incerta e
un italiano impreciso.«Che
fai qui?»
Già, che ci faceva qui?
Massimiliano si guardò intorno, catturando
qualche dettaglio dell’ambiente circostante – la
foto di un bambino appesa allo
specchio, le scarpette usate in scena accanto alla porta, un beautycase
su una
toilette – e lo riportò su di lei, che
imperterrita continuava a fissarlo.
«Volevo darti questi fiori» chiarì
porgendogli un
mazzetto di camelie.
«Per me?»
«Per te.»
Silenzio.
«E perché?» riprese lei senza battere
ciglio.
«Perché... sei molto brava»
farfugliò preso
contropiede. Originale,
davvero originale.
La risposta non la convinse – e in effetti non convinse
nemmeno lui - e perciò
gli si avvicinò alzandosi sulle punte. «Riconosco
chi non dice verità» sussurrò
al suo orecchio. Poi si ritrasse e come se niente fosse gli porse la
mano sorridendo
sincera. «Io sono Dana. E tu?»
«Mass
…massimì…è
difficile!» sputò frustrata.
Dana stava tentando da qualche giorno di
pronunciare il suo nome e ogni tentativo fallito sfociava
inevitabilmente negli
sbuffi della ragazza– e nelle risata sincera del sopracitato
M-A-S-S-I-M-I-L-I-A-N-O. Dopo il loro bizzarro primo incontro, si erano
dati appuntamento
fuori dal circo un po’ prima delle undici per rientrare poi
un po’ prima di
mezzanotte. In
perfetta tradizione
fiabesca.
La prima sera si recarono in un pub.
Capì che era stata una pessima idea quando
Dana chiese al barista un bicchiere di latte. “Rinforza le
ossa”, era stata la
sua risposta.
Allora, la portò al McDonald’s. E
scoprì che era
una delle poche ventenni – si, aveva soltanto
vent’anni –a non aver mai
assaggiato uno dei Grandi Classici, che dieci minuti dopo aveva
rigettato nel
parcheggio.
Senza nutrire grandi speranze, le propose una passeggiata
per le vie del centro storico. E incredibilmente lei si
divertì molto,
scorrazzando tra una strada e l’altra, dondolando sulle
altalene del parco
cittadino, strafogandosi di gelato al puffo con smarties colorati , che
aveva
scoperto, grazie a
lui, essere il suo
gusto preferito.
«Te l’ho detto, i miei amici mi chiamano Massi.
Non serve usare il nome per intero!» assicurò il
ragazzo.
«I nomi sono importanti» lo bloccò lei
«e
meritano rispetto.»
Si fissarono decisi gareggiando a chi cedeva
prima. Dopo poco, Massimiliano sbuffò e si
rilassò sulla panchina di fronte alla
Chiesa di Santa Giulia a Torino. Ne avrebbero avuto per un bel
po’.
Dana sorrise e continuò ostinata:
«Massimil…»
Era un osso duro, 45 kg di cocciutaggine e
bravura. Aveva imparato a conoscerla, Massimiliano, durante i loro
brevi incontri,
a distinguere il suo profumo – dolce e fiorato – e
il suono della sua risata –
lieve e roca – , a rispettare i suoi silenzi riguardo al
passato che aveva
vissuto e il futuro nebuloso che le si prospettava, a cogliere le
inflessioni
della sua voce che tendeva a divenire un sussurro quando
l’argomento non le era
gradito e uno strillo acuto quando mentiva…
«Massimìlian… cavolo!»
… e a sperimentare la sua testa dura.
Sulle prime, ci fu solo il sentore.
«Io
piaccio a te» esordì Dana con uno strano
luccichio negli occhi. Erano al loro quinto appuntamento.
«Ma non è vero» negò
prontamente lui, tentando di
eludere il suo sguardo indagatore.
«Sì che è vero»
replicò fissandolo attenta.
«E su quale basi fondi queste strampalate idee?»
«Lo sento.»
Poi, fu un reciproco prendersi in giro…
«Sei proprio una bambina! » affermò
ridacchiando.
Erano nella roulotte dove alloggiava Dana e
Massimiliano aveva appena scovato il peluche con cui la ragazza era
solita
andare a letto e da cui non si staccava neanche morta.
«Non sono io che dormo con luce accesa per paura
di buio » ribatté piccata incrociando le braccia
sul petto. Ieri Massimiliano
le aveva raccontato di questa sua abitudine puerile.
«Ehi, era un segreto! » protestò
fintamente
indignato, per poi scoppiare a ridere di nuovo.
«Anche Harap Alb lo è» asserì
afferrando il coniglietto grigio che il
ragazzo stringeva nella mano destra, il cui nome rimandava a una delle
favole
della sua infanzia.
Condividere
esperienze.
«Che
cos’è?» chiese incuriosita osservando il
display luminoso e la tastiera su cui Massimiliano stava digitando.
«Un notebook» rispose senza guardarla.
«E a cosa serve questo… notebook?»
continuò lei
affascinata.
«A tantissime cose! Puoi comporre testi, riempire
tabelle, elaborare dati e numeri, introdurre immagini e ascoltare
musica… » spiegò
lui elencando le numerose funzioni del computer «ma noi lo
useremo per guardare
una puntata di Once Upon a Time.»
In fondo, stavano
vivendo una favola.
Aprirsi
all’altro.
«Sono scappata da
Romania quando avevo 12 anni»
iniziò Dana, lo sguardo perso e gli occhi un po’
lucidi. «Vivevo in roulette
piccola, in un campo molto grande, con altri come noi. Mia madre era
sempre in
giro, mio padre beveva e basta, beveva tanto, e io stavo con nonna
Paula. Lei
mi ha insegnato ogni cosa. Quando morì, cambiò
tutto: era inverno e faceva
freddo, moltissimo freddo, ma non così… tanto
quanto? si dice così ? freddo che
pativo dentro me… insomma, ero sola e spaventata, e andai
via.»
Trattenne il respiro,
come se il ricordo di quei
giorni le togliesse fiato ed energia e stette in silenzio.
«È
stata dura» riprese poi «non sapevo dove
andare, cosa fare, come… sopravvivere, e tutti allontanavano
me… ma ce l’ho
fatta »concluse con un sospiro.
E in quel momento
Massimiliano capì quanto la solitudine l’avesse
segnata in quegli anni,
quanto quei rifiuti – da parte dei genitori, per primi
– l’avessero ferita,
quelle parole cattive – “sporca
zingara”, tra tutte – trafitta giorno dopo giorno
come frecce incessanti, e
come avesse imparato a leccarsi le ferite da sola, a furia di incassare
colpi.
«Pochi mesi
dopo, circo è arrivato in mio
quartiere» continuò Dana. « La cour des
miracles, diceva il volantino. E in
effetti, è stato mio miracolo personale» aggiunse
sorridendo.
«Be’,
il resto lo sai.»
La miseria ti priva di
bisogni primari
essenziali, e nel suo caso lo stato di indigenza era una cifra
caratterizzante
la sua vita – l’aveva inteso, Massimiliano, nei
loro appuntamenti serali, in
cui le offriva una parte di mondo a lei preclusa –, ma le
umiliazioni subite le
avevano strappato via ogni brandello di dignità. E
lì, in quel circo itinerante
che da lì a poco sarebbe partito alla volta di una nuova
avventura, aveva trovato
un punto per cominciare, un posto per cui combattere, un luogo a cui
appartenere.
«Già,
il resto lo so.»
E
infine, qualcosa di più.
«Non ho baciato
nessuno mai.»
«Cosa?»
Rischiarata dalla luna
che scintillava nel cielo
sopra di loro, Dana aveva un aspetto etereo: il volto impregnato dalla
nebbia, il
vapore acqueo depositatosi tra le ciglia scure, le labbra pronunciate e
gli
occhi socchiusi a guardare le stelle…
Sì, mi stavo innamorando di lei.
«Non ho
baciato nessuno mai» ribadì Dana.
«Tu…
puoi darmi un bacio?» continuò studiandolo
timidamente.
Mentre si stringeva nel
cappotto bianco e puntava
i suoi occhi a terra con fare imbarazzato, Massimiliano
pensò che non l’aveva
mai vista così fragile, neppure quando aveva svelato parte
del tormento che si
portava dietro come un marchio indelebile. Aveva paura di un suo
rifiuto?
«Dovresti»
si schiarì la voce a disagio «
dovresti aspettare la persona giusta. Il primo bacio non si scorda mai,
dicono!» scherzò un po’ per sciogliere
la tensione.
«Lo
so… per questo vorrei bacio tuo »
replicò mordendosi
le labbra. «Tu mi piaci» proseguì un
po’ incerta «sei primo ragazzo
che… ascolta, che mi
ascolta. Altri uomini hanno provato a… toccarmi e fare cose,
e io non volevo.
Erano così sporchi e mi sentivo anch’io sporca.
È difficile spiegare» ammise
con un sospiro.
«No, ho
capito» la bloccò Massimiliano e le
accarezzò la mano che teneva in grembo. «Mi piaci
anche tu, Dana, mi sei
piaciuta dal primo istante in cui ti ho vista. Spettacolo dopo
spettacolo
l’attrazione cresceva, e quella sera… mi sono
introdotto nel tuo camerino
perché mi avevi stregato » confessò
anche lui con un sorriso. «Avrai pensato ad
un maniaco!»
«Stalker di
fila C» precisò ridendo.
«Però tu non
facevi paura. Non eri sporco… capisci? E poi, mi avevi
già convinta con bugia
dei “fiori”» lo canzonò Dana e
lui ridacchiò pensando a quel giorno.
Erano già
passate due settimane.
«Allora…»
proseguì Dana, le ginocchia vicine e gli animi
più audaci
«Allora…»
ripeté lui, la mano a cingerle l’ovale
del viso e lo sguardo accesso.
Allora, si baciarono.
************************
Trascorsero
le stagioni, i mesi e poi gli anni.
Massimiliano si sposò, comprò una casa in
campagna
ed ebbe una bimba. Poi divorziò, prese in affitto un
monolocale in centro e
vide sua figlia due giorni la settimana come disposto dal giudice. Dopo
Dana,
nessuna donna era stata abbastanza per lui e sua moglie
l’aveva capito.
Spesso, sdraiato sul letto a pancia sopra, si
perdeva nel bianco del soffitto, dove intravedeva riprodotti flash-back
della
sua vita dall’inizio fino ad ora. Come se ci fosse un
proiettore difettoso, la
pellicola si inceppava sempre nello stesso punto: la sera in cui lui e
Dana si
dissero addio.
Lui insistette per seguirla – “sono pronto a
lasciare la mia casa, il mio lavoro e la mia famiglia per
te”, gli disse – ma
lei lo respinse con forza.
«Non
voglio essere causa di tua infelicità. Tu ami tuo lavoro e
tua famiglia. Tuo
posto è qui» gli disse, e dopo un ultimo bacio
rientrò nella roulette. Il
giorno seguente del La cour des miracles restarono soltanto vecchi
volantini.
A distanza di anni, però, lui continuava a
rimuginare sulla loro storia, arrivando persino a credere di essersi
immaginato
tutto, come fosse stata un’allucinazione partorita della sua
mente.
Mentre accompagnava al
circo Paula – era il secondo nome di sua
figlia in realtà, per cui Massimiliano aveva insistito tanto
–, si guardò
intorno sorridendo appena. Gran folla di bambini eccitati, code
lunghissime al
botteghino, l’aroma dei pop corn distribuiti dai venditori
ambulanti: alcune
cose non cambiano mai.
«Non si salutano le vecchie amiche, Massimiliano?»
O forse sì?
*******************************************
La
storia partecipa a Il Contest dei Cliché
indetto da Exoticue.
Vorrei precisare alcune cose:
1)
Il titolo La cour des miracles è ovviamente
ripreso dal La Corte dei Miracoli di cui parla Victor Hugo in
Notre-Dame de
Paris, luogo di ritrovo di clandestini, vagabondi, briganti e zingari;
in
generale questo romanzo mi ha ispirato in vari modi, e le fattezze
della
protagonista Dana, un’affascinante gitana, si rifanno ad
Esmeralda. In sé La
cour des miracles come circo riprende l’idea del Cirque du
Soleil, noto per i
suoi numeri di grande valore artistico.
2)Il
peluche di Dana ha il nome Harap Alb, che
rimanda a una delle fiabe della tradizione rumena dello scrittore
Creangă :
http://en.wikipedia.org/wiki/Harap_Alb
3)
In generale, le esibizioni di cui parlo sono
frutto di quanto ho visto, tramite video su youtube e in live da
bambina, e
letto su wikipedia:
specifico che l’idea della giocoleria unita alla
danza in un bellissimo passo a due è nata dalla visione di
questo video
https://www.youtube.com/watch?v=TQJ4Q0SdJDo ;
sottolineo l’idea del Rag Doll ossia
dell’esibizione della contorsionista in cui, secondo
Wikipedia, “ one or two
assistants bend, shake and carry the contortionist in such a way as to
convince
the audience that the disguised performer is actually a limp,
life-sized doll.
The act often ends by stuffing the doll into a small box”;
nomino l’artista Alexandra Schmitz, a cui si
ispira la protagonista Dana nelle sue esibizioni come funambola:
https://www.youtube.com/channel/UC6YsxYFXb94eV5q_B1JBk7Q
4)Infine,
l’italiano impreciso e scorretto di
Dana è ovviamente motivato dalla nazionalità
straniera.
Grazie per l'attenzione! Tengo molto alla storia
– e chi non tiene alle sue creazioni? – e sarei
felicissima di ricevere qualche
parere da voi lettori.
SenzaFiato